L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50 mila utenti – Zurigo, 30 novembre 2017 |
DATECI UNA MANO, PER FAVORE Chi può offrirci un libero contributo (anche piccolo) a sostegno dei costi per questa mostra è invitata/o a farlo visitando il sito crowdfunding >>> WeMakeIt >>> entro i prossimi 13 giorni. GRAZIE!
Letzte Front Mostra zurighese dedicata alla vita e all'opera di Andy Rocchelli (1983-2014). Esposizione curata da Miklós Klaus Rózsa. Nel 120° dalla fondazione dell'ADL Intervista con Rózsa su Radio SRF (in tedesco) > clicca qui (testo) > e qui (audio > 27' 40") Ingresso libero. Orari: lunedì-sabato 12-21. domenica 12-18 Abbiamo promosso questa mostra per chiedere che si faccia luce sull'assassinio di Rocchelli e Mironov. Protestiamo contro la disumanità della guerra e contro l'uccisione dei giornalisti di guerra per mano di chi vuole negare il diritto di tutti a essere informati da fonti indipendenti su quel che realmente accade nei teatri bellici. – La red dell'ADL Organizzano: Collettivo Cesura, Coopi, Fabbrica di Zurigo, Famiglia Rocchelli, Fondo Gelpi Ecap Schweiz, Photobastei, Società Dante Alighieri, Syndicom Schweiz. Con il patrocinio dell'Istituto Italiano di Cultura Zurigo e della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera. Info: +41 44 2414475 - cooperativo at bluewin.ch |
EDITORIALE
Il bollino rosso Nei prossimi mesi il bollino rosso che esorta gli esponenti della sinistra italiana ad allearsi ("Basta scemenze!") accompagnerà gli articoli dedicati alla situazione politica nel nostro paese. di Andrea Ermano Ognun sia libero di tifare per chi gli pare, per Corbyn o Macron, per Bersani o Renzi, per Camusso o Barbagallo, e noi propendiamo per i primi che ho detto, ma il rosso Corbyn è rimasto nel Labour anche quando alla guida c'era un leader rosatello. Non ci si poteva attendere da Bersani la stessa britannica virtù? Può darsi di no, ma adesso perché regalare seggi a chi tifa per Trump, Putin o Le Pen? A destra si fregano le mani dalla contentezza nel constatare che la sinistra a sinistra del PD è disposta a tutto o quasi pur di rottamare il Rottamatore, che certo ha le sue gravi responsabilità (e noi, da queste colonne, certo non gliele abbiamo mandate a dire). Però, l'Italia non può entrare in un marasma di comiche populiste, di buone intenzioni, di approssimazioni e d'improvvisazioni. È troppo pericoloso. E il popolo italiano lo sa. Il M5S è stato saggiato in numerose elezioni comunali. Verrà sconfitto. E poi aperto come una scatola di tonno. Il problema, dunque, non sono nemmeno i grillini, ma la spaccatura a sinistra tra filo-grillini e anti-grillini. Se andiamo avanti così, a colpi di sociologismi bersanian-dalemiani, la gente riaccrediterà Forza Italia. Che nei sondaggi già supera la Lega. Dopodiché Berlusconi non potrà tornare alla guida di Palazzo Chigi. Glielo impedisce l'età, oltre che la situazione giudiziaria. Ma ancor di più glielo impediscono i mercati, perché nessun grande fondo d'investimento potrebbe accollarsi a cuor leggero le miliardate di bond italiani, necessarie a reggere il nostro debito pubblico, se alla guida del Paese tornasse il campione olimpionico di barzellette bunga bunga.
