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TEsto della Sentenza
in seguito al comunicato stampa di ieri vi alleghiamo il testo dlla sentenza
essa si riferisce a uno della decina di gruppi di lavoratori dello Slai
Cobas che si sono costituiti parte civile
anche gli altri sono stati comunque assegnati allo stesso giudice
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
II. TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE PRIMA CIVILE
In persona del Giudice Unico
Michela Tarnagnone Boero
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 12161/01RG
Pendente tra
CALVO Rachele, LABARSUTA Sebastiano, SAPPRACONE Giovanni, FRONTINI Giorgio,
GIARNIERI Luigii, CARETTO Pantaleo, LEONE Giuseppe, MARZO Franco, VERGARI
Giuseppe, MEMMI Rocco, PELLE' Oronzo, MORELLO Giovanni, GHIRINZI Giuseppe,
MARCHIOLO Gaetano, TRIPODI Fortunato rappresentati e difesi dagli avvocati
Giorgio Marpillero e Roberto Lamacchia, ed elettivamente domiciliati presso
lo studio di quest'ultimo, in c.so Vittorio Emanuele II n. 82
PARTI ATTRICI
Contro
ROMITI Cesare, elettivamente domiciliato in Torino, v. del Carmine 2,
presso lo studio dell'avv. Franzo Grande Stevens che lo rappresenta e
difende per delega in atti unitamente agli avv.ti Anita De Luca e Maria
Elena Crippa
PARTE CONVENUTA
E contro
MATTIOLI Francesco Paolo, elettivamente domiciliato in Torino, v. del
Carmine 2, presso lo studio dell'avv. Franzo Grande Stevens che lo
rappresenta e difende per delega in atti unitamente agli avv.ti Anita De
Luca e Maria Elena Crippa
CONCLUSIONI DELLE PARTI
PER PARTI ATTRICI:
respinta ogni contraria istanza, eccezione e domanda, viste le sentenze
rese inter partes in data 28.5/15.7.99 dalla Corte d'Appello di Torino e in
data 19/10/2000 dalla Corte di Cassazione:
- dichiarare tenuti e condannare i sigg.ri Romiti Cesare e Mattioli
Francesco Paolo -in solido fra loro- a risarcire agli attori i danni
patrimoniali e morali patiti per i fatti esposti , nella misura accertanda
e detenminanda anche in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione
economica.
Con il favore delle spese ed onorari di giudizio.
PER IL CONVENUTO ROMITI:
Che 1'Ill.mo Tribunale di Torino (omissis) vorrà:
-in via preliminare di rito, dichiarare la propria incompetenza per valore
a conoscere della presente vertenza, competente essendo il Giudice di Pace;
-in via subordinata nel merito, respingere come infondate tutte le domande
degli attori.
In ogni caso, con vittoria di spese e onorari di giudizio.
PER IL CONVENUTO MATTIOLI:
Che 1'Ill.mo Tribunale di Torino (omissis) vorrà:
-in via preliminare di rito, dichiarare la propria incompetenza per valore
a conoscere della presente vertenza, competente essendo il Giudice di Pace;
-in via subordinata nel merito, respingere come infondate tutte le domande
degli attori.
In ogni caso, con vittoria di spese e onorari di giudizio
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 14 novembre 2001 gli attori suindicati convenivano in
giudizio, avanti a questo Tribunale, Cesare ROMITI e Francesco Paolo
MATTIOLI, chiedendo l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe.
