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armi nucleari - articolo del prof. Angelo Baracca
- Subject: armi nucleari - articolo del prof. Angelo Baracca
- From: Angelo Baracca <baracca at fi.infn.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Wed, 15 May 2002 23:28:08 +0200
Carissimi, vi allego un editoriale che uscira' sul prossimo "Giano" (se ve lo avevo gia' inviato scusatemi) e una nota aggiuntiva "a caldo" sull'accordo mediatico Bush-Putin ---------- Uno spettro si aggira ... Angelo BaraccaL’ultimo decennio del secolo che si è da poco chiuso ha frustrato le speranze che, con il crollo del Blocco dell’Est e la fine della guerra fredda, si fosse aperto un processo irreversibile di disarmo. Il primo decennio del secolo che si è da poco aperto sembra destinato a frustrare le speranze di una progressiva eliminazione degli armamenti nucleari, ed a riproporre anzi lo spettro del ricorso effettivo alla loro potenza distruttrice. L’inganno utilizzato dagli stati nucleari nel 1999 per indurre i paesi non nucleari a sottoscrivere il rinnovo del Trattato di Non-Proliferazione (Npt), accompagnandolo con l’impegno alla progressiva eliminazione delle armi nucleari, ora si rivela apertamente tale, senza che questo sollevi una levata di scudi da parte di coloro che erano stati ingannati. Sono almeno tre anni che sulle pagine di questa rivista denunciamo non solo la ripresa di una corsa al riarmo senza precedenti nella storia trainata naturalmente dalla potenza imperiale, sotto la spinta incontenibile delle proprie smanie di dominio e delle proprie paranoie (le une funzionali alle altre), della lotta ormai senza quartiere per il controllo diretto delle risorse e delle aree strategiche, nonchè last but not least dei potenti interessi del complesso militare-industriale ma anche l’impulso senza precedenti al perfezionamento delle testate nucleari, per farne un’arma “utilizzabile” sugli scenari di guerra del XXI° secolo (mentre il non meno parossistico perfezionamento degli armamenti considerati, nonostante tutto, “convenzionali” tende a sfumare sempre più la demarcazione tra i due settori: e, anche qui, una cosa è non solo complementare, ma funzionale all’altra). In fondo Bush non ha fatto altro, con la grossolana franchezza che contraddistingue il suo stile, che portare alla luce del sole, dichiarare apertamente, rendere ufficiali queste allarmanti tendenze latenti unicamente per il colpevole ed asservito silenzio dei penosi mass media nostrani.
Il budget statunitense per la difesa sembra destinato a raggiungere nell’anno in corso la cifra da capogiro di 379 miliardi di dollari (il 40 % della spesa militare di tutto il pianeta, più della spesa combinata delle 14 successive potenze miltari; Poco meno del Pil dell’India, quasi metà del Pil del Brasile, quasi un terzo del Pil dell’Italia!). Ma non ci si faccia abbagliare solo dall’iperbolicità della cifra: ancor più significativa ed allarmante è forse la progressione, dato che nel non lontano 2000 la spesa era di “soli” 270 miliardi di dollari! Un risultato che valeva bene la perdita delle Twin Towers e di tante vite innocenti. Fin dalla sua elezione Bush aveva dichiarato l’intenzione degli Stati Uniti di lavorare per una riduzione numerica degli arsenali nucleari molto al di sotto dei limiti imposti dai trattati Start (Strategic Armaments Reduction Treaty): in effetti l’obiettivo, perseguito in modo solo appena più sommesso anche dalla precedente amministrazione, è quello di puntare ad un radicale rinnovamento qualitativo degli arsenali, in modo tale da garantirsi una superiorità sia strategica che tattica veramente schiacciante rispetto ai pezzi da mueseo dell’arsenale russo (purtuttavia ancora micidiale, ed anzi tanto più pericoloso con il progressivo degrado del decrepito sistema d’allarme), ed anche al possibile livello che potrà raggiungere in futuro l’arsenale cinese, partendo dall’attuale ventina appena di missili intercontinentali (il che non toglie che Washington sorvegli da vicino, e con preoccupazione ed enfasi in gran parte pretestuose, gli sviluppi dei test cinesi, come emerse clamorosamente con la cattura dell’aereo spia americano il 1° aprile 2001). Il “giallo” della bocciatura nel 1999 da parte del Senato americano della ratifica del Ctbt (Comprehensive Test Ban Treaty) si rivela finalmente per quello che era: non già uno sfregio della maggioranza repubblicana all’amministrazione democratica, ma un passo di una strategia ben meditata. Una volta liberi di dire pane al pane insieme al rifiuto del “Protocollo di Kyoto”, alla disdetta unilaterale del Trattato Abm, al rifiuto della bozza di protocollo per le ispezioni di controllo della Convenzione sulle Armi Batteriologiche del 1972, al boicottaggio della Conferenza dell’Onu sul Commercio Illecito delle Piccole Armi, alla mancata ratifica del Trattato per l’eliminazione delle mine antiuomo, il boicottaggio della Conferenza di Durbans, per citare i casi più clamorosi è emersa chiaramente l’intenzione di non ratificare mai il Ctbt: il Vice Segretario alla Difesa Wolfowitz ha richiamato apertamente la possibilità di circostanze “in cui si dovrebbero contemplare” test nucleari, mentre il capo della National Nuclear Security informava il Congresso della sua cura per “migliorare l’operatività dei siti dei test”. L’amministrazione Bush ha anche ridotto i finanziamenti per i programmi si nonproliferazione, compresi gli aiuti alla Russia per arrestare la diffusione di armi di distruzione di massa. Da molti anni, come abbiamo documentato da tempo, gli Stati Uniti stanno investendo cifre ben superiori (come media annuale) a quelle dei tempi della guerra fredda in progetti per la realizzazione di sistemi sofisticati di simulazioni virtuali dei test nucleari che consentano di progettare e realizzare testate completamente nuove senza la necessità di test effettivi. L’amministrazione Bush aveva proposto immediatamente un aumento di più di 1,5 miliardi di dollari per il progetto e lo sviluppo di nuove testate nucleari. In questo quadro, la proposta lanciata in marzo da Bush di realizzare una nuova generazione di testate nucleari di piccola potenza (low yeld), capaci di penetrare profondamente nel terreno (300 metri di granito) prima di esplodere per distruggere bersagli rinforzati profondi, incominciò a circolare ufficialmente più di un anno fa. Del resto è ovvio che se il presidente di una nazione lancia una proposta come questa, essa gli è stata prospettata, ed è stata elaborata in precedenza dai tecnici del settore (come quando Reagan quasi 20 anni fa lanciò il progetto delle “Star Wars”, che i grandi laboratori nazionali di ricerca militare avevano elaborato). Si tenga presente anche che l’idea non è del tutto nuova: già tre anni fa circolava in Russia la proposta di realizzare una nuova generazione di mini-nukes (0,4 kilotoni) da utilizzare sul campo di battaglia.
Washington, d’altra parte, non ha mai rinunciato all’opzione del first use dell’arma nucleare: quattro anni fa ridicolizzò la timida proposta del Ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di rivederla. E la Russia ha rinnegato la tradizionale politica del no first use nella Nuova Dottrina Miltare e Nucleare adottata nel 2000. Siamo seduti su di una “polveriera” nucleare che potrebbe esplodere da un giorno all’altro. Due paesi dotati di capacità nucleare e missilistica, l’India e il Pakistan, l’uno a maggioranza induista l’altro mussulmano, si affrontano quotidianamente sulla contrastata frontiera nord-occidentale, in un clima di tensione crescente, aggravata dal succedersi di attentati terroristici. Uno dei due paesi è retto da un generale impostosi con un colpo di stato ed è percorso da tensioni esplosive, aggravate anzichè attenuate dalla guerra sull’Afganistan. Ma neppure il overno dell’altro gode di buona salute. Da un giorno all’altro potrebbe accadere l’irreparabile. Poco lontano da lì Israele sta appiccando il fuoco ad una situazione già esplosiva. Se quell’area dovesse esplodere (non dimentichiamo la ferma decisione di Washington di attaccare l’Iraq) e Israele dovesse sentirsi ulteriormente minacciato, come non ha esitato a riversare la propria superiorità militare sui pressochè inermi palestinesi, potrebbe facilmente decidere di fare ricorso al proprio formidabile arsenale nucleare, che ormai, dopo lunghi anni, ha ufficialmente riconosciuto di possedere.
