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ancora dalla maddalena
- Subject: ancora dalla maddalena
- From: useppescano at virgilio.it
- Date: Fri, 17 Sep 2004 15:28:57 +0200
DEIANA e GIORDANO (PRC): LA MADDALENA, PER QUALE URGENZA MINISTERO HA AUTORIZZATO AVVIO DEI LAVORI? ?In base a quali valutazioni di urgenza avanzate dalla U.S. Navy e dal Pentagono, il Ministero della difesa ha acconsentito all?avvio dei lavori per la trasformazione del punto di approdo dell?isolotto di S.Stefano in vero e proprio insediamento americano sul territorio italiano, nonostante l?esistenza di una chiara opposizione da parte delle popolazioni locali e la conferma dei numerosi e gravi problemi relativi alla salute, alla sicurezza e alla tutela ambientale commessi alla presenza della base? Perché il Governo continua a non chiarire quale sia l?entità dei lavori di ampliamento del punto d?appoggio della U.S. Navy nell?isolotto di Santo Stefano, quale la reale portata della riorganizzazione della presenza americana sottesa dentro tale ampliamento? In base a quali considerazioni politiche e valutazioni strategiche relative alla difesa nazionale il Governo ha ritenuto legittimo interpretare il Memorandum del 72 nel senso di concedere un?espansione della presenza americana a La Maddalena e per quale motivo tale scelta non è diventata materia di discussione e decisione in sede parlamentare? ? sono le domande poste da Elettra Deiana, capogruppo di Rifondazione Comunista in Commissione Difesa alla Camera, e Franco Giordano, presidente del gruppo, in una interpellanza urgente al Presidente del Consiglio ed al Ministro della difesa in merito all?ampliamento del sito statunitense nell?arcipelago de La Maddalena - Da notizie di stampa (L?Unità 13/09/2004) si apprende che i lavori inizieranno il 15 settembre, come confermato da un ordine del giorno trasmesso agli uffici della Naval Support Activity da parte di una commissione tecnica militare. I lavori di ampliamento dell?attuale punto di approdo per una Nave appoggio della U.S. Navy per sommergibili di attacco, relativo ad una modifica apportata nel 1972 all'accordo fra l?Italia e gli Stati Uniti del 1954, riferito ad infrastrutture bilaterali, fa di questa area nucleare statunitense sul territorio nazionale una struttura anomala, avulsa da qualsiasi contesto di compartecipazione di interesse bilaterale, in cui tutti gli elementi di sicurezza ecologico sanitaria, i rapporti istituzionali, le regole urbanistiche, la compatibilità con il Parco Nazionale Arcipelago, restano in secondo piano rispetto alla priorità della U.S. Navy. L'onorevole Martino con una nota ministeriale ha deciso di avallare il Progetto statunitense di «Migliorie infrastrutturali» che era stato respinto dal Comitato Paritetico Regionale sulle Servitù Militari (Co.Mi.Pa.). In questo modo ? proseguono i parlamentari - il progetto della U.S. Navy, sommario ma molto esplicito, che trasforma il punto d'approdo in una nuova ed effettiva base nucleare statunitense, viene presentato come un mero rifacimento e ammodernamento delle strutture esistenti. La decisione del Ministro è stata avversata nelle sedi istituzionali, sia dalla Giunta della regione Sardegna che dal sindaco de La Maddalena, oltre che da comitati e dai cittadini, sempre più allarmati dal fatto che nei territori che ospitano gli insediamenti militari dell?intera Sardegna si registra, da tempo, un'elevata incidenza di tumori tra la popolazione, in una percentuale che va decisamente oltre la norma statistica, il 200 per cento in più della media nazionale. In un assetto del territorio così strettamente connesso alla funzione e funzionalità militare ? concludono Deiana e Giordano - l?ampliamento del sito americano nell?isolotto di S. Stefano avrebbe ulteriori ricadute negative sulla vita della popolazione in termini di sicurezza della vita e salvaguardia della salute, oltre che per gli equilibri ambientali.? Loredana