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Der Spiegel: Il Padrino - Il dossier Berlusconi
- Subject: Der Spiegel: Il Padrino - Il dossier Berlusconi
- From: "José F. Padova" <jospadov@tin.it>
- Date: Tue, 8 Jul 2003 10:49:51 +0200
Da: "Il Corriere della Sera"
L'intervento dell'europarlamentare tedesco Martin Schulz
D'accordo con Di Pietro :«Il collega Antonio Di Pietro ha ragione quando
parla del pericolo che il virus del conflitto d'interessi arrivi in Europa».
Sulla giustizia :«Che cosa pensa di fare per accelerare la procura europea?
E sul reciproco riconoscimento dei documenti per le rogatorie? E non
accelererebbe le riforme in Italia sulla giustizia con un mandato di
cattura europea?».
Sull'immunità : « Nonostante tutto mi rallegro di poter discutere con lei.
Questo lo dobbiamo all'ex presidente del Parlamento europeo Nicole
Fontaine: se lei non fosse riuscito a ritardare tanto il procedimento
concernente l'immunitá sua e del suo assistente Dell'Utri, oggi lei non
avrebbe più l'immunitá di cui ha tanto bisogno. Anche questa è una veritá
che deve essere detta».
Su Umberto Bossi .«La benché minima affermazione di quest'uomo è peggiore
di tutto ciò che questo Parlamento ha deciso contro l'Austria e
l'appartenenza dei liberal-nazionali (di Joerg Haider) al governo di
Vienna. Lei, signor presidente del Consiglio non è responsabile per il
quoziente d'intelligenza dei suoi ministri, ma per quel che essi dicono sì.
Le dichiarazioni di Bossi, suo ministro, che lei non ha nominato in alcun
modo, non sono conciliabili con la carta dei diritti dell'Unione Europea».
La replica del Presidente di turno della Ue Silvio Berlusconi
La frase sul kapò :«Signor Schulz, so che in Italia c'è un produttore che
sta facendo un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per
il ruolo di kapò, lei sarebbe perfetto».
La difesa: «Io avevo risposto con ironia, lei invece ha parlato solo con
cattiveria. Invito gli amici e i colleghi socialdemocratici ad ampliare le
loro frequentazioni al di là dei loro colleghi italiani che si trovano nel
Parlamento e la loro cultura al di là dei giornali di estrema sinistra che
hanno fornito loro queste convinzioni».
Ai deputati socialisti che battevano le mani per protesta: «Se questa è la
forma di democrazia che intendete usare per chiudere le parole del
presidente del Consiglio europeo vi posso dire che dovreste venire come
turisti in Italia, ma che qui sembrate turisti della democrazia».
Nella conferenza stampa con Prodi e Cox: «La mia era una battuta, non era e
non voleva essere un'offesa. Era soltanto una battuta ironica, forse c'è
stata una traduzione non ironica. Ho detto che era perfetto per la parte,
l'ho detto sorridendo e alludendo al suo tono di voce imperativo e al suo
gesticolare. Volete criminalizzare una battuta? Un attore che incarna una
parte in un film può anche pensarla in modo opposto al personaggio che
interpreta».
Il Padrino - Il dossier Berlusconi
Der Spiegel 27/2003 den 30. Juni 2003 - Dossier
http://premium-link.net/$62535$2104806234$/0,1518,814_pkt_00085-255056,00.html
(Traduzione dal tedesco di José F. Padova)
A casa sua sfascia la Giustizia, fa della televisione una sua serva, si fa
ritagliare dal Parlamento leggi su misura. Ora il capo del governo italiano
Silvio Berlusconi deve rappresentare l'Europa. I suoi colleghi dell'Unione
Europea si preoccupano perché la sua presidenza passi senza far danni.
L'irritazione giunse da una direzione inaspettata - dal Presidente della
Repubblica, Palazzo del Quirinale.
Eppure proprio poco prima Carlo Azeglio Ciampi, nonostante forti dubbi
circa la sua costituzionalità, aveva firmato e quindi promulgato una legge
sull'immunità che a nessun altro scopo serviva se non quello di proteggere
il capo del Governo, Silvio Berlusconi, 66 anni, dalla prosecuzione di un
processo penale altamente imbarazzante. Adesso lo zar dei media, che
governa a Roma, con la medesima spudoratezza - i suoi avvocati difensori
penalisti, nella loro funzione di deputati parlamentari del partito di
Berlusconi, fanno parte degli estensori della legge controversa - voleva
risolvere anche un altro problema scabroso. Infatti Berlusconi manda in
onda più reti televisive di quelle che gli sarebbero permesse dalla legge
vigente. Entro la fine dell'anno, così prescrivono sentenze della Corte
Costituzionale, egli deve vendere uno dei suoi tre canali o limitarlo alle
trasmissioni via satellite.
Per impedire ciò, i deputati della sua coalizione di maggioranza - fra i
quali ancora una volta i suoi avvocati - hanno raffazzonato un progetto di
legge che dovrebbe permettergli anche in futuro di trasmettere quanti
programmi vuole, in barba alle disposizioni antitrust. Tuttavia questa
volta Ciampi si è messo di traverso: la scorsa settimana ha fatto giungere
sottomano ai parlamentari un inequivocabile messaggio - questa legge
"salva-Berlusconi" non l'avrebbe più firmata. Una di troppo, dopo tante
altre.
