[Diritti] "Il disegno di legge sulla sicurezza è un passo indietro pericoloso per la democrazia e va fermato"



Pupulismo penale

Mosaico di pace/ottobre 2024

Il disegno di legge sulla sicurezza è un passo indietro pericoloso e grave per la democrazia e per i diritti. E va fermato.

L’emblema del disegno di legge governativo sulla sicurezza, approvato dalla Camera e ora al Senato, si può individuare nell’art. 15. Infatti, si aggredisce un punto fermo di civiltà: il rinvio della detenzione delle donne in stato di gravidanza e delle mamme con bimbi di età inferiore a un anno. Era obbligatorio e lo si renderebbe ora facoltativo. Il giudice potrebbe anche negare il rinvio e la detenzione allora avrebbe luogo in un Icam (istituto a custodia attenuata per detenute madri). Se il bambino, poi, ha da uno a tre anni d’età è possibile che vada a finire con la madre nelle sezioni nido di carceri ordinarie. Dovrebbe così ritenersi abrogato l’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, che ammette la detenzione domiciliare per la donna incinta o madre di figli conviventi di età inferiore a dieci anni. 
Al 31 luglio 2024 negli istituti penitenziari 21 donne vivevano detenute con i loro 24 bambini. In maggioranza straniere: 14 con 15 figli. Se il Senato approvasse definitivamente il disegno di legge ne conseguirebbe un aumento del numero di donne in gravidanza e bambini innocenti in carcere. 
Non si tratta di presunti non colpevoli, secondo l’art. 27 della Costituzione, ma di certamente, assolutamente non colpevoli. Bambini che scontano una pena senza aver commesso alcun reato. Sono, anzi, vittime del reato di furto di infanzia in termini di affettività e di pienezza dei sensi. Non c’è nulla di più disumano e lesivo della preminenza dell’interesse del bambino prescritta a livello internazionale (the best interest of the child). E alla sua base c’è una risposta crudele alle cronache che narrano dell’escamotage di giovani donne, soprattutto rom, che condannate ordinariamente per borseggi si comportano come quella, interpretata da Sophia Loren nel film di Vittorio De Sica Ieri, oggi, domani, che per non andare in carcere scelse di avere numerose gravidanze. 
Il metodo punitivo è collaudato. Si fotografa con una norma penale un caso di cronaca perseguibile con norme già vigenti, enfatizzandolo mediaticamente e così alimentando la paura della popolazione e l’aspettativa di pene più severe. Si ricorderanno i “decreti sicurezza” ostentati dal primo governo Conte (Lega-5 stelle) e più di recente la norma anti-rave del governo attuale per fronteggiare un raduno musicale non autorizzato ma sciolto pacificamente dai protagonisti in ossequio all’ordine di polizia. Benché il fatto fosse già punibile, fu propagandata come una pronta risposta all’esigenza di tutela della proprietà anche se poi non ha mai trovato applicazione. La spirale sembra inarrestabile: paura degli stupri? Castrazione chimica; paura degli immigrati? Cpr, ovvero Centri di detenzione per l’espulsione. In questo caso il pericolo è il rom, come si deduce anche dall’aumento di pena (minimo due anni) previsto per l’induzione o il favoreggiamento di minori all’accattonaggio. 
Non è possibile qui passare in rassegna la serie di reati (se ne contano ben 24) introdotti in molti casi per circostanziare e punire più gravemente fatti già previsti dal Codice penale. Per esempio, la commissione di reati in stazioni o aeroporti. O l’occupazione di immobili destinati a domicilio altrui, per cui la pena viene più che raddoppiata (invece che da uno a tre anni, da due a sette anni), senza considerare che alla base dell’occupazione, se possono esserci organizzazioni malavitose, spesso ci sono cittadini spinti dalla disperazione perché senza casa anch’essi. Non si allevia il disagio sociale con politiche per la casa, per l’inclusione, per una vita dignitosa, in modo da prevenire fatti criminosi. Invece, la comunicazione politica sulle novità legislative trasmette l’idea che l’efficacia della prevenzione si ottenga innanzitutto con il rendere la vita più difficile a tutti i disagiati e che perciò bisogna dotare l’apparato repressivo di nuove e apposite norme penali. 
Qui si coglie un tratto caratteristico delle politiche securitarie in chiave repressiva, che storicamente costituiscono l’approccio dei sistemi autoritari al problema: non sorprende, quindi, che vengano messe in atto dalle destre ovunque siano al potere e, quindi, anche nel nostro Paese. Esse si caratterizzano non solo per inasprimenti di pene ma anche per l’introduzione di nuovi reati idonei a comprimere gli spazi di democrazia costituzionale, colpendo manifestazioni collettive pacifiche. Emblematici sotto quest’aspetto sono i nuovi reati di cosiddetto blocco stradale o ferroviario e soprattutto di resistenza “anche passiva” a ordini dell’autorità nelle strutture penitenziarie e in quelle di trattenimento dei migranti. Nel primo caso viene represso penalmente (reclusione da sei mesi a due anni) un fatto attualmente sanzionato solo amministrativamente. 
Non si considera che l’occupazione dei binari per qualche ora può essere motivata anche dalla protesta per l’insufficienza dei trasporti di lavoratori o studenti pendolari. Così come il blocco del traffico stradale per effetto di un presidio per protestare davanti a una fabbrica contro il licenziamento di lavoratori o magari davanti a un tribunale per un provvedimento giudiziario ritenuto ingiusto. Quanto alla resistenza passiva nelle carceri o nelle strutture di trattenimento per i migranti pensiamo al rifiuto collettivo dei detenuti (tali sono di fatto anche i migranti in quelle strutture) di rientrare in celle sporche di insetti o con caldo insopportabile. Si tratta di manifestazioni di protesta pacifiche che reclamano interventi di miglioramento delle condizioni di accoglienza dei migranti e di rieducazione dei detenuti (spesso, peraltro, neppure condannati ma in carcerazione preventiva) a cui si risponde autoritariamente con la repressione. 
Idea fallace per l’evidente incongruità democratica di una visione panpenalistica del diritto, come cioè se tutto il diritto si riducesse a quello penale, un “diritto penale totale” concepito come unico rimedio ad ogni male sociale. E come tale sempre bisognoso di nuove norme incriminatrici, perché quelle vigenti non sarebbero sufficienti a coprire tutti gli illeciti. Così, se aumentano le riunioni di protesta, anche pacifiche e senz’armi com’è diritto riconosciuto dalla Costituzione all’art. 17, si aumentano anche le norme incriminatrici. Di qui il messaggio subliminale che l’inefficacia della prevenzione dipende dalla mancanza di un apparato normativo repressivamente adeguato. 
Si chiama populismo penale ed è un cavallo di battaglia dei movimenti neofascisti o neonazisti in crescita in tutta Europa, non solo in Italia. Bisogna impegnarsi politicamente e socialmente perché la paura non diffonda una condiscendenza passiva nella mal riposta speranza di una pace sociale. Si porterebbe acqua al mulino degli imprenditori della paura attualmente al governo.

Nicola Colaianni

L'articolo è pubblicato in Ultima tessera di Mosaico di pace di ottobre 2024

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