Rete Italiana Disarmo: errore di Prodi nell'auspicare la fine dell'embargo di armi alla Cina



COMUNICATO AI MEDIA - Roma, 19 Settembre 2006

Rete Italiana Disarmo: errore di Prodi nell'auspicare la fine dell'embargo di armi alla Cina

La situazione internazionale ha bisogno di un maggiore controllo della produzione e vendita di armi, non di regole che favoriscano la produzione di materiale bellico per motivi di interesse economico e strategico

La Rete Italiana per il Disarmo ha accolto con stupore e dispiacere le dichiarazioni rilasciate dal presidente del Consiglio Romano Prodi a Pechino riguardo all'auspicata fine dell'embargo di armi dell'Unione europea (Ue) verso il paese asiatico. Non si può porre termine a una decisione tanto importante e pregnante - (che, si ricorda, ha avuto molte conferme nel corso degli anni con risoluzioni del Parlamento europeo) affermando semplicemente che "non cambierebbe nulla". In realtà la situazione in Cina e in tutto il mondo dovrebbe spingere i governi, in particolare quello italiano, a ripensare le norme relative alla produzione e alla commercializzazione di armi, oggi dominate solo da logiche affaristiche e di interesse strategico.

Come già fatto in occasione di analoghe dichiarazioni rilasciate in passato dagli allora presidente del Consiglio e presidente della Repubblica Berlusconi e Ciampi, la Rete Disarmo si oppone decisamente all'ipotesi di cancellare l'embargo verso la Cina, soprattutto se questa decisione non mostra di tenere in alcun conto la problematica situazione di questo paese.

I due maggiori elementi di preoccupazione consistono nelle continue violazioni dei diritti umani compiute dalle autorità cinesi e nel rischio di triangolazioni di armi. Non basta solo chiedere con dichiarazioni e appelli un maggiore rispetto dei diritti umani: bisogna anche evitare di fornire quegli strumenti che, direttamente o indirettamente, sono utili a tenere sotto minaccia parti consistenti della popolazione, impedendo loro di esprimersi liberamente. Per quanto riguarda il secondo aspetto, nel recente passato diverse sono state le segnalazioni di accordi stretti dalla Cina con paesi del sud del mondo (in particolare africani, tra cui il Sudan) in cui le contropartite per la fornitura di armi consistono principalmente in diritti di sfruttamento di risorse. Con la fine dell'embargo, anche armi italiane potrebbero finire a sostenere regimi e interessi di speculazione che vanno a danno di popolazioni già fortemente sfruttate. La legislazione italiana impedisce la fornitura di armi a paesi fortemente indebitati o che destinano maggiori risorse agli armamenti rispetto che alla sanità o all'istruzione; la legge italiana (modificata nel 2003) continua inoltre a prevedere l'impossibilità di esportazione verso paesi in cui siano segnalate gravi violazioni dei diritti umani o che siano sotto embargo da parte di istituzioni internazionali. Per questi motivi, la Cina dovrebbe essere al di fuori del gruppo dei clienti italiani, mentre le ultime relazioni governative la pongono nella lista dei paesi destinatari di armi "made in Italy" e partner del nostro paese in alcuni accordi di cooperazione militare.

"Il governo italiano dovrebbe cessare di violare una legge dello Stato" - affema il gruppo di che all'interno della Rete si occupa dell'export italiano di armi - e impegnarsi per un maggiore controllo sul nostro export, non certo per indebolire le maglie dei controlli internazionali.

LaRete Italiana per il Disarmo, infine, si dichiara fortemente stupita per il fatto che dichiarazioni di questo tenore siano giunte dal presidente del Consiglio Prodi che, insieme a diversi ministri del proprio Governo e numerosi esponenti di spicco della maggioranza, ha sostenuto negli ultimi mesi la Campagna internazionale Control Arms avente per obiettivo la promozione di un Trattato internazionale sul commercio di armi che fornisca regole certe ad un settore per ora completamente sregolato e incontrollabile. Ricordiamo che la Rete Italiana per il Disarmo è promotrice italiana della campagna Control Arms, insieme ad Amnesty International (che ne è anche promotrice internazionale).

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