La decisione di Washington di dotarsi di nuove testate di piccola potenza da usare effettivamente ben si inquadra nella strategia che viene lanciata dalla nuova amministrazione, e che si radicalizza sempre più dopo il fatidico 11 settembre. I nuovi eventi hanno un po’ messo in sordina il progetto dello scudo antimissili, ma la revoca unilaterale del Trattato Abm parla in maniera inequivoca. Fin dalla sua elezione Bush ha rilanciato con forza ed ulteriormente elaborato il progetto. Gli Stati Uniti, insomma, hanno deciso di accentuare l’impostazione offensiva della propria politica imperiale e del proprio sistema militare. La NATO è ormai declassata al ruolo di irregimentazione dei sudditi fedeli di serie A, inglobandovi via via quei paesi dell’ex-blocco sovietico che faranno i bravi (anche la Russia, chissà! Intanto Berlusconi fa da battistrada). Come alleanza offensiva non sembra più affidabile, o all’altezza: ad essa si demandano i compiti di gestire l’ordine e la ricostruzione nelle zone conquistate, in modo da liberare le truppe statunitensi per nuovi compiti offensivi. Dal fatidico 11 settembre il numero di soldati americani di stanza all’estero dovrebbe essere aumentato di ben 60.000 unità (dalle 247.000 precedenti: un aumento di quasi il 25 %): 13 nuove basi militari sono state stabilite in Asia, dalle repubbliche dell’Asia Centrale alla Georgia (qui ci sarebbe semmai da registrare il fallimento della politica di Putin, che si è accodato al volere americano ed ha ricevuto solo schiaffi: dalla denuncia unilaterale del trattato Abm, all’entrata diretta degli Usa nelle tradizionali aree di influenza di Mosca). In questo quadro lo scudo antimissili ben si sposa con la dotazione, e il possibile uso, delle nuove armi nucleari. Una strategia a tutto campo, volta al pieno dominio dello spazio, in funzione sia difensiva, per proteggersi dai possibili attacchi, sia soprattutto offensiva (data l’improbabilità di una minaccia diretta suicida; a meno che non faccia il gioco della strategia di Washington, come nel caso delle Twin Towers. E comunque, in quel caso, l’inaffidabilità del sistema di difesa).
In questo quadro non si può tralasciare di osservare, poi, le pressioni che si moltiplicano un po’ ovunque per la ripresa dei progetti di nicleare “civile”. Abbiamo sempre sostenuto che nucleare “civile” e nucleare “militare” sono due settori indissolubilmente legati, tanto sul piano tecnico, quanto su quello economico. Due opere della giornalista Dominique Lorentz ricostruiscono il losco ed inquietante passato degli affari nucleari. Stati Uniti, Francia ed Israele hanno sempre tenuto le redini di questi affari (anche quando De Gaulle abbandonò formalmente le Nato). Le prove della force de frappe in Algeria nel 1960 furono franco-israeliane. La Francia ha avuto un ruolo di subappaltatrice degli Stati Uniti: tutte le centrali vendute da Framatom sono sotto licenza Westinghouse, che ha detenuto il 45 % delle azioni di Framatom fino al 1975. Questi paesi, con qualche partner, sono stati i gestori diretti della proliferazione nucleare: franco-tedesca fu la collaborazione con il Sud Africa dal 1963; dopo il conflitto sino-indiano del 1962 fu la volta dell’India; poi del Brasile della dittatura militare; la Francia partecipa al programma nucleare del Pakistan dal 1976. Nel Golfo Persico si cominciò con l’Iran dello Scià, con la commessa di due centrali vendute daifrancesi e due dai tedesche, e l’ingresso con il 10 % di capitale nel consorzio Eurodif, che tutt’ora dà dirito all’Iran di ritirare la sua parte di uranio arricchito. Poi fu la volta dell’Iraq: la Francia costruisce una centrale, gli israeliani la bombardano, la Francia la ricostruisce, le bombe della Guerra del Golfo la distruggono nuovamente (c’è solo da chiedersi come bombardamenti e ricostruzioni abbiano fatto lievitare gli affari). Dopo la rivoluzione iraniana gli Stati Uniti hanno cercato, come è loro solito, di cavalcare la tigre Khomeini, che poi si è ritorta loro contro. La serie di attentati dal 1984 al 1990 potrebbero avere questo retroscena, finchè Mitterrand conclude l’accordo con l’Iran nel 1991. Anche i clamorosi test nucleari del 1995 sarebbero, secondo la giornalista, franco-americani: in effetti subito dopo i due paesi firmarono un accordo sullo scambio di dati. Qualche contentino è stato dato anche alla Russia, per portare a termine la centrale nucleare iraniana. Il Pakistan costituisce oggi uno dei principali problemi, ed è probabile che l’operazione in Afganistan avesse anche lo scopo non secondario di agganciare Islamabad. Il 2 novembre 2001 tre responsabili del programma nucleare pakistano vennero arrestati come collaboratori dei Taleban. Che cosa accdrebe se le forze fondamentaliste riuscissero un giorno a mettere le mani sulle testate nucleari? Da mezzo secolo le potenze imperialiste fanno il pericoloso gioco degli apprendisti stregoni nel nucleare; e oggi cercano di rilanciare un gioco che si fa sempre più incontrollabile e pericoloso.
