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Facciamo la crisi, facciamo la guerra
- Subject: Facciamo la crisi, facciamo la guerra
- From: glry at ngi.it
- Date: Sun, 18 Dec 2011 22:05:52 +0100
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Capitale e Crisi, un affare di Guerra Mando tre articoli, tutti tratti da Il Manifesto, su guerra affari capitale. Jure -------- 1. CAPITALE E GUERRA Nuovi indebitamenti per nuovi conflitti 2. SPESE DI GUERRA 25 miliardi, vi ricordano qualcosa? 3. IL MINISTRO COMANDANTE NATO Tagliare gli F-35? Scordatevelo. XXXXXXXXXXXXXX 1. CAPITALE E GUERRA Nuovi indebitamenti per nuovi conflitti Alessandro Dal Lago Un fondo di Tommaso Di Francesco e la bella intervista di Ida Dominijanni a Christian Marazzi (il manifesto, 3 dicembre) contribuiscono, da prospettive diverse ma convergenti, a chiarire un po' le idee sull'intreccio di crisi e guerra a cui non si presta sempre la dovuta attenzione. La società degli individui sta diventando, in sostanza, una società di debitori che pagano non solo per i profitti delle banche di investimento e per alimentare la bolla finanziaria. Ma anche per tenere in piedi un apparato militare-industriale il quale si prepara a nuove guerre (direi che Siria e Iran sono le più gettonate in cancellerie e think tank) e quindi a nuovi indebitamenti che ricadranno su lavoratori, pensionati ecc. Circa un anno fa, Innocenzo Cipolletta (sì, l'uomo di Confindustria) ha pubblicato un interessante libretto da Laterza (Banchieri, politici e militari) in cui sono analizzati i cicli guerra-debiti sovrani. Solo per fare un esempio, le due guerre in Afghanistan e Iraq hanno provocato negli Usa uno straordinario trasferimento di risorse dal settore pubblico a quello privato che ha contribuito a innescare la crisi del 2008 e quindi quella attuale, in cui l'Italia fa la parte, più del capro espiatorio, dello sparring partner... Una concatenazione di cause ed effetti nota da sempre, si dirà. Il capitale ha ciclicamente bisogno di guerre per rinnovarsi, come sappiamo da Schumpeter. Ma quello che è meno evidente è come questo corrisponda oggi a una trasformazione sensazionale del potere globale, o occidentale che dir si voglia. La finzione degli esecutivi eletti a furor di popolo è oggi ridotta a una mera variabile delle strategie finanziarie e militari perseguite dal sistema bancario internazionale e dalla Nato. Consideriamo il governo Monti. È singolare come sia soprattutto la destra, e non solo italiana, (da Giuliano Ferrara al Times e ai neocon Usa) a parlare di un vero e proprio colpo di stato che avrebbe detronizzato Berlusconi. È la nostalgia per un plebiscitarismo di destra (il "capo" eletto dai cittadini) con cui si esprime quel liberalismo autoritario che sta molto caro agli orfani di Bush e del cavaliere. Ma la sinistra? Che lezioni sta traendo dall'insediamento al governo di un direttorio in cui siedono fianco a fianco tecnocrati, banchieri e militari? Per esempio, come non riflettere su un militare ministro della Difesa per la prima volta, mi pare, nella storia della repubblica? Ogni paese sull'orlo del fallimento risolve a modo suo la questione del virtuale disfacimento sotto la crisi. Papandreou, dopo l'annuncio del referendum e prima dell'avvento di Papadimos, ha licenziato i vertici delle forze armate. Da noi, dove non sono pensabili (per il momento) mal di pancia golpisti o gravi sommovimenti di piazza, è bastato insediare, con il beneplacito attivo del presidente della repubblica, un militare organico alla Nato, il quale ha evidentemente il compito di rassicurare i vertici militari americani ed europei sull'adesione italiana alla strategia occidentale, con relativi pian di spesa per l'acquisto di aerei da combattimento (14 miliardi in dieci anni...). C'è chi, come Sofri, gongola all'idea che l'Italia ceda un po' di sovranità per realizzare quella giustizia internazionale che gli sta tanto a cuore, insomma per stanare i cattivoni che dovunque violano i diritti umani. Più realisticamente, Sergio Romano concepisce la dissoluzione dell'autonomia dei governi dei paesi deboli come necessario prezzo da pagare per restare nel club dei ricchi. Io mi limito a osservare che, in questa prospettiva, ogni possibilità di cambiamento svanisce. Il potere non si incarna più in personaggi