L'ultimo schiaffo per i familiari di Valery Melis la nuova del 23\3\2005



 ’amministrazione militare ha negato anche l’indennizzo di 50 milioni previsto dalla legge  
L’ultimo schiaffo per i familiari di Valery Melis
L’avvocato Ariuccio Carta: «Presenteremo un ricorso straordinario al capo dello Stato»
 
 
 
La “colpa” del povero caporalmaggiore di Quartu sarebbe quella di essere stato un soldato volontario e non di leva
 
PIERO MANNIRONI




 CAGLIARI. Valery Melis fa parte di un esercito di ombre silenziose e dolenti. Un esercito di cittadini in divisa la cui vita si è spenta mentre servivano lo Stato. E che lo Stato non solo ha dimenticato, ma oggi addirittura oppone una diga di carte bollate e di indifferenza per negare i diritti di chi quegli uomini piange. Così nel febbraio scorso, esattamente un anno dopo la morte del giovane caporalmaggiore di Quartu, gli avvocati dello Stato hanno portato sul tavolo del giudice civile di Cagliari la posizione del ministero della Difesa: non ci sono legami tra il tumore che ha ucciso Valery e l’uranio impoverito. Perciò, nessun risarcimento. E questo nonostante ormai da sei anni le circolari della brigata multinazionale nei Balcani e quelle dei comandi militari italiani, certifichino i rischi del metallo del disonore. La parola d’ordine è sempre la stessa: nessun legame tra l’uranio impoverito e alcune forme tumorali.
 L’avvocato Ariuccio Carta, che sostiene le ragioni della famiglia di Valery, non si arrende e annuncia battaglia. «Nella documentazione acquisita - dice - noi siamo convinti che ci siano gli elementi per avere diritto al risarcimento. D’altra parte, lo Stato ha riconosciuto la causa di servizio».
 Ma c’è un aspetto in questa vicenda che porta a un’altra ingiustizia. Un’ingiustizia, per certi versi, addirittura odiosa. Ed è il negare perfino quei 50 milioni previsti dalla legge 308 del 2 giugno 1981. Qui si sfiora il grottesco. Nella sua stesura, infatti, la legge si porta dentro una contraddizione in termini. E cioé: nell’intestazione si legge che si tratta di norme in favore dei militari di leva e di carriera infortunati o caduti durante il periodo di servizio, mentre poi, nell’articolo uno, si parla solo di militari di leva.
 Una sperequazione senza senso, dunque, soprattutto perché appare in evidente violazione dell’articolo 3 della Costituzione. E in questo senso si pronunciò il Comitato pareri della prima commissione della Camera dei Deputati il 12 gennaio del 2000. Si legge infatti nel documento, nel quale viene dato parere favorevole alla correzione della legge: «All’articolo 1, valuti la Commissione di merito l’opportunità di novellare il primo periodo dell’articolo 1 della legge 3 giugno 1981, n. 308, nel senso di introdurre le parole “i militari in servizio volontario”, al fine di chiarire che tra i destinatari delle norme di cui alla citata legge n. 308 del 1981, come modificata dal provvedimento in esame, rientrano anche i militari di carriera, la cui mancata inclusione tra i beneficiari potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità, sotto il profilo della disparità di trattamento, per violazione dell’articolo 3 della Costituzione».
 Di più: viene considerato necessario retrodatare gli effetti della legge al primo gennaio 1979 «al fine di evitare disparità di trattamento in relazione a situazioni familiari egualmente meritevoli di tutela».
 Indicazione recepita, il 12 ottobre del 2001, dai parlamentari Ruzzante, Minniti e Pisa che presentarono una proposta di legge di soli due articoli per cancellare una sperequazione ingiusta e che appare superata dai fatti, perché oggi non esiste più la figura del militare di leva. Paradossalmente, quindi, la legge 308 è inapplicabile se la si dovesse continuare a interpretare in modo restrittivo.
 Dunque, ai familiari di Valery è stata chiusa anche questa porta. Ma su questo punto l’avvocato Ariuccio Carta dice: «Sto predisponendo un ricorso straordinario al Capo dello Stato perché, al di là dell’evidenza che siamo davanti a una norma contradditoria che da anni ci si dimentica di correggere, Valery contrasse la malattia che poi lo ha ucciso quando era ancora un soldato di leva. Perciò quei 50 milioni - somma comunque oggi inadeguata perché fissata ben 25 anni fa - spettano in ogni caso alla famiglia del ragazzo».
 Sulla vicenda è intervenuto pesantemente anche Falco Accame, presidente dell’Anavafaf ed ex presidente della Commissione Difesa della Camera. Da anni Accame si batte per la modifica della legge, ma anche perché venga resa giustizia a chi rientra comunque nei parametri dell’interpretazione restrittiva della norma.
 «Le istituzioni vanno rispettate dai cittadini - dice -, ma le istituzioni devono rispettare le leggi del Parlamento. C’è chi aspetta da più di trent’anni il rispetto da parte dell’istituzione militare della legge che obbliga l’apparato militare a risarcire, con la modestissima cifra di 50 milioni, la morte di militari di leva e di carriera e, con cifre proporzionalmente inferiori, coloro che, dopo il servizio militare, restano parzialmente inabilitati».
 Conclude Accame: «Infinite volte, nei lunghi anni che decorrono dal primo gennaio 1989, la nostra associazione ha chiesto al ministero della Difesa di ottemperare agli obblighi di legge. Ebbene, non ci è stato neppure dato l’elenco degli aventi diritto. Sto scrivendo una lettera al presidente della Camera Casini per sottolineare questo comportamento vergognoso delle istituzioni, testimone di una straordinaria inefficienza e mancanza di rispetto verso la vita di tanti umili servitori dello Stato».

 
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