Le falsità del Partito Democratico
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- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Sun, 29 Apr 2007 16:41:09 +0200
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Le falsità del Partito Democratico
Il conto alla rovescia per la formazione del Partito Democratico è
cominciato. Dopo i congressi dei DS e della Margherita, sembra che
il processo abbia avuto un’accelerazione. Il fatto, a dir la verità, non
ci appassiona più di tanto, ma ci sembra interessante fare comunque
qualche considerazione.
Nell’ascoltare i vari leader che sostengono il progetto del PD,
osserviamo che, in linea di massima, le basi su cui poggia tale
progetto siano nel loro contenuto contaminate da un certo grado di
falsità e di ipocrisia. Spieghiamo perché.
La prima falsità: la politica estera
Partiamo dalla politica estera. Alla base del PD c’è, sostanzialmente,
la politica estera che sta svolgendo l’attuale governo Prodi. Questa
politica è basata su una serie di prese di posizione, che non solo non
condividiamo affatto, ma che si poggiano su affermazioni
assolutamente fuorvianti.
Il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq è stato deciso perché –
sostengono i leader del futuro PD – il centrosinistra ha sempre
considerato l’intervento armato in Iraq una “guerra sbagliata”.
Domanda: esiste quindi una “guerra giusta”?
Quando si dice che una cosa non è stata eseguita in modo corretto, si
sta presupponendo che esiste un modo giusto di fare la stessa cosa. Ed
è proprio questo lo scopo di affermare che quella in Iraq è stata una
guerra sbagliata: lo scopo è di affermare, poi, che invece la presenza
delle truppe italiane in Afghanistan, nei Balcani e recentemente in
Libano, è stata una scelta giusta.
La differenza è solo formale, dal nostro punto di vista. Invece di
occupare militarmente uno stato straniero solo in nome della Nato, lo
si fa anche su mandato ONU e in condivisione con l’Unione Europea.
Il risultato ci sembra lo stesso, però: vite innocenti stroncate,
incremento del terrorismo, aumento dell’instabilità della regione
mediorientale.
Ma non finisce qui. Non ci troviamo più di fronte ad una coalizione di
centrodestra che a stento ricordava l’esistenza di una Costituzione.
Qui ci troviamo di fronte ai leader del centrosinistra, che del rispetto
della Costituzione ne hanno fatto una bandiera quando erano
all’opposizione.
Ebbene, cosa si sono inventati? Affermano che la loro azione non è in
contraddizione con l’articolo 11 della Costituzione – quello che
afferma il ripudio dell’Italia per la guerra – ma anzi ne è la sua
“corretta applicazione”. Corretta applicazione che verrebbe dal fatto
che i padri costituenti quando “scrissero l’articolo 11 – all’indomani
dell’orrore della guerra, dell’olocausto, dell’uso della bomba nucleare
– pensavano ad un mondo libero e liberato da ogni forma di violenza,
sopraffazione, sofferenza, terrore”. Parole di Piero Fassino.
Domanda: ammettendo pure che questi siano stati i pensieri dei padri
costituenti – cosa indimostrabile, ovviamente, quindi un’ipotesi che
rimarrà tale – che c’entrano tali pensieri con le attuali missioni
militari italiane all’estero? Perché queste dovrebbero rappresentare la
“corretta applicazione” dell’articolo 11?
Ci sembra di ravvisare, invece, una certa difficoltà a giustificare la
persistenza di queste missioni militari, se, a quanto pare, si arriva a
distorcere il significato di un articolo così chiaro e netto nella sua
affermazione. Di ciò che pensavano i padri costituenti mentre
scrivevano la Costituzione possiamo anche – con tutto il rispetto –
non tenerne conto. Di ciò che invece è scritto dobbiamo tenerne
conto, eccome. E la nostra conclusione è, al di là di inutili
chiacchiere, che le missioni militari italiane in Afghanistan, nei
Balcani e in Libano sono in totale contraddizione con ciò che
asserisce l’articolo 11 della Costituzione italiana.
Se poi, oltre alle parole scritte, consideriamo anche i fatti, la falsità
delle basi politiche su cui poggia il PD si fa più che evidente.
Dobbiamo registrare, infatti, che nel 2006 le esportazioni di armi
dall’Italia sono aumentate del 61% rispetto al 2005. Gran parte delle
maggiori aziende costruttrici di armi fanno parte di Finmeccanica, di
cui lo stato italiano è l’azionista principale. Saranno quindi le casse
dello stato a riempirsi maggiormente di euro dalla vendita di armi.
