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Vietato l'ingresso agli italiani
Vietato l'ingresso agli italiani
Emigranti italiani, gente sgradevole, sporca, violenta, povera. "L'orda" di
Gian Antonio Stella per l'editore Rizzoli. Storie esemplari e dimenticate di
quando eravamo noi i clandestini del mondo
(articolo di ASTRIT DAKLI)
Le storie che si raccontano in questo libro - L'orda, Rizzoli, E 17,00 - non
sono in realtà recentissime, no. Risalgono a diverse decine di anni or sono,
a volte più di un secolo fa. Eppure ci sembra di averle appena sentite da
altri in questi stessi giorni, ieri, stamattina; di averle addirittura
appena viste con i nostri occhi: storie brutte, di gente sgradevole, sporca,
violenta; storie di criminali, prostitute e accattoni che vengono da fuori,
da un mondo diverso e incomprensibile, e che non vogliamo avere tra le
scatole - anche se magari ci rimorde un po' la coscienza e sappiamo
benissimo che i nostri pensieri non sono davvero politically correct,
tutt'altro. Storie di emigranti, si capisce: e non storie di emigranti
"buoni", poveri ma onesti e volonterosi, da tutti ben accetti per la loro
operosità e modestia, la signora filippina tanto cara e tanto brava che si
accontenta di un salario tanto basso per pulirci la casa. No, storie di
emigranti cattivi, che vengono da noi a rubare e a spacciare droga, che
schiavizzano e sfruttano prostitute, che organizzano bambini e ne fanno
traffico. Quelli che si trovano continuamente sulle pagine di cronaca nera,
continuamente coinvolti nelle peggiori imprese; quelli che proprio non
gradiamo, e che vengono presi dalla destra - la Lega, An - a modello
universale del "migrante povero", "contaminante", da tenere a tutti i costi
lontano dalla nostra terra, perché "noi" no, non siamo così, siamo diversi,
siamo migliori e sempre lo siamo stati.
Be', non proprio sempre. Le storie raccolte da Gian Antonio Stella,
bravissimo giornalista che firma sul Corriere della sera, sono uguali o
peggiori di quelle che troviamo tutti i giorni sulla cronaca nera, ma i
protagonisti non sono albanesi - o rumeni, o marocchini - bensì italiani
emigrati all'estero e raccontati non seguendo l'epica tradizionale
deamicisiana (dagli Appennini alle Ande) o il folklore tutto pizza e
mandolini, ma con l'occhio di chi quegli emigranti italiani ha accolto -
meglio sarebbe dire "subìto" - dalla metà del XIX secolo fino ad anni
recenti, i Sessanta e i Settanta del secolo da poco finito. Sono articoli di
giornali, libri, pamphlet e manifesti, verbali di sedute parlamentari o
consiliari, sentenze di tribunali, ma anche lettere di migranti e indagini
di istituti indipendenti: un grande materiale documentario che in ultima
analisi è un unico gigantesco atto d'accusa contro l'italiano povero. Quello
che emigra.
Accuse a volte vere, spesso inventate, o tratte da generalizzazioni estreme
del comportamento di alcuni elementi criminali: ma quel che ci interessa di
più, accuse assai simili nello spirito, se non nella forma, a quelle che
circondano l'immigrato povero, il clandestino, in Italia.
Il lavoro di Stella colpisce allo stomaco. Il modo in cui gli italiani sono
stati considerati per decenni se non per secoli nei paesi in cui si recavano
- tutti "criminali", "subumani", "scimmie", "locuste" o nel migliore dei
casi, con l'ipocrita definizione in uso negli Stati uniti di fine Ottocento,
"non visibilmente negri" - dovrebbe davvero far riflettere coloro che oggi
si scagliano contro gli immigrati che arrivano da noi. Se avessero il
coraggio di leggere le pagine di questo libro, il che probabilmente non si
dà. Eppure alcuni di essi sanno benissimo che le parole da loro usate nei
confronti degli immigrati che arrivano in Italia dall'Albania, dal Marocco o
dal Bangladesh sono identiche a quelle usate nei confronti dei nostri
connazionali che arrivavano negli Usa o in Svizzera un po' di anni prima...
Prendiamo il caso - citato da Stella - di Egidio Sterpa, oggi deputato di
Forza Italia sostenitore della Bossi-Fini, ma trentatré anni fa inviato del
Corsera in Svizzera in occasione di uno dei tanti referendum anti-stranieri
(e specificamente anti-italiani) promossi dal razzista Schwarzenbach. Si
indignava Sterpa, allora, per l'idea di cacciar via dalla Svizzera metà
degli immigrati (che erano il 21% della popolazione, non il 2% come oggi in
Italia); si indignava per la legislazione elvetica che impediva ai nostri
lavoratori di stabilirsi in Svizzera se non avevano lavorato per almeno due
anni nello stesso cantone e nella stessa azienda; si indignava per le parole
di Schwarzenbach che definiva i familiari degli immigrati "braccia morte che
pesano sulle nostre spalle, che minacciano il benessere dei cittadini
svizzeri". E adesso...
Adesso sentiamo dire degli immigrati che sbarcano sulle nostre coste quel
che il Century Magazine diceva nel 1913 di noi: "Molti italiani del sud
sbarcano qui con idee piuttosto stravaganti su ciò che gli capiterà. Subito
sembrano cercare soccorso con l'aria di chi dice: `Eccoci qui. Che cosa
avete intenzione di fare per noi?'. E addirittura insistono sull'aiuto come
se gli fosse dovuto". Mentre invece, come si leggeva sul New York Times nel
1891, "Questi spioni e vigliacchi siciliani, discendenti di banditi e
assassini, che hanno portato in questo paese gli istituti dei fuorilegge, le
pratiche degli sgozzatori, l'omertà delle società del loro paese, sono per
noi un flagello senza remissione".
Altro che brava gente laboriosa e ben inserita. Ecco il parere de La Suisse,
nel 1898: "Il quartiere di Spalen, a Basilea, è diventato negli ultimi anni
una vera colonia di operai italiani. La sera soprattutto, queste strade
hanno un vero profumo di terrore transalpino. Gli abitanti si intasano,
cucinano e mangiano pressoché in comune in una saletta rivoltante. Ma quel
che è più grave è che alcuni gruppi di italiani si assembrano in certi posti
dove intralciano la circolazione e occasionalmente danno vita a risse che
spesso finiscono a coltellate. Non ci sono misure da prendere, forse
difficili ma urgenti, da parte della polizia?". E un rapporto della
commissione parlamentare americana sull'immigrazione, nel 1911: "Noi
protestiamo contro l'ingresso nel nostro paese di persone i cui costumi e
stili di vita abbassano gli standard di vita americani e il cui carattere,
che appartiene a un ordine di intelligenza inferiore, rende impossibile
conservare gli ideali più alti della moralità e civiltà americana".