Borse e moschetto



Maurizio Chierici: Borse e moschetto

Un consiglio per chi gioca in borsa il destino della gente: investite sulle armi. Nella settimana delle disfatte, i titoli dell’industria pesante hanno navigato contro corrente; a gonfie vele su ogni piazza. Non solo riflesso degli utili 2006 che confortano chi ha avuto fiducia su carri armati e cannoni. Putin sceglie l’estate per rispondere alle guerre stellari di Bush ripristinando la guerra fredda: ronde di aerei pattugliano i cieli con bombe atomiche destinate a < sconfiggere il terrorismo >. Buone notizie di ferragosto. Il fantasma del riarmo non è ormai un fantasma. Produzione che vola e mercato che risponde con fervore. La militarizzazione delle relazioni internazionali rientra ufficialmente in scena col viaggio in Medio Oriente del segretario di stato Condoleeza Rice. Come Babbo Natale distribuisce regali a Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Israele. Appena parte, arrivano i burocrati dei protocolli per dar sostanza alla nuova diplomazia. Il 16 agosto, a Gerusalemme, Nicolas Burns, numero tre del Pentagono, firma l’aumento del 20 per cento degli aiuti militari Usa a Israele: 300 milioni di dollari in più < necessari al processo di pace e per fronteggiare il pericolo nucleare iraniano >. Anche la Giordania ha la sua fetta. Armi convenzionali, niente di atomico. Ma in quale modo le armi convenzionali riusciranno a contenere la minaccia sporca di Teheran ? Chissà cos’ha in mente questa Casa Bianca. Inquietanti i retroscena sussurrati. Gli Stati Uniti hanno confortato con strumenti di guerra le paure dei paesi attorno alla polveriera Iraq perché Russia e Cina erano già sul mercato pronte ad offrire i loro giocattoli. La Cina fabbrica queste cose tra una Barbie e l’altra. Esportazioni da capogiro. Con un’innocenza avvelenata ogni anno organizza la più grande fiera di armamenti del mondo. Aperta al pubblico, soprattutto agli < operatori >. E compra all’estero come nessuno. Nel 2006 ha speso 3 miliardi e 261 milioni per gli arsenali di armi sofisticate. E’ solo l’ammontare ufficiale annunciato da Pechino. Per gli esperti i soldi sarebbero tre volte di più. Venerdi 17, Emirati ed Arabia Saudita fanno sapere alla Siria di non sopportare la sua politica che destabilizza la regione. Non si sa quanto l’Arabia Saudita ha messo in bilancio per questo tipo di acquisti, ma gli Emirati scelgono la trasparenza: 2 miliardi e 439 milioni di dollari. Tenendo contro del numero degli abitanti, più o meno tre mitraglie, un missile e mezzo autoblindo nel giardino di ogni famiglia. Terza in classifica l’ India – un miliardo e 672 milioni di dollari - dove tecnologia e ricerca scientifica fanno concorrenza a Pechino, ma è anche il posto che raccoglie trecento milioni di persone sotto il filo della fame mentre i tifoni cancellano centinaia di villaggi e la mortalità infantile spegne un bambino al minuto. La sorpresa del top ten ( primi dieci del pianeta ) è però la Grecia di Socrate e di Platone. Con la Turchia alle porte e la febbre islamica che soffia lungo le frontiere, si è indebitata per un miliardo e 400 milioni. Porta bandiera dell’America Latina, il Cile: un miliardo e 128 milioni. Cile isolato in fondo al continente con attorno paesi che sembrano amici. Attenzione, non é il Cile nero di Pinochet, ma della signora Bachelet, pacifista e socialista come il presidento Lagos che le ha ceduto la poltrona; Cile, i cui militari fabbricano e commerciano armi con industrie ancora indipendenti dai bilanci dello stato. Nessun politico può mettere naso. La sua febbre del comprare è più forte ( solo nei numeri