[Diritti] ADL 170518 - Wikipedia



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <

e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti Zurigo, 18 maggio 2017

    

Per disdire / unsubscribe / e-mail a > unsubscribe_adl at vtxmail.ch

Per iscrivervi inviateci il testo: "includimi" a > red_adl at vtxmail.ch

In caso di trasmissioni doppie inviateci il testo: "doppio" a > red_adl at vtxmail.ch

    

  

IPSE DIXIT

 

 

La differenza  - «La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza» - Lev Tolstoj

 

 

Wikipedia libera in Turchia - «Il 29 aprile le autorità turche hanno bloccato l'accesso a tutte le versioni linguistiche di Wikipedia, ledendo il diritto di milioni di persone di accedere a informazioni storiche, cul­tu­ra­li e scientifiche neutrali e munite di fonti verificabili. La comunità di lingua italiana esprime la sua solidarietà alla popolazione turca e chiede il ripristino del libero accesso all'enciclopedia». – Wikipedia

 

 

cid:image002.jpg@01D2CFEE.1FC02D60

 

 

Firma l'appello dei Wikipediani e diffondi la notizia in Rete

 

     

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24).

    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

   

     

EDITORIALE

 

Arrenditi, Jannacci!

 

di Andrea Ermano

 

«L'imperatore – quest'anima del mondo – io l'ho visto uscire a cavallo dalla città, in ricognizione; è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina», così Hegel riferisce la meraviglia da lui provata nel 1806 al passaggio della Storia Universale nelle vesti del Bonaparte.

    Con l'elezione di Macron all'Eliseo, anche i massimi esponenti della geo-filosofia della "terza via" paiono aver vissuto il loro momento di estasi imperial-hegeliana. Ma non si sono limitati allo stupore filosofico, perché oggi va in scena ancora una volta per la prima volta la dipartita del socialismo europeo. E come ogni volta anche stavolta il clima somiglia a "Jannacci, arrenditi!", divertente canzone di quarant'anni fa:

    «Jannacci, arrenditi! Sei circondato… Vieni fuori dall'edificio e rientra nel sistema… Ché per adesso non ti facciamo niente. Se vieni fuori, ti promettiamo che ti mettiamo una pietra sopra. Jannacci arrenditi, ci sono 10.000 dollari di taglia. Possiamo fare metà per uno. È d'accordo anche il tuo avvocato. È d'accordo anche tua sorella…». (Ascolta "Jannacci, arrenditi!" su YouTube).

    Beninteso, nessuno nega la crisi del PS francese, cui si sommano le varie sconfitte elettorali, avvenute o annunciate, in Gran Bretagna, Germania, Spagna e Grecia. I talk show strabordano di partiti socialisti in caduta libera: PSF, Labour, SPD, PSOE e PASOK formano un unico tele-marasma di macerie.

    Senza contare le crisi di panico, come quella dell'ex primo ministro francese Manuel Valls, che, prevedendo lo sfascio ormai prossimo, aveva abbandonato governo e partito per saltare sul carro del vincitore. Però, poi ha sbagliato la rincorsa. E lo hanno ritrovato, politicamente esanime, nei rigagnoli della Storia Universale.

 

cid:image004.jpg@01D2CFEE.1FC02D60

 

Napoleone B. e G.W.F. Hegel a Jena

(Illustrazione da Harper's Magazine)

 

In tutto questo bailamme c'è un'importante domanda politica rimasta inevasa. Come mai la crisi della socialdemocrazia infuria in Europa, mentre negli USA la sinistra liberale sembra ormai ancorata a posizioni socialdemocratiche?

    Si badi che – a parte Franklin D. Roosevelt – le cose non sono sempre state così. Basta ricordare le sciagurate scelte neoliberiste di Bill Clinton – con tutta la fila di pinguini dell'Ulivo mondiale al seguito, inclusi i massimi esponenti della geo-filosofia della "terza via" – per capire quanto sia stata grande la svolta politica impressa da Barack Obama.

