Quattro milioni di vittime adesso chiedono giustizia



AGENTE Orange
Quattro milioni di vittime adesso chiedono giustizia
Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica a base di diossina, prodotta anche da Monsanto e Dow Chemical, furono usati dagli Stati uniti per defoliare le foreste del «Sentiero di Ho Chi Minh» e colpire così i Vietcong con bombe al napalm sganciate dai B-52
Livio Senigalliesi
HO CHI MINH

Nguyen Van Lahn giace da 22 anni su una stuoia in una stanza buia come una caverna e dalla sua bocca sempre spalancata escono urla. Gli hanno legato le mani con uno straccio per evitare che si graffi e la madre Le Thi Mit lo accarezza cercando in ogni modo di calmarlo. Siamo nel folto della giungla, nel villaggio di Cam Nghia, Provincia di Quang Tri, appena a sud della Zona Demilitarizzata che durante la guerra divideva il Vietnam del Nord da quello del Sud. Ci si arriva percorrendo una strada di terra rossa che si arrampica tra le colline coperte da una vegetazione lussureggiante. Il sole e la natura circostante rendono la passeggiata gradevole ma giunti alla meta, la situazione diventa di colpo angosciante. Nguyen Van Lahn ha un fratello più piccolo, Van Truong di 16 anni, che striscia verso la soglia della baracca e guarda atterrito gli estranei che hanno invaso la sua solitudine domestica. Porta sempre una mano sugli occhi, come se non volesse vedere e continua a rivoltarsi su stesso senza trovare pace. La guerra del Vietnam si è conclusa nel 1975 ma i fratelli Nguyen, nati dopo la fine del conflitto, ne sono ancora vittime. La malattia mentale da cui sono afflitti e le deformità fisiche sono conseguenza dell'Agente Arancio, l'erbicida dall'alto contenuto di diossina che gli aerei Usa hanno fatto piovere tra il 1961 e il 1971 sul delta del Mekong e nella zona degli Altopiani Centrali ai confini col Laos.

DAGLI AEREI UNA NUVOLA GIALLASTRA
Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica furono usati per defoliare le foreste lungo il «Sentiero di Ho Chi Minh», rifugio dei Vietcong. Lo scopo dell'operazione «Ranch Hand» era distruggere la foresta, individuare il nemico e colpirlo con bombe al napalm e ad alto potenziale sganciate dai B-52. Le Thi Mit, madre dei fratelli Nguyen, ha 58 anni ed un volto distrutto dalle sofferenze di una vita fatta di dolore e povertà. Ricorda i tempi della guerra: «Gli aerei passavano più volte spargendo una nuvola giallastra dall'odore acre. Ci sentivamo soffocare. Gli occhi lacrimavano. Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della pericolosità della sostanza e per anni abbiamo continuato a bere l'acqua dei pozzi e a mangiare i prodotti della terra. Si trattava di sopravvivere». Alla fine della guerra i coniugi Nguyen ebbero un figlio, Van Phu. Morì all'età di quattro anni a causa delle malformazioni. Poi arrivarono i suoi fratelli, anche loro malati. Stessi sintomi. La loro mente è distrutta. Non parlano, non sentono. Non possono stare nè seduti nè in piedi. Non chiedono mai nulla, nemmeno da mangiare. Dice Le Thi Mit: «Viviamo di un piccolo sussidio mensile del governo. Mio marito Van Loc lavora nei campi e così riusciamo a mangiare. I ragazzi li imbocco, uno dopo l'altro. Così da più di vent'anni. Ma questa non è vita. Vi ringrazio di essere venuti. E' necessario che tutto il mondo sappia». Il dramma dei fratelli Nguyen non è un caso isolato. I numeri sono impressionanti. Secondo le stime diffuse dalla Croce Rossa Vietnamita sono 4 milioni le persone che dal termine del conflitto subiscono gli effetti dell'Agent Orange. Cinquecentomila sono i casi più gravi curati in centri specializzati come il Tu Du Hospital di Ho Chi Minh City,una struttura moderna costruita agli inizi anni '90. Attualmente accoglie 60 bambini vittime dell'Agente Arancio provenienti da varie provincie.