www.giustiziaquotidiana.net la nuova sardegna del 17\09\2004 Radioattività nell?arcipelago Sottomarini nucleari sotto accusa Un?indagine di Legambiente apre nuovi interrogativi sulla base militare americana GIOVANNI VALENTINI -------------------------------------------------------------------------------- ROMA. La prima scoperta riguarda la presenza di plutonio. Tracce di radioattività sono state rilevate in una doppia indagine - coordinata da Legambiente e condotta da un gruppo di esperti italiani e stranieri - nell?arcipelago della Maddalena, intorno alla base navale americana dell?isola di Santo Stefano che ospita i sommergibili atomici. Questa presenza è artificiale, cioè deriva certamente da attività umane e si può attribuire con ogni probabilità all?insediamento militare Usa. Per il momento, non sono in pericolo né la salute degli abitanti né la balneazione. Ma oltre al plutonio, rilevato in quantità relativamente basse e comunque al di sotto dei livelli di sicurezza fissati dall?Euratom, ad allarmare i tecnici sono soprattutto gli hot spots (letteralmente, punti caldi), rintracciati sui campioni di alghe: si tratta di frammenti di ?carburante? nucleare, già irradiato e disperso nell?ambiente esterno, che potrebbero innescare gravi problemi di mutazioni genetiche a partire dai primi anelli della catena alimentare, causando danni irreparabili all?ecosistema della zona. L?ipotesi considerata più verosimile è che questi radionuclidi derivino da minuscole perdite accidentali dai reattori dei sottomarini atomici in transito oppure nel corso del loro rifornimento dalla nave-madre, durante la delicatissima operazione di ?ricarica? per sostituire il combustibile nucleare. Legambiente ritiene perciò «assolutamente necessario che le acque, la flora e la fauna dell?arcipelago della Maddalena vengano sottoposte a un programma straordinario di monitoraggio continuo, per verificare gli effetti dalla presenza di questo tipo di radioattività, utilizzando tecniche analitiche adeguate». Aggiunge il presidente dell?associazione, Roberto Della Seta: «Sarebbe altrettanto necessario prevedere anche un?indagine epidemiologica sugli abitanti dell?arcipelago e avviare un serio programma di dismissione della base nucleare Usa. C?è infatti una assoluta incompatibilità tra una tale struttura militare e un?area delicata e ad alta vocazione turistica come questa». Qualche mese dopo l?incidente del 25 ottobre 2003, quando il sottomarino a propulsione nucleare ?Hartford? urtò violentemente contro gli scogli della Secca dei Monaci, gli accertamenti eseguiti dalle strutture di controllo del nostro Paese e da alcune organizzazioni indipendenti esclusero - come si ricorderà - una contaminazione radioattiva. La società francese CRIIRAD, tuttavia, rintracciò in almeno due campioni di alghe la presenza di quantità anomale di torio 234: questo è, per così dire, il ?primogenito? del decadimento dell?uranio 238, una sostanza che emette raggi alfa e ha un tempo di dimezzamento di oltre quattro miliardi di anni, mentre il torio decade rapidamente, si dimezza in 24 giorni ed emette raggi gamma. Non furono rilevate tracce di radionuclidi artificiali che si dovrebbero rinvenire in seguito a perdite da un reattore nucleare danneggiato. E perciò, la conclusione fu che l?incidente del sottomarino non aveva causato alcuna contaminazione radioattiva. Restava da spiegare, tuttavia, la presenza di alte concentrazioni di torio senza il ?genitore? uranio. In tutte le indagini compiute nell?arcipelago della Maddalena, non è stata mai considerata né verificata però la presenza dell?elemento più pericoloso che si possa trovare in un reattore nucleare, nel combustibile e nelle scorie: il plutonio 239, un sottoprodotto che si forma nel bombardamento dell?uranio durante la generazione d?energia in un reattore nucleare o nell?esplosione di una bomba atomica. La sua presenza è considerata una prova certa della contaminazione