    Quindi, se i popoli d'Europa si vanno stufando di questa nostra sinistra incolore, dall'altra parte dell'oceano il po­polo statunitense ha pur confermato per due mandati alla Casa Bianca un socialdemocratico afro-ame­ri­cano. E, dopo il "rossonero", avrebbe eletto anche una ricca femminista, se questa si fosse solo mostrata un attimino più sensibile all'agenda pro labour.

    Poi c'è un terzo fatto, anch'esso non del tutto trascurabile, politica­mente: la virata a sinistra della Chiesa di papa Francesco, do­ve – lasciatecelo dire – giungono a maturazione tra gli altri anche gli antichi germogli siloniani di una teologia per "cafoni" a sud del mondo.

    Per quale ragione, dunque, le idee socialdemocratiche funzionano a Washinton e in Vaticano, ma non a Bruxelles?

    Forse la spiegazione risiede nel fatto che la sinistra liberale americana e la Chiesa bergogliana possono fare riferimento a due forme di "statualità" che sono politicamente sopravvissute alla crisi dello stato nazionale europeo per via della loro scala "imperiale".

    Tra gli stati nazionali, invece, nessuno più possiede forza sufficiente a produrre una narrazione persuasiva circa le possibilità della politica di entrare nel merito delle questioni che realmente coinvolgono la vita e i beni dei cittadini.

    Un doge veneziano, per esempio, non può abolire per decreto l'au­mento del livello del mare. E i valligiani carducciani non bloccheranno con voto per alzata di mano lo scioglimento dei ghiacciai alpini a mon­te del loro Comune rustico.

    La tremenda debolezza politica delle Nazioni europee, del resto, è stata solennemente certificata dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel 60° dei Trattati di Roma: «I Pae­si europei si di­vi­dono in due ca­tegorie: gli Stati piccoli, e quelli che ancora non hanno realiz­za­to di esser tali». Di qui la necessità di una fase costituente europea.

    Ed è proprio in questo lunghissimo intervallo tra il "non più" dei vec­chi Stati nazionali e il "non ancora" degli Stati Uniti d'Europa a venire che si colloca parte importante della crisi dei partiti socialisti in questo continente. Perché – al netto di questa pletora di tecnocrati scimuniti e incolori – la parola socialdemocrazia, al di fuori  di un orizzonte di senso "statuale", non significa e non può significare un granché.

    Quale Welfare potrai mai progettare, se lo Stato rischia una bancarotta ogni vent'anni come la Spagna cinquecentesca? Quale coesione so­ciale può esistere senza un Welfare? E quali politiche d'oc­cupazione, d'in­clusione e d'integrazione se non sussiste una società minimamente coesa?

 

cid:image005.jpg@01D2CFED.EFEFBAB0

 

"Ho visto un re…" - Enzo Jannacci

 

Il vero problema sta nel fatto che una spinta decisiva verso la costituente europea non verrà dai governi e nemmeno dai parlamenti. Beninteso, ci vuole classe dirigente, parla­mentare e di governo, come no. Ma duecento Giscard d'Estaing e duecento Giuliano Amato non bastano a scrivere una costituzione, se dietro di loro c'è la fobia dell'idraulico polacco e nessuna legittimazione di massa.

    Una mobilitazione di massa capace di legittimare una fase costi­tuente europea, senza comportare un evento bellico o un'in­sur­rezione, può avere luogo: a patto che nasca da una vasta coscienza del passaggio epocale e possa poi tradursi nell'elezione popolare di una Assemblea costituente (ciò che nell'Italia del 2013, con incredibile dissipazione d'energie vive, il "Parlamento dei nominati" non ha voluto concederci, fino al capolinea del 4 dicembre 2016).

    Vedremo, ora, se l'asse Merkel-Macron riuscirà ad inaugurare un patto di collaborazione federale rafforzata tra paesi della zona euro. Fin lì possono arrivare, e sarebbe già un miracolo. Dopodiché, per procedere oltre (com'è necessario), occorre il dispiegarsi di un movimento di massa in grado di "osare più democrazia" e di riaprire la strada verso una società minimamente coesa.

