"L'insicurezza mentale è la migliore arma di cui
dispone il terrorismo" scrive Galimberti.
Ad ognuno di noi il compito di sentire, capire,
comprendere, decidere per essere sicuri mentalmente!.
Associazione Partenia http://utenti.tripo.it/partenia
I perchè nascosti del terrorismo UMBERTO GALIMBERTI (La Repubblica 20.6.2003) Che rapporto c’è tra globalizzazione e terrorismo? La
risposta più facile è quella che vede nel terrorismo una forma di contestazione
politica dell’ordine mondiale
promossa dall’unica superpotenza rimasta sul pianeta. Ancora più facile è
la risposta che vede nei terroristi dei folli suicidi, dei fanatici di una causa
perversa, manipolati da chi sfrutta il risentimento e l’odio dei popoli
oppressi. Queste ipotesi non convincono Jean Baudrillard (“Power Inferno”, R.Cortina, euro 8.50) e quanti, tra cui io, rifiutano di leggere la storia come una successione di cause ed effetti, secondo quella logica causale a cui sui attiene la ragione quando vuole interpretare qualcosa in modo convincente. In realtà prima della logica causale e sotto la logica causale lavora in modo ben più efficace e più profondo la logica simbolica, per cui ad esempio nessuna epoca storica sarebbe in grado di giustificare i suoi eventi prescindendo dall’idea simbolo che governa l’epoca stessa, quale potrebbe essere, a titolo di esempio, l’idea di “destino” per l’antica Grecia, l’idea di “Dio” per il Medioevo, l’idea di “uomo” per l’umanesimo e l’illuminismo e, proviamo a dire, l’idea di “globalizzazzione” per l’età contemporanea. Ma che cos’è veramente la globalizzazzione? La globalizzazione è il degrado quando non l’estinzione di quello che gli illuministi chiamavano universalizzazione dei diritti umani, della libertà, della cultura, della democrazia. La globalizzazione, infatti, riguarda solo le tecniche, il mercato, il turismo, l’informazione. La sua espansione sembra irreversibile, mentre i valori universali sembrano in via di sparizione. La globalizzazione degli scambi pone fine all’universalità dei valori. E il pensiero unico finisce col trionfare sul pensiero universale. Il risultato è che non si riescono più a integrare le singolarità e le particolarità in una cultura universale della differenza, perché la globalizzazione fa tabula rasa di tutte le differenze e di tutti i valori, inaugurando una cultura ( o in cultura) perfettamente indifferente. Non avendo più nemici, la globalizzazione li genera dall’interno come sue metastasi disumane. Incalzando ogni forma di singolarità, particolarità, individualità, identità e differenza, la globalizzazione genera il rigetto non soltanto della tecnostruttura mondiale che abolisce tutte le differenze , ma anche della struttura mentale di equivalenza di tutte le culture. Chi può dare scacco al sistema globale? Non il movimento no global che ha come unico obiettivo quello di frenare la deregulation. L’impatto politico può essere considerevole, ma l’impatto simbolico nullo. La sua ribellione è una sorta di peripezia interna che il sistema può superare restando padrone del giuoco. A dare scacco a un pensiero unico dominante non può essere un contro-pensiero unico (come quello dei no global) perché, per la logica simbolica, quando ci si mantiene sul medesimo terreno di opposizione, ogni conflitto, così come si genera, si riassorbe. A dare scacco a un pensiero unico possono essere solo le singole particolarità di cui il terrorismo è una forma, la più violenta, che vendica tutte le culture particolari che hanno pagato, con la loro scomparsa, l’instaurazione di una potenza mondiale unica. Non si tratta quindi di un “conflitto di civiltà”, ma di uno scontro antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di alterità irriducibile. Per la potenza globale, non meno integralista dell’ortodossia religiosa, tutte le forme differenti e particolari sono forme di disturbo e come tali votate a rientrare per amore o per forza nell’ordine globale, o scomparire. La missione dell’Occidente (o piuttosto dell’ex Occidente
perché da gran tempo non ha più valori propri) consiste nel sottomettere con
tutti i mezzi le culture multiple alla legge feroce dell’equivalenza. Anche le
guerre, quelle dell’Afganistan, quella dell’Iraq, hanno come