Esponevano gli attori:
- che con sentenza 28/5-15/7/1999 la Corte d'Appello di Torino aveva
affermato la responsabilità penale dei convenuti in relazione ai reati di
falso nei bilanci consolidati e nelle relazioni accompagnatorie della Fiat
spa, di finanziamento illecito ai partiti politici, nonché per la
violazione fiscale ex art. 4 lett.e) L. 516/82;
- che nella suddetta sentenza era contenuta altresì condanna del Romiti e
del Mattioli, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti
civili costituite -fra le quali rientravano gli attori, tutti dipendenti
del Gruppo Fiat -, "danni da liquidarsi in separata sede";
- che con sentenza 19/10/2000 la Suprema Corte aveva confermato la
pronuncia della Corte d'Appello di Torino in ordine al diritto degli
odierni attori al risarcimento dei danni patrimoniali e morali, e, in
particolare, dopo aver annullato la sentenza impugnata "nei confronti di
Francesco Paolo Mattioli perché il reato continuato ascrittogli è estinto
per sopravvenuta prescrizione ...e nei confronti di Cesare Romiti,
limitatamente alla imputazione di cui al capo B della rubrica", aveva
rigettato "il ricorso di Romiti nel resto e quello di Mattioli agli effetti
delle statuizioni civili" (cfr. doc. 2 di parti attrici).
Gli attori proseguivano affermando di aver subito, nella loro qualità di
dipendenti di aziende del Gruppo Fiat, un danno patrimoniale : ciò in
quanto le voci falsificate in bilancio (artatamente "impoverito") avevano
inciso negativamente sull'indice generale da cui dipendeva, all'epoca dei
fatti, il calcolo del "Premio Performances di Gruppo (P.P.G.)", un premio -
istituito con accordo sindacale del 4/7/1989 - che collegava all'andamento
del Gruppo Fiat una quota della retribuzione percepita dagli attori.
Gli attori, pertanto, domandavano il ristoro del danno patrimoniale
corrispondente alla decurtazione, per gli anni 1988, 1989, 1990 e 1991,
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del suddetto Premio -, nonché il ristoro del danno morale - da liquidarsi
equitativarrl te - conseguente al comportamento penalmente rilevante tenuto
dai c,oà nuti .
Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti, i quali preliminarmente
eccepivano l'incompetenza per valore del Giudice adito, mentre nel merito,
in via subordinata, contestavano la fondatezza delle domande avversarie,
chiedendone il rigetto.
Esperito vanamente il rituale tentativo di conciliazione, entrambe le parti
chiedevano la fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni, non
avanzando istanze istruttorie.
Espletato detto incombente, la causa veniva assegnata a decisione previa
concessione alle parti dei termini per il deposito degli scritti conclusivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
I) L'eccezione di incompetenza per valore
I convenuti ROMITI e MATTIOLI hanno preliminarmente eccepito l'incompetenza
per valore del Giudice adito, osservando che il valore della causa è
inferiore ai 5 milioni di lire (attuali _ 2.582,28), onde la competenza per
valore apparterrebbe al Giudice di pace.
1 convenuti hanno argomentato detta eccezione sotto quattro diversi profili:
a) la quantificazione del danno patrimoniale effettuata dagli attori ,
pari a £. 17.000 (attuali _ 8,77), escluderebbe "all'evidenza ...la
competenza del Giudice adito ";
b) a nulla rileverebbe , al fine di "radicare la competenza per valore del
Tribunale, (....) la proposta richiesta di condanna al risarcimento di un
danno morale di imprecisata entità, da liquidarsi equitativamente ",
poiché, comunque, "un patema d'animo, un turbamento al proprio
equilibrio psichico, il c. d pretium doloris non potrebbe certo
quantificarsi in una somma superiore a quella (£.17.000) che essi stessi
indicano quale danno patrimoniale subito' ;
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c) a nulla rileverebbe, ancora, "la considerazione del valore della
sommmatoria delle singole domande degli attori, poiché nel caso di
specie non troverebbe applicazione l'art. 10 secondo comma c.p.c., che
concerne unicamente domande proposte fra le stesse parti, e non invece
domande proposte da diversi soggetti processuali;
d) a nulla rileverebbe, infine, l'indicativa quantificazione del danno
morale (E 5000 per ciascuno degli attori ) effettuata all'udienza ex
art. 183 c.p.c., e conseguentemente, essendosi "in presenza di una
richiesta di condanna in via equitativa priva di qualsiasi indicazione
minima o .massima di valore, e quindi di valore non dichiarato ma
presunto ai sensi del I comma dell'ari. 14 c.p.c. ", alla luce degli
elementi offerti dai convenuti con la tempestiva eccezione di
incompetenza, non potrebbe che affermarsi che la competenza sia,
"all'evidenza ...del Giudice di Pace";
In sede di memoria di replica, i convenuti hanno proposto "eccezione di
illegittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 14, 10,2°comma,
9, 2° comma c.p.c., in relazione agli art. 24, 2° comma e 25, 1° comma
della Costituzione", precisando - in riferimento all'art. 9 c.p.c. - che
"non sarebbe consentito considera(re) di valore indeterminabile e, quindi,
di competenza del. Tribunale ai sensi dell'ari 9 cp.c. tutte le domande non
quantificate di risarcimento danni non patrimoniali ".
