L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 1 giugno 2017 |
IPSE DIXIT Vero amore - «Il vero modo di presa effettiva riguardo all'altro uomo è di lasciarlo esistere, non di trasformarlo, ma di godere del suo essere diverso da me. È quello che io chiamo amore, e comprensione di un altro uomo». – Eugenio Colorni Non solo malattia mentale - «Il nazionalismo non è una malattia mentale, o, per essere più precisi, non è solo una malattia mentale; dietro di esso ci sono interessi formidabili che considerano l'unità europea nel quadro di un'organizzazione internazionale dei popoli come la loro condanna a morte». – Eugenio Colorni Europa socialista - «L'Europa moderna ed il socialismo sono termini storici intimamente connessi. Il socialismo moderno, infatti, è nato in Europa nel corso del secolo passato, contemporaneamente all'Europa moderna. Le fasi di sviluppo e le crisi del socialismo moderno sono coincise con il progresso e le difficoltà dell'Europa». - Ignazio Silone - Silone e Colorni alla fine degli anni Trenta |
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LA RELAZIONE DI FELICE BESOSTRI AL CONVEGNO su Eugenio Colorni Eugenio Colorni e la sinistra in Europa di Felice Besostri Eugenio Colorni scriveva su L'Avvenire dei Lavoratori del 1° febbraio del 1944: «Socialismo, umanismo, federalismo, unità europea, sono le parole fondamentali del nostro programma politico.»
ADL del 1° febbraio 1944, p. 4, dettaglio del testo "Rinascita del socialismo Italiano", il Documento del Centro Interno guidato da Eugenio Colorni Vi era indubbiamente un certo clima politico culturale se l'idea di Unità Europea, legata sempre a programmi di riforma sociale, venivano da gruppi francesi come «Combat», «Franc Tireur» e «Liberté» ovvero come ricorda Silone dal Movimento del lavoro libero in Norvegia o dal Movimento Vrij Nederland in Olanda ed anche da sparsi gruppi di tedeschi antinazisti. La collaborazione di Colorni alla redazione e soprattutto alla diffusione del Manifesto di Ventotene, a mio avviso, ne fa uno degli autori a ricordare al pari di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Sicuramente è un suo merito la diffusione nel mondo socialista Ignazio Silone, allora a capo del Centro Estero di Zurigo del PSI e dell'Avvenire dei Lavoratori ebbe già sentore del Manifesto di Ventotene nell'autunno del 1941 e più tardi ricevette un appello analogo, dal Movimento «Libérer et Fédérer» di Tolosa, nel quale militava Silvio Trentin, il padre di Bruno. Sempre Colorni va considerato uno degli ispiratori del Socialismo federalista de L'Avvenire dei Lavoratori una delle componenti della conversione socialista di Ignazio Silone, che nella sua visione ebbe la stessa importanza dell'Internazionalismo del suo periodo comunista. Due sono gli articoli di Silone nei quali delinea la sua visione europea del socialismo, entrambi pubblicati sull'Avanti! di Roma. Il primo con il titolo "Prospettiva attuale del Socialismo Europeo", il secondo sempre col titolo "Europa di Domani". Per Silone "l'Europa moderna ed il socialismo sono termini storici intimamente connessi. Il socialismo moderno infatti è nato in Europa nel corso del secolo passato, contemporaneamente all'Europa moderna. Le fasi di sviluppo e le crisi del socialismo moderno sono coincise con il progresso e le difficoltà dell'Europa". Il dibattito fra i compagni socialisti sul futuro dell'Europa e sulle prospettive di ricostruzione per il Vecchio continente: dal federalismo europeista di Carlo Rosselli alla proposta di una «Costituente europea per la pace» lanciata da Giuseppe Emanuele Modigliani, all'europeismo di Angelo Tasca era già iniziato nell'esilio francese. Al dibattito partecipò anche Giuseppe Saragat quando si trasferì a Parigi, dopo aver trascorso un triennio in Austria, ove conobbe Otto Bauer e l'austromarxismo, ma la sua visione federalista, anche in seguito al Patto Ribbentrop-Molotov, si connotò sempre più come un europeismo democratico alternativo al totalitarismo.
Mosca 23.8.1939, firma del patto di non aggressione tra la Germania hitleriana e la Russia staliniana Siamo tributari di Silone e Colorni della convinzione che non c'è prospettiva socialista se non c'è una chiara scelta federalista, cioè senza una dimensione internazionale della politica, al di là delle singole proposte, perché il destino del socialismo democratico e dell'Europa sono indissolubilmente legati. Questa intuizione non è stata perseguita con coerenza, avrebbe chiesto per esempio la creazione di un Partito Socialista transnazionale, cioè una visione internazionalista, di cui l'europeismo non poteva essere un surrogato, ma un'articolazione continentale. La costruzione europea si è fatta, invece, ponendo alla base la libera concorrenza ed il mercato, guidate da un centralismo burocratico senza effettivi contrappesi democratici. Non solo l'allargamento a Est della UE è stato un processo, che non si è distinto da quello della NATO, quando, nella visione socialista di Cole condivisa da Silone Soltanto il socialismo democratico avrebbe potuto unificare l'Europa e farla servire da mediatrice storica tra il continente sovietico e il continente americano. Una visione che si accompagnava al superamento delle ragioni storiche sella divisione tra socialisti e comunisti, questo lo si poteva pensare negli anni 1944 e 1945 quando si era uniti nella lotta al nazifascismo.
