De ADITAL - Fine referendum



Carissimi amici italiani.
Con i due articoli che seguono termino l'invio di materie in italiano che
ho iniziato con la corta campagna del referendum per la sospensione della
vendita di armi in Brasile. Adesso ho un po' meno di tristezza dentro
perché vedo che nuove idee e nuove iniziative stanno sorgendo nel mondo. Mi
piace l'iniziativa del Messico (prima notizia) perché mostra che perdere un
refendum non significa perdere la guerra. E molte corrispondenze che avete
mandato -alcune le abbiamo pubblicate- confermano che 'non si uccidono le
idee', soprattutto se le idee vogliono dire VITA e se ci sono persone che
scommettono le loro energie per questo ideale.
Ma continuerá la tristezza e la preoccupazione della madre che mi ha
raccontato: "Mio figlio (di 15 anni) metteva da parte dei risparmi ed ero
contenta perché, pensavo, volesse comprare un tipo di tennis che gli
piaceva. Ma ieri mi disse 'no, voglio comprarmi una pistola come i miei
amici'. É come se mi avesse sparato al cuore".
Quante vite si devono perdere ancora perché le coscienze incontrino la luce?

E l'articolo piú lungo é l'analisi politica di ottobre che mostra il
momento difficile che il Brasile sta passando.
Vedete che c'é ancora del cammino da percorrere... Non fermiamoci!
Un saluto carissimo e un abbraccio. Se qualcuno volesse continuare a
ricevere le notizie di ADITAL in portoghese o spagnolo puó entrare nel
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Ermanno Allegri, Direttore di ADITAL

Articolo:
"Disarmati per il bene della tua famiglia" è tema di una campagna in Messico
In un tentativo di diminuire gli indici di violenza nel paese i Messicani
stanno scambiando armi ed esplosivi per buoni-alimentazione o soldi fino al
2 dicembre.

 ADITAL -  La Segreteria di Difesa Nazionale del Messico, unitamente al
Comune di Reynosa, stato di Tamaulipas, ha  lanciato una campagna nazionale
per la consegna volontaria di armi. La campagna "Disarma-te por tu Família"
(Disarmati per la tua famiglia) ha avuto l'inizio ufficiale dopo la metá di
ottobre e si protrarrà fino al 2 dicembre.

    L'obiettivo della campagna è migliorare la sicurezza pubblica ed
evitare incidenti con armi. Il Sindaco della città di Reynosa, Francisco
García Cabeza de Vaca, ha convocato la popolazione che possiede armi a
consegnarle nello spiazzo della Piazza Principale, dove le autorità
militari hanno montato un posto avanzato per ricevere gli artefatti.

I cittadini che consegneranno le armi riceveranno in cambio
buoni-alimentazione o soldi (il valore può arrivare fino a 1.500 pesos,
circa 110,00 euro). Saranno ricevuti tutti i tipi di armi e esplosivi,
eccetto armi bianche.


IL GOLPISMO RIPRENDE FIATO IN BRASILE

Valdemar Menezes(*)


L'offensiva spudorata, degli ultimi giorni, iniziata dalle forze dei
'partiti dell'ordine stabilito'(1) per deporre il presidente Luiz Inácio
Lula da Silva, attraverso l'impeachment, e cancellare il registro del PT,
Partito dei Lavoratori, impedendolo di lanciare i suoi candidati alle
elezioni del prossimo anno, acquista aria di gangsterismo, con la farsa
inscenata, per mezzo della rivista 'Veja' (2), per accusare la campagna
presidenziale di Lula di aver ricevuto 3 milioni di dollari  da Cuba, nel
2002.(3)

L'ipotesi, che la destra si sarebbe servita di tali tipi di manovre
(prevedibile dal momento in cui si è configurata la possibilità
dell'ascensione al potere di una candidatura di sinistra)  ha condizionato
la strategia del PT, alle elezioni del 2002, portandolo a ampliare l'arco
delle alleanze in modo da includere partiti di centro nella base alleata
con lo scopo di evitare situazioni come quelle che hanno portato alla
caduta del presidente João Goulard, nel 1964,(4) in Brasile, e di Salvador
Allende, in Cile, nel 1971.

Tuttavia, questa giustificativa è rifiutata dai critici di sinistra.
Secondo questi, la svolta del PT in direzione a una politica priva dei
riferimenti ideologici originali non è altro se non la ripetizione della
traiettoria storica dei partiti socialdemocratici europei quando hanno
perso tutto il loro riferimento marxista e si sono trasformati in semplici
gerenti del capitalismo, cercando solo di domarlo e non di sostituirlo con
un altro sistema non-sfruttatore e non-alienante. E' bene ricordare che ciò
è accaduto decenni prima dell'attuale modello di globalizzazione. Per
questo insistono nel paragonare la situazione concreta di adesso, con la
storia classica della socialdemocrazia.

Per quanto riguarda il PT, la loro disillusione non si deve solo alla
continuazione, fondamentalmente, della stessa ricetta del governo anteriore
(si noti che per l'attuale direzione si tratta di una opzione eminentemente
tattica),  ma anche alla trasformazione del partito in albero di
trasmissione del governo (con l'aggravante che non è un governo petista
puro, ma di coalizione), negando, ipoteticamente, la critica che il proprio
PT faceva  ai partiti comunisti. Puntano il dito anche contro
l'allentamento dei legami con i movimenti sociali a favore del privilegio,
quasi assoluto, del gioco parlamentare (che avrebbe portato al sorgimento
del  carrierismo interno, permettendo che gli interessi corporativi dei
parlamentari e del funzionalismo partitocratrico passassero a prevalere
nella vita del partito); e la rinuncia alla lotta per nuove forme
istituzionali, in direzione alla democrazia partecipativa, approfittando
l'apertura data dalla propria Costituzione Federale alla democrazia diretta.

