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Dossier Iraq, la scia dei traffici in Umbria/Traffici IN ARMI TIRANA-KABUL, È BUFERA SULLA RICE
- Subject: Dossier Iraq, la scia dei traffici in Umbria/Traffici IN ARMI TIRANA-KABUL, È BUFERA SULLA RICE
- From: rossana <rossana at comodinoposta.org>
- Date: Tue, 01 Jul 2008 07:15:35 +0200
Due articoli: Dossier Iraq, la scia dei traffici in Umbria e Traffici IN ARMI TIRANA-KABUL, È BUFERA SULLA RICE
Dossier Iraq, la scia dei traffici in UmbriaE' entrato nel vivo, a Spoleto, il processo per violazione dell'embargo sulle vendite degli armamenti al Paese arabo, governato fino al 2003 da Saddam Hussein. L'imputato è un uomo che si presentava sui biglietti da visita come 'l'inventore' e avrebbe avviato trattative commerciali per una fornitura di vernici 'radar assorbenti' ad uso militare
Perugia, 30 giugno 2008 - Si arricchisce il 'Dossier Iraq' in Umbria. A Spoleto è entrato nel vivo (subendo poi un lungo rinvio a dicembre) il processo, per violazione dell’embargo sulle vendite di armamenti al Paese arabo governato fino al 2003 da Saddam Hussein, nei confronti di un uomo che si presentava sui biglietti da visita come 'inventore' e avrebbe avviato trattative commerciali per una fornitura di vernici speciali 'radar assorbenti' ad uso militare.
Si tratta di un processo destinato a trasformarsi in campo di battaglia per consulenze e perizie tecniche di opposto segno sul materiale sequestrato; inoltre la difesa dell’unico imputato (il committente italiano del presunto affare ha già patteggiato la pena davanti a un’altra autorità giudiziaria) punta sulla tesi dello scambio di persona. Ma indipendentemente da come questa vicenda si concluderà, rimane il fatto che l’Umbria è teatro di un paradosso.
Se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, come diceva un famoso maestro d’armi prussiano nell’800, il 'cuore verde d’Italia' funziona in superficie come un prestigioso laboratorio di pace, per l’incontro fra i popoli, e contemporaneamente ospita 'poli' industriali e centri di relazioni internazionali che sono finiti nel mirino di inchieste, anche clamorose, sul mercato sempre redditizio dei sistemi di offesa/difesa. Spesso con destinazione finale Iraq.
Cannoni e fucili a Terni, sede storica delle acciaierie, sono stati celebrati addirittura due processi (arrivati alla sentenza nel 1997 e nel 2005) sul 'giallo' internazionale del cosiddetto Supercannone: l’arma ‘definitiva’ per la guerra terrestre, lunga 50 metri e in grado di sparare proiettili con ogiva nucleare o chimica fino a 700 chilometri di distanza.
Sul banco degli imputati due dirigenti inglesi della società belga che curò la progettazione esecutiva del 'mostro' e due militari sotto mentite spoglie al servizio di Saddam che erano accusati di aver commissionato all’azienda ternana e ad altre società europee i 'pezzi' da assemblare in un secondo tempo: il tutto alla vigilia dell’invasione irachena del Kuwait e della conseguente Prima Guerra del Golfo, nel 1990. Il quartetto alla sbarra fu assolto in blocco nel dicembre del 1997 dal Tribunale di Terni, che invece si mostrò di diverso avviso nel secondo 'round' del marzo 2005 condannando a 6 anni di carcere i due inglesi.
Morto un ‘Rais’, se ne fa un altro. Così, tra il novembre 2006 e il febbraio 2007, ormai deposto e sepolto Saddam, emissari del nuovo ministero dell’Interno di Baghdad 'amico' dell’Occidente sarebbero entrati in contatto con personaggi italiani (metà trafficanti di droga e metà faccendieri) cercando di procacciare alla 'nuova Polizia irachena' qualcosa come 100mila fucili d’assalto Ak-47 e 10mila mitragliatrici da campo. Sullo sfondo uomini con le stellette delle Libia 'Gheddafi-dipendente' e della Cina post comunista. Risultato provvisorio: 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere della magistratura perugina, che aveva aperto un’inchiesta-stralcio dopo la scoperta di un traffico di droga a Terni.
Petrolio per cibo: nell’ottobre del 2006 la stampa internazionale ha dato grande risalto al Rapporto Volcker pubblicato a New York sullo scandalo 'Oil for Food', dal nome del Programma varato dall’Onu nel 1996 in deroga all’embargo mondiale contro Saddam e con la finalità ufficiale di non affamare il già stremato (e incolpevole) popolo iracheno.
Le acciaierie di Terni (Ast), ancora loro, erano citate insieme ad aziende italiane di calibro multinazionale fra le centrali erogatrici di 'tangenti' al regime di Baghdad (fino al 2003, l’anno della Seconda Guerra del Golfo) in cambio di commesse e opportunità d’investimento. Fra i 'collettori' di questo denaro, il Rapporto Volcker indicava anche il sacerdote franco-italiano Jean-Marie Benjamin, molto conosciuto in quegli anni ad Assisi come segretario della Fondazione Beato Angelico. Ma Padre Benjamin, dichiaratamente contrario alla politica delle sanzioni, non ebbe difficoltà a fare spallucce: "Io corrotto? Il crimine è stato l’embargo".