Osserva anzitutto questo Giudice, con riferimento all'eccezione di
illegittimità costituzionale testè riportata, che la Corte Costituzionale
si è già pronunciata, in senso negativo, in relazione alla questione di
legittimità costituzionale degli artt. 10 e 14 c.p.c., con riferimento agli
artt. 25 comma 1 e 97 comma 1 Cost.
Nella pronuncia 8 marzo 1996 (Ciampoli c. Ciampoli, in Giur. Cost., 1996,
657), si legge infatti che le dichiarazioni dell'attore e la conseguente
individuazione del giudice "rappresentano indispensabili,quanto ovvii
corollari del principio secondo cui il valore della causa, ai fini della
competenza, si determina dalla domanda, e, più in generale ,dal carattere
dispositivo del processo civile ", e ciò perché "d'art. 25
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Cost. tutela solo l'esigenza che la competenza degli organi giudiziari, al
fine di una garanzia rigorosa della loro imparzialità, venga sottratta ad
ogni possibilità di arbitrio attraverso la precostituzione per legge del
giudice in base ai criteri generali fissati in anticipo e non in vista di
singole controversie ".
Tale ineccepibile e chiarissima esplicitazione dei principi generali
travolge, evidentemente, la eccezione di incostituzionalità anche in
relazione al disposto di cui all' art. 9 comma 1 c.p.c. - mero corollario
dei suddetti principi -, determinandone la manifesta infondatezza.
Le argomentazioni addotte dai convenuti in ordine alla eccezione di
incompetenza del Tribunale risultano tutte erronee.
E' evidente, infatti, che la domanda di ristoro di danno patrimoniale
(£.17.000, pari ad _ 8,77) deve essere sommata - per il principio del
cumulo delle domande stabilito dall'art. 10 c.p.c. (Cass., 6 aprile 2000 n.
4325) - a quella che concerne il danno morale.
E' parimenti evidente, per contro, che quest'ultimo ben può essere di
valore superiore rispetto al primo .
Nessuna norma o principio consente infatti di affermare , come vorrebbe
l'attore, che il danno morale debba necessariamente essere quantificato in
misura inferiore rispetto a quello patrimoniale : al contrario, i1 danno
morale può anche prescindere dalla sussistenza di un danno patrimoniale,
trattandosi di fattispecie ontologicamente differenti.
Ne deriva che anche aderendo alla impostazione fatta propria dall'attore,
in riferimento alla pronuncia del S.C. 12 ottobre 1998 n. 10081 - peraltro
non pacifica : cfr.Cass., 20 febbraio 1999 n. 1425 -, secondo cui "il
cumulo di domande stabilito agli effetti della competenza per valore
dall'art. 10 comma c.p.c., riguarda solo le domande proposte tra le stesse
parti, mentre non si rtferisce all'ipotesi di domande proposte nei
confronti dello stesso soggetto da diversi soggetti processuali, in ipotesi
di litisconsorzio facoltativo ", il risultato non cambia, poiché anche
solo considerando le domande di ciascuno degli attori la competenza per
valore fa capo al Tribunale.
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E' infatti principio assolutamente pacifico che, nel caso di proposizione
cumulativa di più domande - "senza indicazione di valore, non si ha
superamento della competenza del giudice adito , ai sensi del combinato
disposto degli art. 10 e 14 c.p.c., laddove l'attore formuli (...) clausola
o riserva di contenimento, dichiarando cioè di contenere il valore
complessivo delle domande " (Cass., 10 dicembre 2001 n. 15571; Cass., 11
aprile 2000 n. 4589; Cass. 26 agosto 1993, n.9203).
