L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 8 giugno 2017 |
IPSE DIXIT La piazza di Vigevano - «Mi piacerebbe vivere nella Piazza Ducale di Vigevano». – Vittorio Magnago Lampugnani
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Politica Come voteremo? E quando? Per adesso la legge elettorale ritorna in Commissione. Tra qualche mese, in autunno o in primavera, l'Italia andrà alle urne. La fine delle rappresentanze geneticamente manipolate tramite correttivo maggioritario (Porcellum) condurrà a molte uscite di scena e anche a molte nuove entrate. Inevitabilmente, succederanno cose. E stanno già iniziando a succedere. Alla fine è probabile che rimarremo tutti un po' sorpresi. Si stava per approvare una nuova legge elettorale, ma a quanto pare l'accordo è saltato. Vedremo come andrà avanti. Vedremo se la sinistra a sinistra del PD riuscirà a costituire un "quarto polo". Vedremo se il partito renziano ci rimetterà un'ottantina di deputati, dato che per riconfermare i 280 attuali avrebbe bisogno di un miracolo, obiettivo più facile ad annunciarsi che a farsi. Entreranno in Parlamento un centinaio di deputati grillini in più: uniti o spaccati? La Lega e FI aumenteranno la loro presenza? Al di là di tutto ciò, la partita politica verte su due opzioni. Da un lato c'è il partito filo-europeo che avrà Renzi, Berlusconi e Bersani tra i suoi esponenti di spicco. Dall'altro lato ci saranno Grillo, Casaleggio jr. e Salvini alla guida del partito euro-scettico. Bisognerà vedere come si muoveranno i gruppi dirigenti, se riusciranno a rimanere compatti, e che cosa deciderà infine il popolo italiano.
Riusciranno i nostri eroi a salvare la sinistra a sinistra del PD? Comunque sia, è bene che il prossimo parlamento venga eletto con sistema proporzionale, con buona pace dei grandi sacerdoti della Seconda Repubblica che predicano sfracelli d'ingovernabilità se non si conserva il maggioritario (totem di una promessa tradita alla quale nessuno crede più). Occorre il proporzionale per un'esigenza di verità dopo tre falsi parlamenti nominati tramite dispositivi di legge incostituzionali. Tutti siamo ben consapevoli che i grandi gruppi di potere impadronitisi dei partiti con la fine della Prima Repubblica non hanno certo rinunciato a manipolare il risultato finale e tendono sempre ancora a predeterminare la composizione del futuro Parlamento per disporre di docili esecutori di decisioni assunte da ristrette élites economico-finanziarie sia italiane che straniere. Preoccupano le spinte ad accelerare la data delle elezioni. Gli avvocati anti-Italicum, cioè Felice Besostri, Anna Falcone e altri, attendono oltre tutto un pronunciamento della Consulta sulle parti non modificate delle leggi elettorali e su quelle nuove. Se si votasse prima di questo esame di costituzionalità, non si rischierebbe di ripetere lo scandaloso paradosso di un Parlamento come quello eletto nel febbraio 2013 con legge dichiarata incostituzionale nel gennaio 2014? Le elezioni potevano essere fatte subito dopo la sentenza n.1/2014 di annullamento del Porcellum. La data del ritorno alle urne non deve essere decisa dai capi partito, ma dal Presidente della Repubblica, Mattarella, sentiti la Presidente della Camera, Boldrini, e il Presidente del Senato, Grasso. Questo prevede l'art. 88 della Costituzione. Dopo tre Parlamenti eletti nel 2006, 2008 e 2013 con una legge elettorale incostituzionale, e dopo una sbornia maggioritaria ultraventennale, si deve sapere chi rappresenta il popolo italiano, solo soggetto costituzionale a cui appartiene la sovranità in questa Repubblica democratica fondata sul lavoro. |
Freschi di stampa, 1917-2017 (11) Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre. Lettera-programma del compagno Lenin «Le borghesie alla resa dei conti», titola L'ADL numero 23, anno XX, del 2 giugno 1917. Il catenaccio, anch'esso a tutta pagina, annuncia che: «Col fallimento della guerra, si avvicina il tramonto del nefasto dominio del capitalismo». Pochi giorni prima, "Il Secolo" di Milano, all'epoca il secondo quotidiano d'Italia per copie vendute, aveva lanciato questo appello guerresco: «Occorre attaccare alla fronte. Una offensiva, comunque vada dal punto di vista militare, per la politica interna è una vera manna». In quel maggio-giugno 1917 ha luogo, in effetti, la decima battaglia dell'Isonzo, che si pone come obiettivo lo sfondamento delle linee nemiche e la conquista di Trieste. Siamo, dunque, alle Idi di maggio e – dopo sessanta ore di bombardamenti a tappeto da Tolmino fino all'Adriatico (gran consumo di munizioni: enormi profitti per l'industria bellica) – il fronte austro-ungarico viene rotto nella periferia meridionale di Gorizia. E le forze armate italiane conquistano il villaggio di Jamiano e qualche collina carsica. Seguono scontri, scaramucce, attacchi