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Re: donne in nero?
- Subject: Re: donne in nero?
- From: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
- Date: Mon, 22 Jan 2007 11:05:40 +0000
- Bounce-to: "Doriana Goracci" <doriana at inventati.org>
In data 22/1/2007, "rossana" <rossana at comodinoposta.org> ha scritto: >Le donne in nero a Belgrado hanno salutato come risolutori i >bombardamento NATO a Belgrado. >Perchè di Milosevic si può dire tutto, senza però dimenticare le >complicità degli americani ed europei in ogni genere di crimini di >guerra e di aiuti ai criminali alleati. >Il pacifismo pagato dallo Stato è senza pudore. >Neanche Amnesty riesce ad arrivare a tanto. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^ Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà. Lascia promulgare leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare… (Antonio Gramsci) ad ognun* il suo ammutinamento...e la sua rivolta. Lascio parlare altre donne e in nero: Della guerra Vita e morte, natura e cultura di Elisabetta Donini * .... l’ultima delle molte guerre in corso ci ha coinvolte in modo più diretto, perché l’Italia è stata paese in guerra con l’intervento NATO contro la ex-Jugoslavia. ....... non mi illudo che "vita, natura, donne" sia altrettanto immediatamente indicativo che le donne siano spontaneamente pacifiche, mentre gli uomini sarebbero spontaneamente aggressivi. Non è riscontrabile come universalmente vero, non mi illudo che sia in questi termini così semplicistici: non tutte le donne sono pacifiche né pacifiste e per fortuna non tutti gli uomini sono aggressivi né guerrieri, ma questi nessi ci sono e vanno messi in discussione, con cautela, perché è all’interno di tali cautele che credo ci sia lo spazio del cambiamento. ... ‘jugonostalgia’. Ormai la categoria delle/dei ‘jugonostalgici’ è uno dei termini con cui si definiscono tante donne e tanti uomini che le dinamiche correnti vorrebbero costringere a dichiararsi come serba o serbo, croata o croato, slovena, bosniaca e che invece dicono: "non sono nulla di tutto ciò, piuttosto mi rassegno a dirmi jugonostalgico/a". Nostalgico/a di un mondo in cui la convivenza di diverse storie culturali, prima ancora che etniche, era certo non idilliaca, ma in qualche modo reggeva.... ... L’altra componente portante nella costruzione delle comunità immaginate, attorno a cui si organizzano i nazionalismi, è quella del ‘comune destino’. Anziché risalire all’antico passato, ci si proietta in una missione per il futuro. Vi leggo a questo proposito un passo di una americanista francese, Elise Marienstras, tratto dal saggio Nous, le peuple: les origines du mationalisme americain, dove si parla degli Stati Uniti d’America. Nel caso degli Stati Uniti è chiaro che il legame di sangue proprio non potrebbe essere invocato, anche se c’è una componente, quella WASP, che esercita un ruolo dominante. Essendo gli Stati Uniti il più mescolato dei melting pot, proclamatosi aperto agli apporti di tutto il mondo, la nazione americana ha dovuto cercarsi un altro tipo di legittimazione e se l’è data nel ‘comune destino’. Le affermazioni di questa autrice sono molto suggestive: ". . . una comunità, contemporaneamente profana e sacra. Ogni tentativo di spezzare l’unità nazionale sarebbe dunque blasfemo. L’Unione non è solamente un grande fatto politico, è un comandamento divino e una necessità della storia". Quanto afflato mistico nei discorsi di tanti presidenti americani nel corso della storia, dai primi Jefferson o Lincoln ai più recenti Kennedy o Clinton: la mistica della missione della nazione americana nel mondo, la mistica che ha preteso di avallare il cosiddetto intervento umanitario in nome di ragioni superiori di civiltà! Mentre il legame di sangue cerca di garantirsi con un ‘da sempre’, la missione si garantisce con un ‘per sempre’, cioè "ci riconosciamo in questo, che è la nostra vocazione, la nostra missione, il nostro destino". Ci riconosciamo talmente che diventa una necessità della storia. Mi interessa segnalarvi questi due diversi modi e come entrambi convergano nel carattere di necessità: non potrebbe che essere così, o perché veniamo da antiche origini che ci hanno fatti essere così o perché ci realizziamo in una missione per cui dobbiamo essere così. Una forza che diventa quasi ineludibile, come necessità della natura e/o della storia. Rispetto a questo, i miti delle origini esercitano una funzione