    Finora l'unico esperimento funzionante in questa direzione su scala europea è stato l'Erasmus. Dunque, per costruire gli Stati Uniti d'Eu­ropa, ci vuole qualcosa come un Erasmus allargato, uno strumento di massa capace di cambiare le cose non solo nella formazione perma­nente, ma anche nella partecipazione democratica dal basso, nel­l'oc­cupazione e nella solidarietà, nella sicurezza e nell'integrazione.

    Occorre uno "strumento degli strumenti" tramite il quale le società civili europee, e in primo luogo le giovani generazioni, possano iniziare a intervenire sulla realtà anziché stare lì a farsi piovere addosso per altri vent'anni.

    Ora, questo "strumento degli strumenti" potrebbe essere dato da una nuova forma di servizio civile europeo. In Italia la reintroduzione di una leva universale obbligatoria (Cost. 52), attuata sul piano civile, comporterebbe una spesa a regime di circa due-tre miliardi l'anno, a fronte dell'attuale disponibilità pari a circa un decimo di questa cifra. Lo ha detto Luigi Bobba, sottosegretario di Stato competente in materia, dopo le recenti "aperture" della ministra della Difesa Pinotti a Treviso.

    Due miliardi di fabbisogno non ci sembrano una cifra enorme, se pensiamo che Mr. Trump esige dall'Europa almeno un punto aggiunti­vo di Pil per il solo rafforzamento della NATO: cifra pari in Italia a una ventina di miliardi e a circa centoventicinque per la zona euro.

    Una sinistra di governo degna del nome dovrebbe, dunque, mettere qui "il cacciavite". E sarebbe ragionevole collegare il rifinanziamento della NATO a un "dividendo sociale" riservato al servizio civile euro­peo, cioè collegato – repetita juvant – a politiche di piena occupazione, solidarietà sociale, formazione permanente e partecipazione demo­cratica.

    Altrimenti, se vai verso una situazione di malessere alle stelle, non potrai sviluppare una buona strategia di difesa dell'Occidente, a meno che tu non voglia consegnarlo ai sovranisti. E cioè alla conflagrazione.

       

              

SPIGOLATURE 

 

Briscola col morto

 

di Renzo Balmelli 

 

CROLLO. Di questo passo fra qualche tempo sarà un miracolo se i so­cialisti europei riusciranno a incontrarsi per una briscola col morto. Crollo dopo crollo in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e presto forse anche in Italia, dove le prospettive sono tutto fuorché rosee, non si capisce se il Partito Socialista, sia vivo o defunto. Intendendo per so­cia­lismo quello vero, quello genuino e non quella strana cosa che guar­da soltanto al centro anziché a sinistra, disorientando gli elettori e per­dendo le sue peculiarità. Poiché se il verbo di Macron tende a superare la divisione tra destra e sinistra, ciò non significa gettare via il bambino con l'acqua sporca e affossare un patrimonio storico e aspetti oltre modo positivi della grande tradizione politica e culturale di matrice socialista che meritano invece di essere preservati e non rinnegati

 

SGOMENTO. Che il mondo sia nel mirino di bande di Scrooge senza scrupoli dedite alla peggiore prevaricazione fisica e morale dell'uomo sull'uomo non lo scopriamo oggi. Ma che la criminalità organizzata, avvalendosi di vergognose complicità, sia riuscita a lucrare in modo in­de­gno sulle spalle dei migranti non fa che aggiungere orrore all'orrore per la sorte ingrata di chi cerca scampo dalla morte e non di rado fini­sce in fondo al mare. Ad amplificare lo sgomento concorre la scoperta che il turpe commercio avveniva al riparo di sigle "misericordiose" con la benedizione di personaggi "insospettabili" che indossavano indegna­mente l'abito talare. Non stupisce quindi che questa sia solo la punta dell'iceberg di una vicenda ignobile che diversamente dal romanzo di Dickens non conosce la redenzione.

