[WWW][MAN] Ocalan: chi paga le granate sui kurdi?



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04 Luglio 1999     


Chi paga le granate sui kurdi?
L'ammontare del debito estero turco equivale alle spese per la guerra 
- LUCIANO BERTOZZI - ROMA 


All'indomani del vertice del G-8 di Colonia, che ha affrontato anche la
questione del debito dei paesi "in via di sviluppo", abbiamo chiesto a
Nicoletta Dentico, della campagna Sdebitarsi, quale sia il peso del rapporto
fra debito e spese militari, con particolare riferimento alla Turchia. "Il
legame fra indebitamento e spese per gli armamenti - spiega la Dentico - e`
una delle implicazioni piu` odiose e inaccettabili del debito. Odiosa, ma
assai rilevante, se si pensa che quasi un terzo dei 2200 miliardi di dollari
di debito accumulati dai paesi "in via di sviluppo" verso i governi
creditori nel 1997 e` riconducibile alle operazioni di prestito e di
acquisto di materiale bellico, con il coinvolgimento delle banche, delle
imprese e delle agenzie di assicurazione del credito all'esportazione dei
paesi ricchi. Odiosa, anche perche' il debito alimentato dalle spese di
armamenti e` quasi sempre legato a compiacenze con governi corrotti e regimi
deficitari per democrazia ed rispetto dei diritti umani.


La Turchia ha un debito estero elevato eppure, secondo il Sipri, il
prestigioso istituto di ricerche svedesi sulla pace, e` stata una delle
principali importatrici mondiali di armamenti.

La Turchia spende la maggior parte del proprio budget nella guerra contro i
kurdi. Si arma rapidamente e, soprattutto negli ultimi anni, ha investito
notevoli somme di denaro nell'acquisto di materiale bellico. Nei 14 anni di
lotta contro il Pkk (1984-1998), la Turchia ha speso 86 miliardi di dollari,
una cifra che si avvicina moltissimo all'ammontare del debito estero turco,
92 miliardi di dollari. Si tratta di un circolo vizioso che tutti
alimentano, a partire dai paesi membri della Nato che esportano armi verso
la Turchia, intoccabile alleata, in barba ai codici di condotta sul
commercio delle armi adottati a livello europeo, o, come nel caso
dell'Italia, nonostante la legge 185/90 che vieta l'esportazione a paesi
coinvolti in conflitti, o che violano i diritti umani. Stando ad alcuni
rapporti del Sipri relativi al periodo 1984-1995, la Turchia avrebbe speso
61 miliardi di dollari per il riarmo: nel '94 e` stata il maggior acquirente
di armi nel mondo, nel '95 il secondo, nel '96 il settimo. L'impunita` e`
una delle regole fondamentali nel gioco del debito, sia per chi presta in
modo scriteriato sia per chi prende a prestito investendo in brutali
repressioni denari non suoi. Noi contribuenti occidentali, e soprattutto il
popolo turco e quello kurdo, pagheremo due volte il prezzo del business
insanguinato della guerra.


Quella nel Kurdistan turco ha costi notevolissimi: Ankara vuol risolvere la
"questione kurda" in maniera militare e cio` rende necessario l'acquisto di
un sempre maggior numero di armi, dunque l'enorme spesa per gli armamenti,
gia` disposta dal governo per i prossimi anni non potra` che far lievitare
il debito turco?