irrinunciabile, diventando poi proiezione verso il futuro; così la guerra spesso esercita la funzione di inverare tanto la natura quanto il destino attorno a cui una nazione si riconosce.... Barbara Ehrenreich scrive: "Perciò è una conquista enorme passare dall’odiare il guerriero all’odiare la guerra, e una conquista ancora più grande arrivare a capire che il "nemico" è la guerra come istituzione astratta e che la sua presa su di noi non viene mai meno, neppure in quegli intervalli che chiamiamo pace." Questa è la dimensione positiva che mi pare più importante da riprendere. I singoli episodi sono gravissimi, spesso tragici, comportano lutti, morti e distruzioni, ma ogni singolo episodio ci può illudere che sia stato il portato nefasto di una dinamica di cause ed effetti che avrebbe potuto sdipanarsi diversamente. Se invece ci convinciamo che tutto il vivere e l’agire umano sono ancora - e dico ancora con intenzione - pervasi da una adesione alla guerra come una dimensione quasi assoluta, allora forse anche i momenti di pace sono quelli che un’amica di Torino ha chiamato "intervalli tra una guerra e l’altra", quindi in realtà non inveramento di pace. Allora forse possiamo cercare di attrezzarci per smontare non ogni singolo percorso di guerra, ma la praticabilità della guerra in assoluto. ....Qui davvero concludo citando esperienze di gruppi politici di donne che hanno fatto del misurarsi con "l’altro da sé dentro di sé" il tessuto portante della loro soggettività, intenzionalità, capacità di progettare un futuro diverso da quello della guerra. Accenno molto velocemente alle Donne in nero, della cui rete io stessa faccio parte. In ciascun gruppo di Donne in nero ci sono pratiche e soggetti differenti; però la filosofia, il progetto politico delle Donne in nero, come a me è parso di intravedere a partire da Gerusalemme 1988, quando sono nate come gruppo, è quello di manifestare in silenzio, come femministe e pacifiste, secondo modalità riprese in decine di paesi del mondo. Qual è il nucleo più intenso di innovazione e di presa sulla realtà che fa sì che le Donne in nero continuino ad esistere attraverso vicende di guerra che non hanno mai tolto senso alle loro pratiche? Prima dicevo con Rada Ivekovic che la filosofia e la politica della guerra si innestano sul soggetto autoreferenziale che pretende di negare l’altro da sé: un modo di vita che rende impraticabile la guerra, perché la svuota dall’interno, risiede allora nel riconoscere che è entro la propria parte che bisogna ricomporre la pluralità. Di questo oggi sono convinta, mentre fino ad ora non l’avevo configurato in questi termini filosofici: il nucleo che più mi è parso straordinario delle Donne in nero, di Gerusalemme e di Israele prima, di Belgrado poi, è il fatto che il loro lutto era dolore perché dentro la loro società veniva negata la compresenza del diverso. La guerra contro i palestinesi, o contro i croati e i bosniaci, ha avuto come prima conseguenza la negazione del poter essere multiformi dentro la propria società. I co-soggetti di Rada Ivekovic non devono porsi come co-soggetti per prima cosa separati e che poi si parlano, ma proprio co-soggetti che convivono in ciascuna/o di noi. Forse soltanto così si riesce a non esportare guerra; soltanto se, appunto, la società riesce a percepirsi come complessa. Il messaggio delle Donne in nero è stato di critica radicale al nazionalismo, al militarismo, al patriarcato, ma a partire da questa convinzione profonda: è alla nostra società che ci rivolgiamo, perché è dentro la nostra società che va ricomposta la compresenza di più soggetti, se vogliamo sperare che questa società smetta di fare la guerra al resto del mondo. In questi termini, è il progetto politico per cui mi sembra sensato lavorare: molto sinteticamente e banalmente (ma sono la prima a sapere che è complicatissimo praticare un percorso verso quell’orizzonte) si tratta di un progetto di convivenza. So che può sembrare semplicistico dirlo così, ma non è semplice che la convivenza si instauri a partire dal ripensare se stessi/e, ogni soggetto, come una miscela di infiniti apporti e infinite potenzialità, non cercando invece un’identità forte attraverso cui connotarsi. Convivenza in ciascun soggetto o gruppo sociale o comunità nazionale: su queste basi è anche praticabile la convivenza fra più soggetti, più gruppi sociali, più comunità. * ELISABETTA DONINI, docente di fisica all'Università di Torino, è da