I figli malformati dell'uranio - Nucleare, affari sporchi (da "Liberazione")



Messaggio di:
Sabrina Deligia
sabrina. deligia@liberazione. it


Questo è l'articolo più l'intervista al reduce da Liberazione del 29 maggio 2003. Invio anche l'articolo uscito il 13/6/2003 dal titolo: Nucleare, affari sporchi,
sommario: La vicenda scorie radioattive si arricchisce di nuovi e gravi
elementi. Il conflitto di interessi di Paolo Togni, capo di gabinetto del
ministero dell'Ambiente, ma anche vicepresidente Sogin.

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Liberazione 29 maggio
Titolo: Vittime italiane della "Sindrome del Golfo"
Sommario: Militari, civili e anche animali colpiti dalle stesse "stranezze"
genetiche

C'è chi non ha riconosciuto il figlio, c'è chi l'ha fatto e si è chiuso nel
dolore. I bambini nati malformati in Iraq, ma anche tra i militari americani
rientrati dalla prima guerra del Golfo, somigliano molto ai figli dei
militari italiani reduci dalle missioni in Somalia e in Bosnia, ma anche a
quelli dei civili, quelli nati nelle famiglie di Escalaplano. Paese
tristemente noto per l'alto numero di bambini nati con "stranezze"
genetiche, come ha denunciato Liberazione più di un anno fa. Ma anche per
l'alto numero di morti per leucemia e linfoma di hodgkin. Ma anche per i
tanti animali nati con due teste, orecchie al posto degli occhi, piedi
malformati. Escalaplano non è in Somalia, non è in Bosnia, non è in Iraq è a
solo quattro chilometri dal poligono militare di Perdasdefogu, in provincia
di Nuoro, Sardegna. Questo il problema.

C'è un nesso davvero grave tra queste tragedie, ed è la sindrome del Golfo,
o anche dei Balcani, o meglio quella causata dall'esplosione di proiettili
superperforanti all'uranio impoverito. Eppure nonostante i gravi lutti e
l'alto numero di militari e civili che si sono ammalati in Italia non esiste
un'inchiesta parlamentare, e le sei messe in piedi da altrettante procure
sono letteralmente ad un punto morto.

«E' necessario che le diverse indagini siano collegate, in modo da avere
un'unica istruttoria», dice Pasquale Vilardo, legale di alcune delle
vittime, come l'ex parà della Folgore Gianbattista Marica, l'unico a
costituirsi parte offesa nell'inchiesta romana ora nelle mani del pubblico
ministero Capaldo. Anche perché i casi segnalati all'Anavavaf,
l'associazioni delle vittime, presieduta dall'ammiraglio Falco Accame
continuano ad aumentare. Vittime come Marica, appunto, che in una memoria
consegnata al pm Capaldo ha raccontato la sua vicenda di militare inviato in
Somalia nel '93: «Sono stato per circa due mesi al campo di Jalalaqsu e
quindi a Mogadiscio, presso l'ambasciata italiana, per circa cinque mesi.
Qui partecipavo alla distribuzione del cibo, ai check point in zone già
bombardate dagli americani, alla cinturazione dei quartieri bombardati dagli
Usa». Esplosioni che avvenivano a poche centinaia di metri da Marica e
colleghi. Tornato in Italia, comincia il calvario: «Dopo circa sette mesi mi
venne diagnosticata una anemia emolitica, che precedette di circa un anno il
linfoma di Hodgkin». La stessa sorte toccherà, negli anni, a diversi suoi
colleghi.

Il 16 gennaio del 1991 l'Onu autorizzò l'operazione Desert Storm (tempesta
del deserto) per la quale gli Usa e gli altri stati della Nato schierarono
quasi un milione di soldati e migliaia di mezzi, terrestri, aerei e navali.
Il problema principale di questa guerra, legato all'uranio impoverito è che
i proiettili furono sparati mentre i soldati erano in azione (magari per
distruggere il nemico a poca distanza o per fornire copertura) e quindi i
soldati si trovarono anche a dover respirare il pulviscolo di carri o siti
distrutti da pochissimo o breve distanza. Alcuni militari alleati vennero
addirittura bombardati per errore da quello che viene definito fuoco amico
(e cioè dai loro stessi compagni) con proiettili all'uranio impoverito. Gli
Usa mandarono il maggior numero di uomini in guerra e proprio tra i reduci
si sviluppò una misteriosa sindrome denominata Golf War Syndrome (Gws)
riconosciuta dal Pentagono. Dei 697.000 soldati Usa che hanno combattuto nel
Golfo, più di 90.000 hanno accusato gravi problemi medici e molti di loro
hanno avuto figli con gravi malformazioni neonatali, le stesse dei bambini
nati nel primo dopo guerra in Iraq. Il problema vero è che già dalla guerra
del Golfo gli Usa avevano preparato un video con le precauzioni da prendere
e quali erano i rischi in caso di contatto o di inalazione delle polveri
scaturite dall'esplosione di proiettili all'uranio impoverito.