facilmente esecrabili perché visibili (come il miliardario populista e reazionario Berlusconi), ma in un anonimo sistema di comitati d'affari che nessuno ha eletto e che rende conto solo a se stesso o ai suoi alleati globali. La guerra di Libia ha mostrato perfettamente come tale sistema sia in grado di sbarazzarsi in poco tempo di ex alleati ingombranti come Gheddafi, con la giustificazione della protezione dei civili o altre favole umanitarie. Ma come contrastare una "governamentalità" globale così pervasiva e capace di ristrutturazioni tanto veloci, come quella che stiamo subendo in Italia? La difesa dei beni comuni o il "comune" di cui parla anche Marazzi è una risposta umana e sociale suggestiva, ma che lascia al sistema di potere globale sempre l'ultima parola. Oggi, pensionati e lavoratori dipendenti sono chiamati a pagare le ultime quattro o cinque guerre occidentali. Ma chi pagherà per quelle che si annunciano? Giurerei che nel giro di pochi mesi, con la depressione dei consumi e dell'economia provocata dalla manovra Monti, saranno necessarie nuove manovre, nuove strette sul potere d'acquisto, nuovi tagli ecc. (magari da affidare, nel 2013, non più al direttorio apparentemente apolitico d'oggi, ma a un altro governo di salvezza nazionale "liberamente" eletto). Nessuno ha ovviamente le ricette in tasca per opporsi a un sistema che di liberale o democratico non mantiene nemmeno la facciata. Ma inviterei chiunque parla di necessità di «baciare il rospo Monti» (o domani quello Bersani o Casini) a riflettere sul fatto che così si baciano i rospi bancari e militari che ci comandano. Ma, se non altro, questa crisi ci mostra con chiarezza cristallina dove vanno i soldi che ci stanno sfilando dalle tasche e il tempo della vita che ci stanno togliendo. Nelle tasche dei mercanti di morte e di quelli che li finanziano. il manifesto 2011.12.06 - 01 PRIMA PAGINA XXXXXXXXXXXXXXXX 2. SPESE DI GUERRA, PARLIAMONE EDITORIALE - Tommaso di Francesco Eccoli i tagli "tecnici" vellutati: abolizione delle pensioni di anzianità, aumento dell'età lavorativa, blocco del recupero dell'inflazione, passaggio di tutti al contributivo. Il tutto accompagnato dalle promesse di studiare un reddito minimo per i giovani disoccupati, di una patrimoniale ma «debole» e di «provare» a ridurre i privilegi della politica. Altro che tecnica. Si colpiscono come non mai il già risicato welfare e la condizione di vita dei lavoratori. Così, per un governo nato a surrogare l'incapacità dell'esecutivo reazionario di Berlusconi per salvarci dalla crisi economica, la tecnica surclassa a destra le precedenti incapacità politiche. E il ricatto del «o me o il baratro» (Marchionne docet) con la favola del «rigore con equità e per la crescita» rischiano di piegare ogni opposizione politica e sociale. Tutto questo per il dichiarato obiettivo "neutrale" di trovare subito 25 miliardi di euro per «sanare i conti» e salvare, con l'Italia, l'Europa. C'è un'alternativa? Sì, logica e pragmatica, per usare le parole del neoministro della difesa Giampaolo Di Paola, già ammiraglio e capo di stato maggiore della Nato, davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato, dove ha illustrato le linee guida del suo dicastero, incentrate sulla «dismissione del patrimonio immobiliare delle caserme». Di tagli e riduzioni alla spese militari manco a parlarne invece. Anzi, in modo bipartisan - pleonastico dirlo per un governo quasi monocratico - la commissione difesa del senato ha autorizzato Di Paola a spendere ben 502 milioni di euro in acquisto di sistemi d'arma, in particolare per proteggere i "nostri" soldati in Afghanistan. In un'area di conflitto armato dove nessuno, nemmeno lo stato maggiore Usa, sa bene perché continuiamo a stare in armi. Ma questo è niente, perché il ministro Di Paola si è ben guardato dall'affrontare il tema caldo ereditato dal governo Berlusconi, che ahimè l'aveva ereditato dal governo di centrosinistra. Vale a dire il nodo di bilancio dell'acquisto di 131 cacciabombardieri F35, per un valore totale di 15 miliardi di euro. Senza dimenticare che l'aviazione militare sta acquistando un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, al costo di oltre 10 miliardi di euro. 25 miliardi, vi ricordano qualcosa? Si stracciano le vesti sul rigore e sull'equità. Ma l'idea