Lo sviluppo nel dopoguerra andò in tutt'altra direzione: nei paesi conquistati dall'Armata Rossa si compì l'unificazione forzata dei partiti socialisti e comunisti, con la scomparsa politica dei primi, anche quando il nome del Partito non divenne formalmente comunista come il POUP (Partito Operaio Unificato Polacco) o mantenne il riferimento socialista come nei casi del Partito Operaio Socialista Ungherese e della SED (Partito di Unità Socialista della Germania). In Occidente la Guerra Fredda portò i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti ad una scelta di campo occidentale, con la sola eccezione, fino alla rivoluzione ungherese del 1956, del PSI. Socialisti e democristiani sono la grande maggioranza dei padri fondatori dell'Europa, con l'eccezione di Altiero Spinelli, che in Italia collaborò con socialisti e comunisti. Nel 1999 fu l'anno della predominanza socialista in Europa, cioè nella UE a 15, con 11 primi ministri socialisti, che sarebbero stati 12 se nel 1996 Aznar non avesse sostituito Felipe Gonzalez. La presenza contestuale di Blair, Schröder, Jospin e D'Alema per non parlare che dei grandi paesi non ha impresso un corso nuovo all'Europa della UE, ma a farlo è stata piuttosto la Commissione Prodi dal 16 settembre 1999 fino al 31 ottobre 2004 con proroga al 21 novembre dello stesso anno con la scelta dell'allargamento a Est. Nel contempo a sinistra del PSE la denuncia dell'Europa, come l'Europa dei capitalisti e dei banchieri, è stato un bell'alibi per i partiti della sinistra per non impegnarsi nella costruzione di un'altra Europa, finché il nome non diventò un'insegna elettorale nel 2014 grazie al successo di Tsipras e di Syriza, che non superò le contraddizioni del Partito della Sinistra Europea, che comprende partiti, con scarso peso nel Parlamento Europeo e in quelli nazionali della UE fatta eccezione per la LINKE e Sinistra Italiana, e di cui non fanno parte formazioni di sinistra di successo come Podemos di Iglesias o la France Insoumise di Mélenchon Il problema più grave è che le grosse perdite socialiste non si trasferiscono massicciamente alla loro sinistra e spesso vi sono perdite dell'intero schieramento teoricamente alternativo comprendente anche i Verdi e in generale gli ecologisti. In nessun paese europeo, ad eccezione della Gran Bretagna, ora in fuoriuscita dall'UE, la sinistra è rappresentata da un solo partito che possa aspirare al governo. Formalmente vi è una Grande Coalizione PPE-PSE, ma il PPE ha una posizione centrale ed è riuscita la trasformazione da Partito Democristiano e Socialcristiano in partito di centro conservatore, in armonia con i cosiddetti poteri forti di cui il Presidente della Commissione, Juncker, è un vassallo. Per togliere ogni dubbio il suo partito non è più il PPCS (Partito Popolare Cristiano Sociale), ma semplicemente il PD affiliato al PPE, per non confondersi con il PD affiliato al PSE. Il PSE non ha, invece, un'identità precisa e un programma alternativo all'austerità e su dossier delicati come i fenomeni migratori posizione differenziate. Il quadro europeo è ancora instabile mancano i risultati delle legislative francesi di giugno 2017, delle britanniche dello stesso mese e soprattutto di quelle tedesche del 24 settembre, per non parlare di quelle italiane oscillanti tra la fine del 2017 e l'inizio 2018, a dio piacendo e al Presidente Mattarella. Riuscirà la sinistra in senso lato a compiere quella riflessione auspicata da Colorni e Silone nel 1944? Alla sinistra necessiterebbe la capacità di legare il proprio destino a quello di un processo di integrazione europea, che abbia come centro la Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, le cui norme hanno lo stesso valore giuridico dei Trattati per l'art. 6 TUE. E occorrerebbe una politica economica che salvaguardi la coesione sociale e le conquiste del welfare state perseguendo con coerenza una politica di pace e cooperazione per uno sviluppo economico equo e solidale. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it La moneta incompiuta e le sette mosse per salvare l'Ue Lo scorso 18 maggio si è tenuto presso la Cgil un convegno dedicato al futuro dell'euro e dell'Ue nel corso del quale è stato presentato il libro di Marcello Minenna "La moneta incompiuta" (Ediesse). Quello che segue è l'intervento svolto nell'occasione dall'autore. di Marcello Minenna Docente di Finanza matematica alla Bocconi di Milano Gli elementi disgreganti dell'Eurozona: aspetti politici ed economico-finanziari - Qualche giorno fa Macron, nonostante nel suo programma elettorale avesse inserito l'esigenza di condividere i rischi all'interno della nostra area valutaria, ha dichiarato di essere contrario alla collettivizzazione dei debiti passati, definendola "una politica irresponsabile". Poco dopo il suo portavoce ha espresso contrarietà agli eurobond. Qualche tempo prima il presidente Juncker aveva condannato l'idea della United Federal Europe. E ancora qualche tempo prima la cancelliera Merkel aveva affermato l'esigenza nel prossimo futuro di una Europa multi-speed. Non è detto che queste dichiarazioni siano pietre tombali al risk-sharing – vale a dire ciò di cui l'Eurozona ha bisogno – ma di sicuro, configurano un campo minato nel percorso verso una nuova e duratura Europa. A mio avviso rappresentano però bene l'incredibile involuzione della nostra area valutaria. Nell'annus horribilis della crisi, e cioè il 2011, i paper che circolavano presentavano progettualità come gli eurobond o simili soluzioni per la condivisione dei rischi; sembrava che la crisi ci avrebbe portato diritti verso gli Stati Uniti d'Europa, e quindi verso un'Europa risk-shared. Invece non è andata così: l'Europa ha preso una pericolosa deriva a rischi segregati, cioè dove i rischi di debiti pubblici e privati vengono nazionalizzati nei vari Stati membri. Il tema è: a chi serve la nazionalizzazione dei rischi? Credo che serva a chi non ha fiducia nell'euro e in un'Europa con uno sviluppo armonico e a chi sta investendo invece in una soluzione egemonica degli equilibri tra i vari Stati membri. Quanto più i rischi sono nazionalizzati, infatti, tanto minori sono i danni collaterali, per quanto difficilmente ponderabili, di eventuali soluzioni consensuali di uscita dall'area valutaria unica. Detto questo, vediamo quali sono le due grandi patologie della nostra unione monetaria, che non sono previste nei nostri Trattati, anzi a ben vedere sono in qualche maniera osteggiate. Innanzitutto un'area valutaria non può avere diciannove spread, cioè diciannove costi del denaro differenti, perché la merce (l'euro) è una sola e uno solo dovrebbe essere il suo costo. Se i costi