La spaccatura a sinistra tra filo-grillini e anti-grillini offre uno spettacolo di rara subalternità. E spalanca un'autostrada al Cav. Non può riconquistare la premiership, dicevamo, ma può riprendersi la maggioranza in Parlamento e stabilire il punto di equilibrio del prossimo governo. Le cancellerie europee non osteggeranno una coalizione di centro-destra in Italia se l'unica alternativa fosse il sansepolcrismo a cinque stelle. Noi preferiamo decisamente un punto di equilibrio tra Renzi e Bersani e Pisapia e Bonino e Grasso e Boldrini. O no? E sbaglia della grossa chi pensa che il popolo della sinistra non tornerà alle urne finché tutti i ponti non saranno distrutti. Magari fossero queste le ragioni del rigetto antipolitico. Basterebbe epurare il re buffo di turno, come in un rito carnascialesco. Ma non funziona così. I leader delle varie formazioni di centro-sinistra devono in fondo solo accordarsi sulle candidature uninominali, che comunque senza un'alleanza resterebbero per lo più fuori dalla loro portata. Per il resto formino pure ciascuno la propria lista con il proprio programma, se ne hanno uno. Il popolo di sinistra apprezzerà lo sforzo. |
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SPIGOLATURE Un anno un po' così, senza infamia e senza lode di Renzo Balmelli GIUDIZIO. Per l’Europa si sta avvicinando la fine di un anno che pur evitando l’impietoso giudizio di “annus horribilis” non passerà comunque alla storia con la sua controparte positiva di “annus mirabilis”, secondo la locuzione tramandata ai posteri dalla letteratura inglese del seicento. A questo proposito anche i più fervidi europeisti, consapevoli delle difficoltà che sta correndo la casa comune, non nascondono un certo quale pessimismo e chiedono che i Paesi membri trovino la forza e la volontà di sedersi al tavolo dei negoziati per avviare le indispensabili riforme dell’UE. Altrimenti gli anni a venire potrebbero essere peggiori di quello che Bruxelles si sta lasciando alle spalle. Il riferimento alla letteratura inglese d’altronde non è casuale poiché è proprio dalla patria di quel genio universale di Shakespeare che è arrivato il terremoto chiamato Brexit. Uno sconquasso che con le sue scosse sempre più intense oltre al danno economico potrebbe procurare un oltraggio inimmaginabile alla cultura europea, secondo canoni che non possono coincidere in nome di un assurdo isolazionismo. DECLINO. C’è un manifesto e diffuso compiacimento tra l’internazionale della destra populista per le difficoltà che sta incontrando Angela Merkel nel formare il nuovo governo. Difficoltà che innestano nel destino della Germania elementi insoliti ed estranei al tradizionale pragmatismo renano. Senza rilasciare cambiali in bianco alla Cancelliera, nei confronti della quale anche da sinistra esistono riserve tali da complicare il ritorno alla Grosse Koalition, occorre pur sempre ammettere che i suoi dodici anni alla testa dell’esecutivo federale sono valsi se non altro a costruire un argine alla prorompente avanzata dell’estremismo nazionalista, inesorabile nell’erodere le possibilità di una vera e condivisa governance europea. Come hanno osservato alcuni attenti e preoccupati osservatori, se la Repubblica federale, nazione stabile per antonomasia, non riuscisse a uscire dall’impasse, potrebbe tornare a farsi vivo il fantasma degli anni di Weimar il cui ricordo è associato da un lato a uno straordinario periodo di vivacità creativa, ma dall’altro a un crollo dalle tragiche conseguenze. PREDELLINO. Serve un progetto per l’Italia - si può leggere a titoli cubitali mentre nel Paese sta iniziando la lunga e sfibrante campagna elettorale che paralizza la buona politica. Un progetto, sì, ma quale? Mentre la sinistra si svena nella stucchevole guerra delle reciproche recriminazioni, la destra presentandosi come “futuro che avanza” in realtà volge lo sguardo al passato. Ne risulta un gigantesco dispendio di energie che invece andrebbero investite in altri e più profittevoli campi per fare fronte alle tante emergenze, dalla disoccupazione che morde alle caviglie ai disagi degli sfollati che all’arrivo dell’inverno ancora non sanno quando potranno tornare alle loro abitazioni distrutte dal sisma. Nel 2017 , anno del limbo con segnali positivi ridotti al lumicino, tanto per completare il quadro deprimente si inserisce pure una delle tante amenità dell’ex cavaliere che nell’euforia del momento non ha resistito alla tentazione di riproporre a dieci anni di distanza la sceneggiata del predellino. In un clima che più inconcludente non si può, parlare di progetto per l’Italia ha l’amaro sapore dell’ennesima beffa. BUSINESS. Sembra una storia paradossale quella del cambio di proprietà al Time, la prestigiosa rivista di New York che viene annoverata tra gli alfieri dell’editoria liberal e progressista americana. Memorabili sono rimaste le sue prese di posizione contro Trump e una copertina che lo ritrae quale uomo dell’anno, ma con toni intinti nell’inchiostro dell’ironia. Ma l'aspetto curioso in questa nuova tappa della battaglia per l’informazione sta nel fatto che la scalata al settimanale è stata finanziata da un gruppo nazional popolare di ricchi petrolieri del Kansas, i