prodotta da attività umane. Ma di solito non viene rilevata nelle analisi di ?routine? perché il plutonio emette solamente raggi alfa a bassa energia durante il suo decadimento, senza emissione di raggi gamma. La maggior parte dei laboratori, invece, sono attrezzati soltanto per lo studio di raggi gamma o comunque dispongono di strumentazioni limitate. Con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Ambientali Marine dell?Università della Tuscia e in particolare del professor Fabrizio Aumento, geologo marino, Legambiente ha risolto il problema ricorrendo al metodo dell?autoradiografia. Con questa tecnica, i campioni vengono messi a diretto contatto con pellicole sensibili solo ai raggi alfa di una particolare energia e per determinati periodi di tempo. Il programma predisposto dall?Università della Tuscia e dal responsabile scientifico di Legambiente, la biologa Lucia Venturi, ha prelevato campioni nell?area della Maddalena, di Santo Stefano e di Palau in due diverse fasi. La prima tra il 20 e il 22 febbraio, la seconda tra il 5 e l?8 maggio 2004. In totale sono stati raccolti più di 150 campioni tra alghe, sedimenti, graniti, ricci di mare, lumache marine, patelle, seppie e meduse in 37 diverse postazioni nell?area della Maddalena. Per un test di confronto, sono state poi raccolte alghe a Civitavecchia, ad Ansedonia, all?isola del Giglio, a Monte Argentario e nel Mar Baltico (Helsinki). Nei 14 campioni prelevati tra Lazio e Toscana non sono state trovate concentrazioni di tracce alfa al di sopra dei livelli di fondo. Dagli altri 127 raccolti lungo le coste della Maddalena, di Caprera e Palau (e dal Mar Baltico) sono emersi due tipi di distribuzione delle tracce. Tutti i campioni hanno rivelato tracce alfa distribuite uniformemente sulle intere superfici esaminate, con concentrazioni varianti da 0 a 50 tracce (media di 8) a centimetro quadrato per ogni giorno di esposizione. In 29 campioni (il 23%) sono risultate concentrazioni di tracce a forma di stella che contengono da 10 a più di 500 tracce individuali. La loro distribuzione e quella degli ?hot spots? mostra forti concentrazioni lungo tutta la costa esaminata: dal Nido d?Aquila alla Maddalena, inclusa Punta Nera, Cala Chiesa, Cala Camiciotto, Cala Stagnali, Punta Coda e Porto Palma. I picchi massimi si trovano lungo le coste settentrionali e orientali della rada di Santo Stefano, tutti siti che si affacciano sulla base dei sommergibili nucleari nell?isola di Santo Stefano. Le alghe raccolte nei dintorni di Palau, invece, sono praticamente prive di tracce alfa. Da dove provengono, allora, questi radionuclidi trans-uranici? Non sono prodotti da decadimenti naturali, ma provocati dal bombardamento di atomi di uranio 238 con neutroni, cioè in processi che avvengono nella propulsione nucleare, nelle esplosioni atomiche o nei disastri nelle centrali. Nel caso della Maddalena, la loro presenza non si può spiegare con residui di inquinamento ambientale, come accade negli incidenti o negli esperimenti nucleari. I consulenti di Legambiente ritengono molto più plausibile un?origine locale, vista anche la distribuzione delle concentrazioni di tracce alfa lungo le coste dell?Arcipelago. Da qui, prende corpo l?ipotesi che provengano da perdite accidentali di minuscole quantità di radionuclidi dai reattori dei sommergibili atomici in transito o durante il loro rifornimento dalla nave-madre, quando si effettua anche la delicatissima operazione di ?ricarica? del combustibile nucleare. E naturalmente, insieme alle ipotesi, sono destinate a riprendere corpo anche le polemiche sulla base nucleare americana di Santo Stefano. Possibili contaminazioni nella catena alimentare» -------------------------------------------------------------------------------- ROMA. Fabrizio Aumento, romano, 64 anni, docente di Geologia marina all?Università della Tuscia di Viterbo, è tornato in patria dopo aver lavorato vent?anni in