 

RIFONDAZIONE. Senza la presenza di una sinistra ben strutturata e capace di ricominciare un nuovo ciclo, forte è il rischio che la destra reazionaria e lepeniana finisca col diventare la sola alternativa. E non sarebbe un bene per la democrazia. Sull'altro fronte, lo sappiamo, non guardano tanto per il sottile. Lo scampato pericolo in Olanda e Francia non tragga in inganno. Contro i populismi la partita non è finita e la durezza dei negoziati che si va delineando tra Londra e Bruxelles lascia intuire che la Brexit non sarà come una giornata ad Ascot tra dame e cavalieri in ghingheri. Nello scenario prossimo venturo potrebbero es­serci vuoti inquietanti, tentazioni e amnesie capaci di vanificare tante conquiste di cui la sinistra, che ne è stata l'artefice, deve farsi solerte guardiana attraverso un attento lavoro di rifondazione che tenga conto del presente, senza mai perdere di vista però i suoi valori e la sua identità.

 

CAOS. Non è la goccia che fa traboccare il vaso. Non ancora. Ma a Washington i primi a essere nel panico nelle stanze del potere sono i repubblicani, frastornati dalle quotidiane e imprevedibili improv­vi­sazioni del loro Presidente. I mormorii, le perplessità, le preoccu­pa­zioni ormai si odono a distanza. Dall' attacco frontale e vendicativo all' FBI, allo scambio di informazioni top-secret con Mosca all' insaputa dello staff, Trump non si priva di niente. Autorevoli esponenti del suo partito aspettano ogni giorno nuove pagine del caos trumpiano e sollecitano misure urgenti per riportare le cose sotto controllo. Ma l'inquilino della Casa Bianca non se ne cura. Intanto la popolarità del Presidente e' una spirale discendente che non contribuisce certamente a rasserenare il clima internazionale nel momento in cui da qualche parte sul pianeta c'è pure un bamboccione che si trastulla con gli ordigni missilistici e accarezza le bombe nucleari con pugno di ferro e cuore di ghiaccio. Insomma, con l'aria che tira, l'idea di essere in balia di dilettanti allo sbaraglio non è delle più rassicuranti!

 

MACCHIA. Ignoriamo come si declina "Arbeit macht frei" nella lin­gua che si parla in Siria. Ma è quella scritta raggelante posta all'ingres­so dei campi di sterminio nazisti la prima associazione che viene in mente alla notizia che in quel disgraziato Paese sarebbero stati ripri­sti­nati i forni crematori per cancellare le tracce degli oppositori. Voglia­mo usare il condizionale nella speranza che si tratti di un abbaglio e non della ricaduta nella voragine di un crimine efferato quale estrema disumanizzazione di una spietata guerra civile che si consuma non lontano dall'Europa. Stando a varie fonti sembra siano non pochi i "nemici" del regime scomparsi nel nulla, ragion per cui il Vecchio Continente, che di quelle pratiche funeree porta la macchia indelebile, ha ora il dovere morale di mobilitarsi più degli altri. Mobilitarsi nel solco del motto "mai più" onde accertare la verità sui soprusi, le violenze e le atrocità di ogni genere che se fossero confermate farebbero precipitare chi le ha tollerate in un abisso di depravazione.

 

         

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Rischio ridenominazione?

 

Pubblicato su “Social Europe Journal” il 28 marzo. Titolo

originale: “Bund tedeschi, emerge il rischio ridenominazione”.

La possibilità che un asset in euro sia determinato in una

diversa moneta dopo l’uscita eventuale dall’Ue si riaffaccia

sul mercato dei bund

 

di Marcello Minenna

 

Gli ultimi mesi hanno visto un considerevole balzo avanti dei rendi­menti dei titoli pubblici dei Paesi dell’eurozona: Francia, Italia e Spa­gna hanno registrato aumenti tra i 50 e i 100 punti base. Con la note­vole eccezione della Germania, dove i tassi hanno continuato la loro sconcertante discesa in territorio negativo. Alla fine di febbraio, gli “Schatz” tedeschi con una scadenza a due anni sono arrivati a toccare la soglia senza precedenti di meno 1%. La domanda è ulteriormente in crescita: per investire in un bund che frutterà 100 euro in due anni, c'è la volontà di pagare 101,6 euro al governo tedesco, subendo un costo netto di 1,60 euro.