sono differenziati si determinano divari di competitività nel sistema produttivo sia per le banche che per le imprese. Questi divari sono tanto maggiori quanto più il sistema è banco-centrico come appunto accade nell'Eurozona. È poi inammissibile che l'euroburocrazia non sappia distinguere tra "malinvestimenti" e "buoninvestimenti"; mi riferisco al fiscal compact, un accordo intergovernativo che tratta gli investimenti al pari delle spese improduttive e, quindi, alla fine, rende impossibile per gli Stati membri procedere a manovre fiscali anticicliche. Queste anomalie non sono scritte nei Trattati e da qui il falso problema di doverli cambiare per aggiustare le cose; nei Trattati sono infatti presenti i principi della condivisione dei rischi, dello sviluppo armonico e della convergenza dei cicli economici. Si tratta pertanto di interpretarli correttamente e, usando un anglicismo, implementarli per il benessere dell'Europa. Regimi di cambi fissi nell'Europa - L'euro, da diversi anni, si comporta come un regime di cambi fissi; eppure è ancora in piedi e non dà segni di autonomo sgretolamento, come la lezione di Bretton Woods ci insegna. Consentitemi una metafora: un sistema di cambi fissi per i mercati finanziari è come un piccolo casinò per un ricco investitore. L'unico modo per evitare che il ricco investitore sbanchi il piccolo casinò, giocando al raddoppio, è non farlo entrare. Tornando alle dinamiche dell'Eurozona, nel 2007-2008 l'arrivo della crisi da oltreoceano aggiunge un ulteriore fattore di complessità, che rompe il compromesso implicito italo-tedesco tra finanza pubblica e industria manifatturiera, in quanto la germanizzazione dei tassi italiani si sgretola e lo spread la fa da padrone. Con lo spread il nostro debito pubblico e la spesa per interessi entrano in una nuova era, e quindi la permanenza nell'Eurozona diviene, mutuando un'espressione dalla medicina, uno stillicidio ematico. Vi do una cifra che è impressionante: negli ultimi quattro anni il nostro sistema produttivo ha generato un minore gettito per lo Stato di circa 100 miliardi di euro tra mancate tasse delle imprese in crisi e deferred tax credits (crediti fiscali differiti) conseguenti alle svalutazioni dei non-performing loansde, cioè i crediti problematici accumulatisi nei bilanci bancari; quest'ultimo fenomeno è tutt'altro che irrilevante dato che oggi più del 10% del nostro sistema bancario è capitalizzato attraverso questi crediti d'imposta e rammento che su questa pratica contabile è in corso un'indagine della Commissione europea con l'ipotesi di violazione della disciplina degli aiuto di Stato. Se l'indagine dovesse terminare con esito sfavorevole si riaprirebbe (non che si sia mai chiusa) la stagione degli aumenti di capitale a spese del pubblico risparmio. Qualcuno potrebbe sostenere che se queste sono le derive della nostra area valutaria allora perché non uscire come fu per il Serpente Monetario e per il Sistema Monetario Europeo? Il problema è che la metafora del ricco investitore e del piccolo casinò non opera per l'Eurozona. L'esistenza di una Banca Centrale unica con la capacità operativa della Bce non dà spazio ad attacchi speculativi con carattere di conclusività; non conviene. È infatti assai più conveniente creare tensioni sull'area valutaria, indurre, quindi, interventi straordinari della Bce, che generano prevedibilità per l'andamento delle principali variabili finanziarie ed effettuare "intermediazioni da spread". Mi spiego meglio: la Bce, con la sua operatività non convenzionale, interferisce con le normali dinamiche dei mercati finanziari definendo per gli operatori scenari maggiormente prevedibili. Questa maggiore prevedibilità consente a banche, assicurazioni e fondi di effettuare compravendite dei titoli di Stato dei Paesi membri per realizzare dei guadagni privi di rischio, proprio intorno all'andamento degli spread. Quest'operatività, l'"intermediazioni da spread", appartiene alla famiglia degli arbitraggi e scommette de facto sulla divergenza delle curve dei tassi di interesse dei vari Paesi membri; si tratta quindi di divergence trades da non confondere con gli speculari convergence trades del triennio 1997-2000 che hanno costruito la curva unica dei tassi di interesse dell'euro. I divergence trades trovano conferma a partire dal 2011 sui mercati dell'Eurozona in relazione ai vari programmi di prestiti straordinari alle banche (Ltro e TLtro) e di acquisto dei titoli di Stato (Smp e Qe) nonché in relazione al famoso whatever it takes del 2012 di Mario Draghi (che rammento non si è mai concretizzato in effettive operazioni sul mercato da parte della Bce) e purtroppo dominano ancora la scena sul mercato dei Govies. A meno di non voler veramente credere a chi sostiene che lo spread si sia strutturalmente ridimensionato grazie alle policies straordinarie della banca centrale. Il fenomeno dello spread è infatti ancora lì; studiando questa grandezza in termini di tassi di interesse reali (e, quindi, al netto dell'inflazione), si scopre che il 2016 non è stato poi così diverso dal 2011, l'annus horribilis. E d'altronde, perché gli operatori di mercato dovrebbero cambiare le valutazioni sulla rischiosità di uno Stato membro se nessuno si occupa di cambiare le regole di funzionamento dell'Eurozona in un'ottica risk-shared? Una rinnovata dialettica politica per un nuovo set di interventi straordinari - Con queste condizioni al contorno bisogna identificare cosa fare. La mia opinione è che serva un drastico cambio di rotta. Nella dialettica politica si dovrebbe iniziare a bollare come euroscettiche dichiarazioni del tenore di quelle che ho citato all'inizio. Bisogna poi contrastare, o perlomeno non far passare inosservati, incontri bilaterali come quello dello scorso marzo tra la cancelliera Merkel e il presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump nel momento in cui vengono prevaricate le prerogative degli altri Stati membri. Una statistica può rendere meglio l'idea. Per l'80% della durata dell'incontro la Merkel ha discusso di politiche economiche dell'Eurozona e non di quelle tedesche: questa è un'evidente prevaricazione. Le istituzioni europee devono riprendere centralità e non farsi sorpassare a destra. Va contrastato il principio che "guida" chi ha la capital key più elevata nell'Eurosistema; perché finora purtroppo è andata così salvo rare eccezioni e non va bene. Alla politica non spetta solo un ripristino della dialettica istituzionale ma anche proporre delle soluzioni. Ci sono a mio avviso sette interventi mirati che si potrebbero porre in essere a trattati invariati, cioè sic stantibus rebus. 