di tagliare le spese di guerra resta non praticata. Anche se a gestirla, in pieno conflitto d'interessi, è un ex capo di stato maggiore di un'alleanza militare che ha condizionato e condiziona i bilanci militari di tutti gli stati europei e di aziende private e pubbliche, come Finmeccanica, legate agli affari del mercato della guerra. Eppure è sotto gli occhi di tutti, insieme al baratro della crisi del capitalismo, finanziario e non, il disordine mondiale prodotto dalle scelte di guerra dell'Occidente negli ultimi venti anni. Certo, se si pensa che nei Balcani, in Medio Oriente, in Somalia, in Iraq, in Afghanistan, in Libia la strategia di morte dei nostri cacciabombardieri abbia contribuito a migliorare le sorti progressive del mondo, non 15 miliardi per altri attrezzi di morte ma centinaia e centinaia di miliardi debbono essere approntati e spesi, e nuove intraprese belliche devono essere tentate, magari subito in Iran. Suvvia, siamo pronti ai sacrifici. Ma se, al contrario, si intravvede appena lo scenario provocato dalle guerre da noi supportate, fatto di lutti, terrore in andata e ritorno, disperazione, stragi di civili, tabula rasa dei diritti costituzionali e internazionali, nuove divisioni del mondo in sfere d'influenza e terre di conquista tardocoloniale per l'accaparramento di beni e fonti decisivi per il precipizio del nostro modello di sviluppo... se solo si percepisce tutto questo puzzo e brusio, allora bisogna dire basta. Tagliate il cacciabombardiere F35, cancellatelo dal bilancio possibile del governo Monti, tagliate la costruzione di nuove dieci navi da guerra per sostenere invece la cantieristica civile, tagliate le spese militari, ritirate i soldati dai conflitti in corso per rafforzare invece il Servizio civile che è stato azzerato. O i granai o gli arsenali. Se non ora quando? il manifesto 2011.12.03 - 01 PRIMA PAGINA XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX 3. IL MINISTRO COMANDANTE NATO Tagliare gli F-35? Scordatevelo La manovra senza lacrime: meno F 35 e sante elusioni Eleonora Martini Ici anche per la Chiesa, 8 per mille e cacciabombardieri L'Italia è ancora in tempo per risparmiare i 15 miliardi di euro per la produzione dei cacciabombardieri. Gli immobili ecclesiastici? Monti: «Questione che nel pacchetto non ci siamo posti» Spese folli L'Italia è ancora in tempo per risparmiare i 15 miliardi di euro per la produzione dei cacciabombardieri. Gli immobili ecclesiastici? Monti: «Questione che nel pacchetto non ci siamo posti» Il ministro Di Paola: «Ridurre le spese della Difesa? Non credo proprio». Scordatevelo A far pagare l'Ici sugli immobili anche della Chiesa (o a ridurre l'aliquota dell'8 per mille sul gettito Irpef) - guadagnando circa 1.200 milioni l'anno - il premier Mario Monti non ci ha «ancora pensato». Invece, di fare cassa tagliando i fondi sulle spese militari - risparmiando per esempio i circa 15 miliardi di euro destinati all'acquisto dei 131 cacciabombardieri di ultima generazione F35 - non ci pensano proprio, anzi non ci penseranno mai. «Scordatevelo», avrebbe probabilmente risposto ieri ai giornalisti che lo interpellavano alla Camera il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, se solo avesse potuto abbandonare il tono professorale da supertecnici di governo. «Non credo proprio», si è limitato più elegantemente a rispondere a quanti gli chiedevano ieri se mai l'esecutivo avrebbe potuto ipotizzare un «sacrificio» del genere, come da più parti richiesto. «Ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione, che va rispettata, ma non è detto che abbia ragione. E non credo proprio che loro abbiano ragione». Per Di Paola, le forze armate hanno già dato «un grande contributo anche nelle manovre precedenti». Dunque nisba. Men che meno si sta discutendo, come pure accade nell'Europa di Merkel e Sarkozy o negli Stati uniti di Obama, di muoversi - sia pure collettivamente - verso la tassa anti-speculazione, la cosiddetta Tobin Tax sulle transizioni finanziarie. Né al momento sembra degna di considerazione la «ricetta verde» che secondo alcune associazioni ambientaliste, prima tra tutte Legambiente, produrrebbe «risorse per 21 miliardi» attraverso «la conversione ecologica di alcuni settori, il blocco delle ecomafie e gli incentivi alla sostenibilità ambientale». Eppure, non