fratelli Koch, repubblicani da una vita, che però- ecco il paradosso - avevano cercato di ostacolare in tutti i modi la scalata alla Casa Bianca del rivale della Clinton. Non si creda però che l’iniziativa sia un endorsement per la linea del settimanale. Allora perché? Ora che il peggio è fatto, nel paese del business l’operazione si spiega molto più prosaicamente col tentativo di smussare le voci critiche per le sbandate di Trump, non sempre compatibili con la logica degli affari, affinché non provochi danni maggiori finché rimane in carica. Insomma, come direbbe il grande Eduardo, con questa presidenza “adda passà a nuttata”. Resta da capire che ne sarà del Time. ISOLA. E adesso le nonne che favole racconteranno ai nipotini se dietro ognuna di esse si nascondono secondi fini inconfessabili. A dire il vero qualche sospetto sui contenuti e la morale di alcuni capolavori della letteratura per i bambini circolava già da parecchio tempo. Non ci voleva d’altronde un grande sfoggio di fantasia per capire che “dietro lo specchio” di Lewis Carrol, autore del romanzo Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie si celassero sguardi non sempre casti. E neppure Cappucceto Rosso, col lupo travestito, ucciso e squartato, può essere considerato un bel esempio per l’infanzia. A volte può far paura anche ai grandi. Che dire poi di Biancaneve con quei sette nani pieni di vigore sempre tra i piedi. Ma la mazzata fatale è arrivata quando una mamma ha lanciato una campagna per mettere al bando addirittura il bacio che porta al risveglio della Bella Addormentata, considerandolo estorto con l’inganno. A questo punto forse non rimane che rifugiarsi sull’isola di Peter Pan che però, purtroppo, è un lungo immaginario, un luogo che non c’è. BRAMOSIA. Sulla incandescente scacchiera della follia nucleare, il leader nord coreano con il lancio di un nuovo missile intercontinentale ha effettuato un’altra mossa del suo personalissimo e pericolosissimo gioco “o la va o la spacca” che tiene il mondo col fiato sospeso. E quand'anche si trattasse solo di un bluff per puntellare il proprio prestigio interno al cospetto di una popolazione stremata dalle difficoltà, a questo tavolo nemmeno la Cina, ossia il competitore più accreditato della regione, sembra in grado di smascherarlo. Le Cancellerie internazionali si erano illuse che Pechino riuscisse a disciplinare il suo vassallo, l’alleato riottoso che invece, anziché piegarsi a più miti consigli, annuncia pomposamente l’ingresso della Corea del Nord nel club delle potenze atomiche in grado di provocare distruzioni apocalittiche nelle metropoli americane. Nell’assenza prolungata di altri test balistici si pensava che l’emergenza nord coreana si stesse dissolvendo, ma quell’ordigno a lunga gittata molto più potente dei precedenti e in grado di trasportare una testata nucleare non solo smentisce crudelmente le congetture degli esperti, ma rischia di fare saltare il banco delle opzioni diplomatiche messe in conto per disinnescare la miccia di un eventuale conflitto con armi atomiche dalle conseguenze spaventose. Forse, speriamo, non siamo ancora al punto di non ritorno, ma parafrasando Pascal, verrebbe da dire che la bramosia del potere conosce ragioni che la ragione non conosce. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Pensioni, nuovi incontri in Parlamento Prosegue il confronto tra la Cgil e i gruppi politici di Camera e Senato su previdenza e legge di bilancio. Appuntamento con Articolo 1-Mdp-Sinistra italiana, Democrazia solidale-Cd, mentre giovedì 30 novembre è il turno di Fratelli d'Italia-An Continuano gli incontri della Cgil con i gruppi parlamentari. All’ordine del giorno, il fallimento della trattativa sul dossier pensioni e le osservazioni della Confederazione sulla prossima legge di bilancio. Dopo i vertici del 22-23 novembre (con i gruppi Misto, Articolo 1 - Movimento democratico e progressista, Federazione della libertà, tutti del Senato), di lunedì 27 (con Partito democratico e Movimento 5 stelle, entrambi di Camera e Senato) e di martedì 28 novembre (con Forza Italia – Il Popolo della libertà della Camera), proseguono i confronti richiesti dal sindacato ai presidenti di tutti i gruppi. Due appuntamenti sono in calendario per oggi (mercoledì 29 novembre), entrambi al Palazzo dei gruppi (in via Uffici del Vicario 21). Il primo, con il gruppo parlamentare di Articolo1 - Movimento democratico e progressista e Sinistra italiana della Camera, è fissato alle ore 9.30; il secondo, alle ore 11, è con i deputati di Democrazia solidale - Centro democratico di Camera e Senato. A entrambi gli incontri partecipano i segretari confederali Gianna Fracassi, Roberto Ghiselli e Tania Scacchetti. L’ultimo incontro della settimana è per giovedì 30 novembre. L’appuntamento, alle ore 9 presso la Galleria dei Presidenti (in piazza del Parlamento 24), è con il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale della Camera;
partecipano i segretari confederali della Cgil Roberto Ghiselli e Tania Scacchetti. Già fissato un confronto per la settimana prossima: martedì 5 dicembre sarà il turno del gruppo parlamentare della Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli della Camera, l'appuntamento è alle ore 14.45 presso il Palazzo dei Gruppi (in via Uffici del Vicario 21). |
