sempre sull'uranio impoverito dala nuova sardegna stessa data





Il fantasma dell'uranio torna a far paura
Crescono i dubbi sulle smentite di un utilizzo di proiettili pericolosi a
Teulada e a Quirra


 SASSARI. E' la forza delle cose che sta aprendo una breccia nel muro del
silenzio. La paura, l'inquietudine e la rabbia stanno così irrompendo in
questa crepa, rendendo sempre più fragili le rassicuranti spiegazioni
istituzionali. Il detonatore di questa coscienza nuova, di questa irritata
attenzione alla lunga catena di dolore e di drammi umani forse legati all'
uranio impoverito, è stata la morte del caporal maggiore Valery Melis. La
fine del giovane di Quartu ha fatto resuscitare infatti vecchi fantasmi,
sbiaditi nella distratta metabolizzazione di tragedie sentite troppo
lontane. Eppure è da circa cinque anni che l'uranio impoverito viene
indicato come possibile causa di gravi malattie del sistema emolinfatico tra
i militari che hanno operato nei Balcani.
 I risultati ai quali è arrivata la Commissione Mandelli, istituita dal
ministero della Difesa per verificare se ci fosse un'anomalia nell'incidenza
dei tumori del sistema emolinfatico tra i militari italiani che hanno
operato nei Balcani, ormai non convincono più.
 Una commissione nata male, prima di tutto. Perché sarebbe stato sicuramente
più giusto che a volerla, e a guidarne il lavoro, fosse stato il Parlamento
e non il ministero della Difesa che in qualche modo è parte in causa. La
prima relazione venne spazzata via dopo l'intervento di Lucio
Bartoli-Barsotti, docente di Statistica al Politecnico di Torino: i calcoli
erano completamente sbagliati. Da buttare via, insomma.
 Anche sulla seconda relazione le ombre non sono poche. Falco Accame, ex
presidente della Commissione Difesa della Camera e ora presidente dell'
Ana-Vafaf, ha infatti contestato il numero di militari presi in esame.
Secondo lui nella statistica dovevano rientrare solamente i soldati che
effettivamente hanno operato nelle zone nelle quali si è fatto uso di
proiettili all'uranio impoverito. Utilizzando quei parametri, l'incidenza
dei tumori (che pure Mandelli ha considerato significativa) impazzirebbe.
 Come se non bastasse, poi, critiche autorevoli sono arrivate dall'interno
della stessa commissione. Il professor Martino Grandolfo ha infatti
denunciato: «Non abbiamo mai escluso che l'uranio possa essere letale». E ha
aggiunto: «Ho manifestato più volte l'esigenza di un approfondimento
scientifico del problema, ma non sono mai stato ascoltato».
 Il colpo di grazia al lavoro della Commissione Mandelli è arrivata dal
generale Fernando Termentini, che dal 1991 al 1999, ha lavorato alla
bonifica dei territori della Bosnia e del Kosovo nei quali sono stati
sparati proiettili al depleted uranium. Ebbene, Termentini, oggi malato di
cancro, ha raccontato la sua storia, dicendo di non essere mai stato
visitato dalla Commissione Mandelli.
 «Il mio caso - ha detto - praticamente non esiste».
 L'incredibile schizofrenia istituzionale davanti al "caso uranio" è nella
contraddizione profonda che esiste tra le verità ufficiali e gli stessi
documenti che circolano all'interno delle forze armate. Un esempio per
tutti: mentre ministri e generali si ostinano a dire che il "metallo del
disonore" non uccide, il colonnello Ferdinando Guarnieri l'8 maggio del
Duemila ha emanato una circolare alla brigata Folgore, alla Nembo, e alla
Col. Moschin, nella quale si legge: «La pericolosità dell'uranio si esplica
sia per via chimica, che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve
periodo, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo
periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si
sviluppa nei casi di irragiamento interno, la contaminazione interna».
 Come se non bastasse, nelle disposizioni firmate dal colonnello Guarnieri,
viene addirittura definito il profilo dei rischi: «In relazione alla
partecipazione del contingente italiano alle attività di supporto alla pace
in Kosovo, può essere considerato soggetto a rischio di contaminazione
interna da uranio colui che abbia soggiornato o operato in prossimità di un
obiettivo colpito da munizionamento a uranio impoverito o in aree dove siano
stati individuati proiettili o un frammento di essi».
 Parole che minano alle fondamenta le verità istituzionali.
 Ma ecco saltare fuori anche un'altra nota: la circolare Bizzarri. Osvaldo
Bizzarri è un colonnello dei reparti Nbc (specializzati nella guerra
nucleare, batteriologica e chimica) che nel 1999, dopo avere sottolineato i
rischi dell'uranio impoverito, indicava un codice di comportamento per i
militari che si trovavano a operare in teatro di guerra nei Balcani.
 Il caso di Fabio Cappellano ha poi riacceso in questi giorni i riflettori
sulla tragedia dimenticata di Quirra e di Escalaplano, rinnovando il
sospetto che nei poligoni sardi si sia fatto uso del "metallo del disonore".
 Due anni fa, esattamente nel febbraio 2002, venne detto che nel poligono
interforze del Salto di Quirra non era stato usato uranio impoverito «negli
ultimi dieci anni». Per quanto riguarda il periodo precedente, non
esistevano documenti che certificassero quale tipo di munizionamento fosse
stato utilizzato. Negli ultimi mesi, invece, si esclude categoricamente l'
utilizzo del "metallo del disonore" nei poligoni sardi. Non una
contraddizione, ma sicuramente una sbavatura che comunque deve fare i conti
con i 15 morti di tumore dell'emolinfatico a Quirra (appena 150 anime), i 13
bambini nati a Escalaplano con gravi deformità. Per non parlare dei 15 casi
di tumore alla tiroide diagnosticati sempre a Escalaplano.
 Il sospetto che sia stato usato uranio impoverito nei poligoni sardi ha
spinto nei giorni scorsi il Sindacato Autonomo di Polizia (Sap) a esprimere
preoccupazione per la salute dei poliziotti che si esercitano al Poligono di
Capo Teulada. La segreteria provinciale del sindacato ha infatti chiesto
chiarimenti alla propria amministrazione sulle iniziative per salvaguardare
la salute degli uomini che periodicamente vanno ad esercitarsi nel poligono
di tiro del Primo Reggimento corazzato».
 «Questa iniziativa - scrive il segretario provinciale Sandro Soru -
scaturisce dalla preoccupazione per i possibili rischi che provoca l'uranio
impoverito, utilizzato in un certo tipo di munizionamento. La preoccupazione
è stata avanzata nel corso degli incontri di verifica delle procedure
generali e rappresentata al direttore del reparto mobile».
 Ma è proprio di ieri l'ultima denuncia che dimostra la grave
sottovalutazione del "problema uranio impoverito". A farla è il maresciallo
Antonio Savino, presidente dell'Unac, l'Unione Nazionale dell'Arma dei
Carabinieri. «Abbiamo potuto verificare - ha detto ieri Savino - che, a
parte i rischi ai quali viene esposto il nostro personale in zone di guerra
come l'Iraq, i mezzi utilizzati in quei teatri e le divise utilizzate dai
nostri carabinieri non vengono "bonificate" al rientro in Italia».