sono proposte ideali e inapplicabili, ma pragmatissime alternative alla manovra tutta da piangere di Monti. La «breccia fiscale» «Si tratta di una questione che nel pacchetto urgente adottato non ci siamo posti». Così il neo premier ha liquidato ieri la questione dell'esenzione Ici sugli immobili di proprietà della Chiesa (enti, diocesi, confraternite e istituti religiosi) destinati a un uso «non esclusivamente commerciale», come recita la postilla voluta da Bersani nel 2006 alla norma introdotta l'anno prima da Berlusconi. Eppure si tratta di una proprietà cospicua, pari a circa il 20% del patrimonio immobiliare italiano, secondo le stime della società finanziaria e immobiliare «Gruppo Re». Che produrrebbe, secondo i calcoli dell'Anci, circa 440 milioni di euro in più nelle casse dello Stato. «Considerando poi la rivalutazione della rendita catastale del 60% imposta nella manovra si arriverebbe a sfiorare i 700 milioni l'anno», spiega il segretario dei Radicali italiani Mario Staderini, animatore della campagna «Breccia fiscale». «Ha davvero una gran faccia tosta, la Cei, ad obiettare che la manovra avrebbe potuto essere più equa», aggiunge Staderini. Solo a Roma, racconta, «il mancato introito sugli oltre 23 mila immobili di proprietà ecclesiastica è pari a 26 milioni di euro. Senza contare le "caste" elusioni il cui contrasto ha fruttato al Campidoglio circa 14 milioni». Naturalmente, per eliminare quella postilla che agevola l'evasione fiscale non occorrono modifiche al Concordato: come è venuta se ne può andare. Tanto più, poi, perché - oltre alle tante proteste che stavolta si alzano anche da parte Pdl -è ancora aperta la procedura della Commissione europea che ipotizza per l'Italia l'aiuto improprio di Stato. «Se poi - conclude Staderini - si decidesse di far lavorare quella benedetta Commissione bilaterale, formata da esponenti della Cei e del governo italiano, nata per regolare l'aliquota sul gettito Irpef, ancora ferma all'8 per mille malgrado dal 1990 ad oggi il gettito sia passato da 200 milioni a un miliardo di euro, allora dimezzandola lo Stato potrebbe recuperare altri 500 milioni di euro l'anno». In tutto, si tratta di un piccolo contributo ecclesiastico pari a 1200 milioni, pari all'introito ottenuto con l'Ici sulla prima casa degli italiani. A caccia di fondi Lo chiedono in molti, da Sel all'Idv, dalla Federazione della sinistra alla Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza): la riduzione delle spese militari è il primo «sacrificio» possibile, in tempi come questi. «Voglio capire - ha denunciato ieri Nichi Vendola - se un "F35" vale più della salute di un malato di Sla e di un malato di Alzheimer, della possibilità di curarlo. E rispetto al fatto che noi abbiamo avuto i fondi per la non autosufficienza dal precedente governo completamente disintegrati vorrei sapere se qualcuno si occupa delle persone disabili in questo Paese». I dati: due miliardi di euro già pagati per fare fede all'accordo iniziale sulla ricerca e la progettazione dei nuovi cacciabombardieri F35 Lockheed che, al costo di 130 milioni di dollari l'uno, entreranno in produzione nel cantiere di Cameri (Novara) - costato 600 milioni di euro e che dovrebbe occupare circa 800 persone - alla fine del 2012, e verranno consegnati a metà del 2013. Secondo Legambiente «per ogni posto di lavoro creato nell'industria militare se ne possono creare 3 con gli stessi soldi». «I restanti 15 miliardi di euro necessari, però - spiega Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci! - l'Italia se li può ancora risparmiare, perché la penale da pagare, al contrario che per gli Eurofighter, al momento sarebbe ancora molto bassa. Anche la Norvegia lo ha fatto». E con un grosso risparmio - globale - pure di lacrime. il manifesto 2011.12.06 - 06 ECONOMIA -------------------------- FINE . --- from : jure ellero <glry at ngi.it> ---------------------------------------------- per comunicazioni: <glry at ngi.it> NOTIZIE LIBIA: http://news.stcom.net Redazione "L'Unità dei Comunisti F.V.G.": <redazione.cufvg at yahoo.it> Indirizzo Comunisti Uniti Friuli-V.G.: <comunistiunitifvg at yahoo.it> Sito nazionale Comunisti Uniti: http://www.comunistiuniti.it ----------------------------------------------
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