Finalmente e per una volta tanto della sabbia si è infilata fra i troppo
lubrificati ingranaggi d'Italia.
Fino a quel momento nella Repubblica di Berlusconi c'era stata una sola
regola: diventa legge ciò che è utile al piccoletto da metri 1,64 con un
ego enorme. Quello che lo disturba deve essere eliminato. Berlusconi era
entrato in politica, lo dice egli stesso, per risolvere i suoi problemi
penali ed economici. Ed ha fatto tutto ciò in un modo che finora nelle
democrazie europee non era neppure immaginabile- l'Italia viene
trasformata a seconda delle necessità del suo capo del governo.
Della separazione dei poteri, fondamento di una forma dello stato
pluralistica e democratica, ben presto non si fa più parola. Berlusconi è
il capo dell'esecutivo, del governo; egli comanda anche sul legislativo,
dove fa elaborare leggi su misura per lui, e nello stesso tempo è all'opera
per smantellare il bastione indipendente costituito dalla magistratura.
La funzione critica e di controllo dei mezzi elettronici di comunicazione è
come minimo ampiamente scardinata: 90 per cento dei telespettatori guardano
programmi che direttamente o indirettamente sottostanno all'influsso di
Berlusconi. L'uomo più ricco del Paese (patrimonio stimato fra sei e sette
miliardi di euro, reddito tassato nell'anno fiscale 2001 oltre undici
milioni di euro) controlla un impero gigantesco con circa 150 imprese,
banche e partecipazioni nelle assicurazioni, con un giro d'affari annuo da
4 a 5 miliardi di euro. Gli appartengono, totalmente o in parte, accanto
alle emittenti televisive Italia 1, Canale 5 e Rete 4, anche emittenti
radio, società di distribuzione o vendita di film, video TV e home-video,
produzione e noleggio, una catena di cinema con più di 200 sale, la più
grande agenzia pubblicitaria, Publitalia, e la casa editrice prima in
Italia per fatturato, Mondatori, che pubblica anche il settimanale di
notizie più venduto, "Panorama". Suo fratello è l'editore del quotidiano
"Il Giornale" - a motivo delle leggi antitrust. 25'000 persone lavorano
direttamente per le sue imprese, oltre alle quali vi sono migliaia di
collaboratori indipendenti e di impiegati in imprese nelle quali egli ha un
influenza indiretta.
Il suo partito Forza Italia, qualcosa come "Vorwärts Italien ", il grido di
battaglia per infiammare gli spiriti della squadra nazionale di calcio, è
la componente più numerosa in Parlamento. Esso gli ubbidisce alla lettera.
Lo ha fondato come fosse una azienda, molti deputati di Forza sono stati
scelti fra i suoi consiglieri personali e distribuiti nelle liste
elettorali.
Appena entrato nella sua funzione pubblica, subito si mise a fare piazza
pulita nella televisione di stato RAI. I critici di Berlusconi furono
cacciati via, per aver fatto "uso criminale" (Berlusconi) dei loro
programmi mediatici. Lo scorso giugno si staccò la spina perfino a Enzo
Biagi, 82, che da anni regolarmente, dopo il telegiornale di RAI 1, parlava
per cinque minuti alla coscienza di tutta la nazione. Il commentatore aveva
le più alte quote di ascolto di tutti i programmi RAI. Nel frattempo la TV
di Stato è addomesticata e ancor più intercambiabile con i canali privati
di Berlusconi.
Nel dicembre scorso contro una simile "mescolanza di interessi di estrema
intensità" fra politica e media mise in guardia il "Rapporto sullo stato
dei diritti fondamentali nell'Unione Europea", pubblicato dal Parlamento
europeo. E il Consiglio europeo constatò in gennaio di quest'anno, dopo che
un gruppo di esperti ebbe studiato il caso Italia: "Il conflitto
d'interessi fra l'incarico politico del sig. Berlusconi e i suoi interessi
privati, economici e mediatici, è una minaccia contro il pluralismo dei
mezzi di comunicazione".
Da martedì di questa settimana in poi, per metà dell'anno, l'uomo sarà alla
testa del Consiglio degli Stati europei e dei capi di governo. L'Europa lo
accetta in silenzio, si vergogna e in ogni caso nel chiuso delle stanze
della politica disapprova il fatto che secondo i turni il "lider maximo"
del Tevere sia in fila per essere il "sig. Europa" durante sei mesi.
Chiudere un occhio ma tenerne due aperti - è il motto dei suoi 14 colleghi.
Per una volta tanto a Bruxelles lo sgradito, rapido cambio della guardia al
vertice dell'Unione Europea riacquista un poco di attrattiva. "E' una
fortuna che la presidenza duri così poco", un po' si rallegra Monica
Frassoni, copresidente dei verdi nel Parlamento Europeo.
Infatti non è soltanto la sovrabbondanza di potere che inquieta i suoi
partner nell'Unione, non soltanto il fatto che lui, il Padrino della
politica italiana, trasforma la Repubblica romana secondo i suoi interessi
- ciò che in Europa rende veramente nervosi gli uomini politici di rilievo
è la consapevolezza umiliante di essere rappresentati da qualcuno che molti
Europei ritengono semplicemente un furfante.