  LA SCHEDA
Gli effetti tossici nell'organismo del "metallo del disonore"

 SASSARI. Perché viene utilizzato l'uranio impoverito e, soprattutto, quali
possono essere i suoi effetti sulla salute? Ecco una breve scheda nella
quale sintetizziamo quanto scritto dalla rivista medica on-line "Dica 33".
 L'idea di utilizzare l'uranio impoverito per proiettili perforanti risale
agli anni Cinquanta. I primi esperimenti sul campo furono però condotti solo
nel 1974, durante la guerra del Kippur. Furono gli Stati Uniti a fornire
questo nuovo tipo di munizionamento alle forze israeliane impegnate contro
la Siria, l'Egitto e la Giordania.
 Il primo impiego su larga scala, invece, risale al 1991, durante la prima
Guerra del Golfo. Erano caricati con l'uranio impoverito i cannoni dei
caccia anticarro A-10, dei carri armati M-1 e le testate dei missili da
crociera Tomahawk.
 Secondo alcuni studi fatti oltre quindici anni fa dal Dipartimento della
Difesa statunitense (e poi confermati a livello scientifico internazionale)
l'equipaggio dei carri armati (anche le corazze sono al depleted uranium) è
esposto a una dose di radiazioni che non supera i livelli di sicurezza
stabiliti per la popolazione.
 Il problema, infatti, non è tanto il problema delle radiazioni, quanto
quello chimico. Come tutti i metalli pesanti, infatti, l'uranio è tossico e
tende ad accumularsi nell'organismo. Il pericolo di intossicazione ha
origine nel fatto che, al momento dell'impatto, il penetratore di uranio si
polverizza, bruciando e sviluppando un calore superiore ai 2500 gradi. E'
proprio in seguito a questo effetto piroforico che l'uranio impoverito si
trasforma in una polvere sottilissima che si disperde nell'aria, nell'acqua
e nel terreno. Le particelle possono quindi essere inalate, bevute o
introdotte con gli alimenti.
 Per capire gli effetti del metallo sull'organismo è bene distinguere tra
esposizione esterna e interna. La prima, che dipende dall'emissione di
radiazioni, non viene considerata pericolosa per la bassa radioattività dell
'uranio impoverito (40% inferiore all'uranio naturale). Anche se oggi si
tende a credere che non esistano dosi di radiazioni innocue.
 Comunque, a oggi, non risulta che l'esposizione esterna all'uranio
impoverito causi tumori del sangue o tumori solidi.
 Il discorso cambia quando si parla di esposizione interna e anche la debole
radioattività delle particelle del metallo diventa pericolosa. Nei polmoni,
dove si fermano le particelle insolubili, infatti, si depositano ed
esercitano lentamente il loro effetto distruttivo.
 Quelle che si sciolgono nei fluidi, invece, entrano in circolo ed
esercitano il loro effetto tossico primariamente sui reni.
 Secondo uno studio effettuato da scienziati aderenti a movimenti pacifisti,
dopo la prima Guerra del Golfo, la leucemia è balzata dal settimo al quarto
posto per diffusione tra i tumori.
 Un dato che parla da solo.