Ultime notizie: anzi no! Angelo BaraccaProprio mentre stiamo per andare in stampa arriva la grande notizia mediatica: accordo definito storico tra Usa e Russia per ridurre ad un terzo la consistenza dei rispettivi arsenali nucleari! Peccato che non ci sia nulla di nuovo: anzi, l’accordo risulta piuttosto deludente rispetto a quanto da tempo ci si aspettava. Non ci riferiamo tanto agli “imbrogli” che l’accordo contiene: come il conteggio delle testate multiple (Mirv: Multiple Independently targetable Reentry Vehicles) come una sola testata, l’immagazzinamento delle testate anziché la loro eliminazione, l’ormai rassegnata accettazione da parte di Mosca dello “scudo antimissili” americano. Sono probabilmente i frutti del totale allineamento di Putin alla strategia americana dopo l’11 settembre. I punti veri, naturalmente sottaciuti o mistificati dai mass media, sono altri. Da almeno due anni su questa rivista li abbiamo documentati e denunciati. L’arseenale nucleare russo sta subendo un processo di progressivo ma rapido deperimento, il quale investe l’intero sistema difensivo (satelliti di allarme precoce, ecc.): Mosca sa bene che nei prossimi anni non potrà mantenere (e con grandi sforzi) più di 1.000 - 1.500 testate efficienti. Quanto a Washington, si era sentita ventilare più volte la proposta di puntare ad una riduzione degli arsenali a questo ordine di grandezza: gli Stati Uniti non puntano ormai più alla corsa agli armamenti per fiaccare l’Unione Sovietica, e se hanno rilanciato una corsa agli armamenti ancora più folle è per ben altri motivi! Abbiamo documentato negli articoli precedenti, e ripetuto in questa nota, che l’obiettivo di Washington è di puntare ad un arsenale nucleare “di qualità”, totalmente rinnovato, con testate di nuova concezione, progettate per l’uso effettivo sul campo di battaglia e contro bersagli sotterranei rinforzati. Il numero di 1.700 - 2.200 testate per parte, previsto nell’accordo, sembra quindi ancora nettamente sovradimensionato per entrambi i contraenti. Si può pensare che esso sia un primo passo, un primo compromesso per aggirare i sospetti e le opposizioni del Senato americano e di certe gerarchie miliari. Oppure che esso nasconda astuzie più sottili. Gli Stati Uniti non hanno ancora messo a punto i sistemi di simulazione dei test nucleari (anche se sembrano in stato avanzato), né il progetto delle “mini-nukes” ufficializzato da Bush-II: è probabile che non sia parso ragionevole fare il passo più lungo della gamba (tanto che Washington rifiuta persino di smantellare veramente le testate! Possono sempre tornare buone). Le vere intenzioni e le vere prospettive si vedranno nel corso del decennio da poco iniziato, misurando meglio come procedono concretamente i progetti attualmente in studio o in corso di realizzazione, vedendo quali saranno le effettive capacità ed intenzioni della Cina, l’evolvere della situazione internazionale, che potrebbe anche precipitare verso un baratro senza ritorno. Ancora una volta, purtroppo, non è suonata la campana del disarmo nucleare (non ci si precipiti a dichiarare che la “clessidra nucleare” è tornata indietro, o si è arrestata), ed è più che mai opportuno non cullare illusioni e non abbassare la guardia. Siamo i soliti pessimisti eternamente incontentabili? Mettiamo semplicemente in guardia dai conteggi sbrigativi e dalle risposte tranquillizzanti. Perché il problema risiede in quale sarà l’evoluzione futura, quali sono le vere intenzioni, quale sarà lo stato dei rapporti internazionali, come saranno costituiti e a che cosa saranno destinati gli arsenali nucleari. La polveriera su cui siamo seduti non sarebbe qualitativamente meno pericolosa, oggi, se nel mondo esistessero in tutto solo 500 testate nucleari: che rimarrebbero quantitativamente sufficienti a causare una catastrofe planetaria senza precedenti e senza ritorno. Se si tratterà di testate in parte totalmente rinnovate come efficacia, precisione e possibilità di utilizzo (com’è nei piani di Washington), in parte vecchie ma sempre meno affidabili e controllabili (com’è nelle possibilità di Mosca), in parte nuove (ad esempio nell’arsenale cinese), potrebbero essere più pericolose delle circa 15.000 testate attuali.
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