Infatti, sebbene Berlusconi senta talvolta in sé "l'odore della santità",
fin dall'inizio della sua rapida carriera è sempre stata in cattiva luce:
ora come sempre, l'origine del capitale con cui ha dato l'avvio al suo
impero è oscura;
l'amicizia, per lui lucrosa, con il presidente del Consiglio Bettino
Craxi, in seguito colpito da sentenze passate in giudicato, ebbe fine nella
palude dei finanziamenti illegali ai partiti e della corruzione di
"Tangentopoli", che portò al crollo del sistema politico;
davanti ai tribunali i pentiti hanno riferito di relazioni di Berlusconi
e del suo entourage con la Mafia siciliana (cosa però finora non ancora
dimostrata con sentenze definitive);
falsificazioni dei bilanci hanno accompagnato la sua ascesa economica e
politica.
L'Italia è oggi una "democrazia senza legalità", deplora Leoluca Orlando,
già sindaco di Palermo e noto anche come autore e per la sua coraggiosa
lotta contro la Mafia. Con la Presidenza dell'Unione Europea Berlusconi
porta "la cultura dell'illegalità in Europa - proprio il contrario di
quello di cui la Comunità Europea ha bisogno".
Non vi sono dubbi, Berlusconi è stato eletto democraticamente. Degli
italiani con diritto di voto il 13 maggio 2001 andò alle urne l' 81,4 %. Il
risultato, in base alla legge elettorale escogitata, è stato evidente: i
candidati della coalizione guidata da Berlusconi, Casa delle Libertà (Cdl),
ottennero 177 seggi su 315 al Senato, 368 su 630 alla Camera. Nella Cdl
coabitano Forza Italia, di Berlusconi, Alleanza Nazionale (AN) proveniente
dal Movimento Sociale, fascista, la Lega Nord, populista e xenofoba e
qualche scaglia partitica organizzata alla democristiana.
La coalizione di destra deve in parte la sua riuscita alla cassa elettorale
gonfia da scoppiare. La campagna elettorale ha inghiottito 50 milioni di
euro. L'alleanza di centro-sinistra Ulivo in questo campo non poté tenere
il passo. Anche le armi mediatiche erano impari: le TV di Berlusconi
mostrarono il candidato dell'Ulivo, l'ex sindaco di Roma Francesco Rutelli,
da gennaio a fine aprile 2001 per 42 minuti in tutto - Berlusconi al
contrario per quasi 5 ore.
A quello si deve aggiungere il talento di Berlusconi per la messa in scena
politica. Giorno dopo giorno ha mandato in scena, come manda tuttora come
regista e interprete, il Berlusconi-show: Re Silvio, il buon padre di
famiglia, l'imprenditore di successo, il patrocinatore di tutti gli
italiani.
Nel frattempo spesso e volentieri prende la parola dalla sua sfarzosa
stanza di lavoro nella sua villa S. Martino ad Arcore, con rubinetti d'oro
e 147 stanze, situata in un gigantesco parco alle porte di Milano. Allora
siede con allegria e ottimismo, accanto a vasi cinesi e sotto imponenti
quadri ad olio con cornici dorate, davanti ad una pregiata scrivania, su
una poltrona come su un trono, e proclama al suo popolo di telespettatori
frasi come: "Farò tutto per non deludervi".
Il "Cavaliere", come si fa adulare sui media in quanto fregiato dell'Ordine
dei Cavalieri del Lavoro, prepara le sue entrate in scena internazionali
con acribìa [Zingarelli: accurata e scrupolosa osservanza delle regole
metodiche proprie di uno studio, una ricerca e sim .]. In occasione del
Vertice G8 a Genova di due anni fa si occupò personalmente che agli alberi
di limone, piuttosto spogli, posti all'ingresso del municipio fossero
attaccati con fili sottili altri frutti supplementari. Inoltre controllò,
pure di persona, le quinte teatrali di stiropor e gesso che il 28 maggio
dello scorso anno, a Pratica di Mare durante l'incontro Russia-NATO,
simulavano antichità romane.
Anche nei contatti con i suoi colleghi stranieri Berlusconi per lo più fa
"bella figura". Al presidente degli Stati Uniti George W. Bush è piaciuto
al primo contatto, come pure al suo fraterno collega moscovita Vladimir
Putin. Racconta barzellette sporche, suona il piano, canta, sia successi
americani sia melodie popolari napoletane, prende ciascuno sottobraccio e
gli dichiara che lui è "il suo migliore amico".
Nasce il 29 settembre 1936 in un quartiere piccolo-borghese di Milano
dall'impiegato di banca Luigi Berlusconi e dalla casalinga Rosella. Il
papà, classe 1908, gli fa vedere quanto possano fare ottenere zelo e
parsimonia, che nel corso della sua vita di lavoro lo portano a diventare
il direttore generale della Banca Rasini. Se un dipendente chiedeva una
nuova matita, si racconta, papà Berlusconi si sarebbe fatto mostrare il
mozzicone di quella vecchia.