    Il mercato dei bund si sta pertanto muovendo contro una generale tendenza al rialzo dei tassi di interesse che può essere attribuito soprattutto al recente revival delle tendenze inflattive. L’inflazione europea sta aumentando dal dicembre 2016 a causa dei crescenti costi energetici e alimentari, sebbene l’inflazione che determina le aspettative di lungo termine degli operatori del mercato è ancora debole, intorno allo 0,6%. A febbraio 2017 il tasso di inflazione su base annua ha raggiunto il 2,2% in Germania e persino l’1,5% in Italia, dove, fino all'ottobre dello scorso anno, l’economia era alle prese con concrete minacce deflattive.

    L'altro fattore che sta portando in alto i rendimenti è il market pricing del rischio politico. Il ciclo elettorale europeo è cominciato: le elezioni olandesi del 15 marzo hanno dato il calcio di partenza a quello che potrebbe essere un profondo rimescolamento della leadership politica. L'incertezza e la crescita dei movimenti populisti sono poco attraenti per i mercati che stanno chiedendo un premio crescente sui titoli pubblici. Pertanto, dietro il comportamento dei bund ci sono forze sufficienti a superare gli effetti della crescente inflazione e dell’incertezza politica.

    La spiegazione convenzionale punta – in parte correttamente – al ruolo di rifugio (safe heaven) dei bund nei mercati globali e alla forte domanda di asset tedeschi come collaterali di alta qualità per i prestiti interbancari. Ma entrambi i fattori sono al lavoro da anni e non possono spiegare i recenti estremi movimenti dei prezzi. Qui c'è qualcos’altro: il peso ingombrante del Quantitative Easing della Bce. Quest’ultima sta continuando a mettere pressione sul mercato secondario dei bund con l’acquisto mensile di 17-18 miliardi di euro.

   Ma la Bce non può rallentare il passo sotto queste soglie, perché violerebbe la regola “capital key”, secondo la quale i bond del governo tedesco dovrebbero essere gli asset più acquistati. Alla fine del febbraio 2017 sono stati acquistati quasi 350 miliardi di bund e i restanti stock disponibili stanno rapidamente diminuendo. Il problema della carenza di bund era già noto a dicembre 2016, quando, per permettere il prolungamento del QE alla fine del 2017, la Bce era stata costretta a eliminare alcune restrizioni nell’acquisto.

    Fino ad allora, la Bce aveva limitato i suoi acquisti alle security con una scadenza superiore a due anni e con un rendimento implicito più alto di meno 0,4%, il tasso che le banche dell’eurozona pagano per i depositi che sono obbligate ad avere presso la Bce. Questa regola aveva senso nella prospettiva di evitare che la Bce stessa acquistasse titoli tedeschi in perdita. Poi, il ritorno negativo pagato era bilanciato dai guadagni dei conti di deposito.

    Fino al 2016, la regola del tasso sui depositi ha efficacemente messo un tetto alla crescita dei bond a breve, in tal modo appiattendo artificialmente la struttura del termine di interesse del governo tedesco intorno a valori simili per tutte le scadenze.
La spiegazione per questo appiattimento è intuitiva. I prezzi crescono, il rendimento cala. Tuttavia, se il bund implicava riduzioni dei rendimenti sotto il tasso di deposito, il bond diventava non utilizzabile per il QE. Per le banche, pertanto, è stato meglio scambiare oltre la soglia, nella prospettiva di rivendere il bund alla Bce con profitto, anche nel caso di un taglio del tasso di deposito, specie se la misura doveva essere annunciata con largo anticipo.

    Le banche hanno fatto profitti da questa specie di strategia di arbitraggio quando la Bce ha tagliato il tasso di deposito a meno 0,3% nel dicembre 2015 e a meno 0,4% nel marzo 2016. Questi guadagni hanno aiutato le banche a compensare parzialmente l’impatto dei bassi tassi di interesse sulla loro profittabilità complessiva.
A settembre 2016 è cambiato qualcosa: Draghi ha detto ufficialmente al mercato di non aspettarsi ulteriori tagli dei tassi di interesse. Gli operatori hanno abbassato i loro arbitrage trade e gradualmente hanno ricominciato a quotare i prezzi dei bund con distorsioni minori. A gennaio, la Bce ha sollevato l’ultima barriera sul tasso di deposito, ripristinando una determinazione dei prezzi più credibile.