Nel caso in esame, al contrario, risulta che gli attori non solo non hanno
mai effettuato dichiarazioni di "contenimento", ma, piuttosto, hanno
indicato -seppure ai soli fitti conciliativi, cfr. verbale in atti - un
valore di gran lunga superiore alla competenza del Giudice di Pace per
ciascuna delle domande in riferimento al danno morale.
Ne deriva che, in piena aderenza ad una delle ultime pronunce , in termini,
del S.C. - secondo la quale "qualora insieme con una domanda di valore
determinato ed inferiore al limite della competenza del giudice adito sia
stata dall'attore proposta altra domanda senza precisazione della somma
richiesta, il principio del cumulo di cui all'ari. 10 comma 2 c.p.c., con
spostamento della competenza al giudice superiore, opera sempre, salva
l'ipotesi in cui l'attore dichiari, in modo non equivoco, di voler
contenere il valore della seconda domanda entro il predetto limite, e cioè
in misura pari alla differenza tra questo ed il valore espressamente
determinato nell'altra domanda" (Cass., 13 giugno 2002, n.8480) -,
l'eccezione di incompetenza sollevata dai convenuti non può che essere
respinta.
2) L'introduzione del D. Lgs. 61/2002.
Nel corso del presente giudizio è entrato in vigore il D.Lgs. 11/4/2002 n.
61, che, a parere dei convenuti, ha abrogato i reati per cui essi sono
stati condannati nella sentenza penale.
1 convenuti fanno presente che tra le fattispecie previste nella nuova
normativa e quelle per cui le condanne sono state inflitte "non sussiste
continuità normativa ai sensi dell'art. 2 comma 3 c.p“ bensì un rapporto di
abrogazione-sostituzione da ricondurre ali art. 2 comma 2 c.p. "; gli
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attori, al contrario, affermano che tra la normativa precedente e quella
attuale vi sarebbe continuità normativa, e che, comunque, la nuova
disciplina sarebbe irrilevante in questa sede dovendosi fare riferimento,
ai fini del risarcimento del danno, al momento in cui l'evento dannoso si è
verificato.
Osserva questo Giudice - non senza far presente che il dibattito
giurisprudenziale quanto alla sussistenza o meno di continuità normativa
fra la normativa precedente e quella attuale è appena aperto <cfr. ad es.,
in senso affermativo, Trib. Ravenna, 20 maggio 2002, in Cass. pen, 2002,
2053 ; Trib. Napoli, 16 maggio 2002, in Archivio Ced 2002; ed al contrario,
in senso negativo, Trib. Napoli, 28 maggio 2002, in Archivio Ced, 2002) -
che ogni questione relativa all'introduzione del D.lgs. 61/2002 è, alla
luce dell'orientamento giurisprudenziale in materia, assolutamente sterile
ed irrilevante.
Risulta infatti pienamente condivisibile, e conforme ai principi generali
la pronuncia della Suprema Corte del 19 febbraio 1998 n. 1761, ove si
afferma che "il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale è
dovuto ...anche nella eventualità che il fatto, pur costituendo reato nel
momento della sua commissione, abbia successivamente perduto siffatta
connotazione per effetto di abolitio criminis".
In detta pronuncia - le cui argomentazioni sono state ritenute così
incontroverse da venir definite "tanta condivisibili quanto prevedibili "la
Corte ha fatto presente che "dalla stessa fatto possono ...scaturire,
rispettivamente nella sfera civile e in duella penale, due distinte
conseguenze di ordine sanzionatorio (il risarcimento e la pena) che non
sempre concorrono, ma sempre si pongono, l'una rispetto all'altra, in
termini di reciproca indtfferenza, nel senso, beninteso, che ciascuna di
esse soggiace ad una propria disciplina giuridica, distinta ed indipendente
da quella a cui soggiace l'altra", il che "comporta che il danno prodotto
da un fatta ingiusto è risarcibile sia nel caso in cui il fatto non
costituisca reato nel momento in cui è commesso, sia nel caso in cui in
quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia, infne,
nel caso in cui il fatto, pur costituendo reato nel momento della
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sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di
illiceità per effetto di abolitio criminis".