Lo stato turco prende i soldi a prestito, aumenta i prezzi e crea fondi
speciali per trovare le risorse finanziarie necessarie a sostenere la
guerra. Tuttavia, le spese sono cosi` elevate che la Turchia non riesce
neppure a ripagare gli interessi maturati sui debiti interni ed esteri. Solo
per fare un esempio, nel periodo gennaio-settembre 1998 gli interessi sui
debiti accumulati avevano raggiunto la somma di circa 13 miliardi di
dollari. A partire dal 1998, Ankara ha pagato 48 milioni di dollari al
giorno su questi debiti. Detto in altre parole, ogni cittadino turco ha
versato 209 dollari per la guerra contro i kurdi, nei soli primi nove mesi
del 1998. Alla Turchia converrebbe molto cogliere al balzo la proposta di
Ocalan per una soluzione democratica della questione kurda. E la pace
servirebbe a evitare nuovi inutili massacri: i principi "umanitari" della
Nato non troveranno mai applicazione contro i leader militari turchi.
Servirebbe a garantire un po' di stabilita` nella regione e a spezzare
quella spirale di insolvenza economica, che gia` oggi inficia seriamente
ogni vera possibilita` di sviluppo del paese.


E' evidente che le spese di guerra e un debito cosi` elevato hanno pesanti
conseguenze anche sulla qualita` della vita dei turchi.

Guerra e debito ipotecano seriamente il futuro sviluppo della regione,
alimentando invece l'economia dell'illegalita` e della corruzione. Infatti,
in Turchia si e` deciso di ricorrere ai proventi derivanti dal traffico
della droga, dal contrabbando e dal riciclaggio del danaro sporco. Stando ai
dati del Programma internazionale per il controllo della droga dell'Onu e
della statunitense Dea, il traffico mondiale della droga produce proventi
per un totale di 500-600 miliardi di dollari ogni anno. Secondo Sinasi
Aydemir, contabile della Commissione di ispezione del ministro delle finanze
di Ankara, la fetta della Turchia nel mercato della droga ammonta a 60
miliardi di dollari ogni anno. Il primo ministro turco ha dichiarato
d'altronde che la partecipazione turca nel traffico di droga rappresenta il
38% a livello mondiale, il 60% a livello europeo.


L'Italia, come altri gli paesi piu` industrializzati, gioca un ruolo
importante nella lievitazione del debito turco (ad esempio con le vendite di
armi). Cosa possono fare qui i cittadini contrari a quel traffico?

Bisognerebbe innanzitutto rendersi conto che la questione del debito non e`
un problema lontano, che riguarda qualche miliardo di persone povere lontano
da noi, ma e` un problema che ci vede direttamente coinvolti, in quanto
cittadini che pagano le tasse. Cosi` come i poveri del sud devono sostenere
l'onere della restituzione, noi contribuenti paghiamo l'esposizione e i
rischi delle banche che concedono cattivi prestiti, delle aziende i cui
crediti restano insoluti. Nel caso specifico della vendita di armi alla
Turchia, i cittadini italiani hanno il dovere di richiamare il governo alla
rigorosa applicazione della legge 185 sul commercio delle armi, che
impedisce l'esportazione ai paesi coinvolti in conflitti o guerre interne,
ai governi che non rispettano i diritti umani, o che investono piu` per la
difesa che per la salute e l'istruzione. Infine, la Sezione speciale per
l'assicurazione del credito all'esportazione (Sace), ente pubblico sotto il
controllo del ministero del commercio con l'estero e del Tesoro, e`
pesantemente coinvolta nel controverso progetto Ilisu, la costruzione della
piu` grande diga turca, sul fiume Tigri, nel Kurdistan turco. A Ilisu
partecipa l'azienda italiana Impregilo, della famiglia Fiat, che ha un costo
di 32 miliardi di dollari, ed e` fortemente discutibile in quanto si calcola
che il suo impatto ambientale, economico e archeologico sia enorme. Un
tipico megaprogetto, dal quale persino la Banca mondiale si e` ritirata nel
lontano 1984. In Italia c'e` una campagna per bloccarne la realizzazione,
sostenuta tra gli altri da Amnesty International e da "Un Ponte per ...":
tutti possiamo, e dobbiamo mobilitarci perche' la costruzione di questa
diga, che serve piu` gli interessi imprenditoriali di un ristrettissimo
numero di aziende che le popolazioni di quell'area, sia fermata. 



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