e respingimenti per un paio di settimane. Dopodiché inizia il contrattacco austriaco, che s'intensifica bruscamente il 4 giugno 1917. Ogni vantaggio strategico dell'Italia è vanificato nel giro di poche ore. Che dire di questa "vera manna" per la "politica interna"? Costi: 53 mila vite umane, 36 mila ragazzi italiani e 17 mila ragazzi austro-ungarici morti in poco più di tre settimane. È bene ricordare che l'Austria-Ungheria sarebbe stata disponibile fin dall'inizio della guerra a cedere Trento e Trieste all'Italia in cambio della neutralità. Non una goccia di quel sangue fu, dunque, veramente necessaria allo scopo ufficiale che la propaganda di guerra andava agitando da tre anni. Dopo la decima battaglia dell'Isonzo, il Ministero della guerra diffonde un comunicato: «L'azione delle nostre fanterie fu superiore ad ogni elogio, e le gravissime perdite sofferte imposero rispetto allo stesso nemico». Tutt'altrimenti, il fondo dell'ADL, recante il titolo "Nel vicolo cieco", afferma che: «Venne l'offensiva: due chilometri di avanzata, diecine di migliaia di morti dall'una e dall'atra parte. Con la gonfiatura dell'episodio, con strombazzatura della vittoria, con esaltazione morbosa del "valore italico" ecc. ecc. (…) Mentre il giornalismo venduto cerca di dipingere un'Italia unanime che si entusiasma alle novelle della poca terra strappata al nemico, con ecatombi di uomini dall'una e dall'altra parte. Non risoluto nessuno dei problemi (…): non trovati i mezzi, che non vi sono, per risolvere la guerra in breve e vittoriosamente; non fronteggiato il pericolo rosso della rivoluzione che minaccia; non moralizzata la guerra dal punto di vista della equa ripartizione del male e del sacrificio, poiché i fornitori continuano a rubare a man salva ed il proletariato continua a soffrire fame e morte. Nulla!». (ADL 2.6.1917). Il fondo dell'ADL incalza: «Noi sentiamo che manca in Italia nei dirigenti della classe dominante ogni fede, ogni entusiasmo, ogni energia (…) Qualcosa è franato con la guerra nel mondo borghese: è franata la convinzione cioè che i popoli anche se martorizzati e massacrati restino docili alla catena (…) Lo schiavo di ieri si è liberato in Russia e minaccia coi pugni protesi gli sfruttatori delle altre nazioni». (ADL 2.6.1917). L'establishment si trova in un "vicolo cieco" perché, dopo aver voluto la guerra in vista dei grandi affari che essa sempre porta con sé, si rende conto ora dei grandi rischi sopraggiunti. Avanzare e vincere non si può. Stipulare la pace nemmeno. E cresce, invece, il rischio rivoluzionario. Perciò "si avvicina il tramonto del regime capitalistico-borghese". Questa la tesi di fondo. Che sembra una cosa eccessiva. Ma sul piano macro-storico le cose paiono prendere proprio questa piega. Basti pensare che, meno di trent'anni dopo, nel maggio del 1945, una grande parte dei paesi e degli abitanti del pianeta si troverà a vivere in regimi di affiliazione sovietica. Solo la successiva avversione al carattere dispotico che il comunismo aveva assunto e il "soft power" – vuoi liberal-democratico, vuoi social-democratico – messo in campo dall'Occidente durante i "trenta gloriosi" (1945-1975) condurrà, in epoca più recente, alla crisi dell'impero moscovita. Oggi noi viviamo in una fase di amnesia neo-liberista quasi totale, ma nel punto storico in cui ci collochiamo nel rileggere L'ADL del 2 giugno 1917 è del tutto evidente che un gigantesco rivolgimento globale sta iniziando. Appare, quel giorno, sull'ADL "Una lettera-programma di Lenine" (ancora in grafia francese). Il testo esordisce e si snoda, tipicamente diremmo, lungo una serie di prese di distanza piuttosto faziose rispetto ai dirigenti socialdemocratici europei, tutti o quasi in odore di opportunismo. Tra essi il leader bolscevico annovera anche "la maggioranza fra i dirigenti del Partito socialista svizzero" alla quale contrappone la «affettuosissima (…) solidarietà da parte dei lavoratori socialisti rivoluzionari». Naturalmente Lenin rivendica la più riguardosa non ingerenza nelle vicende interne degli altri partiti socialisti d'Europa, fatta eccezione tuttavia per le "questioni fondamentali di principio". Nel qual caso: «La nostra voce si elevava per il trionfo delle tendenze politiche della "Sinistra di Zimmerwald", e per far fronte non solamente al social-patriottismo, ma anche alle tendenze del cosiddetto "Centro" i cui rappresentanti sono: R. Grimm, P. Schneider, Jacq. Schmid ecc. ecc. nella Svizzera; Kautsky, Haase della "Unione del Lavoro" in Germania; Longuet, Pressemane ed altri in Francia; Snowden, Ramsky, Macdonad ed altri in Inghilterra; Turati, Treves e i loro amici in Italia; e quel Partito socialista russo che abbiamo sopra nominato, avente nel suo Comitato organizzatorio Paul Axelrod, Martow, Tscheidse, Skobelow» (ADL, 2.6.1917).