Intervista
Besostri sul 120° dell'ADL e le leggi elettorali truffa Ecco il link dell'intervista con l'avvocato socialista Felice Besostri, già condirettore dell'ADL, per il 120° dalla fondazione della nostra testata. L'intervista è stata raccolta da Raniero Fratini per la RSI (Radio della Svizzera Italiana) il 18 novembre scorso al Coopi di Zurigo. >>> Vai all'audio sul sito
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Da Avanti! online www.avantionline.it/ Un'Assemblea Costituente per la Terza Repubblica di Roca “Addà passà a’ nuttata!”. A nuttata, manco a dirlo, è il tramonto della seconda Repubblica clamorosamente fallita nella sua attesa messianica di uno stato liberale moderno, anche in versione conservatrice alla Thatcher o alla Reagan per intenderci, i quali ebbero il merito di aver segnato la loro epoca. Qui da noi, invece, un fallimento contrassegnato da quello parallelo di chi era chiamato ad esserne l’alternativa, quella sinistra frustrata che è mancata in due impegni essenziali: quello di uno stato liberale moderno capace di scuotersi di dosso le rendite parassitarie a partire da quella più evidente e corrosiva del conflitto d’interessi col corollario corruttivo delle leggi ad personam. Un compito mancato dalla sinistra che si credeva di governo e che ha ceduto alla tentazione di un ipocrita moralismo nell’attesa che bastasse scuotere la pianta dell’opinione pubblica con le proprie condanne per vedersi cadere tra le braccia il governo del Paese. Basterebbe solo questo passaggio mancato per mettere fuorigioco con cartellino rosso (unica consolazione identitaria) i reduci più anziani dell’MDP. Altra omissione non meno colpevole e troppo spesso sorvolata è quella di Prodi e Veltroni di non aver subito reagito, a tutela della vita democratica del Paese, bocciando e cambiando immediatamente il Porcellum invece di sedersi a tavola e spartirsi un potere effimero con due soli voti di maggioranza e uno ceduto mettendo Marini a Presidente del Senato. La modifica della legge elettorale al Senato lo rendeva ingovernabile dalla prevedibile nuova maggioranza di centrosinistra facendo terra bruciata al suo arrivo, consegnando altresì alle oligarchie dei partiti la nomina degli eletti (la porcata di Calderoli), sottrazione in toto agli elettori del loro potere sovrano di scegliersi i rappresentanti senza che scattasse immediatamente l’impugnativa di incostituzionalità, rivelatasi completamente fondata su iniziativa di privati cittadini.
Due peccati mortali che sono al fondo anche di quelle due clamorose bocciature di Marini e Prodi alla Presidenza della Repubblica con tutto quello che n’è seguito a partire dall’abbandono della guida del Pd da parte di Bersani anche per il fallimento dell’aggancio dei pentastellati. Tutto si può dire tranne che Renzi non abbia tentato con l’unica forza disponibile FI di arrivare a mettere i binari per istituzioni governanti e governabili. Sul piano elettorale sapendo che l’obiettivo principe di Berlusconi era di assicurarsi il più ampio pacchetto di mischia a tutela dei suoi interessi politici e personali, ha imposto la scelta più indigesta alla destra, quella di accedere al secondo turno al ballottaggio evitando ogni necessità o tentazione di governi di larghe intese condizionate dalla destra. Qualunque inciucio era sopportabile pur di evitare l’inciucio permanente delle larghe intese. Sul piano istituzionale poi bastava per tollerare tutto il resto la rimozione del macigno, unico rimasto in Europa, di un paralizzante bicameralismo paritario con tempi di scelte politicamente accelerate dal dinamismo imposto dalla globalizzazione. A ben vedere una politica dei piccoli passi date le forze disponibili, che sarebbe tornata più che utile necessaria in un sistema politico ormai tripolare a cui mancava un solo tocco di appetibilità (il voto utile) corrispondente alle percentuali delle tre maggiori forze o coalizioni in campo, la soglia del 35% per ottenere il premio di maggioranza. La somma degli errori in buona ed in mala fede compiuti nella vicenda non esimeva in primo luogo Renzi da un obbligo morale prima che politico. Chi consapevole della posta in gioco aveva annunziato perfino il suo ritiro dalla politica, se c’è rimasto, doveva presidiare le scelte fatte e riformulare in altro modo le sue richieste essenziali. Sul piano delle riforme istituzionali e sarebbe ancora in tempo sfidare tutti gli altri a promuovere un'Assemblea costituente su pochi punti in tempi brevi e con l’incompatibilità con incarichi parlamentari avendo constatato l’impossibilità di assolvere da parte del Parlamento il doppio compito degli indirizzi per il governo del Paese e delle riforme costituzionali anche per rilevanti conflitti di interesse tra i componenti delle presenti camere e di quelle future. Elezioni per l’Assemblea costituente da tenersi congiuntamente con le prossime europee senza oneri aggiuntivi e con lo stesso sistema elettorale proporzionale senza esclusioni pregiudiziali trattandosi della casa comune di tutti gli italiani. Questa proposta con le stesse modalità l’ho avanzata a Veltroni