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La Legge-Delega "scippa" l'art. 18
- Subject: La Legge-Delega "scippa" l'art. 18
- From: "Giancarlo Canuto" <giancanuto@inwind.it>
- Date: Mon, 26 May 2003 18:02:38 +0200
Forse molti non conoscono fino in fondo le conseguenze delle leggi
deleghe affidate al governo in materia di lavoro, derivanti dal
cosiddetto "Libro bianco".
Sempre Michele Di Schiena (oggi Presidente Emerito di Cassazione, ha
fatto per decenni il giudice del lavoro a Brindisi) offre, all'uso di
chi ha la cortesia di volersi soffermare alla lettura di questo
articolo, una sintesi sulle gravosissime conseguenze sul mondo del
lavoro di tali modifiche (quando saranno approvate) che di fatto
permetteranno alle aziende di qualsiasi dimensioni di eludere il
limite dei quindici dipendenti e quindi non applicare già le garanzie
dell'art. 18.
Questo rende ancora più necessario l'estensione di questo diritto
attraverso il SI al referendum del 15 giugno per contrastare questo
diabolico ed antidemocratico escamotage partorito dalle "menti" della
Confindustria e dei cosiddetti riformisti che, ovviamente, invitano,
all'astensione.
Utilizza e diffondi, se condividi.
Giancarlo CANUTO
(Nel rispetto della legge 675/96 e quindi nelle misure di sicurezza e
riservatezza previste, secondo quanto previsto dall'art. 13, potete
richiedere la cancellazione mandando un e-mail all' indirizzo
<mailto:giancanuto@libero.it>giancanuto@libero.it con oggetto
CANCELLAZIONE.
IL REFERENDUM SULL'ART. 18
E LA LEGGE DELEGA SUL MERCATO DEL LAVORO
Per un malinconico patto "in frode" alla democrazia che lega menzogne
e silenzi, c'è il rischio che possa sfuggire l'istanza di giustizia e
la rilevanza sociale del referendum sull'art. 18 per l'estensione a
tutti i lavoratori del diritto alla reintegra nel posto di lavoro nel
caso di licenziamento arbitrario. Ed è anche probabile che non sia
purtroppo colta la valenza che l'iniziativa referendaria ha assunto
dopo quanto è accaduto qualche mese addietro con l'approvazione della
legge 14 febbraio 2003 n° 30 che, in parziale ma significativa
attuazione del progetto delineato dal Ministro Maroni nel famoso
"Libro bianco", delega al Governo l'adozione di decreti legislativi
in materia di occupazione e mercato del lavoro fissando i relativi
principi e criteri direttivi.
Partendo dal rilievo che cultura costituzionale e sensibilità
democratica avrebbero dovuto sconsigliare alla maggioranza il
ricorso, in materia così delicata, allo strumento della delega per
non sottrarre la riforma ad un vaglio del Parlamento approfondito e
particolareggiato, è utile tratteggiare alcune delle più rilevanti
modifiche messe in cantiere con la citata legge per coglierne la
portata regressiva e le gravi implicanze che confermano la giustezza
e la lungimiranza della proposta referendaria. Va detto allora che la
legge delega punta ad una crescente privatizzazione del sistema del
collocamento e progetta la redazione in materia di "testi unici" che,
col pretesto dello "snellimento e semplificazione delle procedure
d'incontro tra domanda e offerta di lavoro", appaiono destinati a
ridurre le garanzie in favore dei lavoratori. La riforma prevede poi
l'abrogazione della Legge n° 1369/60 che vieta l'interposizione di
manodopera consentendo in tal modo l'appalto di mere prestazioni
lavorative col ritorno alla grande del triste fenomeno del
"caporalato". Operazione questa portata avanti dietro la cortina
fumogena della ridefinizione dei casi di "interposizione illecita"
riscontrabile solo "laddove manchi" una Š immancabile (per la
genericità con la quale viene formulata) "ragione tecnica,
organizzativa o produttiva".
Ed ancora, la legge in questione estende l'area del lavoro parziale
addirittura fino a comprendere il lavoro "intermittente", con
variazioni dell'orario lavorativo settimanale e giornaliero
comunicabili al lavoratore giorno per giorno (se non ora per ora) con
il conseguente suo totale assoggettamento, compensato da qualche
misera maggiorazione retributiva, ai mutevoli interessi ed umori del
datore di lavoro. E sulla stessa linea di attacco ai diritti ed alle
tutele viene delineata la creazione di nuove forme di lavoro precario
mentre non muta, se non a parole, la situazione delle collaborazioni
coordinate e continuative per l'inadeguatezza e l'inefficacia delle
misure fumosamente enunciate. E c'è infine, in esecuzione di un più
ampio disegno rivolto a ridurre il controllo di legalità da parte
della magistratura, la novità costituita dalla "certificazione"
preventiva in materia di qualificazione del rapporto di lavoro da
affidare ad un organo abilitato ad attribuire "piena forza legale" al
contratto appunto "certificato" col chiaro intento di scoraggiare il
ricorso al giudice nei casi di errata qualificazione giuridica del
rapporto o di mancata corrispondenza tra tale definizione e lo
svolgimento concreto del rapporto medesimo.
Ma c'è nella legge delega una "perla": una disposizione che svuota di
qualsiasi efficacia l'art. 18 e tendenzialmente lo abroga estendendo
di fatto - con una logica diametralmente opposta a quella del
referendum - l'impossibilità della reintegra, oggi circoscritta
nell'ambito delle imprese minori, a tutti i lavoratori delle imprese
con più di 15 dipendenti. Ed è precisamente la norma dell'art. 1
lettera p della citata legge che prevede la modifica dell'art 2112
codice civile che attualmente consente il trasferimento dell'intera
azienda o di una parte di essa solo se questa "parte" costituisce una
"articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica
organizzata Š preesistente come tale al trasferimento" e solo se
"conserva nel trasferimento la propria identità". Oggi il
trasferimento di un ramo di azienda è quindi possibile soltanto se
esso, in quanto entità organizzata e dotata di autonomia funzionale,
esisteva ed operava come tale prima del trasferimento e non quando
questo ramo sia creato sulla carta in coincidenza del trasferimento
medesimo per mascherare cessioni fraudolente rivolte a frazionare
aziende di grandi o medie dimensioni in imprese minori per sottrarre
ai lavoratori la garanzia dell'art. 18.
Ebbene, con la riforma della legge delega non sarà più così perché il
requisito della "autonomia funzionale" non dovrà più preesistere al
trasferimento del "ramo" di azienda ma sarà sufficiente che esso
compaia "nel momento" della cessione, anche in favore di società
all'uopo strumentalmente costituite, per sparire subito dopo. Tale
requisito diviene insomma una "particella virtuale", destinata nel
mondo delle imprese a fuggevoli comparizioni e scomparse, scoperta in
foraggiati laboratori dagli "scienziati" di questa maggioranza ed
offerta alla Confindustria di D'Amato e a chi vorrà servirsene per
vanificare la garanzia dell'art. 18. Un progetto questo che può
essere clamorosamente battuto dal successo dell'iniziativa
referendaria.
Brindisi, 22 maggio 2003
Michele DI SCHIENA