Il figlio Silvio studia legge, lavora inoltre come rappresentante di
aspirapolvere, intrattenitore e cantante sulle navi da crociera e infine in
una impresa di costruzioni, nella quale si fa largo fino a esserne il
gestore. Nel 1961 diventa indipendente, la sua impresa Edilnord nel 1963
costruisce in un sobborgo di Milano appartamenti per 4'000 persone. Più
tardi edifica la città satellite Milano 2, con abitazioni per 10'000. Il
finanziamento di questi progetti è avvolto nel mistero. Si dice che il
papà, nel frattempo pensionato, lo abbia aiutato nel procurarsi il
capitale. Si parlò di finanziatori svizzeri, ma chi siano stati e chi si
celasse dietro ad essi fino ad oggi non è stato chiarito.
Infine l'ascesa di Silvio come miliardario inizia con la società
finanziaria Fininvest - il nocciolo del suo attuale impero.
Il 31 marzo 1975 il professor Gianfranco Graziadei, capo di Servizio Italia
e un 88enne di origine ceca, Federico Pollack, vicepresidente di una ditta
Saf, registrano a Milano la Finanziaria di Investimento Fininvest Srl.
Entrambi agiscono su incarico di un certo Giancarlo Foscale.
Costui due anni più tardi, a Roma, fonda la Fininvest Roma Srl. Il 7 maggio
1979 entrambe le società si fondono nella Finanziaria d'Investimento
Fininvest Srl con sede a Milano. Nel consiglio di amministrazione siedono
Silvio Berlusconi, come presidente, suo fratello Paolo e ancora Giancarlo
Foscale, suo cugino.
Prima e durante la fusione vi furono fra le due società Fininvest
avventurosi flussi di denaro: importi di milioni si spostavano qua e là, il
capitale sociale venne aumentato e diminuito, crediti e debito
contabilizzati - un trasferimento finanziario permanente che agli estranei
appariva insensato.
Dal giugno 1978 partecipano attivamente all'operazione le società Holding,
che sono pure loro costituite in serie e si chiamano Holding Italiana 1,
Holding Italiana 2, Holding Italiana 3 e così via. Già nella prima fase ne
sorgono 23, alla fine dell'operazione "Holding", nel 1981, ve ne saranno 38.
I fondatori, iscritti negli atti costitutivi di queste scatole cinesi,
erano piuttosto ignoti negli ambienti economici: gente semplice con piccoli
redditi, casalinghe e pensionati. In realtà, come risultò in seguito dalle
ricerche fatte dalla Procura, dietro 35 delle 38 società-scatola si
nascondevano Silvio Berlusconi e i suoi amici. Come Berlusconi ebbe ad
affermare, egli avrebbe proceduto alla costituzione delle holding, in massa
e sotto i nomi di terze persone, per aggirare noiose formalità burocratiche
e accelerare i tempi. Per questi motivi avrebbe coinvolto suoi conoscenti.
Investigatori della polizia e pubblici ministeri misero in dubbio la
versione fornita. Secondo gli esperti la giungla di società e lo
sconcertante spostamento di importi milionari aveva un solo scopo:
occultare la provenienza dei soldi che alla fine erano approdati sui conti
Fininvest di Berlusconi. Mediante le Holding Italiana sarebbe stato
effettuato il lavaggio del denaro della mafia, questo il sospetto.
Per questi motivi nel 1994 fu avviata un'indagine contro Silvio Berlusconi
e il suo più stretto collaboratore e amico da lunghi anni, Marcello
Dell'Utri. Con un faticoso lavoro di anni gli specialisti della DIA
(Direzione Investigativa Antimafia), un'unità speciale della polizia per la
lotta alla criminalità organizzata, aprirono un varco nella foresta dei
documenti di bonifico e di cassa.
La pista condusse ad una lista di 25 pagamenti a favore della Fininvest,
rinvenuta presso uno dei consulenti fiscali di Berlusconi. Nelle casse
dell'azienda berlusconiana fra il 25 febbraio 1977 e l'agosto 1978
affluirono in totale 16,94 miliardi di lire (a quel tempo equivalenti a
circa 45 milioni di DM). E poi, cosa veramente non consueta, una parte
consistente del denaro fu versata in contanti.
Da allora non cessano le voci secondo le quali il capitale iniziale di
Berlusconi sarebbe costituito da denaro sporco. Elementi che hanno rotto
con l'ambiente mafioso, i cosiddetti pentiti ( ted.: Reumütig ), hanno
riferito, durante interrogatori di polizia o come testimoni in tribunale,
che Berlusconi e il suo amico del cuore Dell'Utri avrebbero trattato droga
( sic: ted. dealen, voc. Langenscheidt ) e fatto all'occasione dei buoni
affari.
Antonino Giuffrè , il luogotenente del "boss dei boss" Bernardo Provenzano,
arrestato nell'aprile dello scorso anno, nel gennaio 2003 davanti a un
tribunale di Palermo ha affermato che Berlusconi a quel tempo si sarebbe
perfino incontrato con Stefano Bontade, allora uno dei capi mafiosi.