    È stato il momento in cui la ridenominazione del rischio, cioè il rischio che un asset in euro possa essere denominato in una diversa moneta dopo l’uscita dall’Unione monetaria, si è riaffacciata con chiarezza anche sul mercato dei bund. Anche se va detto che, nel caso del bund, c'è un paradosso nascosto. Se il bund dovesse essere ripagato in nuovi marchi tedeschi, l’investitore riceverebbe il suo capitale in una moneta rivalutata rispetto all’euro. Il mercato stima la probabilità di una rivalutazione del marco tra il 10 e il 20%, determinando una possibilità di guadagno fino al 20%.

    È stata questa opportunità di ridenominazione insita nel prezzo del bund che ha abbassato i rendimenti ai livelli più estremi (fino a meno 0,97%) che si sono recentemente avuti.

    Con i prezzi delle security a breve termine che riflettono meglio i rischi coinvolti, è possibile calcolare la probabilità implicita che il mercato stia assegnando all’eventualità di un ritorno al marco entro due anni: le stime variano dal 3 al 7% a seconda dello scenario della rivalutazione. Il range è per fortuna basso, ma coerente con i numeri calcolati in un modo più convenzionale dai prezzi dei bond italiani con le stesse scadenze (6% di ritorno alla lira), che stanno costantemente crescendo.

    Convergenti aspettative di mercato sono un chiaro segnale dei tempi turbolenti che ha l’euro davanti a sé.

    

          

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Atene, scontri in piazza…

e la Cina punta sulla Grecia

 

di Liberato Ricciardi

 

L'Europa porta di nuovo il conto alla Grecia che si prepara all'incontro con l'Eurogruppo, prevista il 22 maggio, dove discuterà con i ministri delle Finanze dell'erogazione di una nuova rata del prestito, puntando su un nuovo piano 'lacrime e sangue'. Atene spera così di poter aprire la trattativa per una ristrutturazione del debito greco, pari al 179% del pil, tanto che il governo di Alexis Tsipras ha varato un piano, che dovrebbe essere approvato entro venerdì, dettato da Ue e Fmi, con nuove misure di rigore per un totale di 4,9 miliardi di euro. Misure che dovrebbero essere applicate tra il 2018 e il 2021, vale a dire subito dopo la fine del programma di risanamento in corso, questi provvedimenti, inoltre, prevedono ulteriori tagli alle pensioni e nuovi aumenti di imposte. Atene si prepara a luglio quando dovrà rimborsare 7,5 miliardi di euro di debito. Tsipras e Merkel hanno convenuto sul fatto che la conferenza dell'Eurogruppo debba trovare il modo di "continuare a risolvere il problema del debito greco", come ha riferito il governo con un comunicato.

    Ma la popolazione ellenica, alla vigilia del voto greco sul nuovo pacchetto di misure di austerity, migliaia di cittadini sono scesi in piazza ad Atene per partecipare ad uno sciopero generale organizzato dai principali sindacati del settore pubblico e privato del paese. Ben 12.000 persone in segno di protesta hanno manifestato contro il programma di austerity del Paese. La marcia è stata organizzata in coincidenza di uno sciopero generale contro i tagli al bilancio attualmente discussi in Parlamento. Poco dopo la manifestazione è degenerata in disordini e scontri: la polizia greca in tenuta antisommossa ha lanciato gas lacrimogeni contro decine di giovani dimostranti che aveva attaccato gli agenti con sassi e petardi davanti al palazzo del Parlamento, successivamente poi un gruppo di poliziotti si è unito alla protesta ha bloccato l'entrata al palazzo che ospita il ministero delle Finanze.

    Intanto prosegue lo sciopero generale di 24 ore, convocato dai sindacati del settore pubblico e privato e toccherà principalmente i trasporti pubblici ad Atene: metro, bus, tram saranno a singhiozzo per tutta la giornata di oggi. I collegamenti marittimi fra le isole subiscono disagi già da ieri per lo sciopero di 48 ore dei marittimi. Molti voli, soprattutto interni sono stati annullati, mentre i voli internazionali hanno subito cambiamenti di orario per lo sciopero dei controllori di volo. Chiuse le scuole, mentre gli ospedali funzionano solo per i servizi di base e le emergenze.