Lenin nel 1916 in Svizzera La polemica di Vladimir Ilic Ulianov contro questa «schiuma immonda che si è prodotta alla superficie del movimento operaio internazionale» non è nuova, ma ora le meandriche dispute contro i menscevichi d'ogni ordine e grado stanno per imboccare la strada di uno scatenamento cinico nuovo, che porterà le parole a tradursi in oltraggi, proscrizioni, pogrom e purghe secondo una dinamica tristemente nota. A chi gli chiede che cosa intenda fare il suo partito nel momento in cui giungesse "immediatamente" al potere, Lenin risponde: «1. Offrire la pace a tutti i popoli belligeranti; 2. Noi proponiamo al riguardo le seguenti condizioni: a) proclamare immediatamente l'indipendenza delle colonie; b) liberazione dei popoli oppressi, restituendo ad essi i loro diritti. 3. Noi incominceremmo immediatamente questa opera con la liberazione dei popoli oppressi dai "grandrussi"» (ADL, 2.6.1917). Offrire la pace… Liberare i popoli oppressi… Sembra un programma da professori neo-kantiani. Poi però il capo dei bolscevichi aggiunge: «Noi dovremmo condurre la guerra rivoluzionaria non solo contro la borghesia russa, ma anche contro quella della Germania. E noi saremmo disposti a condurla. Noi non siamo pacifisti. Noi siamo avversari delle guerre imperialiste (…) [Ma] sarebbe una assurdità voler pretendere dal proletariato la rinuncia alle guerre rivoluzionarie (…). Il proletariato russo ha avuto la sorte di essere chiamato a dare principio a una serie di rivoluzioni le quali vengono determinate e provocate dalla medesima guerra attuale. (…) Ora, dopo il marzo 1917, solo un cieco può avere il coraggio di sostenere che la nostra tesi sia errata. La trasformazione della guerra imperialista in guerra tra classi incomincia a diventare realtà.» (ADL 2.6.1917).
Paul Klee, Angelus Novus (1920) In effetti, solo un cieco può leggere le parole della "lettera-programma" di Lenin e non vedere come il disegno del futuro fondatore dell'URSS possegga già la forma monumentale e azzardosa della dottrina politica in grande stile. Sentiamo, qui, che il secolo breve si approssima alla sua velocità di massima. Quando l'avrà quasi raggiunta, Walter Benjamin trarrà da un quadro di Klee l'immagine emblematica dell'Angelus Novus: «Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Vorrebbe trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine davanti a lui sale al cielo.» Così Benjamin nelle sue Tesi del 1940, redatte dopo il patto Hitler-Stalin e l'invasione della Polonia. Ma già il 2 giugno del 1917 la redazione dell'ADL, pur mostrando sincera ammirazione per "il vigore e il valore" di Vladimir Ilic Ulianov e pubblicando in grande evidenza la sua "lettera-programma" quale testimonianza di un "tenace assertore della pace e della lotta di classe", non riesce già più a nascondere qualche riserva: «Inutile dire che non condividiamo intieramente gli apprezzamenti che il compagno Lenine fa nei riguardi di molti uomini che, come il Grimm, sono parte del nostro movimento zimmerwaldiano» (ADL 2.6.1917). Come dire che, per la nostra comune perceptio, ci sono forme dell'attacco personale tali da risultare eccessive anche agli spiriti più rivoluzionari nei tempi più infuocati. (11. Continua) |
SPIGOLATURE Quel che l'Isis teme è il dialogo delle civiltà di Renzo Balmelli DIALOGO. Al di là dell'orrore provato di fronte al terrorismo barbaro e cinico di matrice jihadista, sarebbe un grave sbaglio se la società civile dimenticasse che la sua forza si basa sullo stato di diritto, sul rifiuto della cieca prevaricazione e sulla costante disponibilità al dialogo. Ovunque ha radici l'Islam si presenta assai variegato nelle sue manifestazioni e non è certo l'interpretazione che vuol darne l'Isis che potrà contribuire a rimuovere lo scoglio, in apparenza insormontabile, di una specie di guerra santa che esclude a priori qualsiasi possibilità di disinnescare la truce minaccia terroristica. La sola via per risparmiarci la visione terrificante di un'altra Manchester è la possibilità di dialogare, ovvero l'ipotesi che i "fighter" del presunto Califfato temono di più non disponendo del corredo dialettico e culturale per uscire dal cerchio infernale della violenza. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi fintanto che il mondo mussulmano proclamatosi moderato non si deciderà a tagliare di netto il cordone con certe escrescenze. Ma questo è uno spazio tutto da costruire. LOGORIO. Obnubilati dalla ricerca di facili consensi elettorali, coloro i quali insistono con argomenti pretestuosi nel tentativo di indebolire e smantellare l'Europa forse nemmeno si rendono conto dei rischi insiti nel loro pervicace populismo. Oltre a fare perdere prestigio all'UE e alla sua capacità negoziale nel momento in cui una raffica micidiale di attentati pesa sui nostri destini, il costante logorio delle strutture comunitarie non fa che aggiungere insicurezza all' insicurezza, paura alla paura. Che è poi lo scopo dichiarato del terrorismo. Frutto dello strano cocktail in cui si mescolano le inquietudini della Brexit e le incognite delle elezioni anticipate, la Gran Bretagna, duramente provata dalle stragi, è in queste ore il riflesso degli interrogativi che si pongono in termini drammatici sul futuro del Vecchio Continente. Consola se non altro la risposta della musica giovane alla violenza, un inno alla vita per dire "no pasaran". TAMBURI. Se regge la teoria del terzo conflitto mondiale a pezzetti, quanto sta accadendo nei regimi sunniti del Golfo, dove all' improvviso sono risuonati i tamburi di guerra, anche se per ora soltanto a colpi di comunicati, dimostra che l'ipotesi attribuita a Papa Francesco è tutt'altro che infondata. Sauditi e alleati concordi nel rompere i rapporti con il Qatar, accusato di sostenere i terroristi, ridisegnano con questa loro mossa uno scenario strategico tutto politico e per nulla religioso, ma non meno insidioso in una regione dove anche in passato non sono mancati i motivi di una resa dei conti. Oltre all' appoggio di Doha alla Fratellanza mussulmana, sotto accusa sono pure le sue timide aperture nei confronti dell'Iran che l'Arabia Saudita considera un nemico mortale. Ma che Riad a sua volta acquisti dall'America di Trump armi per miliardi di dollari è un "dettaglio" che rammenta il motto secondo il quale il tintinnar delle spade è la prosecuzione della diplomazia con altri mezzi. PIRATI. A dispetto del prodigarsi di tanti, infaticabili volontari che giorno e notte non lesinano gli sforzi per salvare quante più vite possibili, non c'è pace nel Mediterraneo. Nel mare nostrum che sulle sue sponde ha celebrato l'incontro e il fiorire di civiltà e culture tra le più importanti nella storia dell'umanità, oggi si è formata una catena ininterrotta di tragedie da mettere sul conto dei nuovi pirati del mare e dei loschi burattinai che dietro le quinte tirano le fila di un turpe mercato di esseri umani. La lotta impari con i trafficanti di ogni risma è un segno tangibile della degenerazione che ci riporta all' epoca buia dello schiavismo e dei negrieri senza scrupoli. E non è finita in quanto si stima che quasi un milione di migranti in attesa sulla costa libica si accinga nei prossimi mesi a imbarcarsi su natanti che in realtà sono bare destinate a una fine orrenda, simbolo spietato della follia umana al servizio di politiche bacate. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Dopo gli atti di terrorismo in Iran Fausto Durante: "La Cgil esprime il proprio cordoglio per le vittime degli attacchi ed è vicina a quanti si battono affinché si realizzi, in quella regione del mondo, un processo di evoluzione e di crescita sociale e civile". L'escalation di atti di terrorismo e violenza che sta segnando il tempo presente sembra non conoscere pause. Tentativi di aggressione si susseguono a Parigi, Londra e Teheran. Così Fausto Durante, responsabile area Politiche europee e internazionali. Che aggiunge: "La Cgil condanna questi gravi fatti e lancia un appello alle istituzioni internazionali e ai governi affinché si lavori per disinnescare, soprattutto nel quadrante del Medio Oriente e del Golfo Persico, le minacce di conflitti e l'aggravarsi del quadro di relazioni diplomatiche. Le grandi nazioni, in particolare, hanno il dovere di non alimentare contrapposizioni e contrasti, ma di lavorare per la convivenza pacifica e l'affermazione dei principi di democrazia e libertà". "La Cgil esprime il proprio cordoglio per le vittime degli attacchi in Iran ed è vicina a quanti si battono affinché si realizzi, in quella regione del mondo, un processo di evoluzione e di crescita sociale e civile, condizione essenziale per costruire la pace", conclude Durante. |