obiettivo, al di là delle strategie politiche o economiche, soprattutto
quello di ridurre ogni zona refrattaria, di colonizzare e di addomesticare
tutti quelli che per la globalizzazione sono spazi selvaggi, in quello spazio
che, più che geografico, è spazio
mentale. E’ infatti inaccettabile, per l’Occidente, che la
modernità possa essere rinnegata nella sua pretesa universale. Che non appaia
come l’evidenza del Bene e come l’ideale naturale della specie, che sia messa in
dubbio l’universalità dei nostri valori, e per giunta da personaggi
immediatamente bollati come fanatici. Tutto questo è un crimine contro il
pensiero unico e contro l’orizzonte consensuale
dell’Occidente. Ma all’interno di questa consensualità c’è anche la disperazione invisibile dei privilegiati nella globalizzazzione, che non possono evitare di sottomettersi alla tecnologia integrale, alla realtà virtuale schiacciante, a un dominio delle reti e dei programmi che delinea forse il profilo involutivo dell’intera specie, della specie umana divenuta globale. E il terrorismo, oltre che sulla disperazione visibile degli umili e degli offesi, poggia anche sulla disperazione invisibile dei privilegiati che, inconsapevolmente e involontariamente, viene in qualche modo incontro alla destabilizzazione violenta dell’atto terroristico. Senza l’ipotesi di questa complicità oggettiva, senza l’ipotesi di questa coalizione segreta, non si capisce nulla del terrorismo e dell’impossibilità di venirne a capo. Se è quello di destabilizzare l’ordine mondiale con le sue sole forze, in uno scontro frontale, l’obiettivo del terrorismo è assurdo perché il rapporto di forze è troppo diseguale. Ma proprio questo “assurdo”, questo “non senso” fa da specchio al non senso che si annida all’interno del sistema, e che più o meno inconsciamente tutti noi avvertiamo quando ci percepiamo sempre meno come persone e sempre più come funzionari di un apparato tecnico-economico che nulla ha in vista se non il proprio autopotenziamento. Più che delle armi tecnologiche dell’Occidente, la cosa essenziale di cui i terroristi si appropriano, facendone un’arma decisiva, è proprio questo “non senso” che ciascuno di noi percepisce come negazione della propria individualità e specificità nella globalizzazione tecnico-economica del mondo. Altro che Bene contro il Male, altro che Occidente contro
Islam. E’ nello stesso Occidente che si è creata una sorta di “insicurezza
mentale” circa il senso della propria esistenza in un mondo economicamente e
tecnicamente globalizzato che non ammette singolarità, individualità,
particolarità, differenze. Questa nostra insicurezza mentale, da cui
nulla ci può difendere, è la migliore arma di cui dispone il
terrorismo che, con i suoi attentati, precipita l’Occidente
nell’ossessione della sicurezza, che è una forma velata di terrore perpetuo che
si iscrive nei corpi, nei costumi, nelle abitudini, nelle pratiche di
vita. Non mettiamoci fuori strada dicendo: “Noi siamo il Bene, può essere solo il Male ad averci colpito”. La logica dell’opposizione, con cui di solito lavora la ragione (bene/male,vero/falso, giusto/ingiusto) non capisce niente delle sfide simboliche, che possono anche nascere all’esterno del sistema, ma sono efficaci solo se si alleano con la negatività che il sistema produce al suo interno. Il terrorismo è la sfida simbolica. Non ci fronteggia come un nemico che ci sta di fronte sul campo (così noi ingenuamente pensiamo quando facciamo le guerre), ma è l’emergenza di un antagonismo radicale nel cuore stesso del processo di globalizzazione, di una forza irriducibile a questa realizzazione integrale, tecnica e mentale, del mondo, a questa evoluzione inesorabile verso un ordine mondiale compiuto. Se il progetto della modernità era
nell’universalizzazione dei suoi valori, la riduzione di questo progetto alla
semplice globalizzazione della tecnica e del mercato, avvia inesorabilmente la
modernità verso la sua fine. E in questa lettura “simbolica”, meno ingenua di
quella “razionale” che legge tutto in termini di opposizione e antagonismi,
il terrorismo, proprio nella sua assurdità e insensatezza, è, come
scrive Baudrilland: “Il verdetto e la condanna che la nostra società
pronuncia su se stessa”. |