ufficiali ) degli acquisti iraniani ( 994 milioni di dollari ). Spende il doppio della Germania che ha il triplo di abitanti: 529 milioni di dollari, quattordicesimo posto fra le nazioni Stranamore. Il Venezuela di Chavez segue da vicino con qualche impaccio. Brasile e Spagna cancellano gli accordi: Washington non vuole. E Chavez vola nell’arcipelago di Putin. Mosca arma la guardia civile venezuelana che affiancherà esercito e aviazione in previsione di < un’invasione americana >. Ogni giorno si perforano nuovi pozzi nel delta dell’Orinoco: gas e petrolio abbodanti, non si sa mai. Chavez compra in Bielorussia, compra a Mosca e in Cina. Nell’elenco non sono pudicamente compresi i paesi che stanno combattendo. Iraq, Afghanistan, Pakistan fuori quota. Non si parla di Sudan e Dafur dove le armi di Pechino sbarcano senza controlli. Degli Usa si conoscono i costi sbalorditivi delle guerre e l’assistenza ufficiale ai paesi amici, non una riga del mercato che fa girare l’industria pesante. Best seller delle esportazioni le bombe di precisione: Arabia Saudita e paesi del Golfo ne fanno incetta. Ma anche India, Cina ed Egitto non scherzano. Bombe protagoniste ricorrenti negli < effetti collaterali > di ogni grande scontro a cominciare dal ’91, prima campagna del Golfo, quando per bruciare il bunker di Saddam, palazzi, scuole e ospedali sono stati sbriciolati, migliaia di morti per banali disguidi tecnici. Per fortuna la tecnologia fa progressi. Come nelle centrali dell’energia atomica, l’ultima generazione di bombe si annuncia sicura. Parola di mercante. I mercanti restano i protagonisti mitologici che hanno attraversato la fine del novecento con triangolazioni acrobatiche. Se un paese è sotto embargo l’embargo viene aggirato facendo passare gli arsenali da un paese nostro amico a un paese amico del lupo. Una volta ho incontrato la superstar di Washington: Sam Cummings in grado di armare tre divisioni in ventiquattro ore. Aerei e carri armati; prezzi più Iva nell’apposito campionario. Se i clienti chiedevano divise di colore diverso dai colori delle divise americane, le ore d’attesa diventavano 48. Uffici sparsi nel mondo e l’ufficio dove abbiamo parlato era ad Alexandra, distretto Virginia, due passi dal Pentagono, bosco nel quale si riposano gli agenti Cia di un certo peso. Poco lontano dagli uffici Cummings, la casa del sindacalista cileno Villarin, ricompensato con una pensione senza pensieri per aver organizzato lo sciopero dei trasporti che in sei mesi ha inginocchiato fino alla morte il presidente Allende. Cummings si è arrabbiato quando ho ricordato la definizione dei giornali inglesi: mercante della morte. < Chi fabbrica automobili è forse responsabile delle catastrofi dei week ends ? Vendo strumenti neutri. Chi compra può farne buono o cattivo uso >. Ufficio anche a Londra, altri uffici al Cairo e a Honk Kong, residenza a Montecarlo dove il principe Ranieri, per non perdere il cliente importante, firma una legge – detta legge Cummings – che ammorbidisce le tasse degli ospiti privilegiati del paradiso fiscale. Forse anche Capirossi ( sezione motociclette ) ne trae beneficio. Gira il millennio e il mercato non è più lo stesso. Se Cummings era targato Cia, gli eredi navigano nell’ambiguità di chi ha tanti passaporti e patrie provvisorie. La furbizia non cambia. L’influenza russa in Medio Oriente si affida a protagonisti che gli somigliano con la variante di un impegno che alimenta guerriglie stabilizzate, da una parte e dall’altra. Vincono e perdono, ma sono sempre lì. E gli uomini di mondo, aperti alla politica e al piacere di sponsorizzare gli eroi della domenica, sfumano le strategie. A Londra come in Israele. Mercanti con squadre di calcio, fiori all’occhiello e carri armati in cantina. L’ultimo erede orientale di Cummings si chiama Arcadi Gadamak. Magliette con la sua faccia si vendono a Gerusalemme Est accanto alle t-shirts dedicate a Golda Meir e Mosh Dayan. Gaydamak é arrivato in Israele da Parigi dieci anni fa e vorrebbe diventare un padre della patria. 