Bruno Ruggiero http://lanazione.ilsole24ore.com/perugia/2008/06/30/100835-dossier_iraq_scia_traffici_umbria.shtml il manifesto del 29 Giugno 2008 Traffici IN ARMI TIRANA-KABUL, È BUFERA SULLA RICEIl dipartimento di stato Usa nella bufera: nascosto al Congresso il trasferimento di tonnellate di munizioni dall'Albania all'Afghanistan, in violazione delle leggi statunitensi. Le pessime condizioni dell'arsenale non preoccupano gli americani: a morire a causa di armamenti difettosi saranno solo i soldati di Kabul
Sergio Finardi Peter DanssaertL'ambasciatore statunitense in Albania, John L. Withers II, e il Dipartimento di Stato guidato da Condoleezza Rice sono in questi giorni nella bufera. Henry Waxman, presidente di uno dei comitati del Congresso statunitense che supervisionano le politiche governative (House Oversight and Government Reform Committee) li accusa ufficialmente di aver nascosto al Congresso il coinvolgimento dello stesso ambasciatore nella violazione delle leggi statunitensi che regolano l'acquisto e il trasferimento di armi. Nel caso si tratta di tonnellate di munizioni di fabbricazione cinese contenute negli arsenali dell'Albania, comprate surrettiziamente da una ditta sotto contratto del Pentagono e destinate all'esercito e alla polizia afghana. L'acquisto e il trasferimento di quelle munizioni non solo viola la legge che proibisce ad entità statunitensi - incluso il Pentagono - di acquistare o commerciare armi cinesi, ma si inserisce in un caso ancora più grave, dato che la ditta in questione era (dal 2006) ed è sotto inchiesta per una serie di frodi ai danni del Pentagono. Sostanzialmente, i fatti si riferiscono ad una riunione del Novembre 2007 tra lo stesso ambasciatore e l'allora ministro della Difesa albanese Famir Mediu, in occasione di una paventata visita agli arsenali albanesi da parte di un giornalista del New York Times che stava indagando proprio sulle frodi della AEY Inc., ditta basata a Miami Beach (Florida) e posseduta da un certo Efraim Diveroli, ventiduenne di professione massaggiatore che era misteriosamente riuscito in un paio di anni ad ottenere contratti dal Pentagono (l'ultimo nel Gennaio del 2007 per circa 300 milioni di dollari) per forniture varie. La più parte di tali forniture - che avevano già attratto l'attenzione dei militari statunitensi per la loro scadente qualità e provocato le prime inchieste sulla AEY Inc. - si riferivano a munizioni di cui si garantiva l'origine esteuropea (ungherese in particolare ed adatta all'armamento delle forze armate afghane) mentre erano in realtà prese per la più parte dagli arsenali albanesi, che ancora contengono più di centomila tonnellate di munizionamento d'origine cinese ormai in pessime condizioni di conservazione (si ricorderà il tragico episodio del Marzo scorso, in cui morirono 26 persone per l'esplosione di uno degli arsenali dove tale munizionamento era contenuto). L'ambasciatore statunitense a Tirana e il ministro della Difesa albanese - temendo che il giornalista del Times scoprisse che le munizioni «ungheresi» erano in realtà provenienti dagli arsenali «cinesi» dell'Albania - avevano fatto scomparire le munizioni dal deposito che il giornalista avrebbe visitato, munizioni che erano comunque già state re-imballate, con i marchi cinesi rimossi in fretta e furia per nasconderne l'origine. Le inchieste del Times - cui chi scrive ha contribuito - e qualche «gola profonda» hanno fatto il resto, provocando l'attuale inchiesta di Waxman e le gravi accuse rivolte al Dipartimento di Stato. Quando il primo articolo del Times venne pubblicato (27 Marzo 2008), l'addetto alla sicurezza regionale dell'ambasciata statunitense a Tirana, Patrick Leonard, scriveva ai colleghi - in un'e-mail ottenuta da Waxman e pubblicata dal Times: «Grazie a dio non c'è menzione del ruolo dell'ambasciata!». Qualche tempo prima, lo stesso Leonard scriveva: «Il New York Times è arrivato oggi e potrebbe fare un articolo su questo e potrebbe essere "ugly" (molto sgradevole). L'ambasciatore è molto preoccupato per questo». Alcune comunicazioni della stessa AEY Inc. - ottenute da chi scrive - inviate a vari soggetti che dovevano assicurare il trasporto in Afghanistan provano poi in dettaglio proprio l'origine «bulgara» e «albanese» del munizionamento e confermano che gli invii vennero effettuati utilizzando aerei da trasporto Ilyushin 76 della Turkmenistan Airlines, per il percorso Tirana-Ashgabat, con ricevimento da far controfirmare dal Maggiore R. Walck a Kabul. Che gli arsenali albanesi fossero usati dal Pentagono per operazioni dello stesso tipo e più o meno segrete lo si sapeva da tempo e già dal 2005 chi scrive e Amnesty International avevano rivelato in un rapporto l'uso di tali arsenali per consistenti invii di munizioni e altro armamento a «clienti» iracheni e ugandesi. Naturalmente - come gli stessi militari statunitensi hanno scoperto quando le casse «cinesi» sono arrivate in Afghanistan - la condizione di quasi inservibilità di tale munizionamento non preoccupa molto il Pentagono: a morire saranno solo i soldati afghani o iracheni. Non è una novità per i contratti dell'esercito statunitense: durante la Guerra Civile tra il Nord e I «confederati» del Sud un trentenne di nome J. Pierpont Morgan, padre della dinastia dei finanzieri Morgan, aveva comprato dallo stesso esercito del Nord casse di fucili difettosi per 17,500 dollari e li aveva rivenduti una settimana dopo come «nuovi» allo stesso esercito per 110,000 dollari. I patrioti sono sempre gli stessi.
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