ECONOMIA Via della seta: cambia il mondo di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista La conferenza internazionale sulla Nuova Via della Seta, oggi chiamata anche Belt and Road Initiative (Bri), tenutasi recentemente a Pechino inciderà profondamente sulle strategie delle potenze mondiali e sull'intero pianeta. Ciò a prescindere dal fatto se si sia preoccupati delle sue implicazione geo-politiche e geo-economiche. Non è un caso che abbiano partecipato oltre 120 Paesi e ben 29 capi di stato e di governo, tra cui anche il premier italiano, Paolo Gentiloni. In effetti il grande progetto può diventare il ponte di sviluppo tra i vari continenti attraverso importanti infrastrutture viarie, ferroviarie, marittime e telematiche. Sarà una nuova forma di globalizzazione, questa volta non sottomessa alle leggi della finanza. Il presidente cinese Xi Jinping, presentando il «progetto del secolo», ha fatto appello alla cooperazione internazionale, in quanto «le industrie sono il fondamento dell'economia». Una maggiore cooperazione internazionale vuol dire migliorare la governance globale. Consapevole del ruolo delle banche e del credito il leader cinese ha detto che «la finanza è la linfa dell'economia moderna. Servono una finanza stabile e inclusiva, nuovi modelli di investimento e di finanziamento diversificato e una forte cooperazione tra governi e capitale privato». Ci sono già finanziamenti governativi cinesi per oltre 110 miliardi di dollari. Il presidente Vladimir Putin, pur riconoscendo che gli obiettivi posti sono di non facile realizzazione, ha confermato il sostegno della Russia. «Quanto proposto è molto necessario e grandemente voluto e segue il trend dello sviluppo moderno», ha detto. «Questa è la ragione per cui la Russia non solo appoggia il progetto Bri ma intende parteciparvi attivamente insieme ai partner cinesi e degli altri Paesi interessati». Complessivamente sono previsti investimenti per oltre mille miliardi di dollari destinati a circa 900 progetti. L'Occidente, purtroppo, ha avuto finora un atteggiamento molto miope rispetto al Bri, anche confermato dalla decisione americana, inglese, francese e tedesca di mandare a Pechino rappresentanti di secondo piano. Anche l'India ha disertato il vertice a causa del coinvolgimento del Pakistan e per le temute implicazioni geopolitiche del previsto corridoio Cina-Pakistan. La nuova Via della Seta altro non è che una complessa rete di infrastrutture: strade, ferrovie ad alta velocità, oleodotti, porti, fibra ottica, telecomunicazioni. Collegherà la Cina con sei regioni: la Russia, l'Asia centrale, il Medio Oriente, il Caucaso, l'Europa orientale e infine l'Europa occidentale, diramandosi fino a Venezia, Rotterdam, Duisburg e Berlino. Ci sono poi i corridoi che collegheranno l'Asia meridionale: Cina-Birmania-Bangladesh-India e Cina-Afghanistan-Pakistan-Iran. Il Bri è quindi un'iniziativa fondamentale per lo sviluppo e decisiva per la pace nel mondo. È il caso di ricordare che dal suo annuncio del 2013 Che ad oggi la Cina ha già investito oltre 50 miliardi di dollari con fondi della Banca Centrale e dell'Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) di più recente costituzione. È importante notare che con il Bri la Cina intende coinvolgere tutti gli stati dell'Unione europea, anche quelli più piccoli dell'Europa centrale e orientale e, in particolare, i Paesi del Mediterraneo. Coi primi, nel 2016, ha già sviluppato 50 progetti in differenti settori. Dal 2011 è entrato in attività il trasporto di merci su ferrovia tra l'Europa e la Cina: ben 3.600 treni merci hanno toccato 27 città cinesi e 28 città in 11 Paesi dell'Europa! Il Bri apre all'Italia grandi opportunità in tutti i campi, a cominciare da quelli industriali, del turismo e della cultura. È noto che dal 2015 il canale di Suez è raddoppiato, anche con investimenti cinesi. Ciò fa del Mediterraneo un naturale terminale strategico. Perciò occorre modernizzare e potenziare in tempi brevissimi tutta la nostra rete portuale, soprattutto nel Mezzogiorno, portando le ferrovie fin dentro ai porti. È opportuno ricordare che i porti di Genova, Venezia e Trieste già «arrivano» direttamente al centro dell'Europa più del Pireo o di qualsiasi altro porto mediterraneo. Occorre agire subito, ragionando però su uno spazio temporale di 30-50 anni. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ 1993, la Serie. di Alessandro Nardelli La settima e ottava puntata della fiction 1993 completano una Serie TV all'insegna dei colpi di scena, terminata sempre nel solco dell'incertezza di fondo che caratterizza la vita di ognuno dei protagonisti. Come accaduto in alcuni momenti della precedente fiction "1992", c'è in "1993", una marcata impronta paranormale, con continue visioni di personaggi e ricordi che riemergono dal passato dei protagonisti. Favolosi anche gli effetti scenici di tutta la serie, e l'ambientazione, condotta con una cura maniacale anche ai piccoli dettagli. Di seguito un ritratto dei personaggi. LEONARDO NOTTE (Stefano Accorsi), scaricato da Berlusconi (Paolo Pierobon), tenta di passare con il PDS di Massimo D'Alema (Vinicio Marchioni), rivelandogli il programma politico del Cavaliere, per entrare nelle sue grazie. Ma alla fine si scopre che la sua è tutta una tattica. Infatti, Leo, ha registrato una incredibile confessione fatta da un suo amico del PDS, riguardante Primo Greganti, che potrebbe far saltare in aria anche il centrosinistra, e vuole utilizzarla. Quindi, chiede ed ottiene un appuntamento da Berlusconi, al Jolly Hotel, dove la squadra di Forza Italia si stava radunando. Ma non avrà la possibilità di far ascoltare la registrazione al Cavaliere, perché davanti all'albergo viene sparato da Arianna (Laura Chiatti) sua ex compagna, e moglie di Rocco Venturi. A lei, precedentemente, in una cena, Notte, aveva confidato dell'omicidio del poliziotto, dopo aver spento il registratore che Arianna aveva portato per tendergli una trappola. PIETRO BOSCO (Guido Caprino), dopo aver pensato che la polizia fosse vicina al suo arresto per una tangente di 200 milioni, l'esponente leghista capisce che la mazzetta di cui si parlava non è la sua. Politicamente, ritorna vicino al leader leghista Bossi, che ha appena siglato l'alleanza governativa con Berlusconi, tradendo il Professor Miglio. VERONICA CASTELLO (Miriam Leone), preoccupata della possibile uscita del suo libro, decide di tendere una trappola all'editore, portandolo a letto in casa sua, e filmandolo per poi ricattarlo. Poi in una cena politica, si convince a partecipare ai provini della Fininvest per entrare a far parte di Forza Italia, e dopo aver incontrato Silvio Berlusconi, questo la sceglie. GIULIA CASTELLO (Elena Radonicich), decide di scrivere un libro sulla tangente Enimont, frutto di intere settimana di ricerche, ottenendo il tanto agognato successo giornalistico. LUCA PASTORE (Domenico Diele), grazie a Bibi Mainaghi (Tea Falco), riesce a scoprire il nome fittizio di Duilio Poggiolini, che viene arrestato, e a cui, durante una perquisizione in casa, viene sequestrata una quantità smisurata di lingotti d'oro, gioielli e moltissimo denaro. Successivamente, Luca, rivela ai suoi colleghi della Procura di essere malato di AIDS, e, ritenendo di aver terminato il proprio lavoro, informa Di Pietro (Antonio Gerardi) di voler lasciare la procura. Quest'ultimo cerca di convincerlo, ma da una parte c'è la proposta del Deputato Gaetano Nobile, che gli offre di far parte dei Servizi Segreti, e dall'altra quella di Eva (Camilla Semino Favro), di mollare tutto e scappare a Panama. Pastore sceglie la seconda, spiegando via lettera a Di Pietro i motivi che lo hanno portato a lasciare la procura per la sua volontà di cambiare vita. BIBI MAINAGHI e il fratello ZENO MAINAGHI (Eros Galbiati), decidono di collaborare con la giustizia per colpire il boss Brancato, che hanno scoperto essere il mandante dell'omicidio del loro padre, Michele Mainaghi. Luca Pastore chiede a Bibi di aspettarlo con le valigie pronte, ma trova invece un'auto con degli assalitori che ingaggiano una sparatoria. Prima viene colpita la sua macchina, poi, una volta fermi, Luca riesce a bloccare e ad ammazzare i killer, inviati da Brancato. Bibi, intanto, probabilmente tradita dal fratello Zeno, viene uccisa dal suo autista, che fa passare l'accaduto per un'overdose. La ragazza esanime viene trovata con una siringa nel braccio. Dichiarazione di Antonio Di Pietro su quegli anni: «Bettino Craxi si assunse le sue responsabilità e denunciò in eguale misura quelle degli altri, aiutando così la nostra inchiesta. E questo Craxi lo sapeva… non era un ingenuo. Denunciò il sistema di Tangentopoli nell'aula della Camera e davanti ai giudici del tribunale di Milano. Gli altri invece hanno fatto gli ipocriti e hanno continuato a farsi i ca… loro».