    E mentre l'Europa continua a battere cassa alla Grecia, dall'altra parte il dragone rosso punta su nuovi investimenti con gli ellenici. La Grecia e la Cina oggi hanno infatti siglato un piano d'azione triennale nell'ambito del quale Atene potrebbe ottenere una quota del programma di investimenti da 100 miliardi di euro lanciato dal governo Pechino nel fine settimana scorso durante il forum sulla Nuova via della Seta. Il piano siglato tra Atene e Pechino è una dichiarazione di intenti e non prevede al momento specifici contratti o impegni finanziari, precisa il quotidiano greco "Kathimerini". Per la parte greca ha siglato l'intesa il viceministro dell'Economia Stergios Pitsiorlas, il quale ha parlato di un accordo per investimenti nel settore dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni "la cui attuazione positiva potrebbe portare investimenti dal valore di miliardi di euro. "Si tratta di investimenti sul tavolo per quanto riguarda la rete ferroviaria, i porti e gli aeroporti, e vanno dalle telecomunicazioni alle interconnessioni energetiche e agli investimenti in impianti energetici, compresi quelli nelle fonti rinnovabili", ha aggiunto Stergios Pitsiorlas, direttore del Fondo ellenico per le privatizzazioni. Tsipras ha ricordato "stiamo valutando ulteriori possibilità di cooperazione con la Cina, attraverso collaborazioni bilaterali o trilaterali con i paesi del Mediterraneo Orientale e dei Balcani".

    Per la Cina si apre una nuova importante opportunità economica… in Europa.

 

Vai al sito www.avantionline.it/

    

     

Da l'Unità online

http://www.unita.tv/

 

20 anni dopo la socialdemocrazia

di fronte al suo smarrimento

 

Come è noto, i trenta gloriosi anni della socialdemocrazia,

iniziati nel secondo dopoguerra, si sono conclusi.

 

di Danilo Di Matteo

 

L'utopia concreta socialdemocratica o, secondo un'altra espressione, il compromesso socialdemocratico, che pure hanno caratterizzato tanti aspetti del '900, hanno da tempo cessato di rappresentare un modello.

    Ciononostante, mi basta andare indietro con la memoria per notare un fatto: le socialdemocrazie (al plurale), pur articolate su base nazionale, hanno esercitato la loro maggiore influenza quando, al di là dello stesso sistema di protezione sociale, hanno avuto qualcosa da dire al resto del mondo: si pensi alla "Ostpolitik" di Willy Brandt, che assegnava un ruolo importante anche al Pci, o al messaggio di Olof Palme sul rapporto fra il Nord e il Sud del globo.

    E che dire del successo, a metà degli anni '80, del libro di Peter Glotz, dirigente dell'Spd, intitolato "La socialdemocrazia tedesca a una svolta"? O, nello stesso decennio, del cosiddetto "socialismo mediterraneo", incarnato da leader come François Mitterrand, Bettino Craxi, Felipe González? Più di recente, poi, abbiamo conosciuto le esperienze della "Terza via" di Tony Blair e del "Nuovo centro" di Gerhard Schröder.

    Sono stati fenomeni colmi di contraddizioni, contrassegnati da limiti ed errori; talora semplici conati, non seguiti da concrete acquisizioni.

    In ogni caso si è trattato di tentativi di promuovere o di guidare la modernizzazione, ispirandosi a principi di libertà e di giustizia.

   Ecco: più che ragionare in maniera astratta del Pse, viene oggi da chiedersi quale sia davvero il contributo degli eredi di quelle tradizioni all'elaborazione politica e culturale volta a far fronte a una crisi per tanti versi inedita.

    La semplice riproposizione del Welfare State rischia di essere sterile o addirittura di colludere con i rigurgiti e le pulsioni sovraniste. Come promuovere politiche di inclusione e di giustizia sociale nell'Unione europea nell'epoca delle spinte e delle sfide globali? Ecco il dilemma, dinanzi al quale finora nel campo socialdemocratico e laburista stanno prevalendo confusione e smarrimento.