1) Le outright monetary transactions della Banca Centrale Europea, cioè lo "scudo anti spread", dovrebbero stabilire nell'Eurozona un obiettivo zero spread a dodici mesi. Una dichiarazione del genere porterebbe gli investitori istituzionali a muovere la loro operatività nel senso dei convergence trades e ad azzerare lo spread nell'Eurozona, eliminando così quel fattore di divario di competitività dei sistemi produttivi che alimenta squilibri persistenti e crescenti fra i Paesi aderenti. Non è qualcosa di impossibile; come dicevo prima, è già successo nel triennio 1997-2000. 2) Il fiscal compact entro fine anno va ratificato nei trattati europei: l'occasione dovrebbe essere utilizzata per scomputare gli investimenti dal calcolo della spesa pubblica superando le quote risibili che oggi ci sono accordate dall'asse Berlino- Bruxelles. Se non ci fidiamo della classe dirigente dei singoli Stati membri, si può valutare l'eventuale istituzione di un Comitato Europeo che verifichi i "buoninvestimenti", cioè quelli con moltiplicatore maggiore di uno. I "buoninvestimenti" vanno esclusi dall'algebra del fiscal compact. Segnalo, per inciso, che questi calcoli algebrici sono a mio avviso di dubbia legittimità dato che impostano la politica fiscale secondo una modalità pro-ciclica e, quindi, in piena contraddizione con i Trattati e con l'articolato stesso del fiscal compact, che invece definisce l'esigenza di politiche economiche anticicliche. 3) Il quantitative easing non dovrebbe concludersi senza un cambio di rotta verso il risk-sharing. Questo programma di acquisti di tioli – lo ricordo – è stato strutturato secondo una architettura a "rischi segretati". La Banca Centrale Europea presta i soldi alle banche centrali nazionali, affinché queste comprino i titoli di Stato domestici (cioè ognuna quelli emessi dal proprio governo). Questa è un'anomalia che non a caso si riflette sul saldo Target 2: oltre 400 miliardi di euro di debiti dell'Italia verso l'Eurosistema (formalmente) ossia (sostanzialmente) verso la Germania. In un contesto normale il saldo del sistema di pagamenti interbancari di ciascun Paese dovrebbe essere prossimo allo zero. I numeri che osserviamo invece testimoniano l'errore architetturale del Qe definito così dopo le pressioni tedesche in Consiglio direttivo. Oggi la domanda è: come concludere il Qe? Semplice, riavvicinando il quantitative easing europeo a quello della Federal Reserve americana. I titoli di Stato delle banche centrali nazionali dovrebbero essere rilevati dalla Bce (non andare sul mercato) e i relativi prestiti andrebbero estinti. 4) Per i crediti deteriorati serve una bad bank europea. È vero quelli delle banche italiane ammontano a oltre trecento miliardi di euro, ma è altrettanto vero che il dato complessivo dell'Eurozona è anch'esso notevole: oltre mille miliardi. Peraltro, i nostri trecento, quasi per metà sono interessi larga parte dei quali anatocistici; infatti, come ricorderete, la sentenza che rende l'anatocismo illegale è del 2014; lo segnalo in quanto da questo punto di vista la situazione nell'Eurozona è eterogenea. A parte queste differenze – su cui prima o poi l'armonizzazione europea dovrebbe intervenire (come lo ha fatto per esempio sulla tempistica di svalutazione fiscale degli Npl portandola da 18 anni a 1, cosa che non è ci abbia proprio agevolato) – torniamo alla bad bank europea. Si tratta di ipotizzare un veicolo che vada ad assorbire questi crediti deteriorati – così da levare il tappo a questo lavandino dove ristagna la liquidità della Bce – e ripristinare così la capacità delle banche dell'Eurozona di sostenere il tessuto industriale e produttivo. 5) Il "Salva imprese"; sui crediti deteriorati serve una sincronizzazione della contabilità delle banche con quella delle imprese. Se un credito di cento euro nominali è iscritto nel bilancio della banca, in quanto svalutato, a trenta euro, andrebbe contabilizzato a trenta euro anche nel bilancio dell'impresa. Questo disincentiverebbe, tra l'altro, i fondi-avvoltoio dal comprare i crediti deteriorati delle nostre banche. Oltre alla sincronizzazione della partita doppia, servirebbe una garanzia dello Stato su questi crediti, da pagare a prezzo di mercato per superare le limitazioni europee sugli aiuti di Stato. La garanzia trasformerebbe il credito in un Btp sintetico, risolverebbe i problemi di assorbimento di capitale che i crediti deteriorati determinano per le banche e cancellerebbe l'indicazione di cattivo pagatore nella "Centrale dei Rischi", consentendo all'impresa di riaccedere al credito. Con un po' di liquidità le imprese potrebbero riuscire a lasciarsi la crisi alle spalle e evitare di finire nella lista nera delle aziende fallite che oggi conta già 45.000 unità; sempre che sia tra gli obiettivi dell'Eurozona riavviare il nostro sistema produttivo ed una sana relazione tra banca ed impresa. 6) Il Fondo europeo di tutela dei depositi; se non ricordo male l'Unione Bancaria aveva tre pilastri. I due che ci facevano male sono stati realizzati cioè il bail-in e la vigilanza unica europea. E il terzo – cioè il fondo di tutela dei depositi – a che punto è? Eppure è un pezzo di un accordo in essere. La domanda è evidentemente retorica. Sappiamo tutti che è bloccato dal veto tedesco; veto che è veramente inammissibile. 7) Prestiti agevolati e targeted della Bce (T-Ltro) per combattere i differenziali di inflazione all'interno dell'Eurozona, ovvero che vadano alle imprese e alle famiglie dei Paesi dove l'inflazione è più bassa. L'Eurozona non può consentirsi il rischio che l'obiettivo di inflazione al 2% della Bce possa essere interpretato come dato medio degli Stati membri, magari pure ponderato in base al peso degli stessi. Si potrebbe, infatti, arrivare a contraddizioni per cui con una Germania al 3% si potrebbero trascurare scenari deflattivi in altri Stati membri. Escluderei, tra l'altro, che i Padri fondatori dell'Eurozona immaginassero simili scenari. I T-Ltro qualificano un importante intervento di convergenza architetturale per la nostra area valutaria in quanto – una volta portato a casa l'obiettivo di azzerare lo spread – non possiamo dimenticare che anche il differenziale di inflazione, attraverso la metrica del tasso di cambio reale, altera la competitività dei sistemi produttivi. Queste proposte sono veramente quelle che a me piacerebbe chiamare il "minimo sindacale" per tenere in piedi la nostra architettura valutaria. Altrimenti, e a me spiace dirlo perché sono un convinto assertore degli Stati Uniti d'Europa, il rischio è che ci dobbiamo preparare rapidamente a un piano B. |