segretario del PD, certo che saremmo finiti in un vicolo cieco. Nelle nobili esortazioni che i padri del PD rivolgono per l’unità necessaria del centro sinistra come argine ai populismi non trovo una sola indicazione che faccia tesoro dei fallimenti prima richiamati e tutto alla fine rischia d’essere condizionato da contrapposizioni personali con qualche terzo invocato per fare il paciere. Poca o nulla capacità autocritica e strategica e quel che manca è il salto di qualità da leader a statista pensoso delle sorti del Paese prima che del suo orticello di guerra di ciascuno contro tutti. Vai al sito dell’avantionline |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Sinistra ieri e oggi Non dimenticare il contributo politico-culturale delle forze laiche e socialiste ed evitare di considerare il Pci semplicemente come la storia di un errore. di Danilo Di Matteo L’intervento introduttivo di Maurizio Martina alla Conferenza programmatica dem di Napoli induce senz’altro a ricordare e a riflettere. Come non scorgere, ad esempio, dietro l’esortazione a costruire un’alleanza tra diritti, libertà e protezioni, l’eco della proposta di un’alleanza riformatrice del merito e del bisogno emersa dalla Conferenza di Rimini del Psi dell’ormai lontano 1982? Ecco, occorre scongiurare due tentazioni: “dimenticare” il contributo politico-culturale delle forze di democrazia laica e socialista (come si diceva negli anni della prima Repubblica) e considerare il Pci semplicemente come la storia di un errore. Martina, poi, parla di opportunità e di fragilità, riassumendo un po’ la condizione umana al di là del discorso politico in senso stretto, e mostrando di far propria la lezione di Amartya Sen sugli “agenti” e sui “pazienti morali”. Ora si tratta di tradurre in azione riformatrice quotidiana tale impostazione. A tal fine occorrono sia una leadership forte e capace di incidere, sia un gruppo dirigente autorevole in grado, insieme, di interpretare e ridestare il senso della “comunità politica” dei dem e del centrosinistra. E qui si pone un altro apparente paradosso: il Pd è nato, lungo il solco dell’Ulivo, come casa comune dei riformisti. Nel contempo, però, esso non riassume, per dir così, tutte le culture e le istanze riformatrici. L’obiettivo di dar vita a una più ampia alleanza di centrosinistra ha in ciò il suo fondamento. Non va visto come un espediente elettorale, bensì come un momento di quella capacità di ascolto e di condivisione evocata nel corso dell’esperienza del “treno del Pd”.
Oggi infatti da un lato si tende molto a semplificare il messaggio politico, dall’altro ogni cosa è pervasa dalla dimensione della complessità. Una complessità che va governata grazie a una varietà di sensibilità e di contributi. E qui Martina tocca un altro nervo scoperto: ammesso che abbia rappresentato nei decenni scorsi una chiave di lettura corretta, la dicotomia Stato-mercato oggi è superata. Mercato e Stato, come due facce della stessa medaglia, mostrano entrambi la loro inadeguatezza. E ciò dovrebbe spingere a un lavoro di ricerca autentica. Non basta rivolgere un fumoso appello a un’indistinta “società civile”: occorre individuare i soggetti sociali del cambiamento e far leva su di essi, includendoli in un discorso pubblico aperto. Non è facile, ma è necessario provarci. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Una sinistra di popolo contro le “due destre” in Italia Il 3 dicembre a Roma nascerà un nuovo soggetto politico della sinistra in Italia. Ad esso aderiranno donne e uomini di culture e tradizioni politiche diverse, ma accomunati dalla volontà di ricreare un’aggregazione in grado di rilanciare i valori, come si diceva un tempo, di libertà e giustizia sociale, che, pur nelle diversità e spesso nelle drammatiche contrapposizioni prodotte dalla temperie ideologica del ‘900, hanno rappresentato il filo rosso comune della sinistra nel nostro paese e nel mondo. di Maurizio Ballistreri Non una sommatoria di sigle dunque, da Sinistra Italiana a Mdp, da Possibile ai Socialisti sino, come auspicabile, ai movimenti civici riunitisi al Brancaccio e magari alle forze che si richiamano ad una lettura tradizionale del marxismo, ma un nuovo soggetto che eviti il politicismo e le logiche di autoconservazione del ceto politico, con tutte le derive professionistiche ad esse connesse, e che, come stanno facendo, ad esempio, il laburista Corbyn in Inghilterra e l’alleanza tra socialisti e altre forze di sinistra in Portogallo, parli alla gente, al popolo: già, per dirla con Bertold Brecht, faccia sì che “il popolo ritorni in scena”. E quindi, i temi del lavoro in primo luogo, per ridefinire e allargare il catalogo dei diritti del lavoro e contrastare disoccupazione e precarizzazione; il superamento delle stolide regole europee in materia economica, vera e propria camicia di Nesso contro lo sviluppo dell’economia e il superamento degli squilibri territoriali; l’impegno per ridurre la pressione fiscale, ma non come vorrebbe il centro-destra con la flat-tax, che avvantaggerebbe solo i ricchi, ma ripristinando la progressività delle imposte, prescritta dalla Costituzione, secondo il modello della legge-Preti del 1973 attuata da Visentini.