ABBANDONATI ALLA NASCITA
Il 90% dei bambini affetti vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie e passano tutta la vita nell'ospedale. Per i casi più gravi non c'è speranza di miglioramento e sono condannati ad una lunga degenza. Per gli altri si tenta un recupero che permetta loro di vivere una vita quasi normale e di svolgere un lavoro. Miss Truong Thi Ten, una delle infermiere specializzate di maggior esperienza, ci guida alla visita del reparto iniziando da una sorta di 'dark room' dove vengono conservati in flaconi di formalina i feti nati morti o deceduti subito dopo la nascita a causa delle gravi malformazioni. Abbiamo davanti agli occhi una strage silenziosa che continua dagli anni Settanta e che miete ogni anno migliaia di vittime innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra combattuta dai loro padri o dai nonni più di 30 anni fa. Girando tra le corsie s'incontrano bambini di ogni età. Vengono dalle aree del delta del Mekong, dalla Provincia di Kontum e dalle zone ai confini col Laos e la Cambogia. Recenti prelievi effettuati sulla popolazione delle zone affette, sulle vittime, gli animali e la falda acquifera confermano che la concentrazione della diossina continua ad essere altissima. A causa del disastro ecologico, la contaminazione continua anche ai nostri giorni attraverso il ciclo alimentare. La diossina, assunta attraverso il cibo o il latte materno, entra in circolo, raggiunge gli organi bersaglio e provoca tumori o mutazioni del Dna, una catena di infinite sofferenze dal devastante impatto sociale. Nguyen Duc e Viet giunsero al Tu Du Hospital appena nati, 24 anni fa. I due gemelli provenivano dal distretto di Sa Thay, provincia di Kontum, uno dei luoghi più contaminati dal micidiale erbicida. Uniti all'altezza della pelvi, un bacino, due gambe, un pene, all'età di 8 anni vennero operati e divisi. Duc ebbe un destino più favorevole. Grazie alle cure superò gli handicap fisici, riuscì a studiare e ad inserirsi nello staff dell'ospedale. Il fratello Viet tutt'ora vegeta letteralmente nel letto, curato dalle infermiere e dalla madre Lam Thi di 52 anni. Nell'aula adibita allo studio incontro una giovane che scrive col piede: Pham Thi Thuy Linh, ha 12 anni ed è nata senza braccia. Scrive e lavora al computer usando i piedi. Ha una scrittura molto ordinata, bellissima. Se si troveranno i soldi per le protesi il suo futuro sarà diverso. La catastrofe ambientale e sociale è ancora evidente in alcune aree rurali altamente inquinate dalla diossina come la Valle di A-Luoi, ad ovest di Huè, nei pressi della frontiera col Laos. Qui la vita degli abitanti - gruppi minoritari di etnia Pa Co - è molto difficile. Un grande cartello all'entrata del villaggio di Dong Son ricorda il pericolo di contaminazione: vietato coltivare e bere l'acqua dei pozzi. «E' proibito portare anche gli animali al pascolo. Viviamo del solo contributo dello Stato» dice Quynh Bay, un ex-combattente. «Questa è una zona maledetta, non c'è futuro. Dai tempi della guerra la terra è malata e ogni famiglia ha almeno un bambino disabile». Sua figlia, la piccola Ho Thi Nga, di 7 anni, non parla, non sente, si regge a mala pena sulle gambe. A Bien Hoa, centinaia di chilometri più a sud, stessa sofferenza. Da qui partivano gli aerei Usa impegnati nell'operazione «Ranch Hand». Tutta l'area è tuttora pesantemente contaminata. Così pure il vicino Lago di Dong Nai dove gli aerei scaricavano i residui di erbicidi rimasti nei serbatoi a fine missione. Ed i risultati si possono constatare visitando il locale «Centro per i bambini vittime della diossina». Su una popolazione di 500.000 abitanti ci sono 1.000 vittime di gravi malformazioni e lesioni cerebrali irreversibili. Il costo umano, sociale ed economico è altissimo. Per le famiglie, dove i figli sono visti come forza-lavoro, dover mantenere tre o quattro bimbi gravemente malati e non autosufficienti è insostenibile. A questo segue il dramma dell'abbandono delle stesse vittime e l'emarginazione sociale. Il Vietnam è un Paese in forte espansione economica. Guarda al futuro ma deve fare i conti con questa pesante eredità.

QUERELATE 36 IMPRESE USA
La questione di fondo resta quella delle responsabilità. Una svolta si è avuta con la creazione ad Hanoi, il 10 gennaio 2004, dell'Associazione vietnamita delle vittime dell'agente arancio/diossina. Non appena creata, l'associazione delle vittime ha presentato alla corte di giustizia del distretto di New York una querela contro le 36 imprese che hanno fabbricato l'agente arancio per l'esercito americano. Ci sono voluti 40 anni. Perché si è atteso così tanto? Tra le società, le più note sono Monsanto e Dow Chemical. Le motivazioni giuridiche sono molte: violazioni delle leggi internazionali, crimini di guerra, fabbricazione di prodotti pericolosi, danni sia involontari che intenzionali, arricchimento abusivo, ecc. I querelanti richiedono danni e interessi per le lesioni personali subite, i morti, le nascite di bambini malformati ed anche per la necessaria decontaminazione dell'ambiente. Per ora, il ricorso, esaminato solo dal punto di vista dell'ammissibilità, è stato rigettato dal tribunale. I querelanti hanno subito presentato ricorso in appello: il loro obiettivo è non solo ottenere riparazione per le sofferenze subite, ma anche vedere la comunità internazionale, e in particolare gli Stati Uniti, riparare ad una scandalosa dimenticanza della storia «ufficiale». Perché al di là delle vittime e delle industrie chimiche, la questione delle conseguenze dell'«agente arancio» concerne prima di tutto e soprattutto due stati, gli Stati uniti e il Vietnam, avendo il primo commesso un crimine di guerra, il secondo essendo stato colpito nella sua popolazione e nella sua terra. Si pone dunque il problema della validità del diritto umanitario e della pressante necessità di riparare i danni di guerra. Questione di grande attualità visti i conflitti distruttivi e sanguinosi in corso in Iraq e Afghanistan in cui gli Usa hanno fatto largo uso di armi non convenzionali. La signora Nguyen Thi Hong di 47 anni è tra le vittime dell'agente arancio che si appella alla Corte Usa decisa a chiedere ricorso. E' una veterana di guerra, ha combattuto nella giungla nella provincia di Quang Tri, è stata ferita ed ha perso una mano. Ricorda di aver respirato più volte l'aria avvelenata dalla nube arancione ma dice con orgoglio: «Abbiamo sofferto e vinto. Ma il peggio è venuto dopo. Ho avuto 4 figli tutti affetti dalla diossina. Il veleno sta ancora nel nostro sangue. Sono stata operata più volte di cancro e la mia pelle è piena di ulcere. Ogni cura è inutile. Quando finirà questo inferno?». Ancora oggi, pochissimi fra i turisti del Museo dei Crimini di guerra di Saigon sanno che quei due feti deformi sotto formalina, nella teca circondata dalle foto in bianco e nero di Larry Burrows, non fanno parte di un passato da archiviare con i suoi orrori, ma del presente.