Come si concilia questa esportazione di strumenti di morte con la
tanto decantata responsabilità, per contribuire ad un mondo più libero
e sicuro, che starebbe dietro le decisioni governative in materia di
politica estera? Come si concilia con la tanto sbandierata iniziativa
del governo italiano “per una nuova stagione di disarmo, in primo
luogo nucleare”?
La seconda falsità: la politica economica e sociale
Le affermazioni che dimostrerebbero la validità del governo attuale
in materia economica e sociale dimostrano quanto le basi politico-
economiche del PD siano abbondantemente intrise di neoliberismo, di
quel sistema economico, cioè, che ha già dimostrato ampiamente la
sua assoluta inadeguatezza a risolvere i problemi più urgenti della
popolazione italiana e mondiale.
Per dimostrare la suddetta validità si enunciano la crescita della
competitività, l’aumento del grado di internazionalizzazione delle
imprese, il consolidamento della ripresa Fiat, la nascita di nuovi più
grandi poli bancari, le acquisizioni internazionali di Enel e Eni.
Imprese e banche: queste sono ormai le priorità. Come nel più
classico dei racconti per aspiranti manager, il bene della Banca e
dell’Impresa si tradurrebbe nel benessere di tutti.
Il Prodotto Interno Lordo sembra inoltre essere diventato l’unico
parametro sulla base del quale si afferma se un paese stia andando o
meno nella giusta direzione.
Domanda: quale sarebbe la differenza tra questo centrosinistra,
rispetto alle priorità economiche, e il precedente governo di
centrodestra?
E il sociale? Ecco che compaiono, a dimostrazione di un rinnovato
interesse per i problemi dei cittadini, “la rimodulazione di assegni
familiari e detrazioni fiscali a favore dei redditi meno abbienti e delle
famiglie con figli, il piano pluriennale per gli asili nido, il Fondo
nazionale per le persone non autosufficienti, il Fondo per
l’integrazione dei cittadini non-comunitari, il rifinanziamento delle
leggi per il welfare locale”.
Tutte iniziative lodevoli, se funzionassero. Ma i cittadini se ne
accorgeranno? Sarà difficile, se poi dovranno pagare il ticket al
pronto soccorso, dovranno svuotare il portafogli quando si
fermeranno dal benzinaio o dovranno acquistare i libri di scuola per i
figli, dovranno accettare il ricatto del precariato o del lavoro nero – se
non addirittura rischiare la propria vita - per poter andare avanti,
dovranno vedere la propria liquidazione scippata dai fondi pensione o
allontanarsi sempre più il giorno in cui potranno godere di una
pensione.
Una visione realmente democratica presupporrebbe almeno l’ipotesi
che il PIL non sia, da solo, in grado di dare una misura reale della
condizione di un paese. Da un punto di vista realmente democratico
tale misura dovrebbe tener conto della disponibilità di risorse per
tutti, del livello di precarietà, dell’uguaglianza di accesso per tutti alla
sanità e all’istruzione. Si dovrebbe tener conto inoltre della qualità
della vita: a che punto stiamo con la sofferenza derivante dalla
solitudine, dall’isolamento sociale, dall’incapacità di comunicazione
con gli altri, dalla mancanza di fiducia in se stessi e nel futuro?
Dove sono queste questioni nelle declamazioni entusiaste per la
nascita del PD? Abbiamo l’impressione che si voglia continuare a far
credere – in una visione della vita totalmente economicista e
determinista - nell’illusione che la crescita del PIL coincida con la
crescita del “ben-essere”.
La terza falsità: le riforme istituzionali
Riguardo a temi importanti come la democrazia e la rappresentatività,
riscontriamo nel progetto del PD aspirazioni che non trovano il nostro
consenso.
Si ribadisce la validità di un sistema, come il bipolarismo che, nei
paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, sta dimostrando tutta la
sua incapacità nel rappresentare democraticamente tutte le istanze
politiche che si sono sviluppate nella società. A ciò bisogna
aggiungere che il bipolarismo ha sempre scoraggiato la partecipazione
alla vita politica.
Domanda: se è proprio il divario tra i cittadini e la politica una delle
principali preoccupazioni, almeno a parole, dei vertici del futuro PD,
come si concilia questo con la passione per un sistema, come quello
maggioritario tendente al bipolarismo, che invece ha fatto registrare,
fin dal momento della sua introduzione in Italia, un calo irreversibile
della partecipazione al voto?