C’è bisogno di sinistra in Italia, per contrastare uno dei paradigmi della politica europea, fondato su di una dialettica tra una destra cosiddetta “sovranista”, lettura aggiornata del vecchio nazionalismo plebiscitario, e una destra liberista e tecnocratica con qualche vago riferimento ai temi sociali, letti e affrontati secondo la logica delle “mance”. L’omaggio a Macron all’Eliseo da parte di Renzi, leader di un partito democratico che ha promosso politiche economiche e sociali di impronta liberista, dal Job Act alla cosiddetta “Buona scuola”, bocciate dai cittadini nel voto per il referendum costituzionale del 4 dicembre dello scorso anno, che ha impedito la deriva oligarchica all’Italia, e l’assist di Eugenio Scalfari, che nonostante la venerandissima età continua a tentare (a onta delle sconfitte del passato) di muovere le fila della politica nazionale, a Berlusconi, sono segnali inequivocabili dell’idea di replicare anche in Italia l’operazione transalpina, di un’alleanza senza riferimenti storici e culturali, legato alle élites della finanza e delle banche, con un linguaggio populista e accattivante che si collochi al centro dello scenario politico. Anche per questo serve la ricostruzione della sinistra in Italia. |
Da Articolo UNO - MDP https://articolo1mdp.it Contro la disintermediazione Tornare alla mediazione sociale, cioè alla politica di L_Antonio Veniamo da una stagione di dura disintermediazione, ha scritto Giuseppe De Rita ieri sul Corriere della Sera. La rete sociale che faceva da ‘ponte’ tra partiti e società è stata smantellata in nome di un rapporto diretto con gli elettori, realizzato prima di ogni scadenza importante con massicce campagne di opinione oppure con robusti e diffusi rapporti clientelari, costruiti a partire dai notabilati e potentati locali. Attorno ai partiti è venuto a mancare un brodo di coltura: un’area collaterale di soggetti sociali, associazioni, rappresentanze grazie alle quali i partiti stessi non si sentissero affatto soli, il rapporto con la società e gli interessi diffusi fosse mantenuto saldo e le istituzioni potessero trovare una mediazione stretta con la base sociale del Paese. I grandi partiti di massa non erano soltanto costituiti di vertici e sezioni, ma anche di collateralismo sociale e associativo: un grande meccanismo assicurava, in tal senso, partecipazione, prossimità, comunicazione e, dunque, consenso reale e diffuso. Finita questa stagione, anzi buttata ai pesci nell’illusione che i media (e oggi i social) da soli potessero garantire la medesima tenuta egemonica, è sopraggiunta l’era del marketing politico-commerciale, della battaglia di opinione, dello scontro leaderistico, della disintermediazione, dei guru. Il passaggio non poteva essere indolore, anzi: ha accentuato la crisi della politica, consegnandola in modo determinante alle strategie dei guru, che oggi siedono accanto ai leader politici come principali consiglieri, oppure ai tecnici, che decidono le sorti della nazione sulla base delle mere ‘competenze’ personali. Le stesse istituzioni, a partire da quelle rappresentative, si sono indebolite al punto da essere ritenute quasi una ‘zavorra’ per l’esecutivo, e per le brillanti (nemmeno tanto a dire il vero) strategie di comando di qualche giovane leader.
È come se la piramide dello Stato e i vertici della politica oggi si affacciassero direttamente sull’abisso che li separa dai soggetti sociali ormai ridotti allo stato puro di utenti, clienti, compratori, usufruenti, destinatari di offerte. Obiettivi viventi, insomma, delle strategie di ‘accalappiamento’ che scadono spesso nel triviale, oppure in liste della spesa, proposte (anzi promesse) in caso di vittoria elettorale: bonus, sgravi, sconti, tagli unilaterali delle tasse. Niente più che una strategia commerciale d’accatto scambiata per politica. Nulla delle azioni di tipo egemonico-culturale che i grandi partiti sviluppavano verso la società, che erano nello stesso tempo una garanzia di tenuta sociale e di coesione, oltre che di ascolto permanente e capillare. Oggi l’ascolto, al più, è quello dei focus group, la comunicazione è unilaterale, si compone di messaggi alto-basso, vertice-base, la politica è ischeletrita, i partiti sono soltanto delle piccole meduse che tentano di incantare elettori (sempre di meno) disincantati (sempre di più). L’astensione è divenuta ‘il’ problema (a parte gli sciocchi che la sottovalutano con le motivazioni più strambe o di parte). In questo stagno sempre più secco, abitato sempre meno da pesci e sempre più da zanzare e parassiti, dove il modello agente è quello tecnico, della comunicazione pura, non più quello della comunicazione sociale applicata alla politica, il destino dei partiti è fatalmente segnato e il vuoto collaterale attorno li ha svuotati. Il contesto tecnico-mediale, l’idea che il sistema delle opinioni sparse e individuali