Canada e altrettanti nel resto del mondo. Per conto di Legambiente, ha diretto e curato l?indagine sull?inquinamento radioattivo nelle acque dell?arcipelago della Maddalena, insieme a un gruppo di colleghi italiani e stranieri. E ne spiega qui i risultati, nel modo più semplice e comprensibile possibile. - Professor Aumento, nel caso della Maddalena si può parlare correttamente di un rischio di ?contaminazione radioattiva?? «Preferisco dire che esistono tracce di radioattività. La nostra indagine le ha rilevate scientificamente sui campioni di alghe prelevati nell?arcipelago, in particolare intorno all?isola di Santo Stefano. Al momento, non c?è pericolo per la salute umana. Ma la situazione è seria e va monitorata adeguatamente». - Che cosa significa, come si legge nella vostra relazione, che ?esistono gravi problemi di mutazioni genetiche, a partire dalla catena alimentare?? In concreto, che cosa può accadere? «Nel tempo, può accadere che la contaminazione passi dalle alghe ai molluschi, quindi dai pesci più piccoli a quelli più grandi, fino a diventare - mettiamo, nel salmone - più alta del limite tollerabile. A quel punto, c?è il rischio che venga assorbita dall?uomo e provochi danni o comunque serie conseguenze alla salute». - Riprendendo il suo esempio, quali sarebbero gli effetti del ?salmone radioattivo?? «È difficile rispondere in astratto. Diciamo che il corpo umano ingurgita un?ulteriore dose di radioattività ed è senz?altro opportuno evitarlo. Ricordate il caso del pesce al mercurio in Giappone? Si scoprì che era molto pericoloso e i giapponesi ne ridussero drasticamente il consumo. Il pesce radioattivo fa ancora più male». - Finora, però, alla Maddalena voi avete trovate soltanto piccole tracce di radioattività. «Sì, è così. Si tratta di punti, di minuscole particelle. Ma è materiale altamente radioattivo. E in base alle sue caratteristiche fisiche, non può essere prodotto né da esperimenti né da incidenti nucleari. Non a caso non l?abbiamo rilevato nei campioni raccolti sulle coste di Palau o del Tirreno». - E allora, da dove può provenire? «È presumibile che, com?è già accaduto in Gran Bretagna o in Spagna, provenga da minime perdite di carburante dei sommergibili nucleari. O magari, dalla ricarica dei cilindri di materiale radioattivo. Queste sono le ipotesi più verosimili». - Qual è, secondo lei, il programma di prevenzione più efficace da adottare? «Bisogna monitorare periodicamente la situazione con tecniche adeguate, come quelle che abbiamo adottato nel nostro piccolo utilizzando l?autoradiografia. Con la collaborazione (gratuita) di colleghi e amici stranieri, siamo riusciti ad analizzare anche due o tre campioni al giorno. Certo, se l?Enea impiega un mese per fare un?analisi...Basterebbe che loro, con i loro mezzi e con la loro esperienza, ne verificassero una su cento delle nostre». - Professor Aumento, tornando in Italia dopo quarant?anni di lavoro all?estero, ritiene che nel nostro Paese si possa fare seriamente la ricerca scientifica? «Si potrebbe anche fare. Ma esistono troppi controlli, troppi istituti superiori, troppa burocrazia. Prima di cominciare questa indagine sull?arcipelago della Maddalena, scrissi una lettera all?Enea per chiedere un aiuto. Mi risposero con una letterina molto gentile per dirmi che un ente pubblico non può aiutare gli esterni». (g. v.) Coinvolti esperti da tutto il mondo -------------------------------------------------------------------------------- ALL?indagine di Legambiente sull?arcipelago della Maddalena, diretta dal professor Fabrizio Aumento, hanno partecipato anche i seguenti studiosi italiani e stranieri: Robert L. Fleischer (il ?padre? degli studi sulle tracce nucleari), Research Professor of Geology, Union College Schenectady, New York; C. Jones, Professor of Nuclear Physics Union College Schenectady, New York; Massimo Esposito, fisico nucleare c/o C.N.R. Enea, Bologna; Asuncion Espinosa Canal, Directora