Ieri l'Osservatorio militare, l'associazione presieduta dal maresciallo
Domenico Leggiero ha presentatato in una conferenza stampa alla Camera -
presenti anche i deputati Edouard Ballaman (Lega Nord), Massimo Ostillio
(Margherita), Giuseppe Giulietti (Ds), Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi) e
padre Jean-Marie Benjamin - i risultati di una ricerca dell'Università di
Modena che sostiene la tesi che le polveri scaturite dalle esplosioni di
proiettili all'uranio impoverito, ma anche al tungsteno e di altro tipo,
potrebbero essere alla base delle patologie tumorali di cui sono affetti i
soldati italiani che hanno partecipato alle missioni. Ma questa è un'altra
storia.

Sabrina Deligia
sabrina. deligia@liberazione. it
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Liberazione 29 maggio
Occhiello: Parla un reduce dalla Somalia: «Il mio bimbo è nato con il palato
aperto fino alla faringe»
Titolo: Ecco i figli malformati dell'uranio

Questa testimonianza è stata tratta dall'inchiesta di Sigfrido Ranucci
trasmessa dal canale "All News" della Rai il 20 maggio, e mandata in onda
ieri mattina alle ore 7, 30 all'interno del notiziario di Rainews24. La Rai,
in quanto televisione pubblica, dovrebbe assicurare la massima diffusione al
video visto il delicato tema che tratta. Noi abbiamo scelto di farlo.


«Sono stato in missione in Somalia. Quando sono tornato, io e mia moglie
abbiamo deciso di avere un figlio, questo bambino è nato con una grave
malformazione fisica: aveva il palato aperto fino alla faringe». Parla per
la prima volta uno dei militari italiani impegnati nelle missioni in Somalia
e nei Balcani, in zone bombardate con armi all'uranio impoverito, che hanno
avuto figli con malformazioni genetiche.

«Io e mia moglie siamo andati dai medici per capire se questa malformazione
dipendeva da noi ma le analisi hanno escluso tare di tipo genetico che
avrebbero potuto causare questa malattia. Nel frattempo avevo saputo che
altri colleghi avevano avuto problematiche analoghe: c'era che aveva avuto
figli con problemi alla schiena chi al palato chi ai reni. Addirittura un
collega aveva rinunciato a riconoscere il figlio, tanto era rimasto
sconvolto». Il militare ha scelto che è ancora in servizio, racconta poi di
aver denunciato la vicenda al proprio comando, ma di avere ricevuto ordine
di non parlare perché altrimenti sarebbe stato trasferito.

Perché ha deciso di raccontare la sua storia?

Io penso che la storia del collega che non ha voluto riconoscere il figlio è
talmente sconvolgente, alcuni di noi hanno accettato la malattia e abbiamo
capito che non dipende da noi.

Erano tutti colleghi che erano stati in missione?

Erano colleghi che erano stati in Bosnia, Somalia, Balcani.

Lei ha sospetti che questa malformazione sia stata causata dal fatto che
abbia frequentato posti bombardati all'uranio impoverito?

Sì, io e gli altri colleghi siamo stati in siti bombardati dall'uranio.

Lei era a conoscenza di questo documento dal 1993 con il quale il Pentagono
informava le truppe sulle precauzioni per l'utilizzo di armi all'uranio
impoverito? (nel video si vede un documento datato 1993 Somalia).

No, l'ho saputo solo dopo che c'erano documenti americani, io ricordo che in
Somalia c'erano gli americani con strane tute e la cosa mi sorprese perché
faceva caldissimo.

Lei è ancora in servizio?

Sì.

Davanti a un magistrato parlerebbe?

Sicuramente sì.

Perché?

Io chiedo solo che qualcuno ci dica perché mio figlio è nato in queste
condizioni. Io non so se dipende dall'uranio impoverito o da altre cose.
Vorrei solo che qualcuno ci dicesse la verità.


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Da Liberazione 13 giugno 2003
Titolo: Nucleare, affari sporchi
Sommario: La vicenda scorie radioattive si arricchisce di nuovi e gravi
elementi. Il conflitto di interessi di Paolo Togni, capo di gabinetto del
ministero dell'Ambiente, ma anche vicepresidente Sogin


L'affaire scorie nucleari si arricchisce di nuovi elementi. Soprattutto uno:
il conflitto di interessi di Paolo Togni, capo di gabinetto del ministero
dell'Ambiente, ma anche vicepresidente della Sogin, la società pubblica
incaricata della gestione delle scorie nucleari.

Togni è il vice di Carlo Jean, il generale dotato per decreto di poteri
speciali da Silvio Berlusconi affinché trovi una equa soluzione tra imprese
e militari per il caso rifiuti radioattivi. Poteri degni dello stato di
guerra, come abbiamo già spiegato lo scorso 20 maggio. Il generale infatti,
su propria insindacabile decisione, può derogare a ben 21 tra leggi, decreti
ministeriali, circolari e contratti di lavoro. Ovvero, Jean è libero di
violare norme di tutela dell'ambiente, di controllo delle acque, di licenze
edilizie e di trasporto su strada, in mare e in ferrovia dei rifiuti
pericolosi.