Il supertestimone ha incolpato soprattutto Dell'Utri, che diresse per anni
l'azienda pubblicitaria di Berlusconi e che organizzò per lui nel 1992 la
fondazione del partito Forza Italia, e ha localizzato l'amico di Berlusconi
come "vicino a Cosa Nostra". Dell'Utri per lunghi anni sarebbe stato una
specie di agente di collegamento fra la Mafia e Berlusconi. Quando poi il
progetto di partito Forza Italia si mise in moto, il superboss Provenzano
avrebbe personalmente detto a lui, Giuffré, che con questa nuova formazione
politica si sarebbe stati "in buone mani", che si poteva "fidarsi di loro".
Queste affermazioni di testimoni non possono essere verificate, come molte
altre precedenti. Stefano Bontade è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco il
23 aprile 1981, appena dopo il suo compleanno. Bernardo Provenzano è
latitante da quasi 40 anni.
E' morto anche un altro interessante membro della Mafia siciliana, l'ex
capo clan della Famiglia di Porta Nuova, Vittorio Mangano , che all'inizio
degli anni '70 si trasferì con madre, moglie e figli nella villa di
Berlusconi ad Arcore, come una specie di "factotum", così dice Berlusconi.
Testo originale:
Der Pate - Die Akte Berlusconi
Der Spiegel 27/2003 den 30. Juni 2003 - Dossier
http://premium-link.net/$62535$2104806234$/0,1518,814_pkt_00085-255056,00.html
Zu Hause demontiert er die Justiz, macht sich das Fernsehen untertan, lässt
sich vom Parlament Gesetze nach Bedarf schneidern. Nun soll Italiens
Regierungschef Silvio Berlusconi Europa repräsentieren. Die EU-Kollegen
bangen, dass seine Ratspräsidentschaft schadlos vorübergeht.
Der Ärger kam aus unerwarteter Richtung - vom Staatspräsidenten aus dem
Quirinals-Palast.
Gerade eben noch hatte Carlo Azeglio Ciampi trotz heftiger Zweifel an der
Verfassungsmäßigkeit ein Immunitätsgesetz unterzeichnet und damit in Kraft
treten lassen, das keinem anderen Zweck diente, als Regierungschef Silvio
Berlusconi, 66, vor der Fortsetzung eines hochnotpeinlichen Strafverfahrens
zu bewahren. Jetzt wollte der in Rom regierende Medienzar mit der gleichen
Schamlosigkeit - seine Strafverteidiger gehörten in ihrer Funktion als
Parlamentsabgeordnete seiner Fraktion zu den Autoren des umstrittenen
Gesetzes - schnell noch ein anderes heikles Problem lösen. Denn Berlusconi
sendet mehr Fernsehprogramme, als er nach geltendem Recht darf. Bis zum
Jahresende soll er, so schreiben es Auflagen des Verfassungsgerichts vor,
einen seiner drei Kanäle verkaufen oder auf die Ausstrahlung via Satellit
begrenzen.
Um das zu verhindern, haben Abgeordnete seiner Mehrheitskoalition - unter
ihnen wiederum seine Rechtsanwälte - den Entwurf eines Gesetzes gebastelt,
das ihm erlauben soll, auch künftig unbehindert von Kartellvorschriften so
viele Programme auszustrahlen, wie er will. Doch diesmal legte sich Ciampi
quer: Den Parlamentariern ließ er vorige Woche unter der Hand eine
eindeutige Botschaft zukommen - dieses Rettet-Berlusconi-Gesetz würde er
nicht mehr unterzeichnen. Nicht noch eins, nach all den andern.
Endlich einmal geriet Sand ins allzu geschmierte politische Getriebe Italiens.
Bis dahin hatte es in der Berlusconi-Republik nur eine Regel gegeben:
Gesetz wird, was dem 1,64 Meter kleinen Mann mit dem großen Ego nützt. Was
stört, muss weg. Berlusconi war in die Politik gegangen, das sagt er
selbst, um seine juristischen und wirtschaftlichen Probleme zu lösen. Und
er tat es in einer Art, die bislang in europäischen Demokratien nicht
vorstellbar war - Italien wird umgebaut nach den Bedürfnissen seines
Regierungschefs.
Von Gewaltenteilung, Grundlage einer pluralistischen demokratischen
Staatsform, kann bald keine Rede mehr sein. Berlusconi ist Chef der
Exekutive, der Regierung; er hat ebenso das Kommando über die Legislative,
wo er maßgeschneiderte Gesetze verabschieden lässt, und gleichzeitig ist er
eifrig dabei, die unabhängige Bastion der Justiz zu schleifen.
Die Kritik- und Kontrollfunktion zumindest der elektronischen Medien ist
weitgehend ausgehebelt: 90 Prozent der Fernsehzuschauer sehen Programme,
die direkt oder indirekt Berlusconis Einfluss unterliegen.
Der reichste Mann des Landes (geschätztes Vermögen: zwischen sechs und zehn
Milliarden Euro, versteuertes Jahreseinkommen 2001: über elf Millionen
Euro) kontrolliert ein gigantisches Imperium mit etwa 150 Firmen, Bank- und
Versicherungsbeteiligungen, mit vier bis fünf Milliarden Euro Umsatz im
Jahr. Ihm gehören, ganz oder zu Teilen, neben den Fernsehsendern Italia 1,
Canale 5 und Rete 4, auch Radiosender, Vertriebsgesellschaften für Filme,
Fernsehfilme und Homevideos, Produktions- und Verleihfirmen, eine Kinokette
mit mehr als 200 Sälen, die größte Werbeagentur, Publitalia, und das
umsatzstärkste Verlagshaus des Landes, Mondadori, das auch das
meistverkaufte Nachrichtenmagazin ("Panorama") publiziert. Die Tageszeitung
"Il Giornale" leitet - aus kartellrechtlichen Gründen - sein Bruder. 25 000
Menschen arbeiten direkt für seine Firmen, dazu kommen Tausende von freien
Mitarbeitern und Beschäftigten von Unternehmen, auf die er mittelbaren
Einfluss hat.