Departamento de Impacto Ambiental de la Energia Proteccion Radiologica del Publico y Medio Ambiental, Madrid. Hanno contribuito inoltre Ellis Evans (Esperto Contaminazioni da Sellafield, Gran Bretagna; Radiological Protection Licensing Board, Londra; Jean Andru, direttore Dosirad-Kodak Pathè, Parigi. Radioattività nell?arcipelago Sottomarini nucleari sotto accusa Un?indagine di Legambiente apre nuovi interrogativi sulla base militare americana GIOVANNI VALENTINI -------------------------------------------------------------------------------- ROMA. La prima scoperta riguarda la presenza di plutonio. Tracce di radioattività sono state rilevate in una doppia indagine - coordinata da Legambiente e condotta da un gruppo di esperti italiani e stranieri - nell?arcipelago della Maddalena, intorno alla base navale americana dell?isola di Santo Stefano che ospita i sommergibili atomici. Questa presenza è artificiale, cioè deriva certamente da attività umane e si può attribuire con ogni probabilità all?insediamento militare Usa. Per il momento, non sono in pericolo né la salute degli abitanti né la balneazione. Ma oltre al plutonio, rilevato in quantità relativamente basse e comunque al di sotto dei livelli di sicurezza fissati dall?Euratom, ad allarmare i tecnici sono soprattutto gli hot spots (letteralmente, punti caldi), rintracciati sui campioni di alghe: si tratta di frammenti di ?carburante? nucleare, già irradiato e disperso nell?ambiente esterno, che potrebbero innescare gravi problemi di mutazioni genetiche a partire dai primi anelli della catena alimentare, causando danni irreparabili all?ecosistema della zona. L?ipotesi considerata più verosimile è che questi radionuclidi derivino da minuscole perdite accidentali dai reattori dei sottomarini atomici in transito oppure nel corso del loro rifornimento dalla nave-madre, durante la delicatissima operazione di ?ricarica? per sostituire il combustibile nucleare. Legambiente ritiene perciò «assolutamente necessario che le acque, la flora e la fauna dell?arcipelago della Maddalena vengano sottoposte a un programma straordinario di monitoraggio continuo, per verificare gli effetti dalla presenza di questo tipo di radioattività, utilizzando tecniche analitiche adeguate». Aggiunge il presidente dell?associazione, Roberto Della Seta: «Sarebbe altrettanto necessario prevedere anche un?indagine epidemiologica sugli abitanti dell?arcipelago e avviare un serio programma di dismissione della base nucleare Usa. C?è infatti una assoluta incompatibilità tra una tale struttura militare e un?area delicata e ad alta vocazione turistica come questa». Qualche mese dopo l?incidente del 25 ottobre 2003, quando il sottomarino a propulsione nucleare ?Hartford? urtò violentemente contro gli scogli della Secca dei Monaci, gli accertamenti eseguiti dalle strutture di controllo del nostro Paese e da alcune organizzazioni indipendenti esclusero - come si ricorderà - una contaminazione radioattiva. La società francese CRIIRAD, tuttavia, rintracciò in almeno due campioni di alghe la presenza di quantità anomale di torio 234: questo è, per così dire, il ?primogenito? del decadimento dell?uranio 238, una sostanza che emette raggi alfa e ha un tempo di dimezzamento di oltre quattro miliardi di anni, mentre il torio decade rapidamente, si dimezza in 24 giorni ed emette raggi gamma. Non furono rilevate tracce di radionuclidi artificiali che si dovrebbero rinvenire in seguito a perdite da un reattore nucleare danneggiato. E perciò, la conclusione fu che l?incidente del sottomarino non aveva causato alcuna contaminazione radioattiva. Restava da spiegare, tuttavia, la presenza di alte concentrazioni di torio senza il ?genitore? uranio. In tutte le indagini compiute nell?arcipelago della Maddalena, non è stata mai considerata né verificata però la presenza dell?elemento più pericoloso che si possa trovare in un reattore nucleare, nel combustibile e nelle