sempre attiva nel movimento femminista e in quello pacifista. Tra le sue più recenti pubblicazioni, La nube e il limite, Edizioni Rosenberg & Sellier. _[Ripostato da: Il Manifesto - http://www.ilmanifesto.it] _______________ [http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/03-Aprile-1999/art14.htm] 03 Aprile 1999 LETTERA DONNE IN NERO DI BELGRADO Le bombe e il Danubio "Come vivo e cosa penso sotto il fuoco della Nato e del regime" - ROSA NERA - BELGRADO Mia cara, da dove cominciare? Il tempo in queste circostanze acquisisce un carattere totalmente diverso, sembra che ne sia passato tanto da due giorni e che le nostre vite si siano molto ridotte. Tuttavia l'imperativo, per me, per tutti quelli che da tanti anni svolgono questa azione contro la guerra, e` mantenere la calma, la forza d'animo, dare appoggio agli/e uni/e e agli altri/e. Personalmente ci riesco e la maggior parte del mio tempo, quando le circostanze me lo permettono, la passo conversando con la gente, per telefono o, quando e` possibile, ovviamente ogni giorno di meno, "dal vivo". Ci sono molti alti-e-bassi, in particolare quando arrivano i segnali degli attacchi. Il tempo e` meraviglioso, ieri sono stata a passeggiare un po' sulla riva del Danubio guardando l'acqua e questo calma e intenerisce, oggi ha fatto un'altra passeggiata, sempre chiaccherando, e` chiaro, comunicando con persone in tutti questi anni molto vicine e per me e per noi, questa comunicazione ha un valore infinito. Esiste una solidita`, una vicinanza e una profonda amicizia fra quelli/e che sono stati insieme per tutti questi anni. Cerchiamo di dare animo a quelle/i che attraversano momenti difficili.I miei pensieri si dirigono anche alla gente del Kosovo, alle amiche/i; tutta la notte ho sognato di loro e dato che la guerra impone delle gerarchie, temo con molto fondamento che loro se la stiano passando infinitamente peggio. Da due giorni non ci sono neppure piu` linee telefoniche, neanche i cellulari funzionano, e qui le notizie sono quelle di uno stato di guerra, ossia non si sa nulla. Non parlo della propaganda. Confesso che a volte sento che sto per vomitare ma poi mi riprendo, perche' bisogna farci forza e tenerci su. La stampa ormai quasi non esiste: Danas ha solo quattro pagine, tutte super-controllate, Vreme e` uscito anch'esso con un paio di pagine in tutto e non sono neppure riuscita a trovarlo: ci riprovero` domani. Nei cinema (solo alcuni sono aperti e solo per alcune ore) ci sono esclusivamente film di produzione nazionale, e in televisione lo stesso. Non c'e` benzina, gli autobus ci sono ma tu sai quanto mi piaccia camminare e lo faccio ogni volta che e` possibile. Con la gente del Montenegro parliamo, la` l'ambiente e` molto diverso. E' molto difficile stabilire il contatto con le amiche/i dell'interno: le linee tagliate, occupate, questo ci preoccupa. Personalmente (e non solo io ma anche la gente vicina che conosco) non scendo nei rifugi. Come sopportare i commenti della gente impazzita, intossicata per tutti questi anni? Ora si sta arrivando al culmine. Di nuovo, le sirene che segnalano il pericolo aereo. Ogni volta con maggior frequenza. Oggi, in una delle pause ho letto "Difesa popolare non violenta", di T. Elbert, e anche "Il caso di Praga", questo mi da` forza. Non voglio neanche pensare quali ripercussioni avra` tutto questo, non solo ripercussioni materiali bensi` nella testa della gente. E che livello di militarizzazione dovremo affrontare? Continuero` piu` tardi. Il vosto appoggio ci da` animo e forza. Cerchero` di scrivere ogni giorno un poco, prima di tutto sullo stato, l'umore della gente. Quante voci senza sosta, le reazioni delle gente per la paura, il panico. Un'amica mi ha detto che bisogna respirare profondo (...), insieme a tutte e tutti quelli con cui siamo stati insieme in questi anni. Questo e` per me e per noi straordinariamente importante e aggiungendosi al vostro appoggio e amicizia, aiuta enormemente a resistere con questo tipo di non violenza, con le persone vicine. Vi mando abbracci e affettuosita`, vi scrivero` piu` tardi o domani. Rosa Nera e` uno pseudonimo. Dall'inizio dei conflitti che hanno frantumato la ex Jugoslavia, Rosa ha lavorato con le "Donne in Nero", uno dei pochi luoghi di solidarieta` pacifista che ha matenuto in vita un tessuto autonomo della societa` civile. Questo messaggio e` stato inviato alle pacifiste italiane.
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