Ne deriva, quale logico corollario di detta autonomia del regime giuridico
proprio della responsabilità civile rispetto a quello che presiede la
responsabilità penale, che l'art. 2 comma 2 c.p. opera solo nell'ambito
penale, mentre in sede civile deve applicarsi la regola generale contenuta
nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale ("la legge non
dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo "), in quanto
"ove si controverta (...) della risarcibilità del danno (...) la giustizia
o l'ingiustizia del fatto e delle sue conseguenze vanno valutate con
esclusivo riferimento alle norme (anche penali) vigenti nel momento in cui
il fatto è stato commesso ed il diritto al risarcimento è sorto ".
3) La valenza della sentenza penale definitiva
Da quanto esposto deriva evidentemente - al contrario di quanto asserito
dai convenuti, cfr. pag. 11 memoria di replica Romiti - l'applicabilità del
disposto ex art. 651 c.p.p., a norma del quale "la sentenza penale
irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia
di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e
all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile ... per
le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del
condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia
intervenuto nel processo penale ".
Le pronunce giurisprudenziali sono sostanzialmente univoche ed
assolutamente chiare in materia: la sentenza dibattimentale ha effetto
vincolante per il giudice civile - limitatamente alle parti che hanno preso
parte al processo - in relazione ai 'fatti nella loro realtà oggettiva e
fenomenica, presi in considerazione in sede penale - condotta, evento e
nesso di causalità" (Cast., 2 novembre 2000, n. 14328), e solo nell'ipotesi
di inesistenza di una pronuncia penale di condanna ex art. 651 c.p.p. il
giudice civile può accertare incidenter tantum l'esistenza del reato nei
suoi elementi obiettivi e soggettivi (Cast., 9 ottobre 2000, n.13425;
Cass., 2 agosto 2000 n.10122).
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Per l'ipotesi, poi, di condanna generica, come nel caso di specie, é stato
altresì precisato che al giudice civile è rimessa la valutazione sulla
sussistenza e sulla quantificazione del danno stesso, verificando alte' il
nesso di causalità in concreto (Cass., 2 giugno 2001, n.8807), a meno che
detta indagine sia già stata effettuata dal giudice penale, poiché in tal
caso valgono i principi del giudicato (Cass. 11 gennaio 2001, n.329).
E tale indagine, nella fattispecie di cui si discute, risulta essere stata
pienamente effettuata.
Giova del reato ricordare che proprio la pronuncia di Cassazione su cui si
fonda il processo de quo ha chiarito che il giudizio penale può limitare il
suo accertamento alla `potenziale capacità lesiva del fatto dannoso ed alla
esistenza - desumibile, anche presuntivamente, con criterio di semplice
probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio
lamentato ".
4) La posizione del convenuto Mattioli
La posizione del convenuto Mattioli - a dispetto delle osservazioni della
sua difesa - non differisce da quella del convenuto Romiti.
Invero, ancora alla luce dell'orientamento giurisprudenziale prevalente in
materia, "la sentenza dibattimentale del giudice penale, che abbia emesso
una pronuncia di proscioglimento per una causa di estinzione del reato, ha
effetto vincolante, per il giudice civile - limitatamente alle parti che
abbiano preso parte (...) al processo penale (...) - una volta che il
giudice penale abbia (...) proceduto a un accertamento in concreto dei
fatti ", ed il giudice civile, seppur libero di valutarli, è vincolato dal
giudicato per quanto concerne "i fatti nella loro realtà oggettiva e
fenomenica" (Cass., 2 novembre 2002, n. 14328).
