Armi dalla Cina, rivolta africana



24 - 04 - 2008
Armi dalla Cina, rivolta africana
Respinto dai portuali: fa dietrofront il cargo destinato a Mugabe
la Repubblica

La nave costretta a tornare in patria con il suo carico Mentre ad Harare si ricontano i voti
GIAMPAOLO VISETTI

La vecchia Africa dei dittatori tace. Quella nuova, della povera gente, no. L´agonizzante regime di Robert Mugabe si infrange così contro la resistenza degli ex schiavi, che 28 anni fa il presidente dell´indipendenza aveva promesso di riscattare. Dopo 26 giorni i risultati delle presidenziali in Zimbabwe restano un mistero. Un colpo di Stato di fatto, blindato da violenze e intimidazioni contro l´opposizione che ha vinto le elezioni.

Nella nuova Africa però qualcosa si muove ed è pronta una protesta storica. I portuali hanno annunciato una mobilitazione generale per impedire l´attracco di una nave cinese in qualsiasi porto del continente. Si muove anche la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti, pronta ad un clamoroso sciopero generale. Il mercantile "An Yue Jiang", proprietà della Cosco di Pechino, da dieci giorni tenta di scaricare tonnellate di armi destinate a Mugabe. Secondo l´inventario della dogana di Durban, Sudafrica, nasconde nella stiva 3 milioni di pallottole per fucili d´assalto Ak-47, 1500 granate per lancia-razzi, 600 fusti di mortaio dotati di 3 mila proiettili. L´arsenale favorirebbe un golpe militare, o un secondo turno elettorale consumato tra le violenze di una guerra civile. Il sindacato degli scaricatori sudafricani, aderenti al potente Cosatu, si è opposto a lasciar passare le armi.

La nave cinese è stata costretta a fare rotta verso il Mozambico, ricevendo un secondo divieto. Richiamata da Pechino, si è quindi diretta verso il porto di Luanda, in Angola. Il presidente Dos Santos, al potere da quasi tre decenni come Mugabe, è un amico della Cina. Le deve miliardi di dollari e milioni di braccia, spina dorsale della ricostruzione pagata con il petrolio. Sembrava che qui, nonostante l´indignazione mondiale, le armi sarebbero state infine scaricate. L´intervento di Usa, Gran Bretagna, Nazioni Unite e Ue, sostenuto dal no dei lavoratori africani, ha rifatto prendere il largo all´imbarcazione. Ora sosta davanti alla Namibia. Avrebbe però già fatto rifornimento per rientrare in patria.

«Si tratta di un normale commercio di prodotti militari tra due Paesi - sostiene il governo cinese - di un contratto firmato oltre un anno fa. Ma qualcuno vuole politicizzare la questione». Dura la risposta del premier britannico. «Quanto accade in Zimbabwe - ha detto Gordon Brown - è totalmente inaccettabile. Spero che il mondo aderisca ad un embargo totale a tutte le armi dirette a Mugabe». Contro il cargo cinese, imbottito di munizioni, anche gli Usa. La Casa Bianca ha sollecitato la Cina «ad astenersi da ulteriori forniture di armi e possibilmente a richiamare la An Yue Jiang». Harare imbarazza così Pechino, già sul banco degli imputati per il sostegno bellico ai massacri nel Darfur e per la repressione violenta in Tibet. In palio non ci sono solo le Olimpiadi, a rischio boicottaggio. In Zimbabwe, tra Stati Uniti e Cina, si gioca una partita più ampia, per il controllo dell´energia del continente. Pechino, indifferente al rispetto dei diritti umani, domina ormai l´economia africana. L´Occidente, che continua a far dipendere gli aiuti dal progresso della democrazia, rischia di essere espulso dalle ex colonie. Dopo la crisi in Kenya, alla vigilia delle elezioni in Angola e Sudafrica, l´emergenza in Zimbabwe costringe la comunità internazionale a schierarsi nettamente. La protesta degli scaricatori di Durban è emblematica. In Sudafrica il sindacato sostiene Jacob Zuma, nuovo leader zulu dell´Anc, candidato alla successione di Thabo Mbeki e ricevuto ieri proprio da Brown. Il presidente, nel nome delle passate lotte anti-apartheid, difende invece Mugabe. Il leader dell´opposizione zimbabwana, Morgan Tsvangirai, ha chiesto alla Comunità per lo sviluppo dell´Africa australe (Sadc) di sostituire Mbeki quale mediatore della crisi. La fine di Mugabe sarebbe il preludio di un passaggio di poteri anticipato anche a Pretoria. Importanti capitali africane, per questo, stanno togliendo l´appoggio al partito-Stato dell´ex Rhodesia. Vinta la sfida per l´indipendenza, temono di perdere quella per la democrazia, condizione per stabilità e sviluppo. Anche i leader religiosi di tutte le Chiese lanciano l´allarme: «Mettiamo il mondo in guardia: se non viene fatto nulla, saremo testimoni di un genocidio simile a quelli avvenuti in Kenya, Ruanda e Burundi».

Intanto ad Harare riprende quota un governo di unità nazionale. Tutti sanno che le elezioni sono state vinte dall´Mdc di Tsvangirai. L´apparato del potere, nelle mani delle forze armate, sa che un dopo-Mugabe non mediato riserverebbe un processo penale internazionale. «Un ballottaggio libero ed equo - ha anticipato il quotidiano di Stato Herald - in tempi brevi è letteralmente impossibile». La commissione elettorale non ha però ancora pubblicato i risultati. Ufficialmente sta ricontando i voti delle legislative in 23 circoscrizioni. Nella prima è stata confermata la contestata di vittoria di Mugabe. Ne bastano sette per togliere all´opposizione la già proclamata maggioranza dell´Assemblea. Ma i numeri ormai non contano. Lo Zimbabwe ha già archiviato Mugabe e lotta affinchè non gli succeda un generale. L´Africa e le potenze mondiali, ad Harare, devono invece decidere i nuovi equilibri del millennio.