E Togni dirige gli affari della Sogin anche fuori dalla società, visto che
questa è sottoposta al controllo dell'Apat (agenzia di protezione
dell'ambiente) che fa capo appunto al ministro dell'Ambiente Altero Matteoli
di cui lui è capo di gabinetto.

Qualche grave fatto. Togni, come ricorda il senatore del Prc Tommaso Sodano
che ne ha chiesto la rimozione dall'incarico al ministro Matteoli, poco
prima della sua nomina ministeriale risultava essere presidente della
filiale italiana della Waste Management, uno dei tre colossi mondiali del
settore dello smaltimento dei rifiuti e della produzione di energia. In
passato la multinazionale statunitense è stata coinvolta in inchieste
giudiziarie e amministrative tanto da essere oggetto di interrogazioni
parlamentari ed è finita sotto il controllo della Security and Exchange
Commission (l'ente di controllo della borsa Usa) sospettata di aver
falsificato i bilanci. La Waste si è anche interessata all'acquisto della
società Daneco, con interessi diretti sull'Isola d'Elba e guarda caso il
ministero dell'Ambiente ha più volte convocato i sindaci dell'isola per
proporre loro l'acquisto dell'impianto di smaltimento di rifiuti e di
affidare la gestione trentennale dello stesso alla multinazionale. Non solo:
Togni, in qualità di capo di gabinetto del ministro Metteoli, appena assunta
la sua carica ordinò il cambio di 23 dei 40 membri della Via, la commissione
di valutazione di impatto ambientale, e nei giorni scorsi il Tar ha
sentenziato che quelle sostituzioni furono illegittime intimando il
reintegro degli espulsi.

Suo anche il decreto ministeriale nel quale si prevedeva «un affievolimento,
anziché, un irrigidimento delle sanzioni per i soggetti che inquinano»
annullato lo scorso marzo con una sentenza dalla Corte dei Conti. Alla
gestione della "cosa pubblica" da parte di Togni si è interessato il
Ragioniere dello Stato per la mancata attuazione del decreto del presidente
della Repubblica, n. 178 del 2001 sulla nomina dei dirigenti, perché
appunto, in qualità di capo di gabinetto ha disposto il blocco di tutte le
attività dei direttori generali, con la motivazione che la Legge delega
sull'ambiente, (che deve essere licenziata dal parlamento) cambierebbe tutte
le competenze a loro attribuite.

Non ultimo il caso diossina in Campania. La regione, a seguito
dell'emergenza che ha riguardato gli allevamenti per la produzione del
latte, ha commissionato alla Sogin uno studio per accertare la presenza di
diossina sul territorio, in particolare per verificare se nell'area di
Acerra, interessata alla costruzione di un inceneritore, vi fosse presenza
di diossina. Dalle analisi della Sogin è risultato che non vi era traccia di
diossina nel terreno, quando invece la sostanza inquinante era stata
riscontrata dai prelievi del ministero della Sanità e di quello
dell'Agricoltura, in una concentrazione tale da far scattare l'allarme. «E'
evidente che Togni risulta essere in una condizione di conflitto di
interesse tra carica pubblica. funzioni pubbliche e attività private» spiega
il senatore Sodano nell'interrogazione.

Soprattutto tenendo conto che Togni si "occupa" di questioni di natura
delicata che investono la salute di milioni di cittadini, come appunto la
volontà di fare della Sardegna la pattumiera nucleare d'Italia. La Sogin,
infatti, è incaricata di individuare un "deposito unico nazionale" a prova
di terremoti e di attacchi terroristici ed ha messo a capo dell'operazione
il generale dell'esercito Carlo Jean, il quale ha immediatamente pensato
subito alle miniere abbandonate del Sulcis, dell'Inglesiente, del Sassarese
ed ai poligoni di tiro di Quirra, Perdasdefogu, Capo Teulada, che attendono
una nuova destinazione d'uso scatenando la rivolta sull'isola. E il governo
non ha smentito la scelta della Sardegna: «Da qualche parte questo materiale
- ha spiegato mercoledì in diretta tv il ministro Giovanardi - deve
obbligatoriamente essere stoccato». Vicenda che aggrava il conflitto di
interesse tra pubblico e privato visto che l'ordinanza firmata da Jean, in
qualità di commissario delegato dal governo - nonché presidente della Sogin
- è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 2 marzo scorso con un
"omissis" relativo alle disposizioni di sicurezza per gli impianti e i
depositi nucleari. Ma non è tutto. Jean, tra le altre cose, per gli appalti
di messa in sicurezza dei siti sceglie il metodo di «affidamento diretto -
si legge nell'ordinanza - delle attività a soggetti in possesso dei
necessari requisiti tecnico-professionali, con preferenza tra quelli che
sono risultati già aggiudicatari in Sogin spa di attività analoghe, previa
approvazione del commissario delegato». Segreto di Stato, dunque, e nello
stesso documento assegnazione diretta dei lavori: il tutto grazie ai poteri
speciali concessi a Jean da l capo del governo Silvio Berlusconi.

Sabrina Deligia
sabrina. deligia@liberazione. it