La riforma dei codici militari: ma i soldati non ci stanno



fonte : L'unità on line
Toni De Marchi

"Io ero scettico, pensavo che i miei colleghi fossero disinteressati. Ma sa che cosa mi hanno detto a proposito del nuovo codice penale? Vai a dirglielo, a Roma: non vogliamo soldi, vogliamo dignità". Giovanni Amato, barba nera e piglio deciso, è un maresciallo dell'Aeronautica. Un delegato storico del Cocer, l'organo di rappresentanza dei militari, anche lui ieri mattina all'audizione delle commissioni Giustizia e Difesa della Camera sulla riforma del codice penale militare. Di pace e di guerra. E anche lui, portatore delle istanze di tanti suoi colleghi, deluso e arrabbiato per un provvedimento che mortifica i militari e li fa ritornare cittadini di serie B. L'incontro alla Camera era informale, non ce n'è traccia sui documenti. Quasi che di una riforma così importante non se ne debba sapere troppo in giro. I codici militari attuali sono del 1941, nati in pieno fascismo e in piena guerra. Quello di pace è stato sforbiciato a più riprese dalla Corte costituzionale e anche dal Parlamento. Di quello di guerra, per più di cinquant'anni, fino al dicembre 2001, non se n'era più parlato. La missione afghana, prima, quella irachena, poi, lo hanno fatto ritornare in vita. Per la prima volta i soldati in "missione di pace" sono stati sottoposti alla giurisdizione militare di guerra. "Io mi sono fatto il Libano, la Somalia, il Kosovo, la Macedonia, eppure il codice era sempre quello di pace" racconta Pasquale Fico, maresciallo capo dell'Esercito, una sfilza di nastrini delle decorazioni che lo fa sembrare un generale Patton dei film. "Eppure solo quando sono andato in Iraq a lavorare per la Cpa mi hanno spiegato che, laggiù, il codice era quello di guerra". La riforma ha già fatto metà della sua strada. Il Senato l'ha approvata in fretta e furia. La maggioranza, alla Camera, avrebbe voluto fare lo stesso e farla scivolare via tra una leggina e un'interrogazione. Ieri, dopo il capo di Stato maggiore della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, è stata la volta dei Cocer. Per una volta tutti, dai marinai ai carabinieri, dagli aviatori ai finanzieri, erano d'accordo: quel codice, a loro, proprio non piace. Peccato che ad ascoltarli ci fossero meno di una decina di deputati dei quasi ottanta che componono le due commissioni. «Mai come questa volta noi, che siamo i rappresentati eletti di 330mila militari, abbiamo convenuto su un punto: questa riforma è preoccupante e oltraggiosa» si infervora il maresciallo Pasquale Varone che ha letto alle commissioni il documento preparato dalla sua sezione del Cocer, qeulla dell'esercito. «Osserviamo che, la concezione di "reato militare" che tale legge delega introduce è un istituto che - come la militarizzazione dei reati comuni - non trova riscontro in nessuna democrazia» dice il documento letto dal maresciallo Varone in aula. Parole pesanti, tanto più perché dette da gente abituata piuttosto a tacere che a protestare. Uno dei cardini della riforma del codice militare, infatti, prevede che qualsiasi reato commesso da un militare in luogo militare o dichiarato tale venga giudicato da un tribunale militare. Una previsione che c'era anche nel codice fascista ma che venne impietosamente cassata dalla Consulta già a metà degli anni '50. Una previsione che «fa regredire in principi di diritto da tempo abbandonati dalle moderne democrazie», come rileva il documento presentato dalla Guardia di Finanza. Sì, perché anche i finanzieri, quelli che controllano se il bar sotto casa ti ha fatto lo scontrino fiscale, ricadono sotto la giurisdizione del codice militare. In pace e in guerra.