Ne deriva, che, pur potendosi autonomamente rivalutare il fatto ai fini del
risarcimento del danno, non può ritenersi consentito , come vorrebbe il
Mattioli, di "verificare la contraddittorietà., nelle dichiarazioni rese
dai testi e valutare, la loro attendibilità" (pag. 9 comp. concl.), in
quanto ciò contrasterebbe con il disposto ex artt. 651 e 652 c.p., e dunque
con il giudicato formatosi in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua
illiceità
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ed alla commissione da parte dell'imputato: aspetti tutti esaminati in
sede penale, seppur ai limitati fini di addivenire alla pronuncia del tipo
suindicato (cfr. cent. Corte d'Appello di Torino 15/7/1999 , pagg. 170 e
ss., doc. 1 di parti attrici; sentenza 19/10/2006 della Suprema Corte, pag.
31 e ss, doc. 2 di parti attrici).
5) La sussistenza del danno patrimoniale e del nesso causale.
La sussistenza del danno patrimoniale e del nesso causale con il
comportamento dei convenuti risulta inequivocabile.
Invero, che la corresponsione del Premio Performances di Gruppo fosse
connessa con i risultati e le variazioni dei bilanci consolidati non è
sostanzialmente contestato neppure dal Mattioli e dal Romiti, che osservano
tuttavia come, delle cinque voci di bilancio utilizzate per la formula di
riferimento del premio (ricavi netti, numero dei dipendenti, capitale
investito netto, patrimonio netto e spese di garanzia) la sola interessata
"dalle attività omesse e dalle anomalie dei bilanci consolidati" risulta
essere quella del patrimonio netto (cfr. pag. 19 mem. replica).
Detto assunto, tuttavia, appare più che sufficiente ai fini
dell'individuazione del danno e del nesso causale: sotto il profilo
strettamente giuridico dell'an, infatti, non ha rilevanza l'entità della
variazione, ma é sufficiente che il comportamento - id est la
falsificazione delle voci di bilancio - abbia comunque influenzato
l'erogazione del premio dovuto agli attori in virtù dell'accordo negoziale.
Quanto alla contestazione in ordine all'intervenuta sottoscrizione
dell'accordo, effettuata dai convenuti in sede di memoria di replica (pag.
17), questo giudice si limita a rileverne l'assoluta tardività ed
inammissibilità.
Da quanto esposto, deriva la piena accoglibilità della domanda formulata
dagli attori in relazione al danno patrimoniale patito, non contestato nel
suo ammontare (£.17.000, pari ad attuali _ 8,78) dai convenuti,
5) Il danno morale.
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La sussistenza e conseguente riparabilità del danno morale è stata
contestata dai convenuti, in base all'assunto secondo cui "l'onere di
provare il danno del quale si domanda la riparazione incombe sul
danneggiato, e detta prova costituisce il presupposto indispensabile anche
per poter procedere a liquidazione di tipo equitativo" (pag. 14 memoria di
replica).
I convenuti, in buona sostanza (pag. 15 mem. replica), opinano che gli
attori nulla avrebbero allegato in ordine alla sussistenza del danno non
patrimoniale, limitandosi a far riferimento , all'uopo, alle risultanze del
processo penale .
Al di là del rilevo che detto ultimo riferimento - di cui alla pag. 13
della conclusionale attorea - concerneva il danno patrimoniale e non quello
morale, va immediatamente precisato che l'argomento del cd. danno morale ha
negli ultimi anni subito una serie di interventi correttivi e
chiarificatori della giurisprudenza di merito, di legittimità nonché
costituzionale.
Così, a margine della chiara locuzione di cui all'art. 2059 c.c. ("Il danno
non patrimoniale deve essere risarcito solo nel casi determinati dalla
legge "), e della tradizionale qualifica del danno morale come pretium
doloris conseguente alla commissione di violazioni penali - stante il
riferimento all'art. 185 c.p., si è affiancata una interpretazione cd.
"costituzionalmente orientata".
Con tre successive pronunce (Corte Cost., 26 luglio 1979, n. 87; Corte
Cost., 14 luglio 1986, n. 184; Corte Cost., 27 ottobre 1994, n. 372), si è
passati dalla considerazione della legittimità costituzionale della
limitazione in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale nelle
sole ipotesi in cui il fatto.generatore venga qualificato come reato (cfr.,
anche, Cass., 28 gennaio 1984, n. 699) alla conclusione - di ben più ampia
portata - secondo cui la risarcibilità del danno non patrimoniale non
potrebbe essere esclusa o limitata nelle ipotesi di lesione di diritti
costituzionalmente individuati come inviolabili.