In una democrazia veramente matura, quale ancora dobbiamo vedere
in qualsiasi punto della terra volgiamo lo sguardo, non si può
costringere la società ad adottare un determinato sistema, qualunque
esso sia. Se bipolare dovrà essere, lo sarà solo per volontà popolare e
non a suon di riforme elettorali ancora una volta decise dall’alto. Oggi
il popolo è solo chiamato saltuariamente ad esprimersi su referendum
abrogativi di sistemi elettorali decisi dall’alto. Anche questo
“formalismo democratico” è responsabile, insieme alla costrizione al
bipolarismo, del calo progressivo di partecipazione popolare alla vita
politica.
Invece si insiste nel mettere mano alle riforme elettorali che, sempre
in nome della stabilità e della governabilità, riducono ogni volta di
più la rappresentatività. Non c’è più alcun dubbio, al contrario, che la
democrazia, per essere reale, dovrebbe basarsi proprio sulla
rappresentatività.
Democrazia dell’alternanza, collegi uninominali, premi di
maggioranza, soglie di accesso, riduzione del numero dei
parlamentari, rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio:
queste sono le aspirazioni dichiarate del PD in materia di sistema
elettorale e istituzionale. Queste sono, a nostro avviso, proprio quelle
misure che, non solo non garantiscono stabilità e governabilità reali,
ma riducono drammaticamente la rappresentatività, unica base valida
per una democrazia reale.
Spesso sentiamo dire che in politica non ci sono “nemici”, ma
“avversari”. Giusto. Ma ci sembra che qui, invece, il nemico ci sia e
non siede al Parlamento. Il nemico, per questi signori, non siede
dall’altra parte del Parlamento, ma è rappresentato dal cittadino che
partecipa attivamente alla vita politica del suo paese.
La quarta falsità: il partito “nuovo”
La base ideologica si cui poggia il PD sarebbe, sempre secondo i
leader che lo sostengono, un pensiero “nuovo” per un secolo “nuovo”.
Si afferma giustamente che nel bagaglio delle esperienze del secolo
scorso “non troviamo oggi le lenti, gli attrezzi, gli strumenti per
leggere e agire in un tempo nuovo in cui tutti i caratteri della società –
modo di produrre, di consumare, di lavorare, di comunicare, di
relazionarsi agli altri, di concepire e organizzare la vita individuale e
sociale – sono cambiati profondamente”.
Il PD sarebbe una “necessità storica”. Il PD non sarebbe una necessità
dei partiti politici che in esso confluiscono, ma una “necessità del
paese”, il PD “serve all’Italia”.
E come spesso succede quando si parla di necessità storica e di
pensiero nuovo, ci si appella ad un “nuovo umanesimo, capace di
suscitare comuni, innovative risposte alle grandi questioni che
interrogano l’intelligenza e la coscienza dell’umanità
contemporanea”. Sempre parole di Piero Fassino.
Ci permettiamo a questo punto di affermare però, proprio in quanto
umanisti, che il nuovo umanesimo presuppone uno sguardo critico su
ciò che viene definito “tempo nuovo”, sguardo che non rintracciamo
nel progetto del PD.
È vero che molte delle cose in cui fino a poco tempo fa si credeva
ciecamente non possono più essere sostenute, ma non si può guardare
tutto questo come se fosse il frutto di leggi “naturali” a cui bisogna
adattarsi semplicemente per stare al passo con i tempi. Si da per
scontato, ad esempio, che le leggi di mercato regoleranno il progresso
sociale, dimostrando una forma di adattamento “decrescente” che
poco si addice ad una forza che si propone come progressista.
Se ancora oggi dobbiamo registrare una notevole disparità di
opportunità, una sostanziale indisponibilità dei servizi sociali per
ridurre la solitudine e l’incomunicabilità, la persistenza di varie forme
di barriere sociali e di discriminazioni, la mancanza di rispetto delle
diversità, l’assenza di criteri di equità nella distribuzione della
ricchezza, una progressiva riduzione delle risorse a favore
dell’istruzione e della salute dei cittadini, dobbiamo anche affermare
che tutto questo non è il frutto di “una lotta tra forze meccaniche” e
neanche di “un riflesso di condizioni naturali”, ma la risultante della
“lotta tra intenzioni umane”.
Se non si riconosce tutto questo, non si può parlare di una forza
“nuova e progressista”. Siccome la storia ci ha più volte insegnato che
attribuire la responsabilità delle ingiustizie a forze meccaniche o a
leggi naturali è funzionale a mantenere lo status quo, una forza
politica che accetta un tale punto di vista si ritroverebbe ancora una
volta dalla parte degli oppressori, anziché dalla parte degli oppressi.