Se questa critica fosse corretta, significherebbe che sarebbe preferibile
per il PT essere stato  nuovamente sconfitto nell'elezione anteriore,
piuttosto che essere deformato al punto da essere messa in discussione la
sua credibilità e il suo patrimonio etico. Per questi critici avrebbe avuto
maggior profitto la manutenzione della proposta originale, difesa nel
1989(5), con il rifiuto di alleanze fuori dall'arco della sinistra. E
questo senza abbandonare la via  elettorale, ma subordinandola al
principale: l'organizzazione della società, il rafforzamento e
l'articolazione dei movimenti sociali e la lotta per la radicalizzazione
della democrazia. Sarà cosí?

Dobbiamo ricordare che nel 1989 l'elezione era ancora sotto l'egide della
Guerra Fredda, con tutte le restrizioni possibili a una opzione di sinistra
conseguente, soprattutto in questo emisfero. L'ultimo che aveva tentato la
via parlamentare rompendo con il sistema capitalista era stato Salvador
Allende, e il risultato era stato disastroso. Nello stesso Brasile, il
ricordo della traumatica conclusione del governo João Goulard, deposto dai
militari nel 1964, e succeduto da 20 anni di dittatura militare, era ancora
abbastanza viva. E continuavano forti le forze che l'avevano sostenuta. Gli
indizi erano chiari; l'establishment non avrebbe accettato la proposta
trasformatrice del PT, nella forma come si esplicitava, perché in questa
era contenuta una rottura senza ritorno.

In una intervista concessa il mese scorso al giornale O POVO (di Fortaleza,
Ceará), César Benjamin, uno dei fondatori del PT, da cui ne ha preso le
distanze nel 1995 (dopo aver attuato nel coordinamento delle campagne di
Lula alla presidenza della Repubblica nel 1989 e 1994, è diventato uno dei
più acuti critici dell'attuale governo e del PT, nella sinistra), ha
riconosciuto che se Lula avesse vinto l'elezione nel 1989, ci sarebbe stata
una crisi istituzionale al momento del suo insediamento. E ciò, dopo
essersi riferito alla minaccia fatta dal presidente della Confederazione
Nazionale dell'Industria, Mario Amato, di che una grande parte degli
impresari brasiliani avrebbe lasciato il Paese; e all'avviso sulla
preparazione di un attentato personale contro il candidato Lula (informato
da simpatizzanti dell'Esercito), senza parlare (diciamo noi) nella mancanza
di quadri sufficienti per condurre il governo, visto che il suo appoggio si
sarebbe ristretto alla sinistra e ai movimenti sociali. Si aggiunga a tutto
ciò, una probabile fuga di capitali e l'isolamento del Paese e si avrà una
visione approssimata dello scenario che avrebbe accompagnato una vittoria
di Lula in quelle condizioni. C'era, questo è certo, il fatto oggettivo che
il Paese aveva, in quell'occasione, maggiori elementi per una proposta
autonoma, considerando che il suo patrimonio pubblico non era ancora stato
privatizzato e si poteva contare con un vasto mercato interno. Sarebbe
stato, in ogni modo, un governo di confronto e di convulsione sociale,
circondato da forze ostili gigantesche, rese ancora più potenti dai mass
media. Il prezzo, forse, sarebbe stata una guerra civile con risultati
molto dubbi. Sarebbe valsa la pena? In realtà, sarebbe stato un passo più
lungo della gamba e il risultato avrebbe potuto essere un retrocesso
inimmaginabile, dal punto di vista istituzionale, considerando che le forze
che avevano dato sostento alla dittatura erano screditate, ma non sdentate
e continuavano pronte a mordere.

Così, all'arrivo delle elezioni del 2002, considerando le condizioni
obbiettive ancora più sfavorevoli, dopo tre gestioni neoliberali che hanno
legato il Paese al sistema finanziario internazionale e lo hanno soggiogato
con un debito impagabile, e dovendo fronteggiare una elite ancora più
potente, e sostenuta dai mezzi di comunicazione con potere manipolatorio
quasi illimitato,  è difficile mettere in discussione la strategia moderata
e riformista del governo Lula e del PT, eccetto per quanto riguarda la sua
conformazione soggettiva al sistema (prevalenza assoluta della logica
elettorale, allentamento dei legami con i movimenti sociali e relativismo
etico) che ha portato, oggettivamente, grandi danni dal punto di vista
politico e di credibilità morale. Al di fuori di questo, è difficile
affermare con oggettività la possibilità di un'altra alternativa.

(*)Giornalista e analista politico
<mailto:valdemarmenezes at gmail.com>valdemarmenezes at gmail.com

(1) PSDB e PFL: i partiti che riuniscono le forze della destra fisiologica.
(2) La rivista settimanale (di destra) piú venduta che pubblica accuse
scandalistiche (spesso false) contro l'attuale classe dirigente del paese.
(3) La legge brasiliana prevede il cancellamento del registro del partito
che riceva finaziamenti di campagna di fuori del paese.
(4) Anno del golpe militare che lasció il Brasile per vent'anni nella
dittatura.
(5) L'anno della prima sconfitta elettorale di Lula per la presidenza della
repubblica.