55, anni, russo. Negli elenchi dei miliardari di Forbes non ha raggiunto Berlusconi ma la sua fortuna supera i 700 milioni di dollari. Ha comperato uno dei giganti immobiliari di Israele – Ocif- pagandolo il doppio della quotazione in borsa. La sua generosità ha commosso il paese durante la guerra del Libano, un anno fa. Ospita negli alberghi del mare i profughi che scappavano dalla pioggia dei missili in Galilea. Sua la squadra di calcio – Betar Jerusalem – campione di Israele, ma sua anche la squadra che scalda il cuore dei palestinesi di cittadinanza israeliana. Munifico con gli ortodossi intransigenti, ma generoso con gli organizzatori del gay-pride. Paga sempre e volentieri quasi volesse liberarsi del denaro. In questo non somiglia al Cummings contabile pignolo. Non potevano mancare le ambizioni politiche: il suo partito è come la squadra di calcio. Decide solo lui. Si chiama Giustizia Sociale e vuol pescare nella grande minoranza russa ( 14 per cento ), in concorrenza con un altro russo della destra estrema: Avigdor Linerman, ministro in carica, fondatore del partito < Israele casa nostra > al quale l’elettorato di origine russa ha finora riposto fiducia. Ma Gaydamak insiste. Sta progettando l’acquisto di radio, giornali e Tv < indispensabili a chi si mette in politica >. Primo obiettivo: diventare sindaco di Gerusalemme. Ad un paese da cinquant’anni in guerra il mercante d’armi potrebbe fare comodo, ma Gaydamak ha un curriculum oscuro. Vorrebbe appoggiare finanziariamente i grandi partiti i quali non disdegnano i soldi, ma non trovano il coraggio di apparire in qualche modo al fianco di un uomo così. Arrivato in Francia da Mosca in dieci anni si è fatto una fortuna, ma nel ’85 ha preferito a Gerusalemme inseguito dalla curiosità del procuratore Christopher Mitterand, figlio dell’ex presidente. Ha le prove che negli anni ’90 Gaydamak ha venduto all’Angola sconvolta dalla guerra civile, elicotteri da combattimento e carri fabbricati nell’Europa dell’est. 560 milioni di dollari arrivati in una banca parigina agitano questo sospetto. L’altro punto debole da collegarsi alla professione di intermediario nel commercio d’armi tra la galassia ex sovietica, Medio Oriente e Africa, è la mancanza di una biografia ufficiale. E’ appena uscito un libro non autorizzato che gli attribuisce contorsioni imbarazzanti. I suoi avvocati smentiscono ma senza presentare trenta righe di vita chiara. Per il momento. E per il momento gli affari di Gaydamak continuano a prosperare. Tre ville in Israele, palazzo a Mosca, casa a Londra e passaporti di Angola, Francia, Canada e Israele. Gli analisti lo considerano maschera di Putin nello scacchiere mediorientale, ma un mercante d’armi, alla fine, resta sempre l’uomo di se stesso. Usa la globalizzazione come un motoscafo. Naviga da una guerra all’altra con la velocità di chi non può perdere tempo animato dal desiderio di aiutare l’imposizione della democrazia nei paesi dove manca la libertà. Lo spirito è quello della confraternita che la politica finge di ignorare: mercanti senza frontiere alla ricerca di un mondo pacificato dalla paura. E la borsa a volte ringrazia.
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20 agosto 2007