1993 – Ricostruzione filmica della scena del cappio che viene agitato dal gruppo leghista a Montecitorio Vai al sito www.avantionline.it/ |
Da l'Unità online http://www.unita.tv/ Russiagate, Comey "inguaia" Trump, ma lui si sente scagionato E' attesa per oggi l'audizione dell'ex capo dell' Fbi James Comey al Senato americano sul Russiagate. La dichiarazione scritta è stata già resa nota ieri. di Maddalena Carlino - @maddacarlino Donald Trump "si sente totalmente e completamente discolpato" dalla testimonianza, ha detto l'avvocato di Trump, Marc Kasowitz, in una nota, ha commentando la dichiarazione scritta di Comey su ciò che dirà in audizione in Senato. Il presidente "è ansioso di andare avanti con la sua agenda", ha scritto Kasowitz, speciale legale di Trump per l'indagine sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali Usa del 2016. Kasowitz ha sottolineato come Comey abbia confermato di aver detto a Trump che non era indagato, come lo stesso presidente ha più volte tenuto a ribadire. Nessun accenno, nella nota dell'avvocato del miliardario, al fatto che Comey abbia anche riferito che il presidente gli aveva chiesto di chiudere l'indagine sul suo consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, costretto alle dimissioni perchè travolto dal Russiagate. Flynn si era dimesso quando i giornali americani avevano scoperto suoi incontri e telefonate con l'ambasciatore russo negli Stati Uniti, su cui aveva mentito proprio all'FBI e al vicepresidente Mike Pence, e suoi rapporti personali e commerciali mai dichiarati col governo russo e quello turco. Secondo quanto scritto da Comey, Trump gli disse a febbraio: "Spero che tu possa lasciar perdere la cosa su Flynn, è una brava persona". È una cosa che Trump ha negato il mese scorso. Il documento scritto da Comey è lungo sette pagine ed è stato pubblicato oggi prima dell'audizione che Comey avrà questo giovedì dalla commissione intelligence del Senato. Nel documento – in pratica le dichiarazioni con cui aprirà la sua audizione – Comey ha anche scritto che Trump gli disse "mi serve lealtà, ho bisogno di lealtà" e che disse al presidente che non stava indagando su di lui. Vai al sito www.unita.tv |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Montenegro nella Nato La Russia viene "sfidata" di Magda Lekiashvili L'Organizzazione transatlantica si allarga e acquisisce il ventinovesimo membro, il Montenegro. Il fatto segna il primo allargamento della Nato dopo l'aprile del 2009, quando l'Albania e la Croazia aderirono all'alleanza. La cerimonia a Washington viene assistita dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg e dal primo ministro del Montenegro Dusko Markovic. Il Montenegro farà parte della Nato e sarà tutelato dall'articolo 5 dell'alleanza, secondo il quale un attacco armato contro uno stato membro, costituirà un attacco verso tutti. Di conseguenza, se tale attacco dovesse verificarsi, entrerà in atto il diritto di legittima difesa individuale o collettiva. Per stabilire e mantenere la sicurezza dei suoi membri, se necessario, l'alleanza userà anche la forza armata. Gli accordi sono bilaterali. Anche il Montenegro, quindi, avrà le proprie responsabilità e, come primo passo, devolverà alla Nato il 2% del suo Pil alla difesa entro il 2024. Poco dopo che il Montenegro riacquisì l'indipendenza nel giugno 2006, entrò a far parte del partenariato per la pace. Successivamente, nel 2009 il paese venne invitato a partecipare al piano d'azione (Map- Membership Action Plan) per l'adesione alla Nato e fu proprio questo passo la carta bianca per il suo futuro successo. Nel frattempo, ha attivamente sostenuto l'operazione guidata dalla Nato in Afghanistan ed ora sta sostenendo la missione successiva per formare, consigliare e aiutare le forze afgane di sicurezza. Se questo sia un elemento in più per l'adesione, ai paesi dell'Europa orientale non resta altro che sperare. Il segretario generale della Nato, Stoltenberg, manda un messaggio di incoraggiamento agli altri stati che cercano l'adesione. Se un paese promuove la democrazia e si trasforma realmente come uno stato modello, rafforza lo stato di diritto, modernizza le sue forze armate e contribuisce alla difesa collettiva della Nato, ci sarà anche per loro un posto nell'organizzazione. Sono molti i paesi che collaborano con la Nato e mandano il proprio contributo alle missioni pacifiche in Afghanistan. Davanti alla porta d'ingresso della Nato i primi tre paesi sono la Moldova, la Georgia e l'Ucraina. Ma in primis, si fanno i contri con i propri vicini. La Russia, che percepisce ogni mossa della Nato verso oriente come una minaccia alla sicurezza nazionale, ha ancora ferite aperte con le frontiere della Georgia e dell'Ucraina. Anche stavolta ha contestato l'appartenenza del Montenegro alla Nato e ha minacciato di prendere "misure di ritorsione" contro la mossa "ostile", incolpando il Montenegro di promuovere "isteria anti-russa" del Paese. "Nella politica, come nella fisica, per ogni azione c'è una reazione opposta" – ha affermato il ministro degli affari esteri della Russia Sergej Lavrov. Lo scorso ottobre, il Montenegro ha parlato apertamente di un fatto, che le agenzie russe di spionaggio e i partiti pro-russi locali hanno cospirato contro le azioni per fermare l'offerta dell'Alleanza Transatlantica di adesione. Anche la settimana scorsa il ministro degli affari esteri del Montenegro aveva convocato l'ambasciatore russo per protestare contro la breve detenzione di un deputato del Partito Democratico dei Socialisti in un aeroporto di Mosca. Viene fuori che il Cremlino ha un elenco segreto di funzionari montenegrini che hanno il divieto di entrare in Russia, scrive Reuters. Il che vuol spiegare la direzione politica scelta dal Montenegro, che passa attraverso l'Europa e non ha a che fare con la Russia. |