scorie: il plutonio 239, un sottoprodotto che si forma nel bombardamento dell?uranio durante la generazione d?energia in un reattore nucleare o nell?esplosione di una bomba atomica. La sua presenza è considerata una prova certa della contaminazione prodotta da attività umane. Ma di solito non viene rilevata nelle analisi di ?routine? perché il plutonio emette solamente raggi alfa a bassa energia durante il suo decadimento, senza emissione di raggi gamma. La maggior parte dei laboratori, invece, sono attrezzati soltanto per lo studio di raggi gamma o comunque dispongono di strumentazioni limitate. Con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Ambientali Marine dell?Università della Tuscia e in particolare del professor Fabrizio Aumento, geologo marino, Legambiente ha risolto il problema ricorrendo al metodo dell?autoradiografia. Con questa tecnica, i campioni vengono messi a diretto contatto con pellicole sensibili solo ai raggi alfa di una particolare energia e per determinati periodi di tempo. Il programma predisposto dall?Università della Tuscia e dal responsabile scientifico di Legambiente, la biologa Lucia Venturi, ha prelevato campioni nell?area della Maddalena, di Santo Stefano e di Palau in due diverse fasi. La prima tra il 20 e il 22 febbraio, la seconda tra il 5 e l?8 maggio 2004. In totale sono stati raccolti più di 150 campioni tra alghe, sedimenti, graniti, ricci di mare, lumache marine, patelle, seppie e meduse in 37 diverse postazioni nell?area della Maddalena. Per un test di confronto, sono state poi raccolte alghe a Civitavecchia, ad Ansedonia, all?isola del Giglio, a Monte Argentario e nel Mar Baltico (Helsinki). Nei 14 campioni prelevati tra Lazio e Toscana non sono state trovate concentrazioni di tracce alfa al di sopra dei livelli di fondo. Dagli altri 127 raccolti lungo le coste della Maddalena, di Caprera e Palau (e dal Mar Baltico) sono emersi due tipi di distribuzione delle tracce. Tutti i campioni hanno rivelato tracce alfa distribuite uniformemente sulle intere superfici esaminate, con concentrazioni varianti da 0 a 50 tracce (media di 8) a centimetro quadrato per ogni giorno di esposizione. In 29 campioni (il 23%) sono risultate concentrazioni di tracce a forma di stella che contengono da 10 a più di 500 tracce individuali. La loro distribuzione e quella degli ?hot spots? mostra forti concentrazioni lungo tutta la costa esaminata: dal Nido d?Aquila alla Maddalena, inclusa Punta Nera, Cala Chiesa, Cala Camiciotto, Cala Stagnali, Punta Coda e Porto Palma. I picchi massimi si trovano lungo le coste settentrionali e orientali della rada di Santo Stefano, tutti siti che si affacciano sulla base dei sommergibili nucleari nell?isola di Santo Stefano. Le alghe raccolte nei dintorni di Palau, invece, sono praticamente prive di tracce alfa. Da dove provengono, allora, questi radionuclidi trans-uranici? Non sono prodotti da decadimenti naturali, ma provocati dal bombardamento di atomi di uranio 238 con neutroni, cioè in processi che avvengono nella propulsione nucleare, nelle esplosioni atomiche o nei disastri nelle centrali. Nel caso della Maddalena, la loro presenza non si può spiegare con residui di inquinamento ambientale, come accade negli incidenti o negli esperimenti nucleari. I consulenti di Legambiente ritengono molto più plausibile un?origine locale, vista anche la distribuzione delle concentrazioni di tracce alfa lungo le coste dell?Arcipelago. Da qui, prende corpo l?ipotesi che provengano da perdite accidentali di minuscole quantità di radionuclidi dai reattori dei sommergibili atomici in transito o durante il loro rifornimento dalla nave-madre, quando si effettua anche la delicatissima operazione di ?ricarica? del combustibile nucleare. E naturalmente, insieme alle ipotesi, sono destinate a riprendere corpo anche le polemiche sulla base nucleare americana di Santo Stefano.
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