[SPF:fail] il debito... Di Paola



 
Il debito Di Paola
Alberto Stefanelli e Piero Maestri (Guerre&Pace)

 

 

Lo scorso 6 aprile il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega per la “revisione dell’assetto strutturale e organizzativo della difesa” presentato dall’ammiraglio Di Paola, “tecnico” della guerra prestato al governo del paese.

Obiettivo del provvedimento è quello di garantire nei prossimi anni alle Forze Armate risorse costanti – con la possibilità qualche maggiorazione, soprattutto per le missioni di guerra – per portare a termine i programmi di “rinnovamento tecnologico” e di armamenti.

Due le novità più rilevanti.

In primo luogo, vista la “necessità di contenere i costi, a causa dell’attuale congiuntura economica e finanziaria”, la programmazione di una percentuale “stabile” della spesa per la “funzione difesa” dello 0,84% del PIL, spostando progressivamente tali risorse (oggi secondo il ministero al 70% necessarie per il personale) verso l’operatività dello strumento militare e l’ammodernamento (leggi, riarmo) - con l’obiettivo di riequilibrare la spesa della Difesa, portando al 50% quella per il personale ed al 25% sia le spese per l’addestramento sia quelle per gli investimenti.

In ogni caso l’articolo 4 del Ddl prevede che “al Ministero della Difesa” è “assicurato” per il riordino “e comunque fino al 2024 un flusso finanziario costante minimo annuo non inferiore a quanto previsto per il 2014” dall’ultima legge di bilancio (guarda caso nel 2014 sono previsti spese maggiori che nel 2012 e nel 2013… e stiamo parlando di 21 miliardi di euro, ben sapendo che lo stesso Sipri fornisce cifre superiori- 26 miliardi di Euro - per il meccanismo di “occultamento” di spese militari anche in altri capitoli di bilancio). E “le risorse recuperate” dalla riforma “sono destinate al riequilibrio dei principali settori di spesa della difesa.

 

Per garantire questo obiettivo e garantire crescenti risorse per il capitolo delle spese per gli armamenti, comunque presenti in altri capitoli del bilancio dello stato (come quello dello “sviluppo industriale) e quindi non calcolati in questi ingannevoli giochi delle tre carte dei “tecnici” (perché, come dichiara l’ammiraglio, questi armamenti sono “resi indispensabili dal rischio di terrorismo internazionale, la minaccia di proliferazione delle armi di distruzione di massa e l’instabilità di alcune aree del Mediterraneo e del Medio Oriente) -  viene programmata una riduzione dei militari dagli attuali 180.000 a 150.000 entro il 2024. Un risultato da raggiungere anche con la riduzione di generali ed ammiragli “non inferiori al 30 per cento “ e a colonnelli e tenenti colonnelli “al 20 per cento”.

 

Per non turbare i sonni di questi signori, il disegno di legge si sofferma su tutti i meccanismi per garantire loro un futuro tranquillo (mica vorremo “esodarli” come semplici operai….): incremento del contingente annuo da collocare in ausiliaria; estensione a tutti dell’istituto dell’aspettativa per riduzione quadri, con il 95% di stipendio percepito a casa; estensione a tutti della riserva di posti per le assunzioni in altre amministrazioni pubbliche (prevedendone l’applicazione anche “per le assunzioni nelle aziende speciali e nelle istituzioni”, sic!), agevolazioni per il reinserimento nel lavoro dei volontari congedati (“senza demerito”, bontà loro…); concorsi straordinari per l’accesso a inquadramenti superiori; ripristino dell’esonero; collocazione nei ruoli civili della difesa (che dovrebbero allo stesso tempo diminuire del 33%, dagli attuali 30.00 a 20.000, e sono quelli che più pagherebbero questa “riforma”); “transito” verso posti delle altre amministrazioni pubbliche (“previo assenso dell’interessato, con l’obbligo per le citate amministrazioni di procedere, prima dell’attivazione delle procedure di mobilità previste… all’inquadramento del personale nelle aree funzionali… e con attribuzione, sotto forma di assegno ad personam riassorbibile con successivi miglioramenti economici, della differenza tra il trattamento economico percepito nell’amministrazione di provenienza e quello corrisposto dall’amministrazione di destinazione, da corrispondere con oneri a carico del Ministero della difesa”).