SPIGOLATURE Ma vi pare possibile!? di Renzo Balmelli REBUS. Rosatellum, Verdinellum, Cinquestellum. Con i primi caldi la politica, che sembra morsa dalla tarantola, prova a risolvere l'antico rebus della riforma elettorale e toglie dall'armadio gli scheletri di vecchie e nuove terminologie. Ora è la volta del proporzionale alla tedesca con soglia di sbarramento al cinque per cento, riveduta, italianizzata e già al centro di sottili e machiavellici intrighi di palazzo per costruire o disfare alleanze che vengono, vanno e a volte ritornano. Un vero incubo per i "cespugli" che a cuore non hanno tanto il bene della società, bensì la rielezione, minacciata appunto dallo sbarramento, e le confortevoli poltrone parlamentari che garantiscono non pochi vantaggi. L' impeto riformista potrebbe essere comunque salutare se fosse dettato solo dall'altruismo al servizio della comunità. Invece non ci vuole molto per intuire che il merito della riforma è secondario rispetto alla voglia di elezioni anticipate, esplosa come un temporale estivo, e che rappresenta il vero filo conduttore della questione. Con l'ipotesi affatto peregrina di rimettere in gioco Berlusconi. Ma vi pare possibile! SPIRALE. Che l'osservanza delle regole e il rispetto della presunzione di innocenza siano il perno dello stato di diritto è un principio acquisito per non cadere nel giustizialismo forcaiolo. Già Pasternak sosteneva di nutrire scarsa considerazione per coloro che si accanivano contro chi era caduto, chi aveva sbagliato. Però, soprattutto a livello istituzionale, se il tasso di corruzione diventa un problema endemico che il Paese si trascina da troppi anni, le dotte citazioni per quanto rispettabili non migliorano le cose. Anche in questi giorni nella capitale è sotto inchiesta un personaggio eccellente che ha occupato cariche di grande prestigio. Come uscire dal giro vizioso è un quesito rimasto finora senza soluzione. Il contributo maggiore rientra comunque tra le priorità della classe politica che per rispetto verso gli elettori dovrebbe fare di tutto e di più per stare alla larga dalle tentazioni ed evitare di finire indagata. Sarebbe già un grande passo avanti per districarsi dalla molesta spirale che nuoce all'Italia. SVOLTA. La sinistra non sta attraversando il suo miglior periodo e nemmeno io – direbbe Woody Allen – mi sento tanto bene. Non tutti i pazienti però versano nelle stesse condizioni. In Gran Bretagna, a meno di due settimane dalle elezioni anticipate volute ad ogni costo da Theresa May per consolidare la sua forza negoziale con l'UE , il partito laburista non sembra per niente rassegnato a svolgere un ruolo di figurante nella spinosa e snervante marcia di avvicinamento alla Brexit. Sotto la spinta di giovani e donne, la compagine di Jeremy Corbin, il leader che con la sua barbetta alla Lenin disturba il sonno dei moderati, ha recuperato consensi su consensi e ora è pronto al sorpasso sui conservatori al governo. Sarebbe una svolta clamorosa che ha incontrato il favore di ampie fette dell'elettorato, stufe di una leadership che non vince più elezioni e si accontenta di un'opposizione talmente blanda da sembrare inesistente. Forse dalle urne non uscirà un ribaltone a Downing Street, ma in casa laburista in futuro ci sarà parecchio da discutere e molte saranno le cose da cambiare. AMICO. Se pensiamo di indebolire il ciclone Trump facendo della facile ironia sulla figlia Ivanka e le sue scarse conoscenze calcistiche, siamo sulla strada sbagliata. Che la pargoletta prediletta del Presidente in una trattoria romana abbia "canonizzato" l'ex laziale Chinaglia credendolo un santo, alla sua età e completamente a digiuno di italiche leggende sportive, è del tutto normale. Nell'era del gossip sfrenato e delle fake news non saranno certo queste banalità a scalfire le difese dello spigoloso inquilino della Casa Bianca. A dargli fastidio, caso mai, e a metterlo in crisi è l'ombra del suo predecessore che ovunque si presenta viene accolto da una folla festante che gli riconosce una capacità di cui il tycoon è del tutto sprovvisto: la capacità di immaginare e far sognare un mondo migliore. A Berlino, dove mai si è spenta l'eco dello storico discorso di Kennedy, Obama ha ricevuto un'accoglienza trionfale che ricordava per calore ed entusiasmo quella riservata al Presidente assassinato a Dallas e al quale lo uniscono alcune significative affinità. La Realpolitik però non fa sconti e, per quanto amato e rimpianto, Obama resta sì l'amico americano, ma disoccupato. L'interlocutore sull'altra sponda dell'Atlantico è un altro. Almeno per ora AURA. Un giorno quattro ragazzi di Liverpool mentre attraversavano Abbey Road, l ' immortalata strada del quartiere londinese di Camden dove sorgeva il loro studio, ebbero una ispirazione che avrebbe rivoluzionato i canoni della musica contemporanea. Erano i Beatles, i famosissimi Fab Four, che non accontentandosi di essere diventati un fenomeno di comunicazione di massa senza precedenti, decisero che era giunta l'ora di dare uno scossone alla loro già consolidata produzione. Sotto l'impulso creativo vide così la luce il mitico Sgt. Pepper che proprio in questi giorni compie cinquant'anni. Mezzo secolo di vita di un disco intramontabile diventato il simbolo di un'intera generazione, delle sue ambizioni, delle sue paure e dei suoi desideri. A che a dispetto dell'anagrafe continua ad esserlo anche ai nostri giorni. La nuova edizione rimasterizzata per festeggiare il compleanno sta andando a ruba, mentre chi possiede la copia in vinile risalente al 1967 la conserva gelosamente come un prezioso oggetto da collezione nel ricordo di John Lennon e George Harrison, non più tra noi, e Ringo Starr e Paul McCartney, che non smettono di lasciarci a bocca aperta grazie all'aura che li circonda. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Bankitalia, centralità al lavoro di Salvatore Rondello Tradizionalmente, una particolare attenzione è riservata alla relazione annuale della Banca d'Italia che si svolge il 31 maggio di ogni anno. Nelle considerazioni finali, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, dopo aver ricordato la figura di Carlo Azeglio Ciampi scomparso il 16 settembre del 2016, nel corso del suo intervento, l'ultimo prima della scadenza del suo mandato ad ottobre prossimo, ha affermato: "Il debito pubblico e i crediti deteriorati rendono vulnerabili l'Italia. La centralità è il lavoro. Perché è qui che si vede l'eredità più dolorosa della crisi". Ha proseguito incalzando: "Gli squilibri vanno corretti tempestivamente, altrimenti prima o poi si pagano. Sul terreno delle riforme, su quello della finanza pubblica, per le banche servono altri passi in avanti. L'adeguamento strutturale dell'economia richiede di continuare a rimuovere i vincoli all'attività d'impresa, incoraggiare la concorrenza, stimolare l'innovazione mentre sul fronte della spesa pubblica deve tornare a crescere la spesa per investimenti pubblici in calo dal 2010". Davanti ad un pubblico molto qualificato, tra le importanti personalità presenti, ad ascoltare Visco in prima fila si trova Mario Draghi, che viene salutato pubblicamente dal Governatore quando nella relazione affronta il tema delle misure straordinarie decise dalla Bce nel 2014: "Do' il benvenuto al presidente Bce. Le misure straordinarie decise da Francoforte nel 2014 hanno contrastato con successo i rischi di una spirale deflazionistica". Accanto a Draghi sono seduti l'ex premier Mario Monti e la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Seduti in prima fila anche Antonio Fazio, Lamberto Dini e Fabrizio Saccomanni. Nelle sue considerazioni finali, Ignazio Visco ha toccato altri punti molto importanti della attuale situazione economica e sociale: "Il debito pubblico e i crediti cosiddetti deteriorati riducono i margini di manovra dello stato e degli intermediari finanziari; entrambi rendono vulnerabili l'economia italiana alle turbolenze sui mercati e possono amplificare gli effetti delle fluttuazioni cicliche. L'elevato debito pubblico è un fattore di vulnerabilità grave, condiziona la vita economica del paese. La questione del lavoro è centrale ed è soprattutto su questo mercato che vediamo l'eredità più dolorosa della crisi. I pur significativi benefici in termini di occupazione si sono rivelati effimeri perché non sono stati accompagnati dal necessario cambiamento strutturale di molte parti del nostro sistema produttivo. Non possiamo correre il rischio di intaccare la fiducia nelle banche e nel risparmio da esse custodito a causa degli interventi delle autorità con le norme Ue che hanno segnato una brusca cesura. Nell'applicazione delle nuove regole occorre evitare di compromettere la stabilità finanziaria e nel rispetto dei principi alla base del nuovo ordinamento europeo gli interventi devono preservare il valore dell'attività bancaria. Manca una efficace azione di coordinamento fra i diversi soggetti nazionali e sovranazionali sulla gestione delle crisi bancarie. In Italia, negli scorsi anni, si sono superate fasi di tensione anche gravi senza danni per i risparmiatori e per il sistema creditizio nel suo complesso. La Banca d'Italia negli ultimi anni è stata criticata anche in maniera aspra, siamo stati accusati di non aver capito cosa accadeva o di essere intervenuti troppo tardi. Non sta a me giudicare, posso solo dire che l'impegno del direttorio è stato massimo. E' un'illusione pensare che la soluzione dei problemi economici nazionali possa essere più facile fuori dall'Unione economica e monetaria. L'uscita dall'euro, di cui spesso si parla senza cognizione di causa, non servirebbe a curare i mali strutturali della nostra economia; di certo non potrebbe contenere la spesa per interessi, meno che mai abbattere magicamente il debito accumulato. Al contrario, essa determinerebbe rischi gravi di instabilità. Le conseguenze della doppia recessione sono state più gravi di quelle della crisi degli anni Trenta. Agli attuali ritmi di crescita il Pil tornerebbe sui livelli del 2007 nella prima metà del prossimo decennio. In Italia l'espansione dell'economia, ancorché debole, si protrae da oltre due anni, tuttavia restiamo indietro rispetto ai nostri partner in Europa. L'aumento del Pil nell'area euro dovrebbe essere prossimo, quest'anno, al 2%, circa il doppio del nostro paese. L'esigenza di superare la crisi, sollecita ancora, uno sforzo eccezionale. Non minore è l'impegno necessario per ritrovare un sentiero di crescita stabile ed elevata, per risolvere la questione del lavoro, così difficile da creare, mantenere, trasformare, questione centrale dei nostri giorni non solo sul piano dell'economia. Gli squilibri vanno corretti tempestivamente, altrimenti prima o poi si pagano. Sul terreno delle riforme, su quello della finanza pubblica, per le banche servono altri passi in avanti, non retromarce. L'adeguamento strutturale dell'economia richiede di continuare a rimuovere i vincoli all'attività d'impresa, incoraggiare la concorrenza, stimolare l'innovazione. Deve tornare a crescere la spesa per investimenti pubblici in calo dal 2010. Non c'è stata piena consapevolezza anche al livello politico dei rischi derivanti dalle norme sul bail in e della vendita, che era del tutto legittima secondo le norme, delle obbligazioni subordinate delle quattro banche finite in risoluzione. Affinché si realizzi una piena convergenza dell'inflazione verso l'obiettivo della banca centrale serve ancora un grado elevato di accomodamento monetario. La revisione dell'orientamento della politica monetaria, da attuarsi con la necessaria gradualità, dovrà costituire la conferma che crescita della domanda e stabilità dei prezzi possono sostenersi autonomamente nel medio periodo". Riferendosi agli amministratori delle banche italiane, Ignazio Visco ha chiarito: "Posso solo assicurare che l'impegno del personale della Banca d'Italia e del Direttorio è stato sempre massimo. Le crisi bancarie, purtroppo, non sono una peculiarità dei nostri tempi. E, come dimostra la storia, non è sempre possibile prevenirle. Negli anni 70 abbiamo avuto Italcasse, Sindona, il Banco Ambrosiano. Poi a ridosso del processo di privatizzazione, negli anni 90, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, Sicilcassa. Oggi più che mai è importante partire dalla valutazione delle persone che guidano una banca. Quando si consolidano posizioni di dominio assoluto, aumenta il rischio che si sfrutti la propria intoccabilità per abusi e favoritismi". Alle belle parole del Governatore bisognerebbe auspicarsi che possano seguire i fatti. Altrimenti ascolteremmo soltanto "prediche inutili" come scrisse con rammarico Luigi Einaudi. Le crisi nella storia bancaria italiana ricordate dal Governatore Visco, nessun italiano vorrebbe che si ripetessero. Le qualità etiche delle persone designate a guidare una banca dovrebbero essere una condizione necessaria ed indispensabile preventiva all'assunzione degli incarichi dirigenziali. Purtroppo, molti amministratori delle banche italiane si trovano in chiara posizione di conflitto di interesse. Se per le piccole realtà bancarie la vigilanza compete tuttora alla Banca d'Italia, per le banche di grandi dimensioni l'esercizio della vigilanza compete direttamente alla BCE. Vai al sito www.avantionline.it/ |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ L'illusione sovranista di Danilo Di Matteo Per qualche mese non pochi, al