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Interpellanza Urgente Sistema giudiziario in Afghanistan
- Subject: Interpellanza Urgente Sistema giudiziario in Afghanistan
- From: <forumdonne.prc at posta.rifondazione.it>
- Date: Thu, 19 Jul 2007 17:56:49 +0200
(Situazione del sistema giudiziario in Afghanistan - n. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getDocumento.aspx?idLegislatura=15&tipoDocumento=si&idDocumento=2-00654>2-00654) <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=302103&webType=Normale>PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getDocumento.aspx?idLegislatura=15&tipoDocumento=si&idDocumento=2-00654>2-00654, concernente la situazione del sistema giudiziario in Afghanistan. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=300478&webType=Normale>ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, illustrerò brevemente l'interpellanza urgente, che fa riferimento, in particolare, alla conferenza internazionale sulle questioni della giustizia svoltasi nei giorni scorsi a Roma, relativa all'Afghanistan. L'Italia non è stata soltanto il Paese ospitante, ma anche quello che, con maggiore determinazione e continuità, ha lavorato per la realizzazione di tale conferenza internazionale. La ragione fondamentale di tale interesse consiste nel fatto che il nostro Paese è stato leader nella realizzazione del programma giustizia in Afghanistan negli anni scorsi ed è tuttora impegnato in tale compito. A me pare, avendo seguito i lavori della conferenza, che siano state affermate moltissime cose, ma che non sia emerso in maniera convincente il profilo complessivo di quanto è stato realizzato attraverso questo impegno, piuttosto pesante anche dal punto di vista degli investimenti finanziari. In ragione di ciò, ma anche delle notizie che continuano a provenire dall'Afghanistan, a mio giudizio assolutamente non confortanti sotto il profilo dello stato di diritto e della difesa dei diritti umani in Afghanistan, chiedo al Governo - in dettaglio se fosse possibile - quali siano gli elementi positivi che il programma italiano di giustizia in Afghanistan ha effettivamente realizzato. Inoltre, chiedo anche notizie circa la situazione piuttosto pesante che riguarda almeno settanta donne madri detenute nel carcere di Pol-i-Chark, in base ad accuse che - secondo quanto sostengono molti avvocati islamici - sono assolutamente infondate anche dal punto di vista della legge coranica (che, come sappiamo, non è affatto «tenera» con le donne). Queste donne sono detenute in base a criteri del tutto tribali, più che informali, e non è assolutamente possibile sapere quando saranno scarcerate e quali siano le condizioni reali di detenzione. Poiché si tratta di un fatto di cui i giornali hanno parlato (la notizia è trapelata ed è stata diffusa) ed essendo appunto l'Italia impegnata nel compito di realizzazione del sistema giustizia, vorrei conoscere le informazioni di cui il Governo è in possesso. Infine, vorrei avere qualche notizia sulla ristrutturazione e l'ammodernamento del carcere di Pol-i-Chark a Kabul, soprattutto in relazione alle notizie che sono apparse sulla stampa, relative al fatto che verranno probabilmente trasferiti in quel luogo detenuti che sono stati fino ad ora a Guantanamo. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=302103&webType=Normale>PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=302320&webType=Normale>DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, fin dal 2002 l'Italia è stata in prima linea nel campo della ricostruzione del settore della giustizia in Afghanistan. Dal 2002 al 2006 abbiamo erogato aiuti per 45 milioni di euro, mentre per il solo 2007 è previsto un finanziamento complessivo di 19,5 milioni di euro. I nostri interventi hanno riguardato soprattutto la revisione della legislazione vigente, la redazione delle leggi fondamentali, attività di training e di coordinamento nonché di costruzione e riabilitazione di edifici pubblici. All'interno di quest'ultima tipologia di intervento si situa anche la ricostruzione di una parte del carcere di Pol-i-Chark, curata direttamente, anche grazie ai finanziamenti italiani, dall'Ufficio delle Nazioni Unite sulle droghe ed il crimine (UNODC). L'UNODC ha realizzato nell'istituto alcune opere in conformità alle cosiddette regole minime di vivibilità, quali la nuova infermeria, una nuova cucina, spazi per gli incontri tra detenuti e familiari ed interventi igienico-sanitari per il risanamento dell'impianto fognario. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17) <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=302320&webType=Normale>DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il carcere èPag. 47formato da numerosi blocchi detentivi, tra cui in particolare l'«old block», formato da malsani padiglioni detentivi con celle all'interno delle quali potevano essere stipati oltre duecento detenuti. I nuovi blocchi invece, presentano condizioni di vivibilità migliore e, in alcuni casi, sono addirittura adeguati ai minimi standard internazionali per quanto riguarda i locali di detenzione. A tutt'oggi mancano però una serie di spazi didattici, ricreativi e lavorativi per rendere il penitenziario realmente adeguato ad assolvere, oltre alla funzione di restrizione, anche quella di recupero. Questi disagi sono stati sentiti da tutta la popolazione carceraria, ma sono particolarmente sensibili nel caso della popolazione femminile. All'interno del carcere di Pol-i-Chark sono effettivamente incarcerate circa 70-80 donne, alcune anche con bambini, detenute sia per reati comuni che per comportamenti contro la morale. Nei confronti di queste donne il nostro Paese sta esprimendo un duplice impegno. Da un lato, si sta adoperando, assieme agli altri membri della comunità internazionale, ad aiutare il Governo afghano a migliorare la situazione delle carceri, rendendole più vivibili. Dall'altro lato, si sta impegnando attivamente per far sì che si eviti la detenzione di donne per le accuse che si riferiscano ad usanze locali di derivazione tribale - perché spesso di questo stiamo parlando, quando ci riferiamo a comportamenti contro la morale - anziché a precise fattispecie criminose. In questo senso, l'Italia sta sviluppando forme di collaborazione con ONG locali, che si aggiungono all'attività svolta per la formazione di giudici, la codificazione del diritto e la creazione di infrastrutture. Il sistema giudiziario afgano resta, tuttavia, un cantiere aperto, su cui molto ancora resta da fare. Proprio per tale motivo abbiamo promosso il 2 e 3 luglio scorso - come citato dall'onorevole Deiana - la conferenza ministeriale sul rule of law in Afghanistan, copresieduta dall'Italia, dal Governo afgano e dalle Nazioni Unite. La conferenza, cui hanno partecipato ventisei delegazioni di alto livello di Paesi e di organizzazioni rappresentanti del mondo accademico e della società civile, delegati di oltre venti organismi, agenzie e ONG, ha riconfermato il ruolo cruciale della riforma della giustizia e della realizzazione del rule of law ai fini della ricostruzione dell'Afghanistan. Senza giustizia e senza un ruolo della legge non sarebbe possibile ottenere sicurezza, stabilità, sviluppo economico e protezione dei diritti umani. In termini di risultati concreti, si è assistito all'adozione delle conclusioni della presidenza e delle raccomandazioni congiunte, documenti che hanno consolidato, con un consenso più ampio, i risultati dei negoziati condotti a Kabul con il Governo afgano, l'UNAMA e gli altri partecipanti. Superiore alle aspettative è stata anche la raccolta di finanziamenti, che ha raggiunto e superato la cifra di 360 milioni di dollari, grazie innanzitutto alla contabilizzazione dell'impegno quadriennale dell'Unione europea, ma anche per i singoli apporti, tra i quali il contributo italiano straordinario di 10 milioni di euro. Completa il quadro la fissazione di un programma di lavoro per i prossimi mesi, che porterà all'adozione, entro il prossimo ottobre, di un National Justice Program e, successivamente, di una precisa road map per la sua attuazione. Certo, la situazione in Afghanistan - a causa anche delle tormentate vicende storiche che quel Paese ha attraversato - rimane a livelli «ben lontani» da quegli standard necessari per ogni sistema basato su un reale Stato di diritto, sul pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali. Sarebbe, tuttavia, ingeneroso negare che, seppure a fatica, si stiano realizzando degli importanti progressi tanto dal punto di vista delle infrastrutture materiali (prigioni, tribunali) quanto dal punto di vista delle infrastrutture immateriali (codici, norme). Fra queste ultime, vale la pena di sottolineare che l'Afghanistan è parte diPag. 48una serie di strumenti internazionali in materia di salvaguardia dei diritti umani: la Convenzione contro la tortura, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione per i diritti del fanciullo. Il Paese ha, inoltre, firmato - sebbene non lo abbia ancora ratificato - il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale ed i Protocolli opzionali alla Convenzione sui diritti del fanciullo (il primo, riguardante il diritto dei bambini coinvolti nei conflitti armati, e il secondo, concernente la vendita dei bambini e la pedo-pornografia) ed ha ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Non ci nascondiamo, quindi, che persistono ancora considerevoli difficoltà, ma il Governo ritiene che, sebbene con inevitabili lentezze, si possa dire che, con lo sforzo congiunto della Comunità internazionale, a livello di Stati e organizzazioni internazionali, e con l'appoggio della società civile, oltre che con l'impegno dello stesso Governo afgano, ci si sia avviati sulla strada del ristabilimento delle condizioni minime di uno Stato di diritto. È importante che, in tale contesto, si stiano compiendo dei primi passi in avanti sotto il profilo del rispetto dei diritti della donna e, in particolare, per tornare ai quesiti sollevati dall'onorevole interpellante, delle condizioni di detenzione e della possibilità di accesso al sistema della giustizia ufficiale da parte della componente femminile della società. Nei contatti con le autorità afgane e nelle sue attività di assistenza e cooperazione, il Governo continuerà ad adoperarsi attivamente per assecondare questi sviluppi ed incoraggiare ulteriori progressi sul fronte del rispetto dei diritti della donna. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=29150&webType=Normale>PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare. <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=300478&webType=Normale>ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, do atto al sottosegretario di aver confermato le preoccupazioni relative alla situazione generale in Afghanistan su un tema che, ovviamente, è legato non soltanto ad una lunga tradizione tribale e di supremazia di forme di diritto informale in Afghanistan, ma anche alla situazione di occupazione da parte di truppe straniere, di guerra e di scontri presenti in varie parti del Paese, che rendono molto difficile compiere passi in avanti significativi su uno snodo così importante come la giustizia. Credo, tuttavia, che le ammissioni relative alle difficoltà contrastino con l'indeterminatezza delle notizie fornite. Quando ho chiesto di conoscere ciò che è stato realizzato concretamente, alludevo alla necessità di fare chiarezza sugli elementi di realizzazione relativi alla messa in atto dei dispositivi del sistema giudiziario. Mi riferisco alla formazione dei giudici, ai luoghi dei tribunali, ai meccanismi di rapporto tra l'istituzionalizzazione di forme moderne o semi-moderne di giustizia e la permanenza di forme locali informali, le quali devono trovare elementi di accordo, connessione e mediazione. In sostanza, avrei voluto che il quadro della situazione fosse più preciso e concreto, senza fare riferimento ad una serie di dichiarazioni e di impegni che, poi, sappiamo bene, rimangono sulla carta e che, comunque, potranno essere operativi e impegnativi chissà quando. Vorrei conoscere il risultato degli sforzi compiuti da parte del nostro Paese, in termini di concretizzazione di elementi del sistema della giustizia, di operatori e luoghi dove si svolgono operazioni ed attività giuridiche, nonchè i meccanismi di connessione tra la tradizione del paese e i tentativi di introdurvi elementi dello Stato di diritto e di difesa dei diritti umani e civili. Da tale punto di vista, anche nel corso di audizioni di esponenti del Governo e della Farnesina, l'informazione fornita al Parlamento continua ad essere molto carente, e ciò mi fa temere che i risultati siano molto inferiori rispetto a quanto il Governo tiene a rappresentare pubblicamente.Pag. 49 Vorrei fare un'ultima osservazione in merito al ruolo politico, istituzionale e diplomatico che ritengo l'Italia dovrebbe avere nei confronti di un paese come l'Afghanistan, rispetto al quale ha assunto tale impegno. Vi sono dei casi in cui ritengo dovrebbe esserci un atteggiamento e un orientamento politico molto più preciso. PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,10) <http://documenti.camera.it/apps/resoconto/getSchedaPersonale.aspx?idLegislatura=15&idPersona=300478&webType=Normale>ELETTRA DEIANA. Nella mia interpellanza, ho fatto riferimento al caso della deputata Malalai Joya, sospesa dal Parlamento afgano per avere rivolto una critica molto forte, ma assolutamente legittima, non soltanto dal punto di vista del Parlamento come tale, ma anche relativamente alla storia di tale donna e al suo rapporto con un Parlamento le cui regole non sono assolutamente conformi a quelle che dovrebbero osservarsi in un'istituzione di un paese ove viga lo stato di diritto. Inoltre, ho fatto riferimento al caso dell'operatore umanitario Hanefi, del quale non racconto la storia, in quanto è nota. Rispetto a tali casi talmente eclatanti, ritengo che il nostro Paese dovrebbe svolgere un ruolo di critica molto più determinato e maggiormente orientante rispetto a quanto è successo, invece, nei singoli casi. Infine, vorrei aver sentito che, da parte del nostro Paese, della Farnesina e delle autorità competenti, vi è un impegno urgente e cogente affinchè la situazione di tali donne - detenute per ragioni che, perlomeno in gran parte, non hanno nulla a che vedere con episodi qualificabili come reato (donne che sono colpevoli, invece, soltanto di reati contro la morale tribale, contro norme misogine, caratteristiche di una parte piuttosto vasta delle comunità tribali dell'Afghanistan) - venga risolta. Peraltro, si tratta di situazioni emblematiche di una dinamica e di processi che, nell'ambito del Paese, vedono una forte ripresa dell'iniziativa da parte dei settori più tradizionalisti, misogini e legati alle culture tradizionali, come è avvenuto per la richiesta di ristabilire regole relative a costumi sessuali più conformi alla tradizione. Mi auguro quindi che questo tipo di impegni nella prossima fase sarà realizzato con maggiore forza.
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