La Turchia spara in italiano



Da "Il Manifesto"  -  8 maggio 2001

La Turchia spara in italiano

Il fiorente mercato di armi tra Roma e Ankara deve fare i conti con i 
vincoli del Fmi 

DINO FRISULLO 

Quarto cliente per nuove commesse e ottavo per acquisti di 
armamenti italiani nel Duemila (rispettivamente per 88 e 37 
miliardi), la Turchia resta un mercato centrale per i nostri venditori 
d'armi, nonostante la lacerante crisi economica che ha imposto il 
taglio di 32 progetti di riarmo per un totale di quasi venti miliardi di 
dollari.

Progetti soltanto "rinviati, non cancellati", ha tuonato il capo di 
stato maggiore Kivrikoglu, che ha dovuto ingoiare il boccone amaro 
per consentire al ministro dell'Economia Kamal Dervis (candidato a 
succedere a Ecevit alla guida del suo partito e del governo) di dare 
ieri l'annuncio trionfale: il 15 maggio il Fondo monetario e la Banca 
mondiale decideranno sul prestito di oltre 17 miliardi di dollari, oltre 
35 mila miliardi di lire.

Infatti, il taglio di almeno il 30% delle spese militari, pari in Turchia 
a oltre il 3% del Pnl contro una media europea del 2,2%, era stato 
chiesto dal Fondo monetario, insieme al giro di vite sui salari e le 
spese sociali che ha fatto insorgere i sindacati. Ma i lavoratori si 
possono spremere, i militari no. "Vogliono forse abolire l'esercito? 
E che cosa siamo, il Lussemburgo?", ha protestato Kivrikoglu, 
dall'alto di un colosso militare-industriale esentasse che, con le 
sigle Oyak e Tsk, controlla oltre cinquanta compagnie e produce 
armamenti, ma anche il 47% delle automobili e il 10% del cemento 
di tutto il paese.

Certo, qualcosa si dovrà tagliare. La Turchia acquisterà sei aerei-
radar Awacs invece di otto e rinuncerà all'acquisto degli elicotteri 
Usa per trasporto truppe della Sikorsky. Non rinuncia invece al 
sogno folle il cui costo preventivato, secondo molti analisti, è fra le 
cause del tracollo economico: un sistema di missili balistici da 
teatro (l'Arrow o il Pac-3, offerti alla Turchia dal nuovo viceministro 
della Difesa Usa Wolfowitz, o il progetto europeo Janus, cui 
partecipa anche l'Alenia Marconi) che, insieme agli Awacs e al 
recente Turksat 2A, primo satellite turco a fini militari, darebbe alla 
Turchia, in tandem con Israele, la supremazia strategica sul mondo 
arabo.
Il sogno della supremazia spaziale e balistica costringerà invece la 
Turchia a rinviare il gigantesco piano di riarmo convenzionale, 
centrato sull'acquisto di ottocento elicotteri e mille nuovi tanks. E' 
probabile che ci si "accontenti", per ora, di comprare cinquanta 
King Cobra della Bell, per blandire il potente alleato, e di 
ammodernare i carri armati e la potente flotta di 370 elicotteri: due 
operazioni da circa mezzo miliardo di dollari l'una.

E' qui che potrebbero rientrare in gioco le aziende italiane. Forse 
per questo, ieri è stata rinviata "sine die" l'apertura 
dell'imbarazzante processo di Benevento contro ventiquattro 
pacifisti (inclusi chi scrive e don Vitaliano Della Sala) per il presidio 
del locale stabilimento dell'Agusta nell'estate del '99. Una vasta 
mobilitazione, che coinvolse molti delegati del gruppo, costrinse la 
Turchia a preferire a quelli della "inaffidabile" Agusta gli elicotteri 
made in Usa e in Russia. Ma l'Agusta potrebbe ora rientrare in 
gioco, contando sul fatto che sono suoi un terzo degli elicotteri 
turchi, già ampiamente usati nella guerra antikurda.

Anche l'Oto-Breda incrocia le dita. La polemica con la Francia sul 
genocidio armeno ha comportato l'esclusione del colosso francese 
Giant dal grande business dei carri armati, e l'azienda italiana 
potrebbe inserirsi nella competizione fra l'israeliana Imi e la General 
Dynamics per dotare di nuovo armamento i Leopard-1 e gli M-60.
Ma nuovi cannoni e mitragliere, dall'aria e da terra, possono 
sparare proiettili nuovi. Anche vietati. In Svizzera ha fatto scandalo 
l'annuncio in Internet, "per errore", delle micidiali "cluster bombs" 
da parte dell'azienda turca Ucman. Il governo tedesco ha ammesso 
la vendita "in prova" alla Turchia di munizioni con testata chimica, 
come quelle che nel '99 sterminarono con il gas venti guerriglieri 
presso Sirnak. E la Turchia è fra i paesi che negli anni Novanta 
hanno acquistato proiettili all'uranio impoverito. Forte degli accordi 
militari e di intelligence stretti negli ultimi mesi con la Croazia, 
l'Egitto, la Siria, la Grecia, il Pakistan e i paesi frontalieri del Mar 
Nero, il regime turco si rivolge più che mai al nemico interno, i kurdi 
ma anche i militanti della sinistra. Contro i quali la guerra è 
"sporca" per definizione.