Ammettiamo che sentire un ministro di questo governo sostenere che “mi rendo conto di come il personale sia una risorsa primaria per ogni istituzione…pertanto, pur nell'ineludibilità e progressività temporale del provvedimento, ogni attenzione andrà riservata al personale per mitigarne per quanto possibile gli effetti”, suscita un misto di ilarità e di sonora incazzatura..

Insomma in tempi di precarietà e di piagnoni anelanti al posto fisso, ai poveri soldati si garantirebbero i posti più appetibili, un’integrazione economica nel caso il loro stipendio da militare sia superiore a quello del potenziale dipendente pubblico a cui sottrarranno il posto, aspettative ben pagate.

Naturalmente tutto questo non rientrerà nelle previsioni di riforma del “mercato del lavoro” e degli ammortizzatori sociali. Una buona idea per le/i giovani disoccupate/i: arruolatevi, girerete il mondo, imparerete a uccidere, e comunque avrete il posto garantito…

 

Al Ministero della Difesa viene assegnato anche un ruolo di consulenza e sostegno all’acquisizione di “materiali di armamento prodotti dall’industria nazionale” da parte di altri stati con i quali intercorrono accordi di cooperazione: un’attività “di supporto tecnico–amministrativo ovvero contrattuale…”; per gli stessi accordi “può essere prevista la cessione di sistemi d’arma, di mezzi e di equipaggiamenti in uso alle Forze armate, obsoleti ovvero eccendenti…”.

Quello che più importa, però, è che “i proventi derivanti [da tali] attività….. sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente rassegnati” al ministero della Difesa. Che in questo modo si garantisce altri fondi “fuori sacco”.

 

Nell’articolo su “Debito e spese militari” (http://www.guerrepace.org/spesamil/mil_home.html ) avevamo già anticipato come un’eventuale riduzione di alcuni progetti di riarmo non avrebbe cambiato la sostanza della questione e il quadro complessivo di una riorganizzazione della difesa in senso ancor più aggressivo e interventista.

Il ministro Di Paola lo dichiara senza mezzi termini e con una dose di arrogante onestà: “la riorganizzazione di cui ho parlato è finalizzata all'ottenimento di uno strumento militare di dimensioni più contenute ma più sinergico ed efficiente nell'operatività e pienamente integrato e integrabile nel contesto dell'Unione europea e della NATO”.

In questa direzione si colloca la questione degli F35/JSF. Il ministro ha annunciato un ridimensionamento del programma, che verrà quindi riconfermato perché “il JSF è il miglior velivolo aerotattico in via di sviluppo e produzione…” e, si sa, “la componente aerotattica è un elemento indispensabile e irrinunciabile di ogni strumento militare degno di questo nome… (ricordo il Kosovo, l'Afghanistan, la Libia e l'Iraq)”, appunto, ricordiamocelo – e ricordiamo i morti causati da quella “componente aerotattica”, o “difesa avanzata” come la chiamava D’Alema…. D’altronde, come ha dichiarato Di Paola in commissione parlamentare, “Beirut è più vicina a noi di quanto non lo sia il Lussemburgo e Kabul è più vicina a noi di quanto non lo sia Capo Nord”, il che spiega perché i soldi delle speculazioni finiscano in Lussemburgo, mentre le frontiere sono chiuse alle/ai cittadine/i di Kabul o Beirut…

Aggiunge ancora il ministro che “l'esame fatto a livello tecnico e operativo… porta a ritenere come perseguibile, da un punto di vista operativo e di sostenibilità, un obiettivo programmatico dell'ordine di 90 velivoli… (sui 131 previsti, NdR), una riduzione importante che, tuttavia, salvaguarda anche la realtà industriale…”.

 

Il messaggio è chiaro, e piacerà sicuramente anche all’on. Pinotti del PD (dopo lo scorno delle primarie genovesi…) e al suo partito: le Forze Armate sono uno strumento fondamentale nelle attuali politiche del nostro paese e dei suoli alleati della Nato; la spesa per armamenti è un elemento indispensabile di questo strumento, delle sue “nuove” funzioni e del sostegno alle industrie belliche “nazionali”.

Per questo non si può continuare a illuderci di “riduzioni” o altre politiche di questo tenore: se vogliamo davvero risparmiare sulle spese militari e non pagare il debito che queste ci lasciano (finanziario ma anche umano e morale), dobbiamo impegnarci per una trasformazione dello strumento militare in direzione del disarmo e della progressiva smilitarizzazione del nostro paese e delle sue politiche.