fosse tutto, la convinzione che la campagne di opinione potessero sostituire la vita associata: sono questi fattori causali che hanno ingenerato il disastro di oggi, le secche in cui sguazziamo davvero in malo modo. È stata la fine di ogni ‘collateralismo’, di ogni rete egemonica culturale e sociale, del senso dei partiti per la rappresentanza ad averli messi in secca. Non la scomparsa delle ideologie (in realtà vive e vegete) e non solo il mondo che cambiava, come pensano astrattamente in molti. La morte termica delle grandi comunità politiche e del loro mondo è dovuto anche alla tecnica che si è impossessata della pigra classe dirigente di questi decenni, e della contro-egemonia che i media hanno esercitato sulla politica. Una specie di vendetta delle ‘casematte’, che Gramsci diceva andassero occupate per diffondere pensiero nuovo, e che invece hanno reagito ‘tecnicamente’ occupando militarmente il nostro pensiero, il pensiero della sinistra. Che ha perso, in questi decenni, uno scontro ideologico tremendo, tale da mettere in questione la sua stessa esistenza. Oggi la parola d’ordine ‘ricostruire un sistema dei partiti’, equivale a dire ‘torniamo alla mediazione sociale’, ramifichiamo le comunità, puntiamo sulla rete associativa, sulla società che si organizza civicamente, territorialmente, socialmente. È falso problema quello di contrapporre politica e civismo, partiti e società civile, è solo un segno dell’avvenuta sconfitta egemonica. La politica, in realtà, deve ricostruirsi immaginando la sussidiarietà sociale come una ‘forza’, e il civismo non deve essere contrapposto ai partiti rinascenti, ma esserne un punto di forza. È come se il riscatto fosse tutto nella tessitura di una nuova ‘maglia’ politico-sociale quale linfa dei nuovi partiti di massa. Certo, tenendo presenti le attuali condizioni storiche, avendo chiaro il tipo di soggetti sociali oggi in scena, pensando una società che vive e muore di precarietà, disuguaglianze, povertà sociale e culturale, una società in crisi, insomma, una post-società quasi. Ma senza ritenere che la politica possa riprodursi affidandosi solo alle élite, ai tecnocrati, ai guru che pensano campagne di opinione. La disintermediazione è una specie di tossina per una società come la nostra, rompe legami già flebili, spezza ponti e isola le istituzioni nella vuota astrattezza politica. Le fake news, in fondo, sono solo il frutto più rognoso e velenoso di questo andazzo. Tornare alla mediazione, al dialogo, al rapporto, alla rappresentanza, alla relazione come medicina culturale ancor prima che politica; ricostruire l’autorità sulla rappresentanza, non viceversa; pensare il conflitto nella concretezza di un tessuto politico, sociale, istituzionale; immaginare la comunicazione come ancella della politica, non viceversa è quasi un obbligo, a cui la sinistra nuova, che si riunifica, non può assolutamente sottrarsi. |
Freschi di stampa, 1917-2017
Angelica Balabanoff Ecco la costellazione dominante Dopo il tentativo di golpe del generale Kornilov e con il mutare brusco dello scenario in Russia, la Conferenza “social-diplomatica” promossa dal Soviet a Stoccolma s'inabissa in un mare di veti incrociati: «Non si può fare a meno di riconoscere che il tentativo è definitivamente fallito», constata Angelica Balabanoff in un taglio basso di prima pagina che appare sull'ADL del 15 settembre 1917 ("Intorno alla mancata conferenza di Stoccolma"). Le ragioni del fallimento stanno nelle pressioni esercitate dai governi belligeranti sulle delegazioni "social-patriottiche" dei loro paesi. Le quali, in base ai più diversi calcoli strategici e alle più varie dinamiche politiche interne, non ritengono ancora «giunto il momento di parlare di pace», nota la Balabanoff, con amarezza. Accanto al testo della Dottoressa, un trafiletto a centro pagina ("Fino ad oggi") s'incarica di squadernare i numeri sanguinosi della guerra. Le perdite umane si attestano a 9'750'000 morti: «Una media cioè di 264'000 al mese, 8'700 al giorno… 5'000'000: ciechi, sordi, muti, monchi di braccia, di gambe. Frutto magnifico, e magnifico testimonio, domani, della civiltà borghese» (ADL 15.9.1917). È il "suicidio dell'Europa" di cui aveva scritto Maksim Gor'kij. E le proporzioni di questo macello, già tutte mostruosamente novecentesche, non può che far apparire surreale la paralisi delle coscienze di cui l’esito della Conferenza di Stoccolma è espressione. Surreale, ma anche coerente con la logica della guerra: «Come conciliare le sincere aspirazioni alla pace dei delegati russi colle mire apertamente imperialiste dei delegati inglesi e collo sfrenato social-imperialismo dei delegati francesi?» (ADL 15.9.1917). La Balabanoff non dimentica Lugano, dove nell’autunno 1914, alla Conferenza pacifista convocata dai socialisti italiani, russi e svizzeri, i compagni francesi si erano presentati in divisa militare. Ora