Incontro di studio al Quirinale Giolitti statista della Nuova Italia Presentazione promossa dal Centro Giovanni Giolitti in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, l'Associazione per gli Studi sul Saluzzese, l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Napoli), l'Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella (Napoli), l'Associazione Piemontesi a Roma (Roma), le Scuole di Liberalismo (Roma) Giovanni Giolitti 1842 – 1928. Lo Statista della Nuova Italia DVD realizzato da Aldo A. Mola nell'ambito del progetto "Il Piemonte per l'Italia: Cavour, Giolitti, Einaudi". Roma, 21 giugno 2017, ore 9 - 14 Archivio Storico della Presidenza della Repubblica Sala Convegni, Palazzo Sant'Andrea, Via del Quirinale 30 Saluti introduttivi - Roberto Einaudi, già Presidente della Fondazione Luigi Einaudi (Roma)
- Nerio Nesi, Presidente della Fondazione Camillo Cavour (Santena, TO)
- Giovanna Giolitti, Centro europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato (Dronero-Cavour)
Interventi - Tito Lucrezio Rizzo (Università di Roma La Sapienza) - L'età umbertina: le premesse del riformismo sociale giolittiano
- Cosimo Ceccuti (Presidente Fondazione Nuova Antologia) - La svolta liberale di primo Novecento
- Romano Ugolini (Presidente Istituto per la storia del Risorgimento) -La strategia politica di Giolitti tra socialisti e cattolici
- Matteo Luigi Napolitano (Pontificio Comitato di Scienze Storiche) -La questione di Fiume veduta dalla Santa Sede
- Aldo G. Ricci (già Sovrintendente dell'Archivio centrale dello Stato) -Giolitti e il socialismo riformista: un incontro mancato
- Marco De Nicolò (Università di Cassino) - Roma laboratorio di innovazione politica: l'esperienza della Giunta Nathan
- Federico Lucarini (Università del Salento) - Antonio Salandra, da 'successore' ad 'anti- Giolitti'
- GianPaolo Ferraioli (Università della Campania L. Vanvitelli) - La politica estera di Giolitti (oltre i Documenti Diplomatici Italiani)
- Cristiano M. Dechigi (Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito) - L'età giolittiana negli studi di storia militare
- Aldo A. Mola (Centro Giolitti – ULB, Bruxelles) - Giolitti e Vittorio Emanuele III (tormenti e stasi di un "cugino del Re": 1914-1915 e 1921-1922)
N.B. I relatori e quanti desiderino partecipare sono tenuti ad accreditarsi comunicando cognome, nome, luogo e data di nascita a: archivio_storico at quirinale.it . |
Cultura Lampugnani, un maestro a Vigevano "Piazza Ducale a Vigevano" mi ha risposto Vittorio Magnago Lampugnani. Gli avevo chiesto: "Tra le splendide piazze che ci ha appena illustrato, in quale vorrebbe vivere?" di Marco Morosini Eravamo all'aperitivo in suo onore, con Rettora e Presidente del Politecnico di Zurigo, docenti, studenti e invitati, appena dopo la sua lezione di commiato nell'aula magna, piena fino all'ultimo posto. La lista dei suoi libri fa a gara per lunghezza con la lista dei premi ricevuti, e con quella delle città dove ha studiato o insegnato. L'architetto e storico dell'urbanismo è stato fino a quest'anno uno dei più amati e prestigiosi docenti del Politecnico. "Tra le splendide piazze che ci ha appena illustrato, in quale vorrebbe vivere?", gli ho chiesto. Ora rifletteva e esitava a rispondermi, sorridendo gentile, nella sua "leggendaria ma ingannevole modestia", come era stato detto nella laudatio. "Einfach so, aus dem Bauch" (così, spontaneamente "dalla pancia") ho aggiunto allora. "Piazza Ducale a Vigevano" ha risposto, senza più esitare. E ho subito pensato a come rimasi in meraviglia più che in qualunque altra piazza, quando mi affacciai su Piazza Ducale, sconosciuta a molti. E mi son ricordato di quando alla televisione italiana, in bianco e nero, senza le réclame, c'erano ancora le pause tra i programmi, ed erano riempite da lunghe sequenze delle più belle piazze italiane, accompagnate da un suono soave di clavicembalo. Ora in quella piazza, in quella Agorà della cultura comune che è oggi la televisione, invece delle più belle immagini delle piazze italiane, rimbombano le più brutte immagini e i più stupidi slogan che propagandano detergenti per il gabinetto, automobili, carta igienica, telefonini, lotterie, biscotti per cani, biscotti per bambini. Sì, proprio per quei bambini, che passano più tempo davanti alla televisione che non a scuola. Crescendo ora nella piazza televisiva, invece che in quella del paese, impareranno forse tanto sulla architettura dei mulini bianchi. Ma forse niente su quella delle più belle piazze italiane. Nella lezione di commiato Magnago Lampugnani ci ha aveva mostrato decine di magnifiche piazze, cominciando dalla Agorà ateniese. Il messaggio della lezione – e forse di buona parte della sua opera: proprio le piazze sono uno dei migliori specchi di una civiltà. Vai al servizio su Lampugnani nel sito del Politecnico di Zurigo |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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