Le ali bipartisan dell’F-35
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 - Date: Tue, 3 Apr 2012 18:21:39 +0200 (CEST)
 
Sul caccia F-35, in parlamento, «il
 ministro Di Paola ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco»: lo 
assicura Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace. Il ministro
 della difesa ha dovuto dunque piegare la testa di fronte a una 
maggioranza parlamentare, che decide di ridurre il numero dei caccia? 
Dagli atti parlamentari risulta esattamente l’opposto. 
 
Di Paola è andato in parlamento ad annunciare la decisione, già 
presa dal governo Monti, di «ricalibrare» l’acquisto degli F-35, da 131 a
 90. A questi si aggiungeranno 90 Eurofighter: in tal modo l’Italia 
disporrà di 180 cacciabombardieri «molto più performanti». In altre 
parole, molto più distruttivi dei Tornado usati un anno fa per 
bombardare la Libia. Più che sufficienti ad assicurare la capacità di 
proiezione del «potere aereo», uno dei cardini del concetto strategico 
pentagoniano enunciato da Di Paola nel 2005. 
L’Italia non solo si impegna ad acquistare 90 F-35 (numero 
aumentabile in caso di «necessità»), ma partecipa al programma della 
Lockheed Martin con l’impianto dell’Alenia a Cameri.  Realizzato,  
precisa Di Paola, in un aeroporto militare perché «gli americani e la 
Lockheed Martin hanno preteso delle condizioni di sicurezza e di 
segretezza: o in una base militare a certe condizioni o non si faceva». 
Qui saranno non solo assemblati i caccia, ma realizzati «gli 
aggiornamenti, perché gli aerei nel tempo hanno degli upgrade» (con 
continue spese aggiuntive). Ne trarrà vantaggio l'industria militare, 
«elemento tecnologico importante di questo Paese e che oggi più che mai 
punta sull'esportazione». 
 
Il costo unitario dell’F-35 è ancora nelle nuvole. «Oggi si parla di
 un'ottantina di milioni di dollari, ma ci si aspetta che la cifra sia 
sempre più bassa», racconta il favolista Di Paola ai piccoli onorevoli. 
E, per tranquillizzarli, aggiunge: «Se sapeste quanto è costato 
l'Eurofighter, vi spaventereste; parliamo, per capirci, del doppio della
 cifra». 
 
Nessuno ha osato chiedergli a quanto ammonta la spaventosa cifra. E 
neppure la Idv – che nella sua mozione (bocciata) chiedeva al governo di
 valutare la possibilità di uscire dal programma F-35 – ha osato mettere
 il dito sulla piaga: questo caccia di quinta generazione serve non alla
 difesa dell’Italia, ma alla  strategia offensiva Usa/Nato cui partecipa
 l’Italia; serve a mantenere gli alleati sotto la leadership degli Stati
 uniti, non solo sul piano militare. Il programma F-35 è uno dei volani 
dell’economia statunitense: vi partecipano oltre 1.300 fornitori da 47 
stati Usa, creando 130mila posti di lavoro che potrebbero raddoppiare. 
Tutto questo viene ignorato dal parlamento italiano. 
 
Il programma F-35, illustrato da Di Paola, è stato così approvato 
con un sostanziale consenso bipartisan di PdL e Pd. Non c’è da stupirsi:
 per far partecipare l’Italia al programma, si sono coerentemente 
impegnati, dal 1998 ad oggi, i governi D’Alema, Berlusconi 1, Prodi, 
Berlusconi 2 e Monti. E dopo che l’F-35 sarà stato usato dall’Italia in 
una azione di guerra, ci sarà un Flavio Lotti che, alla Perugia-Assisi, 
riprenderà a marciare a fianco del capo del governo. Come fece nel 1999 
col presidente del consiglio D’Alema che, dopo aver inviato gli aerei 
italiani a bombardare la Jugoslavia, partecipò, su invito, alla marcia 
per la pace. 
Manlio Dinucci - Il Manifesto
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