cospetto delle pulsioni sovraniste e dell'edificazione di muri, hanno forse pensato che tanti discorsi sulla globalizzazione e sull'esigenza di una governance mondiale fossero già superati. In realtà le stesse oscillazioni nella politica internazionale dell'amministrazione di Donald Trump mostravano che così non potesse essere. I leader, oggi, sono leader globali. E l'incontro di ieri fra il vescovo di Roma e il presidente degli Usa è stato un incontro, per l'appunto, fra due leader globali: uno religioso, l'altro politico. Analogamente, l'attenzione verso i primi passi dell'esecutivo guidato dall' inquilino dell'Eliseo appena eletto, Emmanuel Macron, è legata al carattere europeo e globale della nuova leadership francese. E la strage di Manchester, nel Regno Unito, conferma la scala planetaria della sfida lanciata dall'internazionale del terrore. Senza dimenticare l'importanza di ciò che sta succedendo in Iran, che può avere conseguenze e risvolti tali da essere paragonabili alla rivoluzione islamica del 1979. Le stesse chiese del protestantesimo storico, poi, tradizionalmente strutturate su base nazionale, tendono a dare sempre più forza alle loro organizzazioni mondiali (è così per i luterani, ad esempio, e per i calvinisti). Per non dire che la maggioranza degli anglicani, ormai, non vive in Gran Bretagna. Forse non è sbagliato parlare di post-globalizzazione: nel senso che siamo adesso in una fase non più iniziale dell'ultima, possente ondata della globalizzazione emersa dal crollo del Muro di Berlino. E nel senso, anche, che il fenomeno non corrisponde all'interpretazione alquanto ingenua che ne è stata data agli esordi: non di semplice omologazione si tratta, e neppure di occidentalizzazione del mondo. Siamo piuttosto al cospetto di un groviglio di spinte e controspinte; di sommovimenti difficili da decifrare, che paiono spesso fra loro in contraddizione. Da qui il carattere tutt'altro che illusorio dell'idea di un governo mondiale, senza con ciò inseguire il miraggio di un unico, grande Stato planetario. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Putin ospite nel palazzo reale di Francia. Per il presidente russo, Emmanuel Macron, non è mai stato un candidato desiderato per le presidenziali francesi. di Magda Lekiashvili Vladimir Putin si augurava che il palazzo dell'Eliseo diventasse la residenza di Marine Le Pen (che aveva ospitato a Mosca poco prima delle elezioni). Davanti al fatto compiuto non ha potuto fare altro che stringere la mano al nuovo presidente della Francia. Macron accoglie lo "Zar" russo a Versailles nella sua prima visita in Francia dal novembre 2015, perché una delle ultime visite fu improvvisamente disdetta per le tensioni contro i bombardamenti in Aleppo. Stavolta Putin riceve un trattamento reale: viene accolto prima di qualsiasi altro leader, mentre la "città dei re" celebra la visita di Pietro il Grande nel 1717 in Francia con una mostra che crea il contesto culturale di quest'appuntamento. Sebbene né Macron né il governo francese abbiano accusato direttamente Mosca di tentare di favorire l'elezione della Le Pen, le dichiarazioni di Macron sono sempre state dure verso la propaganda russa. Macron, durante la campagna elettorale, aveva escluso alcuni rappresentati della stampa russa rimproverandoli che fossero disinformatori. E anche durante l'incontro con Putin, chiama Russia Today e Sputnik (la stampa russa) "agenti di influenza", aggiungendo che non si sono mai comportati come rappresentanti di stampa, anzi sembravano una macchina di propaganda. E qual è la risposta del presidente russo? Accuse del genere, per Vladimir Putin, sono "strada verso il nulla". L'interferenza degli hacker russi a sfavore di Macron non è certa, e senza prove certe, secondo Putin, in politica non si esprimono diffamazioni. Proprio per questo il commento del presidente francese rimane senza ulteriori approfondimenti da parte del sua collega russo. La Russia insiste sul fatto che i colloqui di Versailles costituiscono la possibilità di "ripristinare" le relazione franco-russe e che potrebbe essere una nuova partenza per i loro rapporti. Nonostante molte visioni diverse fra loro, i paesi possono elaborare un piano comune contro la lotta al terrorismo. Rimane il disaccordo sulla questione Ucraina. La posizione francese nei confronti del conflitto ucraino non è cambiata e la Russia rimane ancora responsabile per l'invasione della Crimea (una prospettiva che Mosca contesta). |
Freschi di stampa, 1917-2017 (10) Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre. La compagna tacque Dall'ADL del 12 maggio 1917 apprendiamo che Angelica Balabanoff è partita per la Russia. «L'altra sera. Modesto simposio fra compagni per salutare la carissima compagna Angelica Balabanoff partente per la Russia. (…) Nei convenuti era un dolore: quello del distacco; un orgoglio: quello di aver conosciuto e apprezzato la valorosa milite del socialismo internazionalista; un pensiero proprio di gratitudine: per l'esempio (…); una volontà: ch'Ella non ritardi oltre a portare in Russia, nel dibattito delle varie correnti, il suo pensiero, la sua parola, la sua opera socialista (…); una speranza: di riaverla al più presto fra noi – dopo aver compiuta l'alta e nobile impresa nella sua grande terra natale –, qui in Isvizzera, in Italia – la sua terra d'adozione – a completare la grandiosa opera di proselitismo per la rivoluzione sociale» (ADL 12.5.1917). Angelica dunque parte. Un mese dopo Lenin. Come per lui, anche per lei, prima del treno c'è un "modesto simposio" al Coopi. Nel locale socialista alcuni compagni entrano dalla porta principale, altri dal retro, come usano i membri del gruppo anarchico o quelli sotto sorveglianza di polizia. A differenza dell'Avvocato Vladimiro, arrivato lì in gran discrezione un mattino d'aprile per attendere di poter salire insieme al suo "seguito" sul famoso treno con i sigilli di piombo, la Dottoressa Angelica tiene un convivio serale. Sul treno salirà all'indomani, pubblicamente, percorrendo la centralissima Bahnhofstrasse tra due ali di folla festante. I giornalisti del luogo non afferreranno la ragione per cui le masse proletarie di Fremdarbeiter (cioè italiani) siano accorse a tributare un così grande omaggio a quella piccola esule russa. La stampa "indipendente" sa poco o nulla delle migliaia di comizi, riunioni e manifestazioni che da quindici anni ormai la Balabanoff tiene nel mondo del socialismo italiano e internazionale. La sua popolarità è vasta. Durante la cena al Coopi parlano Armuzzi, rappresentante dell'anima popolare impegnata nei sindacati, e Misiano, che incarna la frazione intellettuale adibita all'attività