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Israele: parla un testimone delle violenze
Un pellegrino testimone delle violazioni dei diritti umani
Riccardo Rossano - di Amnesty International - ci invia questa
testimonianza, al ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, in cui e'
stato testimone delle violenze e delle violazioni dei diritti umani che
insanguinano oggi Israele.
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ISRAELE
All'inizio di questo pellegrinaggio in Terra Santa sarebbe stato difficile
immaginare a qualcosa in più di una esperienza di carattere spirituale,
certamente stupenda ma senza ulteriori e diverse implicazioni. Ed invece è
accaduto il contrario o meglio più di quello che si pensava e per molti di
noi è il caso di dire che la realtà ha superato la fantasia. Quattrocento
persone recatisi in visita in Palestina o Stato di Israele hanno potuto
essere testimoni di una situazione politico sociale insopportabile che la
popolazione vive sulle proprie spalle ogni giorno. Noi pellegrini in Terra
santa per pochi giorni abbiamo vissuto disagi e in alcuni casi situazioni a
rischio che ci hanno fatto capire, per quanto si può in pochi giorni, la
dura realtà in cui vivono le persone in quei territori. Da qui il dovere di
raccontare la cronaca della violenza a cui abbiamo assistito e
dell'arroganza che me ed altre persone in quei pochi giorni hanno dovuto
subire. Il giorno 1 ottobre, ottanta persone (due autobus), di cui la
gran parte anziane, sono state bloccate nel deserto impedendogli di
raggiungere il proprio albergo. Di ritorno, infatti, da Betlemme il gruppo
doveva raggiungere il proprio albergo in Gerico (territorio occupato dai
Palestinesi) ma a poche centinaia di metri due camionette con soldati
israeliani hanno impedito il passaggio con questa motivazione: gli ordini
che avevano ricevuto erano di bloccare il transito a chiunque sino
all'indomani mattina non importa se essi fossero o meno pellegrini, turisti
o altro. Siamo stati fermi due ore nel deserto, con soldati israeliani con
i mitra spianati e completamente indifferenti alle nostre richieste
solamente di spiegazione di chi eravamo e cosa stessimo facendo in quei
luoghi. Ragazzini di diciotto anni, il loro comandante poteva avere venti
anni o poco più, sapevano soltanto far segno (con le armi in pugno) di
risalire sugli autobus perché con le nostre richieste di spiegare
disturbavamo il loro lavoro. La temperatura nel deserto cominciava a calare
e le ottanta persone erano praticamente confinate sugli autobus mentre la
nostra guida palestinese (costretta a spacciarsi per ebreo per timore di
minacce e violenze) e il direttore dell'albergo giunto nel frattempo erano
letteralmente ignorati dai soldati. Dopo circa due ore è arrivato un
ufficiale di polizia che ha confermato la presa di posizione assunta dai
soldati giustificandola con l'obiettivo di salvaguardare la nostra
incolumità impedendoci di passare. Parlare della nostra incolumità in quei
termini diventava ridicolo. Questa era a rischio ma per colpa degli
israeliani visto che nel frattempo in un autobus quattro persone anziane i
propri bisogni li avevano fatti nei pantaloni. Soltanto a tre persone tra
le più anziane e con problemi di salute i soldati avevano consentito il
passaggio mentre a tutti gli altri, nonostante avessimo richiesto di
lasciare gli autobus al posto di blocco e raggiungere l'albergo a piedi, i
soldati avevano opposto un secco ed immotivato rifiuto. La situazione si è
potuta sbloccare solo dinanzi alle nostre minacce di intervento delle
autorità consolari italiane ed americane (nell'autobus vi erano cittadini
americani) che nel frattempo erano state allertate nonché alla minaccia di
far intervenire i giornalisti incluso le troupe televisive della BBC e
della CNN che stabilmente si trovano in Gerusalemme. Abbiamo dovuto, noi
disarmati, di fronte a loro armati fino ai denti intimorirli minacciando di
coinvolgere organizzazioni internazionali di diritti umani facendo ricadere
l'intera responsabilità di ulteriori complicazioni su quell'ufficiale se
non ci avessero consentito il passaggio. Ci siamo resi conto che questa era
la strategia giusta soltanto quando l'ufficiale di polizia ha chiamato il
proprio comando e ci ha dato il via libera per il passaggio. Altri gruppi,
invece, hanno assistito ai tafferugli sulla spianata del tempio, sono
passati tra le strade di Betlemme invase di pietre dell'intifada
palestinese. E' certamente difficile ripartire le colpe di una guerra che
su quelle terre dura da centinaia di anni e oggi vede contrapposti
palestinesi ed ebrei ma l'impressione che tutti noi abbiamo ricavato da
quei fatti è quella di una assoluta arroganza, prepotenza e violenza da
parte dei soldati israeliani, padroni assoluti di quei territori.
L'impressione di una situazione assolutamente precaria, instabile e di
continua tensione (vi erano soldati armati ovunque) in quello che dovrebbe
essere un luogo di spiritualità e religiosità e dove un palestinese per
poter recarsi al proprio luogo di lavoro è spesso costretto a superare tre,
quattro posti di blocco al giorno. Vi sono notizie di pestaggi di
lavoratori pendolari ai posti di blocco da parte della polizia e di altri
funzionari. Le case di molti palestinesi sono state demolite per impedire
lo sviluppo palestinese in parti sotto il controllo israeliano con la scusa
della mancanza del permesso edilizio. Che pericolo poteva mai
rappresentare quel ragazzino di dodici anni ucciso tra le braccia del
proprio padre?
Riccardo Rossano
responsabile di Amnesty International di Taranto
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