In altri termini, detta interpretazione , volta a superare il monopolio
della tipizzazione penale, per una asserita inadeguatezza del combinato
disposto ex art. 2059 c.c. e 185 c.p., ipotizza un coordinamento diretto
fra
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l'art. 2059 c.c. e l'art. 2 Cost., al fine di coordinare la funzione
solidaristica, compensativa e satisfattiva del danno non patrimoniale, ed
afferma la risarcibilità del danno non patrimoniale in ogni ipotesi - anche
qualora il fatto non sia previsto come reato - se il diritto leso rientri
nell'alveo del diritti costituzionalmente inviolabili.
Siffatta impostazione é stata recentemente fatta propria anche dalla
Suprema Corte, nella pronuncia 30 novembre 2000, n. 15330, che, appunto,
ipotizza una connessione - ispirata "ai medesimi criteri risarcitari
integrali di cui alla "Generalklausel" ex art. 2043 c.c. - tra l'art. 2059
c.c. e l'art. 2 Cost.
Le ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale vengono in tal modo
ampliate, mentre per tutti gli illeciti concernenti beni patrimoniali o
interessi personali che non assurgono al rango della inviolabilità, andrà
ribadita la rilevanza esclusiva dell'art. 185 c.p.
Tali osservazioni non appaiono írrilevantí, in guanto attestano una
evoluzione in senso ampliativo della nozione dì danno non patrimoniale.
Nel caso di specie, tuttavia, non si ravvisa la necessità di riferimenti
costituzionali - peraltro ben ipotizzabili, quantomeno in relazione agli
artt. 2, 36 e 46 Cost., - poiché si riscontra la piena rispondenza della
fattispecie alla normativa vigente, e cioè al combinato disposto ex art.
2059 c.c. e 185 c.p.
Il fatto lesivo, invero, riveste - rectius, rivestiva al momento cui
bisogna far riferimento - gli estremi del reato, onde "è più intensa
l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una
energica repressione anche con carattere preventivo" (cfr. Relazione
Ministeriale al Codice Civile) e dunque "il risarcimento dei danni non
patrimoniali persegue scopi di più intensa repressione e prevenzione
certamente estranei al risarcimento di altri tipi di danno "(Corte Cost.
184/1986 cit.).
Se dunque è vero, come è vero, che il danno morale è definibile come il
perturbamento ingiustamente arrecato alle condizioni d'animo di una persona
in conseguenza di una offesa subita; se è vero, come è vero, che il
legislatore ha effettuato una valutazione a priori del fatto lesivo, e cioè
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dell'offesa - individuandolo, de iure condito, nel "fatto-reato" -; se,
ancora è vero, come è vero, che il danno morale può essere conseguente
anche ad un illecito contro il patrimonio, poiché anche i reati contro il
patrimonio "possono arrecare turbamenti e sofferenze psichiche',; se,
infine, è vero come è vero che "la riparazione del danno non patrimoniale
da reato svolge una funzione composita che è di per sé sattisfattiva e nel
contempo anche punitiva, in guanto il dolore ed il perturbamento d'animo
che il reato produce nell'offeso e che sono l'essenza del danno non
patrimoniale trovano soddisfazione solo se la riparazione costituisce anche
una misura attiva del colpevole " (App. Roma, 5/11/1990, in Arch. CED),
ebbene, allora del tutto illogico, nel sistema, sarebbe richiedere alla
parte offesa la "prova piena" del suddetto danno morale, in ossequio al
disposto dell'art. 2697 c 1 c.c.
