Sabato saremo presenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario, davanti al
Palazzo di Giustizia. Di sicuro a Milano, ma l’invito è ad autoorganizzare la
medesima cosa anche in molte altre città.
Terremo in mano una copia della Costituzione italiana,
sottolineandone il dimenticato articolo 27.
Assieme, avremo copia:
-
del “nuovo” Regolamento penitenziario, entrato in vigore il 6
settembre 2000 e sostanzialmente inattuato
-
della legge che consente la scarcerazione delle detenute madri e
dei bambini in carcere, in vigore dal marzo 2001 e sostanzialmente
inattuata
-
della legge cd. “Smuraglia” per favorire il lavoro per i detenuti,
approvata nel giugno 2000 e che non è stata rifinanziata dalla Legge Finanziaria
2003
-
della legge cd. “Simeone-Saraceni”, che consente la sospensione
della pena, approvata nel 1998 e sostanzialmente non applicata a coloro che si
trovano in carcere
-
della legge che consente la scarcerazione degli ammalati di AIDS e
di altre gravi patologie, approvata nel 1999 e sostanzialmente inapplicata, come
dimostrano i numerosi casi di morte dietro le sbarre (da ultimo quello di
Claudio Menna, il 13 gennaio nel carcere di Rebibbia)
-
delle legge che, in esecuzione della complessiva riforma sanitaria
del 1998, dovrebbe garantire il passaggio delle competenze al servizio sanitario
nazionale e una maggiore tutela della salute in carcere e, di proroga in
proroga, sembra ormai accantonata; nel compenso i fondi per la sanità in carcere
sono stati decurtati del 20% nell’ultima Finanziaria, che si aggiunge al taglio
del 40% negli anni precedenti;
-
della stessa legge cd. “Gozzini”, che consente anche l’accesso
alle misure alternative, approvata nel 1986 e progressivamente svuotata e resa
inerte
Insomma, terremo in mano copia delle tante e troppe leggi che
dovrebbero garantire pene giuste e carceri civili e sono rimaste sulla
carta.
Una carta costata anni di fatiche, di lotte, di lavori
parlamentari, di sensibilizzazione culturale, di mobilitazione sociale, di
dibattito sui giornali e tra la pubblica opinione.
I diritti dei detenuti sono rimasti scritti solo sulla carta.
Una carta straccia.
In compenso, la mancanza e negazione di quei diritti è
scritta sulla loro pelle. Martoriata dalla disperazione dell’autolesionismo, dei
suicidi, delle malattie non curate, delle morti evitabili.
Il sistema penitenziario oggi è illegale: non rispetta
le leggi approvate dal parlamento, rese inapplicabili dalla mancanza di risorse
e strutture, dall’eccesso di discrezionalità e talvolta, come nel caso del nuovo
Regolamento, dalla dichiarata avversione dello stesso ministro di Giustizia.
Agli stessi operatori penitenziari è impedito di svolgere con
dignità e diritto il proprio lavoro. Perché anche loro sono vittime
dell’inadempienza, delle risorse non stanziate, delle piante organiche non
attuate, delle promesse non mantenute. Basti al riguardo la cifra più
scandalosa: vi sono in servizio 588 educatori sui 1.376 previsti dalla pianta
organica. Lo stesso vale per gli assistenti sociali, gli psicologi, il personale
amministrativo, quello infermieristico, gli agenti.
Sabato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, coglieremo
l’occasione per ricordare tutto ciò alle autorità, alle figure istituzionali e
agli esponenti politici presenti alla cerimonia. Per chiedere loro, con rispetto
ma anche con fermezza, che si smettano il gioco dei rimandi, delle dilazioni,
delle vuote contrapposizioni, dei pastrocchi giuridici e degli “indultini”. Per
chiedere che ogni parlamentare si assuma, in coscienza e libertà, la
responsabilità di dire sì oppure no alle sollecitazioni del Papa e del
Presidente Ciampi. Di dire sì oppure no a un carcere più umano e meno affollato.
Di dire sì oppure no all’indulto. Un indulto senza
diminutivi, senza esclusioni e senza trucchi. Un indulto che sia premessa e
precondizione di un percorso più ampio e più lungo, per riformare il sistema
penale e penitenziario, nel segno di maggiore efficienza e di una giustizia più
giusta.
Ma sabato saremo lì anche per dire che troppo spesso la legge
è dura e inflessibile per i poveri e gli esclusi, ma elastica e distratta per i
più forti e potenti.
Per questo, l’indulto non ci basta. Altro che
diminutivi. L’indulto, pieno e vero, va accompagnato da misure concrete, da un
piccolo “piano Marshall” per sostenere il reinserimento sociale e
lavorativo di quanti escono dal carcere, nonché migliori condizioni di vita per
quanti non possono uscirne e migliori condizioni di lavoro per tutti gli
operatori. Questa è la vera garanzia di sicurezza per la collettività e di
prevenzione della recidiva. Questo è il dettato dell’articolo 27 della
Costituzione. Un articolo troppo spesso dimenticato e anch’esso sostanzialmente
inattuato.
C’è un prima e un dopo l’auspicato indulto su
cui vogliamo egualmente richiamare l’attenzione. Su questo prima e dopo, sulle
leggi già esistenti da applicare e su un nuovo pacchetto di misure
concrete (condizioni di vita e di lavoro all’interno, formazione, salute,
organici, difensore civico, misure alternative, affettività) nelle prossime
settimane elaboreremo precise proposte su cui rinnovare alleanze e iniziative
comuni tra associazioni, volontariato, cooperazione sociale, operatori
penitenziari e sindacati.