Armi, la Svizzera non rinuncia all’export



15 mila i posti di lavoro a rischio
Armi, la Svizzera non rinuncia all’export
Il Parlamento respinge la proposta di vietarne l’esportazione

Berna (dal nostro corrispondente) - Il Consiglio degli Stati, su proposta del governo, ha respinto la proposta di legge popolare, promossa dal Gruppo per una Svizzera senza esercito, che chiedeva di vietare l’esportazione di materiale bellico, giudicandola in conflitto con la neutralità della Confederazione. L’esportazione di armi è fondamentale per l’industria elvetica, soprattutto dopo che l’esercito, a seguito delle recenti riforme, ha ridotto le proprie necessità, ed alla luce della crisi economica in atto, che ha colpito duramente anche la Svizzera. In gioco vi sono 5 mila di posti di lavoro, soprattutto in regioni già sfavorite economicamente, che salgono a 15 mila se si considerano le imprese civili di componentistica.

Il Parlamento, invitato dal Consiglio federale a respingere il testo legislativo proposto, ha calcolato che i costi di riconversione e sociali ammonterebbero a 500 milioni di franchi svizzeri. Anche la direttrice del Dipartimento dell’economia Doris Leuthard, ha sottolineato l’impatto negativo che la proposta avrebbe avuto sul fronte occupazionale, in caso di approvazione. L’esercito, a sua volta, teme che lo smantellamento dell’industria bellica renderebbe la Svizzera completamente dipendente dall’estero, con ripercussioni sulla sicurezza del paese. Alla fine, ha prevalso la realpolitik del governo e degli ambienti legati ai militari ed all’industria. In tempi di crisi, nemmeno la Svizzera può permettersi i costi sociali ed economici derivanti dalla perdita di posti di lavoro.

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