E' infatti di tutta evidenza come il concetto di danno morale non possa che
essere riferito a situazioni soggettive - giacché, nella ipotesi di
situazioni oggettive di sofferenza, ai rientrerebbe nell'alveo del datino
alla salute o del danno biologico -, onde la sua sussistenza ben può essere
desunta in via presuntiva (cfr. Cass., 1 dicembre 1999 n. 13358; Tribunale
di Roma, 13 ottobre 1999 , in Giur. Romana, 2000, 156), vale a dire in base
ad elementi che indirettamente e mediante indizi attestino la sussistenza
del patimento.
Del resto, anche la pronuncia su cui i convenuti fondano la propria tesi
(Cass., 21 dicembre 1998, n. 12767), al di là della fuorviante massima,
afferma in motivazione che " il danneggiato ha l'onere di provare
l'esistenza dei danno ex art. 2697c.c., (operante pure riguardo al danno
morale) mediante l'allegazione di circostanze da cui presumerla" .
Orbene, gli attori hanno indicato - al di là dei riferimenti all'omessa
"buona fede", del tutto irrilevanti in questa sede - nell'offesa alla
propria identità di "lavoratori, ...sindacalisti...persone", 'profondamente
impegnati nella gestione delle relazioni sociali all'interno dell'azienda"
gli estremi da cui dedurre che "l'esito della vicenda, l'altrui commissione
del reato " ha determinato in essi uno stato di sofferenza morale.
Ritiene questo Giudice che l'assunto sia fondato.
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Ed infatti, le modalità di commissione del reato - notoriamente
plurioffensivo-~ con riferimento all'intervenuto accordo sottoscritto con
le organizzazioni sindacali, vale a dire l'assoluta indifferenza, nella
falsificazione delle voci di bilancio consolidato, rispetto alle
pattuizioni concordate , che proprio ai dati contabili falsificati facevano
riferimento; il comportamento concretatosi in una assoluta mancanza di
rispetto dei
lavoratori sia nella loro individualità che nella forma associativa; il
disprezzo delle regole di correttezza che avrebbero dovuto presiedere alle
trattative ed alla conclusione del citato accordo, costituiscono elementi
sufficienti da cui dedurre la sussistenza di quel "perturbamento
ingiustamente arrecato alle condizioni d'animo" che concreta la sussistenza
del "danno morale" da reato.
Posta l'accoglibilità della domanda sotto il profilo dell' an, è necessario
procedere alla quantificazione del danno.
Gli attori, invero, hanno indicato una somma (_ 5.000 per ciascuno di essi)
solo al fini conciliativi, onde deve ritenersi ch' essi si siano
integralmente rimessi alla valutazione giudiziale.
Richiamandosi ai parametri ordinariamente utilizzati - modalità
dell'offesa, intensità del dolo o della colpa, condizioni economiche del
responsabile - e considerate quindi le posizioni delle parti nonché il
fatto che già al momento della sottoscrizione dell'accordo sindacale i
convenuti erano consapevoli di aver falsifcato i dati dei bilanci
consolidati , ritiene questo Giudice di liquidare equitativamente, a titolo
di danno morale, la somma di _ 1500 per ciascuno degli attori.
I convenuti, pertanto, dovranno essere condannati solidalmente anche al
pagamento della suddetta somma - maggiorata di interessi legali dalla data
di passaggio in giudicato della sentenza penale al saldo effettivo in
favore di ciascuno degli attore.
Spese alla soccombenza, liquidate in dispositivo.
PQM
IL Giudice Unico,
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definitivamente pronunciando,
contrariis rejectis,
ACCOGLIE parzialmente domande proposte dagli attori nei confronti dei
convenuti, e per l'effetto
CONDANNA i convenuti Cesare ROMITI e Francesco Paolo MATTIOLI al pagamento,
in favore di ciascuno degli attori , della somma di _ 1508,78 oltre a
interessi in misura legale dalla data di passaggio in giudicato della
pronuncia penale al saldo effettivo;
CONDANNA i convenuti in solido a rifondere agli attori le spese del
presente procedimento, liquidate complessivamente in _ 6.556,00 (di cui _
1.000,00 per diritti, _ 455,75 per esposti ed il resto per onorari) oltre
Iva e Cpa.
Cosi deciso in Torino il 23/12/2002