la situazione patisce tuttavia un ulteriore degrado. «Se non è possibile una intesa fra i rappresentanti della stessa coalizione, come sperare che la si possa raggiungere fra rappresentanti di coalizioni divise da fondamentali quistioni d’interesse?» (ADL 15.9.1917). La guerra si approssima al lugubre traguardo dei dieci milioni di morti, ma neppure in paesi tra loro alleati, come la Francia e la Gran Bretagna, la sinistra riesce a individuare un bandolo comune per ritessere la tela della pace. A fronte di ciò gli zimmerwaldiani spingono a tutto gas sulla "rivoluzione mondiale". È una strategia della deterrenza, potremmo dire, che mira sul breve periodo alla salvaguardia della Rivoluzione russa in pericolo, sul medio periodo a "convincere" le borghesie nazionali che solo la pace potrà evitare un vasto contagio rivoluzionario, e che sul lungo periodo fungerà da banca mondiale del contro-potere operaio. Nell'immediato, in parallelo alla linea della deterrenza pan-rivoluzionaria, si rafforza il partito filo-bolscevico, cioè la propensione per quella "pace separata" originariamente percepita in aperta contraddizione con l'universalismo zimmerwaldiano. In Russia la situazione precipita ogni giorno di più: «Riga è caduta nelle mani dell’esercito imperialista di Germania. Le truppe del Kaiser marciano verso Pietrogrado. Korniloff, il generalissimo russo che doveva difendere la patria contro l’invasore nemico, tenta il colpo di stato, di sciogliere il governo provvisorio per afferrare nelle sue mani il potere, e marcia verso Pietrogrado alla testa delle sue truppe. Il governo provvisorio si dimette cedendo a Kerenski la dittatura» (ADL 15.9.1917). A questo punto due grandi esponenti del socialismo e del femminismo europeo – non solo Angelica Balabanoff, quindi, ma anche Clara Zetkin – spezzano una lancia a favore di Lenin. In un articolo pubblicato al seguito di quello della Dottoressa Angelica, la Zetkin evidenzia il senso della svolta. Gli interessi della Rivoluzione anti-zarista (di Febbraio) inducono il grosso degli “internazionalisti” a convergere con la “estrema sinistra” dei bolscevichi, e ora tutti «nonostante alcune divergenze di idee, sono concordi nella lotta di principio contro ogni offensiva e per la pace immediata» (ADL 15.9.1917).
Clara Zetkin e Rosa Luxemburg a Magdeburgo nel settembre 1910 per il congresso della SPD Le "divergenze" di chi, come Rosa Luxemburg, vede il leninismo instradarsi irreversibilmente nella trappola di una "dittatura sul proletariato", finiscono in secondo piano, insieme alla parola d'ordine della "pace universale". Dopo l'Offensiva Kerenskij, la formula vincente è ora "pace immediata", in rima neppur tanto occulta con la "pace separata" che si prometterà a piene mani nei proclami d'autunno per gli operai e i soldati del Soviet di Pietroburgo e che, dopo la presa del Palazzo d'Inverno, troverà attuazione a Brest-Litovsk, nel trattato del febbraio 1918 stipulato tra la Russia e gli Imperi Centrali. D'altronde – argomenta la redazione in un fondo dal titolo "Il delitto del social-patriottismo in Russia" – siamo giunti al momento delle scelte: «Germania e Russia di fronte. Kerensky e Korniloff petto a petto. Invasione straniera e guerra civile in patria. Ecco il quadro. Disordine nei servizi pubblici, scarsità di viveri, situazione economica minacciosa. Ecco il quadro completato.» (ADL 15.9.1917). Il testo redazionale, non firmato (e quindi attribuibile al direttore Francesco Misiano), evidenzia il punto di saldatura della strategia zimmerwaldiana con la centralità della Rivoluzione russa (di Febbraio): «I gazzettieri di tutto il mondo al servizio delle borghesie ve lo dicono chiaro e netto (…) La voce borghese, impaurita della rivoluzione russa, preoccupata d’uno sviluppo epidemico in tutti gli altri paesi (…) la voce borghese, anche quella dell’Intesa, non nasconde le sue gioconde soddisfazioni nell’annunziare l’avanzata tedesca da un lato, quella di Korniloff dall’altro e in costui, in questo traditore della patria e della rivoluzione, pone tutte le sue speranze. E si comprende: per la borghesia dell’Intesa, la Germania è un pericolo, è un nemico. Ma la rivoluzione è un pericolo di gran lunga maggiore» (ADL 15.9.1917). Ed ecco la costellazione dominante del secolo breve – la "rivoluzione conservatrice" in traiettoria di collisione con la "rivoluzione mondiale" – eccola che si staglia già all'orizzonte del cielo notturno. Presiederà allo scatenamento della Seconda guerra mondiale. Ma questo "dopo", perché il suo primo grande effetto è, tra poche settimane, l'Ottobre Rosso.
Il generale Kornilov (al centro) con il suo Stato Maggiore nell'estate del 1917 Nell’anno delle due rivoluzioni russe l'ADL di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre. |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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