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IRAQ - Il popolo vuole le truppe straniere
12 Novembre 2003
IRAQ - Il popolo vuole le truppe straniere
Baghdad (AsiaNews) - L'Iraq è lacerato da attentati e da contraddizioni.
Frange di sconosciuti, presenti nel paese, utilizzano l'arma del terrorismo
per mandare via gli uomini della coalizione di liberazione. Questa frangia
si crede portavoce di un diffuso malcontento interno, pronto ad esplodere.
Eppure non è così.
Yahia Said, un ricercatore del Centro Studi per la Governance Globale, era
fuggito dall'Iraq nel '79. È stato un membro attivo del Movimento degli
Studenti Irakeni in Esilio. È ritornato in Iraq dopo 25 anni.
Iil 6 novembre scrive un resoconto, pubblicato su Open Democracy, per
mettere in chiaro i pro e i contro della presenza delle truppe di
liberazione. E inizia con un concetto chiaro: la maggior parte della
popolazione ritiene l'Iraq sicuro, e che la situazione sta tornando normale.
"E per normale" , aggiunge Yahia Said, "si intende quel periodo che precede
l'invasione del Kuwait nel 1991. La maggior parte degli iracheni ritiene
infatti che quel movimento di truppe, voluto esclusivamente da Saddam, sia
stato la causa scatenante di tutti i loro mali."
Prima della Guerra del Golfo I, la situazione del paese era diversa: la
polizia non era ancora così politicizzata, e provvedeva al benessere
pubblico. La trasformazione in squadre legate al raìs ha instaurato un clima
di terrore che si sta sciogliendo in questi giorni. E sono i soldati
stranieri, per Yahia, ad aver creato questo clima.
Il giovane Said si ritrova inoltre ad essere testimone di tanti cambiamenti,
in un paese devastato che torna alla luce.
Il primo cambiamento, quello che si avverte di più, riguarda la caduta del
partito Ba'ath. I suoi membri, una fetta considerevole della popolazione,
non fanno più parte di alcun organo ufficiale. La polizia irachena, adesso,
non è più un gruppo di uomini usati politicamente, ma un'istituzione usata
per mantenere l'ordine nelle strade del paese. Yahia sente delle scuse
uscire dalla bocca di un poliziotto e ne rimane sconvolto.
Le strade delle città che visita, Baghdad e Amara (a nord di Bassora) sono
migliorate sensibilmente rispetto al periodo del regime di Hussein. I
negozi, i ristoranti, i bazar, sono fiorenti e vendono merci che prima, a
causa dell'embargo, non potevano neanche sognare. Said si stupisce che i
bambini adesso possono anche mangiare banane, un frutto sparito ai tempi
dell'embargo. Le strade sono piene di macchine nuove. Adesso le macchine non
sono più sinonimo di leader del Ba'ath, e non fanno più paura. La
popolazione esce per mangiare fuori.
Said si interessa anche della situazione dei suoi coetanei. Il giovane
iracheno si incontra infatti anche con gli esponenti della gioventù
universitaria, che si preparano a protestare, liberamente, contro il
Ministero della Pubblica Istruzione, che vorrebbe un solo gruppo
universitario all'interno del paese. Protestano anche contro gli esponenti
dell'esercito USA, che hanno occupato un ostello all'interno della
Università di Baghdad in maniera del tutto arbitraria. E tutto questo è
segno di una libertà riconquistata.
Nel suo resoconto inserisce anche un dato importante: egli rivela che la
maggioranza del popolo iracheno (al 60 % donne), non vuole l'allontanamento
delle truppe straniere.
Il popolo vuole che le truppe restino perché sono viste come custodi di una
situazione di tranquillità all'interno della nazione.
"Alcuni reportage che sono scritti a Baghdad sembrano voler dire - afferma
Yahia - che il popolo appoggia gli attentati compiuti contro le truppe della
coalizione in quanto li vede come una legittima resistenza all'invasore". In
realtà, egli dice, negli otto giorni trascorsi a parlare con la sua gente
non ha sentito nessuno esprimersi in termini negativi verso le forza armate
alleate che controllano l'Iraq. Anzi, nei confronti dei militari, sempre più
spesso vittime di attentati, egli vede crescere stima da parte dei suoi
connazionali, siano essi poveri o benestanti.
Ad ogni modo, gli irakeni non hanno particolari sentimenti di trasporto
verso le truppe straniere.
I bambini che salutano i soldati vengono rimproverati. Spesso coloro che
parlano della presenza straniera nel paese la giudicano come una
"coincidenza di interessi" fra loro e i locali. Questi ultimi sono grati per
essere stati liberati dal regime.
Sulla matrice dietro agli attentati contro la coalizione, Yahia Said dice
che non si può negare un'impronta irachena. Gli attentati terroristi
risulterebbero inattuabili se gli ideatori fossero solo stranieri, ma non è
il popolo a volere la cacciata degli stranieri.
"Il partito Ba'ath è stato smembrato in maniera troppo sommaria," dice Said
"E la sua caduta ha lasciato senza controllo una gran parte degli organi
pubblici. Inoltre, non è stato possibile giudicare i suoi membri in maniera
equa, e questo non è giusto. Coloro che appartenevano al partito, ricavavano
tutto dal partito, e adesso non hanno nulla."
La presenza irachena fra gli attentatori deriva forse da coloro che hanno
perso tutto.
La situazione irachena, continua a dire, non è splendida, ma se le truppe
straniere lasciassero il paese, l'Iraq diverrebbe simile all'Afghanistan o
ai Balcani. L'omicidio di tre giudici, avvenuto in settimana, dimostra come
il bersaglio adesso sia cambiato. Proprio la magistratura, come la polizia,
è stato uno dei rami subito strappati al Ba'ath da parte della coalizione, e
chi esercita la professione di giudice o poliziotto è assolutamente in
pericolo. "La violenza" dice Said, "Di qualunque stampo,colore o fede
politica, può distruggere l'Iraq."
E conclude: "L'Iraq vuole avere il controllo del proprio futuro, e diventare
libero ed indipendente. Il popolo è stanco di violenza, qualunque ne sia il
pretesto. E' stanco di vuota retorica e di vuote ideologie. La maggior parte
degli iracheni vuole semplicemente caricarsi addosso i pezzi frantumati
della loro vita e andare avanti. Chiunque si interessi realmente a loro deve
aiutarli semplicemente a fare questo" (vfp).