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crimine
Alleghiamo un commento pubblicato giovedì nel nostro sito a proposito di
allarme microcriminalità, politica e mass media.
Cordiali saluti,
Nonluoghi
Ci siamo. Ormai, stando all'ultima indagine diffusa oggi dal
Censis, gli italiani si sono convinti di vivere nel Far West più
profondo e che la colpa è soprattutto degli immigrati.
Politica e mass media hanno ottenuto il risultato di catalizzare le
inquietudini e le paure che, in realtà, trovano solo una parziale
giustificazione nello
stato delle cose in fatto di (micro) criminalità.
E' facile alimentare quelle paure, cavalcarle per vendere giornali o
comprare voti. E' più faticoso fare ragionamenti sulla complessità
sociale,
disaggregare i dati, riportare un fenomeno alle sue dimensioni vere
piuttosto che lasciarlo alla lente d'ingrandimento dell'immaginario
utile a distrarre l'opinione pubblica da altre e assai più reali
emergenze. Le perdite da microcrimine in termini di vita umana -
malattia e morte - oltre che pecuniari e psicosociali non sono
paragonabili a quelle sistemiche derivanti dal modo in cui si produce,
si consuma, ci si muove nella nostra società.
Stiamo parlando di decine di migliaia di morti evitabili derivanti da
precisi meccanismi del "libero" mercato.
Questo solo per porre in evidenza la sproporzione dell'allarme
microcriminalità rispetto ad un quadro di aggressioni sociali assai più
generalizzate,
subdole e maligne, che sono però taciute o quando vengono raramente
denunciate
sono trattate quasi con fatalismo, come se non ci fosse nulla da fare
(certo, c'è poco da fare se non si mette in discussione il paradigma
liberista).
Non staremo qui a dilungarci sul tema: in Nonluoghi il lettore può
trovare abbondante materiale in proposito. Vogliamo solo osservare che
la
microcriminalità nemico numero uno degli italiani (ma delle mafie com'è
che si parla
sempre meno?) sembra presentare anche un aspetto grottesco: le
diseguaglianze sociali (di reddito innanzitutto) alimentano la
microcriminalità che colpisce e induce le vittime potenziali ad
attrezzarsi (il Censis segnala anche il boom di allarmi,
porte blindate, bunker casalinghi eccetera) alimentando il business del
settore e
dunque il libero mercato che con i suoi meccanismi di esclusione ai
vari livelli
catalizza la microcriminalità. Nel frattempo il ministro Bianco potrà
insistere
sulla tolleranza zero. Fini potrà ripetere che il clandestino va
buttato fuori perché
potenzialmente criminale. E poi un giorno il ministro Fassino ci
spiegherà che
l'impresa privata potrebbe rendere più razionale la gestione dei servizi
nelle carceri. E
così la criminalità si inserisce a buon "diritto", come altri fenomeni,
nel
circolo vizioso del libero mercato e dei suoi "effetti collaterali".
Intelligenza e onestà intellettuale vorrebbero che sulla criminalità
si portasse il
dibattito politico e massmediatico fuori del polverone da Far West per
analizzare
seriamente la reale entità del fenomeno, il profilo sociale dei
criminali e delle vittime,
i rapporti causali fra le diseguaglianze di reddito/esclusione sociale
e la propensione
al crimine, le strategie di intervento per prevenire tali condizioni a
rischio.
Questo non significa sottovalutare un fenomeno o negarne la
rilevanza sociale.
Significa tentare di prenderne le misure precise, evitare le dilaganti
strumentalizzazioni, allargare il dibattito sulle eventuali
contromisure oltre la sterile
e semplicistica tolleranza zero ormai cara a destra, sinistra e gran
parte degli
opinion leader nazionali. E' inimmaginabile proiettare nel nostro
futuro un cammino sociale sulle premesse della tolleranza zero. E'
urgente costruire
proposte e politiche di riduzione della sofferenza umana di ogni genere
da cui
dipendono anche fenomeni come la "delinquenza comune". Significa
intervenire nei
meccanismi economici che producono malattia, morte ed esclusione (si
vedano gli
approfondimenti segnalati a lato); percorrere altre strade nella lotta
alla tossicodipendenza (il proibizionismo sembra favorire le narcomafie
e
costringere al crimine i soggetti in difficoltà che devono procurarsi
le sostanze da
cui dipendono); riconsiderare la questione della pena, dato che le
carceri diventano
per molti - scontata la pena - una prigione definitiva nell'ambiente
della
criminalità; smetterla di ignorare anche statisticamente i danni
sociali derivanti dai meccanismi del mercato; individuare o codificare
come reati comportamenti oggi "non perseguibili" che producono
sofferenza psicologica, sociale ed economica, malattia e morte.
Temi ostici, problemi difficili ma obbligati. Sorvolare sulla
complicazione delle
cose, invece, vuol dire far rotta verso il precipizio.