FINCANTIERI: Riconvertire si può



Duccio Valori dal Manifesto del 5-01-12

La prospettiva di chiusura dei cantieri navali di Sestri e Castellammare è da 
attribuire essenzialmente a due ordini di fattori, il primo oggettivo ed il 
secondo psicologico. Quello oggettivo consiste nella stasi del mercato della 
crocieristica: è infatti del tutto evidente che la generalizzazione della crisi 
economica, a livello mondiale, non poteva non ripercuotersi sulla domanda di 
consumi voluttuari, come le crociere, e quindi sulle commesse di naviglio da 
crociera. Qualsiasi imprenditore di buon livello se ne sarebbe reso conto 
tempestivamente ed avrebbe preso le misure necessarie a salvare le attività dei 
cantieri. Ma è qui che subentra il fattore psicologico. Il top management della 
società aveva presentato anni or sono una programma di collocamento in borsa 
delle azioni della Fincantieri; e quel programma, anche per l'opposizione di 
questo giornale, venne bloccato dal Parlamento. Tempo dopo, la Fincantieri 
propose la chiusura proprio delle unità produttive che oggi sono oggetto della 
stessa minaccia; ed anche in quel caso la netta opposizione politica e 
sindacale fece rientrare il progetto. È comprensibile come il top management 
della Società si senta frustrato e desideri una rivincita: poco male se questa 
rivincita passa sopra la testa dei lavoratori e di intere comunità locali, che 
dalla cantieristica e dall'indotto traggono i mezzi di sussistenza!
Ma esistono alternative alla chiusura dei cantieri ed al crollo della domanda 
di navi da crociera?
Chi scrive ritiene che queste alternative esistano, e che esse vadano 
attentamente studiate, sia per rendere possibile la loro realizzazione, sia per 
minimizzarne il costo.
Anni or sono venne additata alla Fincantieri l'opportunità che le sue non 
indifferenti capacità progettuali nel settore marittimo venissero indirizzate 
verso produzioni alternative, non meno necessarie al Paese delle navi da 
crociera (e forse anche di più!)
Si trattava, e si tratta ancora, di impianti di termovalorizzazione di rifiuti 
solidi urbani, che verrebbero a chiudere positivamente il ciclo della raccolta 
differenziata, ma che le comunità locali - per ragioni comprensibili, anche se 
non sempre fondate - tendono a rifiutare; come si tratta di impianti 
galleggianti per la produzione di energia eolica, anche questi spesso oggetto 
di opposizioni locali, per ragioni diverse ma altrettanto comprensibili.
È immediato chiedersi perché una società per azioni, condizionata dalla 
ricerca del profitto, debba sobbarcarsi a ingenti investimenti prima di 
progettazione, poi di realizzazione, senza avere un committente che versi prima 
un anticipo, e poi - a stati di avanzamento - il corrispettivo del lavoro 
effettuato. 
Ci troviamo in questo caso di fronte alla mentalità tipica dell'azienda che 
produce su commessa: niente commessa, niente produzione; quindi niente lavoro, 
niente spese, ecc. Quindi niente perdite!
Ma in realtà questa gretta mentalità da bean counters, come gli americani 
chiamano (giustamente) i controllers e gli ispettori, porta soltanto alla 
progressiva chiusura dei reparti o degli impianti in perdita, e non offre 
alcuno spazio all'innovazione di processo e/o di prodotto. 
Le spese di progettazione e produzione delle nuove attività possono essere 
capitalizzate senza pesare troppo sui bilanci aziendali (sempre che si 
ritengano prioritari questi ultimi rispetto alle esigenze dei lavoratori!); i 
prodotti finali (in ipotesi, gli impianti di trattamento dei rifiuti solidi 
urbani e le centrali eoliche), una volta realizzati, possono essere ceduti, al 
costo di produzione o ad un costo remunerato, ad investitori privati o 
pubblici, risparmiando, nel caso dei rifiuti solidi urbani, il costo del 
trasporto e dello smaltimento all'estero, ed in quello delle centrali eoliche 
il costo di nuove centrali termiche o addirittura nucleari.
Le soluzioni proposte non sono né nuove né esclusive. Sarebbe però 
interessante sapere perché la Fincantieri non ne voglia tener conto o non ne 
proponga altre, insistendo invece sulla politica suicida delle chiusure e dello 
scontro con le maestranze.
* ex direttore centrale Iri