Ebbene, non si rintraccia nelle basi ideologiche del PD l’aspirazione
ad un mondo nuovo, ma solo la constatazione dell’inadeguatezza
degli strumenti usati nel secolo scorso per affrontare il cosiddetto
“tempo nuovo”. Si riscontrano solo, nel migliore dei casi, delle buone
intenzioni per ridurre i disagi determinati dall’aggressione di una
globalizzazione intesa come se fosse una catastrofe naturale e non
come il prodotto di intenzionalità umane. Con questi presupposti
ideologici, può il PD essere definito un “partito nuovo”?
I 12 punti di un governo di sinistra progressista
Oggi, quindi, è palese la necessità di un nuovo soggetto sociale e
politico, slegato dalle logiche di potere, una nuova forza alternativa ai
due schieramenti di centro-destra e centro-sinistra, diversi nelle
forme, ma troppo simili nei risultati e negli obiettivi.
Serve una grande alleanza del variegato universo di persone e
organizzazioni di base, sociali, politiche e culturali che ancora si
propongono una trasformazione radicale non violenta della società.
Un progetto sociale e politico nel quale questo universo di diversità
possa convivere, convergere e rafforzarsi fino ad arrivare a governare
il paese.
Prodi annunciò, in occasione dell’ultima crisi di governo, i suoi "12
Comandamenti". Oggi noi dichiariamo che anche questo progetto può
e deve indicare le sue priorità irrinunciabili. Sono 12 punti sintetici e
aperti ai contributi e all'arricchimento di quanti lavorano da anni nei
campi che riteniamo prioritari. Eccoli:
1 - Una politica di pace e disarmo
- Smantellamento degli arsenali nucleari
- Ritiro delle truppe da tutti i teatri di guerra
- No a nuovi basi USA-NATO e smantellamento progressivo di
quelle esistenti
- Ridiscussione della nostra appartenenza alla NATO anche in
riferimento alla mutata situazione geopolitica.
- Sviluppo del dialogo e della diplomazia per la soluzione dei conflitti
internazionali
- Rispetto degli impegni presi per i fondi allo sviluppo e alla
cooperazione internazionale
2 - Immigrazione: accoglienza e riconoscimento del diritto di
cittadinanza
- Cancellazione della Bossi -Fini
- Chiusura dei CPT
- Varo di una legge che riconosca pari diritti e opportunità (compreso
il voto) ai cittadini stranieri
3 - Coppie di fatto
- Varo di una legge che riconosca lo status di famiglia alle coppie di
conviventi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale,
estendendo loro i diritti/doveri delle coppie sposate
4 - Istruzione pubblica e di buon livello per tutti
- Rilancio della scuola pubblica con fondi e strutture adeguate
5 - Sanità pubblica e di buon livello per tutti
- Rilancio della sanità pubblica con fondi e strutture adeguate
6 - Ambiente, energia e infrastrutture
- Difesa dell'acqua come bene comune che deve restare pubblico
- Sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, con esplicita esclusione
dei rifiuti
- Forte impulso al trasporto pubblico
- No alle grandi opere ( No Tav, No Ponte, No rigassificatori, No
inceneritori)
- Campagne per il risparmio energetico
7 - Lavoro
- Abolizione della legge 30
- Messa in atto di ammortizzatori sociali a sostegno di chi si trova in
condizioni di precarietà lavorativa
- Reddito di cittadinanza per chi è privo dei mezzi necessari per
vivere
8 - Conflitto d'interessi
- Varo in tempi certi e prima delle prossime elezioni di una legge sul
conflitto d'interessi
9 - Partecipazione dei cittadini e rapporto elettori-eletti
- Referendum anche propositivi sui temi prioritari, compresi la
politica internazionale e i temi economici-finanziari.
- Legge di responsabilità politica, con verifica periodica del
mantenimento delle promesse elettorali e possibilità di perdita della
carica se queste non vengono mantenute.
10 - Difesa delle fasce deboli
- Reddito di cittadinanza per chi è privo dei mezzi necessari per
vivere
- Riforma del sistema previdenziale per garantire a tutti i pensionati
una buona qualità di vita
11 - Priorità di bilancio
- Riduzione delle spese militari
- Lotta all'evasione fiscale
- Introduzione della Tobin Tax per tassare la speculazione e dare
priorità alle spese sociali
12 - Riconversione dell'industria bellica
- Incentivi alla riconversione e sostegno all'occupazione.
Roma, 29 aprile 2007
Carlo Olivieri
Segreteria Programma e Documentazione
del Partito Umanista
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