COMUNICATO STAMPA
STRAGE A ISTANBUL, ESODO NEL MEDITERRANEO: LA TURCHIA INAUGURA LA SUA GUERRA Oltre mille agenti e militari, preceduti da decine di panzer e ruspe e accompagnati da un forte fuoco di cecchini appostati sui tetti, hanno dato oggi alle 14 l'assalto al piccolo quartiere di Armutlu a Istanbul, dove da un anno prosegue il dramma dello sciopero della fame di decine di ex detenuti politici e di loro familiari contro la generalizzazione delle celle d'isolamento, con la solidarietà della popolazione. Secondo l'IHD (Associazione diritti umani), che ha inviato osservatori sul luogo, il bilancio è tragico: fra quattro e sei morti, decine di feriti anche gravi e centinaia di arresti, la distruzione con il fuoco di almeno una delle "Case della resistenza", le altre invase dal fumo di lacrimogeni e gas tossici. Di due persone, fra cui il portavoce del digiuno Haydar Bozkurt, si sa che si sono uccisi con il fuoco per protesta, mentre è probabile che gli altri siano stati uccisi dalla polizia. Già per la strage nelle carceri del 19 dicembre l'autopsia rivelò che molti dei "suicidi" erano stati deliberatamente dati alle fiamme dalla polizia. Ai 28 morti in quell'irruzione si sono poi aggiunte altre 46 morti per fame dentro e fuori dalle prigioni, nel vergognoso silenzio del mondo, ed ora il bilancio è destinato ad aumentare vertiginosamente. La luce verde alla strage, più volte minacciata e annunciata dal ministro della Giustizia Sami Turk, è legata alla partecipazione turca alle operazioni in Afghanistan: il regime ritiene di avere le mani libere nella repressione di ogni dissenso e nel rilancio della politica del terrore. Pochi giorni fa un dirigente dell'Hadep della città kurda di Dogubeyazit, Gurhan Kockar, era stato assassinato da militari sulla porta di casa.
L'associazione Azad, raccogliendo l'appello dell'associazione Tayad da Londra, chiede di moltiplicare fax di protesta in inglese a questi indirizzi: Prime Minister Bulent Ecevit Fax: 0090312 417 04 76
Il terrore e la guerra moltiplicheranno l'esodo, il cui drammatico simbolo è oggi l'odissea della nave Erenler nel mare Jonio. Degli oltre mille profughi partiti sei giorni fa da Cesme (Izmir), fra cui trecento bambini, la grande maggioranza erano kurdi e molti afghani: le vittime di due guerre. Già venerdì scorso 69 afghani erano sbarcati fortunosamente nelle isole greche di Kos e Symi. Il dramma delle Erenler, da cinque giorni in mare e da tre giorni alla deriva nel mare in tempesta senza equipaggio né viveri dopo l'incendio del motore, non poteva essere ignota alle autorità turche e greche ed agli apparati Nato che controllano il Mediterraneo. Probabilmente solo la segnalazione alla polizia italiana, da parte dell'Ufficio d'informazione del Kurdistan di Roma che aveva raccolto ieri sera il drammatico appello giunto dai telefonini dei naufraghi alla confederazione kurda in Europa Kon-Kurd, e la comunicazione dall'Italia alle autorità greche, ha obbligato queste ultime a intervenire rimorchiando la nave nell'isola di Zante con il suo carico di profughi affamati, e probabilmente di morti nell'incendio della sala macchine. Per tre giorni i profughi sono stati abbandonati al mare forza sei al largo di Zante: il primo segnale di intervento è stato un sorvolo di elicotteri greci solo nella scorsa notte, dopo la richiesta di informazioni da parte della polizia italiana. Si è coscientemente sfiorato un dramma di enormi proporzioni. (Dino Frisullo - 5.11.01)
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