Il Senato "Democratico" avverte Bush di non attaccare l'Iran



Dopo un'escalation dei toni dell'amministrazione Bush, sempre piu' probabile l'intervento militare

Washington, 6 nov.- Nelle ultime settimane, nessuno dei maggiori rappresentanti dell’ amministrazione Bush si è esimato dal pronunciare dure accuse all’Iran. Cominciando dal presidente George W. Bush, che ha dichiarato che “un Iran con armi atomiche potrebbe condurre alla terza guerra mondiale”. Il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha accusato l’Iran di mentire circa le intenzione pacifiche e civili del proprio programma nucleare, mentre il vice-presidente Dick Cheney ha minacciato “serie conseguenze” se si scoprisse che sta cercando di ottenere armi nucleari. Un aumento della retorica “aggressiva” che ha fatto nascere speculazioni sul possibile attacco.

A fronte di ciò, il senatore Democratico della Virginia, Jim Webb, ha redatto e firmato – ottenendo la firma di altri 28 senatori democratici e un indipendente – una lettera al presidente Bush, esprimendo preoccupazione per le “dichiarazioni e le azioni provocatorie” dell’amministrazione. Il punto focale della lettera, tuttavia, è l’esortazione a non intraprendere iniziative militari contro l’Iran, ma a cercare una soluzione diplomatica, facendo presente che “non esiste autorizzazione del Congresso per un’azione militare unilaterale contro l’Iran”. La lettera inoltre avverte di non prendere l’emendamento Kyl-Lieberman, passato al Senato il 26 settembre – che classifica la Guardia Rivoluzionaria Iraniana come un’organizzazione terroristica e che chiede di contenere e combattere l’influenza iraniana in Iraq – come un presupposto per un attacco.

Secondo l’Atto sui Poteri di Guerra del 1973, il presidente è tenuto a consultare il Congresso e a ottenere la sua approvazione prima di lanciare un’azione militare. Tuttavia viene esplicitato il potere del comandante in capo di attaccare senza l’autorizzazione per un periodo non superiore ai sessanta giorni. Un tempo abbastanza prolungato, che potrebbe rendere possibile anche una campagna massiccia di bombardamenti. Esiste un precedente che aiuterebbe Bush, anche legalmente. Sotto la presidenza di Bill Clinton, il bombardamento del Kosovo – non autorizzato dal Congresso – durò 78 giorni, senza conseguenze per la violazione. Un antefatto che potrebbe diventare il prossimo refrain dei Repubblicani in caso di attacco deciso dall’amministrazione Bush.

Se Bush vuole attaccare, non sarà di certo la legge, di cui non ha alcun rispetto, a fermarlo, ma piuttosto il costo politico che è disposto a pagare. Tuttavia, un presidente che è ai minimi storici di popolarità e che dovrebbe essere sottoposto a impeachment, non dovrebbe avere problemi a sostenere un’ennesima scelta politica disastrosa. Per non parlare delle inesistenti considerazioni morali da parte sua e del suo entourage. Anche nell’eventualità che il Congresso superi un potenziale veto presidenziale, proibendogli di continuare senza autorizzazione, continuerebbe, contando anche sulla potenziale mancanza di numeri per un eventuale rifiuto di finanziamento. Tuttavia, attaccare contro parere del Congresso potrebbe far scaturire una profonda crisi politica, che vedrebbe defezioni repubblicane, dimissioni di ufficiali militari e funzionari civili e parte dei media schierata contro.

La Senatrice dello stato di New York e candidata presidenziale Hillary Clinton ha firmato la lettera e così ha fatto il rivale Chris Dodd. Mancano invece le firme di altri due candidati, Barack Obama e Joseph Biden.

Hillary Clinton è stata “accusata” dai suoi avversari nella corsa alla presidenza, di assumere posizioni ambivalenti, in quanto ha sostenuto la risoluzione Kyl-Lieberman, unica candidata presidenziale, mentre Obama ha introdotto una misura vincolante per annullarla, considerata, secondo le parole del suo portavoce Bill Burton, come un “assegno in bianco” per la guerra.

In un’intervista al New York Times, Obama ha affermato che, se eletto, s’impegnerebbe in una “diplomazia personale aggressiva” con l’Iran, offrendo incentivi economici (come l’entrata nella WTO se “cambiasse il suo atteggiamento”) e la promessa di non realizzare un “cambiamento di regime” se Teheran smettesse di intromettersi in Iraq e cooperasse sul versante nucleare e del terrorismo.

Significativo in questo contesto è il sondaggio telefonico di Zogby America su 1028 persone in tutta la nazione che rivela dati interessanti sull’opinione pubblica in merito alla questione iraniana.

La senatrice Clinton, tra tutti i candidati presidenziali, è risultata la persona più idonea a gestire il problema Iran, sia in caso di attacco che non, prima dell’ex-sindaco di New York Rudolph Giuliani.

Inoltre, in merito all’attacco, mentre non vi è sostegno verso un intervento di terra, il 52% degli statunitensi, in maggior parte Repubblicani, è favorevole a un attacco aereo mirato (quindi a impianti nucleari e infrastrutture necessarie al processo nucleare), per impedire all’Iran l’ottenimento di armi nucleari; il 29%, invece, è del tutto contrario, la maggior parte dei quali Democratici. Il 53% ritiene molto probabile un coinvolgimento militare prima delle prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, sulla tempistica ci sono opinioni discordanti: il 28% crede che si debba attendere l’entrata alla Casa Bianca del prossimo presidente, mentre il 23 % auspicherebbe un attacco entro la fine del mandato Bush.

Forse questo 52% non tiene conto delle conseguenze disastrose di un intervento, che sia solo aereo o anche di terra. L’Iran è una polveriera e non aspetta altro che un pretesto per esplodere e far esplodere un Medioriente già orientato negativamente verso gli Stati Uniti, con conseguenze inimmaginabili, se coinvolgesse per di più, come probabile, Israele, potenza regionale nucleare, che non aspetta altro, e che anzi incoraggia e preme gli Usa per l’attacco.

Se la popolazione fosse più informata e ci fosse un supporto reciproco tra Congresso e opinione pubblica, il risultato del sondaggio sarebbe diverso, anche se nulla cambierebbe a livello decisionale. Il Congresso potrebbe, ad esempio, istituire hearings, con interventi di esperti, sul rapporto dell’Intelligence statunitense sulle capacità nucleari dell’Iran del 2005, secondo cui Teheran non è in grado di dotarsi dell’atomica prima del 2015. Rapporto che può sfatare molte delle artefatte informazioni citate dall’amministrazione Bush. Congresso che dovrebbe indagare anche sulle presunte operazioni segrete e illegali che la Casa Bianca sta portando avanti in Iran – denunciate dal giornalista statunitense Seymour Hersh –, senza l’obbligatoria supervisione del Congresso, elusa attraverso il supporto del Pentagono e non della Cia e l’impiego di finanziamenti sauditi e non del Congresso.

http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=2180&titolo=Il%20Senato%20'Democratico'%20avverte%20Bush%20di%20non%20attaccare%20l'Iran