di redazione. Armuzzi ama le pose teatrali, i gesti larghi, le formule ispirate. Misiano preferisce l'algebra di concatenazioni concettuali sfocianti in sillogismi rigorosamente rivoluzionari. Ma in quella sera degli addii entrambi si commuovono e la sala si produce in un grande, grandissimo applauso: "La guerra è morta nell'infamia", titola qualche giorno dopo l'ADL. E il catenaccio recita così: "In Russia si elabora la questione sociale: otto ore di lavoro, alleanza fra i popoli, terra e libertà ai contadini" (ADL, 12.5.1917). L'Ottobre è ancora lontano. Nessuno immagina neppure lontanamente che poi verranno il comunismo di guerra e i gulag. Ma già s'intravvede che le divisioni a sinistra porteranno con sé uno scontro duro. Errore politico fatale, perché dopo tre anni d'inutile macello i socialisti internazionalisti, che hanno mantenuto salda la loro opposizione alla guerra, sembrano adesso a un passo dalla vittoria più completa. In Russia l'autarchia zarista è venuta giù come le mura di Gerico. Altre case reali seguiranno. La Questione sociale avanza a passi da gigante. Finalmente le otto ore. E poi un nuovo ordine mondiale fatto di nuove libertà civili e di pane per tutti. Ma anche la condizione della donna cambierà radicalmente dopo la fine della sacra famiglia borghese! Questi, all'incirca, i discorsi del "modesto simposio" cooperativo. Di fronte a quell'entusiasmo rivoluzionario in una sera di maggio del 1917, tutti ora attendono che Angelica infiammerà ancor di più gli animi già corroborati da torrenti di lambrusco. Tutti condividono il sentimento di un'imminente età della riscossa. E tutti – le compagne e i compagni di Zurigo, di Schlieren, di Baden, di Oerlikon e di Bruttisellen, convenuti lì per salutare la sua partenza – guardano ora verso Angelica, grande intellettuale poliglotta e cosmopolita, oratrice fenomenale. E, invece, lei… «La compagna tacque: parlò nel suo silenzio». (ADL 12.5.1917) Perché "tacque"? Che cosa significa: "parlò nel suo silenzio"? Sapeva che la sua è una missione quasi impossibile? Mediare tra il Governo provvisorio e l'opposizione bolscevica: altrimenti sarà guerra civile. E per evitarla occorrerà indurre le potenze belligeranti ad accettare – certo, anche nel loro stesso interesse – una pace "senza cessioni e senza riparazioni". Ma come? Con quali mezzi? Angelica è troppo addottorata nella storia umana, è troppo profonda conoscitrice delle dinamiche politiche, per non sapere che i venditori di cannoni non si fermeranno e che il suo socialismo, avvicinandosi alla soglia del trionfo, incontrerà adesso, proprio adesso, le resistenze più forsennate. Non ci sarà pace in Europa e nel mondo fino alla catastrofe delle potenze belligeranti. E anche il "dibattito tra le varie correnti" in Russia si sta già predisponendo a divenire conflitto armato. Di fronte al silenzio di Angelica, che si appresta a partire nella speranza alimentata più dall'etica kantiana del dovere che dal principio di realtà, la "Commissione Esecutiva" del PSI in Svizzera redige un inusuale comunicato, che si conclude con queste parole: «Compagna buona, generosa e grande, arrivederci presto con un trionfo socialista in più». (ADL 12.5.1917) Sul giornale della settimana successiva leggiamo che Angelica si pubblicamente è schierata «contro una "pace separata" giovante all'imperialismo tedesco». Una mezza dichiarazione di ostilità a Lenin. E una corsa contro il tempo, che prenderà le mosse di trattative di pace che s'intendono far partire dalla Svezia. Dove c'è l'appoggio dei dirigenti "zimmerwaldiani" Hèden, Oljelund e il giovane deputato Höglund, tutti e tre incarcerati durante la guerra e ora liberati per la pressione del vento rivoluzionario. I tre hanno una certa influenza sul loro partito, che va assumendo sempre più posizioni internazionaliste. Dall'altro versante, quello degli interventisti, fioccano, ovviamente, le accuse di "tradimento". Gli esuli russi che rientrano attraverso la Germania non violano forse il patto d'onore con gli Alleati? No, no, e poi no! L'ADL del 19 maggio 1917 respinge decisamente ogni accusa in tal senso e pubblica in prima pagina un comunicato della Commissione Esecutiva recante il titolo "Solidali": «La C.E. del Partito Socialista Italiano nella Svizzera, esaminate le ragioni che hanno indotto i compagni internazionalisti russi ad attraversare la Germania per rimpatriare; considerata l'alta e nobile lotta per l'Internazionale che li attende in Russia; considerato il divieto opposto con mille tortuosi ripieghi dall'Inghilterra al loro passaggio per altra via; approva il loro atteggiamento» (ADL 19.5.1917). Gli internazionalisti russi non vorranno minimamente tradire gli Alleati, ma piuttosto puntano a costringere gli imperialismi «dell'uno e dell'altro gruppo belligerante a rinunciare ai loro nefasti programmi di prolungamento della guerra per inconfessabili appetiti». Come? Diffondendo «in tutti gli altri paesi d'Europa la rivoluzione sociale del proletariato, unico mezzo che assicuri ai popoli la fine di tutte le guerre» (ADL 19.5.1917). Quanto alla partenza del folto gruppo, trecento esuli e più, l'ADL pubblica una cronaca di I. M. Schweide, intitolata: "Sino al confine svizzero-tedesco". Angelica "sotto una pioggia di fiori" arriva alla stazione di Zurigo. «La più festeggiata fra tutti è stata naturalmente la compagna Angelica Balabanoff. (…) La inconsolabile Rosa Bloch – che volle dare libero sfogo alle cateratte lacrimatorie – ha ceduto il suo posto ai "bouquets" di fiori di cui è stata inondata la nostra compagna Balabanoff (…) Nessuno forse come lei avrà sofferto durante gli ultimi giorni, quando seppe che il suo distacco dal partito e dai compagni italiani si era reso inevitabile, e che l'Internazionale, la rivoluzione russa, il socialismo la chiamava altrove!» (ADL 19.5.1917). In prima pagina campeggia anche "Convoglio rosso", un breve testo di Armuzzi: «Io ricordo oggi come in una visione di sogno, il treno fantasma che porta con sé il desiderio di milioni di cuori umani, ed in questo ricordo luminoso, incancellabile, io rinnovo il saluto della folla commossa che coperse di fiori i precursori e i poeti della grande rivoluzione», (ADL 19.5.1917).
Angelica Balabanoff Ecco, qui l'angelo della storia significa una doppia verità: c'è un crudo passaggio di lì a pochi anni dai fiori zurighesi alle purghe siberiane. Ma quel giorno di maggio del 1917, quel "ricordo luminoso, incancellabile", come dice Armuzzi, resta sempre e comunque quel che esso è: un sole d'avvenire. O non è così? (10. Continua) |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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