Seine Partei Forza Italia, etwa "Vorwärts Italien", ein Schlachtruf zum
Anfeuern der italienischen Fußballnationalmannschaft, ist die stärkste
Kraft im Parlament. Sie gehorcht ihm aufs Wort. Er hat sie gegründet wie
eine Firma, viele Forza-Abgeordnete sind von seinen Personalberatern
ausgesucht und auf die Wahlkreise verteilt worden.
Kaum war er im Amt, räumte er beim Staatsfernsehen RAI auf.
Berlusconi-Kritiker wurden verjagt, weil sie "kriminellen Gebrauch"
(Berlusconi) von ihren medialen Möglichkeiten gemacht hätten. Selbst Enzo
Biagi, 82, der seit Jahren regelmäßig nach den Hauptnachrichten der RAI 1
der ganzen Nation fünf Minuten lang ins Gewissen redete, wurde vorigen Juni
abgeschaltet. Dabei hatte der Kommentator mit die höchsten Einschaltquoten
aller RAI-Programme. Inzwischen ist das Staatsfernsehen handzahm,
weitgehend austauschbar mit Berlusconis Privat-Kanälen.
Für eine derart "hochgradige Interessenvermischung" von Politik und Medien,
warnte im Dezember letzten Jahres der "Bericht über die Lage der
Grundrechte in der Europäischen Union" des EU-Parlaments, "sollte in einer
Demokratie kein Platz sein". Und der Europarat konstatierte im Januar
dieses Jahres, nachdem eine Expertengruppe den Fall Italien studiert hatte:
"Der Interessenkonflikt zwischen dem politischen Amt von Herrn Berlusconi
und seinen privaten Wirtschafts- und Medien-Interessen ist eine Bedrohung
der Medienpluralität." Von Dienstag dieser Woche an wird der Mann nun für
ein halbes Jahr dem Rat der EU-Staats- und Regierungschefs vorstehen.
Europa nimmt es schweigend hin, verschämt und allenfalls in politischen
Hinterzimmern Kritik daran übend, dass der "Máximo Líder" vom Tiber
turnusmäßig an der Reihe ist, für sechs Monate "Mr. Europa" zu sein.
Augen zu und durch - heißt die Devise seiner 14 Unionskollegen. Auf einmal
gewinnt in Brüssel der ungeliebte rasche Wechsel an der EU-Spitze wieder an
Reiz. "Ein Glück, dass die Präsidentschaft so kurz ist", freut sich etwa
Monica Frassoni, Co-Vorsitzende der Grünen im Europäischen Parlament.
Denn es ist ja nicht nur die Machtfülle, die seinen Unionspartnern
unheimlich ist, nicht nur die Tatsache, dass er, der Pate der italienischen
Politik, die römische Republik zu eigenem Nutzen umbaut - was Europas
Spitzenpolitiker wirklich nervös macht, ist das beschämende Bewusstsein,
von jemandem vertreten zu werden, den viele Europäer schlicht für einen
Gauner halten.
Denn obzwar Berlusconi an sich selbst zuweilen den "Geruch von Heiligkeit"
verspürt, stand er seit Beginn seiner steilen Karriere immer wieder im
Zwielicht:
· Nach wie vor ist die Herkunft des Startkapitals für sein Imperium unklar.
· Die für ihn lukrative Freundschaft zu dem später rechtskräftig
verurteilten Ministerpräsidenten Bettino Craxi endete im Parteispenden- und
Korruptionssumpf von "Tangentopoli", der zum Zusammenbruch des politischen
Systems führte.
· Vor Gericht berichten Kronzeugen von Beziehungen Berlusconis und seiner
Entourage zur sizilianischen Mafia (was allerdings bislang nie
rechtskräftig nachgewiesen wurde).
· Eine ganze Kette von Strafanzeigen und Prozessen wegen Betrugs,
Steuerhinterziehung und Bilanzfälschung haben seinen wirtschaftlichen und
politischen Aufstieg begleitet.
Italien sei heute eine "Demokratie ohne Legalität", klagt Leoluca Orlando,
einst Bürgermeister Palermos und auch als Autor bekannt durch seinen
mutigen Kampf gegen die Mafia. Mit der italienischen EU-Präsidentschaft
bringe Berlusconi "die Kultur der Illegalität nach Europa - das Gegenteil
dessen, was die Gemeinschaft braucht".
Kein Zweifel, Berlusconi ist demokratisch gewählt worden. Von 49 256 295
wahlberechtigten Italienern gingen am 13. Mai 2001 immerhin 81,4 Prozent
zur Wahl. Das Ergebnis war auf Grund des ausgeklügelten Wahlrechts
eindeutig: 177 von 315 Sesseln im Senat, 368 von 630 Sitzen in der
Abgeordnetenkammer bekamen die Kandidaten der von Berlusconi geführten
Koalition Casa delle libertà (Cdl). Das Haus der Freiheiten bewohnen
Berlusconis Forza Italia, die aus dem faschistischen Movimento Sociale
hervorgegangene Alleanza Nazionale (AN), die populistisch-fremdenfeindliche
Lega Nord und etliche christdemokratisch ausgerichtete Splitterparteien.
Erfolg verdankt die Rechtskoalition zum Teil ihrer prall gefüllten
Kriegskasse. Der Wahlkampf verschlang 50 Millionen Euro. Das
Mitte-links-Bündnis Ulivo konnte da nicht mithalten. Auch die medialen
Waffen waren ungleich: Berlusconis TV-Sender zeigten den Ulivo-Kandidaten,
Roms Ex-Bürgermeister Francesco Rutelli, von Januar bis Ende April 2001
insgesamt 42 Minuten lang - Berlusconi dagegen fast fünf Stunden.
Dazu kam Berlusconis Talent zur politischen Inszenierung. Tag für Tag gab
er, gibt er bis heute, als Regisseur und Hauptdarsteller, die
Berlusconi-Show: König Silvio, der gute Hausvater, der erfolgreiche
Unternehmer, der Anwalt aller Italiener.
Besonders aus seinem prunkvollen Arbeitszimmer in seiner Villa San Martino
in Arcore, mit goldenen Wasserhähnen und 147 Zimmern, in einem riesigen
Park vor den Toren Mailands gelegen, meldet er sich inzwischen oft und gern
zu Wort: Da sitzt er dann als Strahlemann, neben chinesischen Vasen und
unter wuchtigen goldgerahmten Ölgemälden, an einem edlen Schreibtisch, auf
einem Stuhl wie ein Thron und verkündet seinem Fernsehvolk Sätze wie: "Ich
werde alles tun, euch nicht zu enttäuschen."
Internationale Auftritte bereitet der "Cavaliere", wie er sich als Träger
des Verdienstordens "Ritter der Arbeit" in den Medien hofieren lässt, mit
Akribie vor. Er sorgte beim G-8-Gipfel in Genua vor zwei Jahren persönlich
dafür, dass an die etwas kargen Zitronenbäume am Rathaus-Eingang mit dünnen
Fäden zusätzliche Früchte geknüpft wurden. Er kontrollierte ebenfalls
persönlich die Kulissenbauten aus Styropor und Gips, die beim
Russland-Nato-Treffen am 28. Mai letzten Jahres in Pratica di Mare römische
Antike vortäuschten.
Auch im persönlichen Kontakt mit seinen Amtskollegen macht Berlusconi meist
"bella figura". Dem US-Präsidenten George W. Bush gefiel er auf Anhieb,
genauso wie dessen Moskauer Amtsbruder Wladimir Putin. Er reißt Witze, er
spielt Klavier, er singt, ob amerikanische Schlager oder neapolitanische
Volksweisen, nimmt jeden in den Arm und versichert ihm, er sei "sein bester
Freund".
Fleißig, tüchtig und einnehmend soll schon der junge Silvio gewesen sein.
Am 29. September 1936 wird er in einem kleinbürgerlichen Viertel Mailands
als Sohn des Bankangestellten Luigi Berlusconi und der Hausfrau Rosella
geboren. Papa, Jahrgang 1908, macht ihm vor, was Strebsamkeit und
Sparsamkeit bewirken können: Er bringt es im Laufe seines Arbeitslebens bis
zum Generaldirektor der Banca Rasini. Wenn ein Mitarbeiter nach einem neuen
Bleistift verlangte, hieß es, Vater Berlusconi habe sich zur Kontrolle den
Stummelrest des alten Stiftes vorlegen lassen.
Sohn Silvio studiert Jura, arbeitet nebenher als Staubsaugervertreter,
singender Conférencier auf Musikdampfern und schließlich in einer Baufirma.
Dort boxt er sich bis zum Geschäftsführer hoch. 1961 macht er sich
selbständig, seine Firma Edilnord zieht 1963 in einem Mailänder Vorort
Apartments für 4000 Bewohner hoch. Später baut er die Trabantenstadt Milano
2, mit Wohnungen für 10 000 Menschen.
Die Finanzierung solcher Projekte liegt im Dunkeln. Der inzwischen
pensionierte Papa habe ihm bei der Kapitalbeschaffung geholfen, heißt es.
Von Schweizer Geldgebern war die Rede, doch wer diese gewesen sind, wer
hinter ihnen steckte, ist bis heute ungeklärt.
Endgültig beginnt Silvios Aufstieg zum Milliardär mit der
Finanzgesellschaft Fininvest - dem Kern seines heutigen Imperiums.
Am 31. März 1975 melden Professor Gianfranco Graziadei, Chef von Servizio
Italia und ein 88-jähriger gebürtiger Tscheche, Federico Pollack,
Vizepräsident einer Firma namens Saf, in Mailand die Finanziaria di
Investimento Fininvest Srl an. Beide handeln im Auftrag eines gewissen
Giancarlo Foscale.
Der lässt drei Jahre später, in Rom, die Fininvest Roma Srl entstehen. Am
7. Mai 1979 verschmelzen beide Unternehmen zur Finanziaria d'Investimento
Fininvest Srl mit Sitz in Mailand. Im Verwaltungsrat sitzen Silvio
Berlusconi, als Präsident, sein Bruder Paolo und eben Giancarlo Foscale,
ihr Vetter.
Zwischen den beiden Fininvest-Firmen gab es vor und während der
Verschmelzung abenteuerliche Geldflüsse: Millionensummen wanderten hin und
her, das Stammkapital wurde herauf- und herabgesetzt, Guthaben und Schulden
verbucht - ein für Außenstehende sinnlos scheinender permanenter
Finanztransfer.
Aktiv daran beteiligt sind, ab Juni 1978, Holding-Gesellschaften, die
gleich reihenweise kreiert werden und Holding Italiana 1, Holding Italiana
2, Holding Italiana 3 und so weiter heißen. Gleich im ersten Schwung
entstehen 23, am Ende des Holding-Serienbaus, 1981, waren es schließlich 38.
Die amtlich eingetragenen Gründer dieser Firmenschachteln waren in
Wirtschaftskreisen eher unbekannt: Biedere Leute mit kleinen Einkünften,
Hausfrauen und Rentner. Tatsächlich, recherchierte später die
Staatsanwaltschaft, steckten hinter 35 der 38 Unternehmensschachteln -
Silvio Berlusconi und seine Freunde.
Er habe, sagte der, mit der Massengründung der Holdings unter fremden Namen
störende bürokratische Formalien umgehen, Fristen abkürzen wollen. Deshalb
habe er Bekannte dafür gewonnen.
Polizeiermittler und Staatsanwälte bezweifelten die Version. Der
Firmendschungel und das verwirrende Verschieben von Millionenbeträgen
hatte, so glaubten die Experten, nur einen Zweck: Die Herkunft der Gelder,
die am Ende auf Berlusconis Fininvest-Konten landeten, sollte verschleiert
werden. Über die Italiana-Holdings werde, so der Verdacht, Geld der Mafia
gewaschen.
1994 wurde deswegen ein Untersuchungsverfahren gegen Silvio Berlusconi und
seinen wohl engsten Mitarbeiter und langjährigen Freund, Marcello
dell'Utri, eingeleitet. In mühevoller, jahrelanger Arbeit durchforsteten
Spezialisten der DIA (Direzione Investigativa Antimafia), eine
Sondereinheit der Polizei im Kampf gegen die Organisierte Kriminalität,
Berge von Überweisungs- und Kassenbelegen.
Sie stießen bei einem der Berlusconi-Steuerberater auf eine Liste von 25
Zahlungen zu Gunsten von Fininvest. Danach flossen den Kassen der
Berlusconi-Firma zwischen dem 25. Februar 1977 und dem August 1978
insgesamt 16,94 Milliarden Lire (damals etwa 45 Millionen Mark) zu. Und,
nicht eben üblich, ein erheblicher Teil des Geldes wurde bar eingezahlt.
Seither wollen die Gerüchte nicht verstummen, Berlusconis Startkapital sei
schmutziges Geld gewesen. Aussteiger aus dem Milieu, so genannte Pentiti
(Reumütige), berichteten bei polizeilichen Vernehmungen oder als Zeugen vor
Gericht, Berlusconi und sein Spezi Dell'Utri hätten jahrelang mit den
Bossen der sizilianischen Cosa Nostra gedealt und dabei gute Geschäfte
gemacht.
Antonino Giuffrè, der im April vorigen Jahres verhaftete Stellvertreter des
"Bosses aller Bosse", Bernardo Provenzano, behauptete Anfang Januar dieses
Jahres vor einem Gericht in Palermo, Berlusconi habe sich in jenen Zeiten
sogar mit Stefano Bontade getroffen, damals einer der Spitzen-Mafiosi.
Der Top-Zeuge belastete vor allem Dell'Utri, der jahrelang Berlusconis
Werbekonzern Publitalia leitete und der für ihn 1992 die Parteigründung von
Forza Italia organisierte. Er verortete den Berlusconi-Spezi als "nahe bei
der Cosa Nostra". Dell'Utri sei über viele Jahre eine Art Verbindungsmann
zwischen der Mafia und Berlusconi gewesen. Als dann später das
Parteiprojekt Forza Italia anlief, habe Oberboss Provenzano ihm, Giuffrè,
persönlich gesagt, man befinde sich bei dieser politischen Neugründung "in
guten Händen", man könne "ihnen trauen".
Überprüfen kann man diese Zeugenaussage so wenig wie viele ähnliche zuvor.
Stefano Bontade wurde am 23. April 1981, unmittelbar nach seiner
Geburtstagsfeier erschossen. Bernardo Provenzano ist seit fast 40 Jahren
flüchtig.
Verstorben ist auch ein anderes interessantes Mitglied der sizilianischen
Mafia, der frühere Clan-Chef der Porta-Nuova-Familie, Vittorio Mangano. Der
zog Anfang der siebziger Jahre mit Kindern, Frau und Mutter in Berlusconis
Villa in Arcore ein, als eine Art "Hausfaktotum", sagt Berlusconi.