 

Vai al sito www.unita.tv

      

     

Politica

 

Mal comune a sinistra

gaudio massimo

per la destra

 

di Felice Besostri

 

Nella NRW, bastione della SPD, che ha detenuto la guida del Governo del Land dal 1970 al 2005 una vittoria della CDU e dei Liberali non corrisponde tuttavia alla vittoria di Guazzaloca a Bologna o come avere un democristiano Sindaco di Reggio Emilia o Presidente della Provincia di Firenze prima della formazione del PD. Nel 1980 la SPD conquista per la prima volta la maggioranza assoluta con il 48,44% dei voti, che consolida nel 1985 con il 52,14% e nel 1990, ma già nel 1995 pur con un rispettabile 46,02% perde la maggioranza assoluta dei seggi grazie ai Verdi con i quali governa, come aveva governato con il Liberali della FDP, quando la CDU era il primo partito.

    La CDU vince nel Land nel 2005-2010, ma la sinistra vince le elezioni del 2010 con il 56,24%, grazie alla Linke che entra nel Landtag con il 5,61%, Il NRW sembrava tornato al 1947 quando SPD (31,97%) e KPD (13,97%) avevano quasi il 46%, ma il governo di minoranza SPD-Verdi cade anche per il voto contrario della Linke. Alle elezioni anticipate, merce rarissima in Germania, del 2012 la Linke paga la caduta del governo rosso verde ed esce dal Landtag , dove aveva 11 consiglieri, con un misero 2,49% anche per il successo dei Pirati, che entrano nel Landtag con il 7,82%, una percentuale superiore a quella attuale della AfG (Alleanza per la Germania).

    Il panorama politico delle Regioni italiane è veramente monotono, se paragonato ai governi dei Länder tedeschi: 5 sono SPD-Verdi(GR), 2 CDU-SPD, 1 CDU-SPD-GR, 1 votanti SPD-FDP-GR, 1 LINKE-SPD-CDU, 1 GR-CSU, 1 CDU-GR, 1 SPD-LINKE, 1 LINKE-SPD-GR, 1CSU e ora un CDU-FDP dopo la NRW. Il giudizio degli elettori è influenzato dalla capacità di governo del Land, Hannelore Kraft ha scelto di mettersi in gioco da sola: Schulz non ha fatto una manifestazione elettorale in NRW, mentre il suo avversario CDU ha invitato Merkel, molte volte, 9 se mi ricordo bene. Quindi il risultato delle elezioni del Landtag sono una seria sconfitta per Schulz, ma non di Schulz. Il governo rosso verde uscente ha pagato un'impopolare politica scolastica di responsabilità dei Verdi, ma anche il capodanno tragico di Colonia, con stranieri anche Asylanten (richiedenti asilo) come protagoniste e donne come vittime. La Linke è stata un'opposizione ferma della Kraft, e un piccolo beneficio lo ha tratto +2,45%, ma resta sotto soglia. Chi parla di vittoria deve dimenticare che la SPD ha perduto il 7,9% e i Verdi il 4,9%, quindi una perdita a due cifre intere - 12,8%, il trasferimento a sinistra è stato minimo.

    Altro dato preoccupante è che a differenza delle altre volte, quando le perdite della SPD andavano per i 2/3 all'astensione, questa volta i votanti sono stati il 65,17%, mentre nel 2012 erano il 59,6%. Le elezioni in NRW confermano che le perdite socialdemocratiche non vanno a sinistra e neppure ai Verdi. Dopo la NRW la strada di Schulz è tutta in salita perché deve convincere che è finita la subalternità della SPD dentro alla Große Koalition, tuttora al Governo e che c'è un'alternativa concreta al proseguimento della Grande Coalizione e soprattutto ad una riedizione di una maggioranza Union-FDP.

    A livello federale il rientro della Linke non è in discussione perché in alternativa al 5% basta l'elezione diretta di 3 deputati al Bundestag, mentre in NRW il 4,9% e l'esclusione della Linke consente la formazione di un governo regionale CDU-FDP. Tuttavia non basta, la credibilità di una coalizione SPD-Linke-Verdi è da provare e in due regioni che hanno votato la Saarland e il NRW non erano proprio idilliaci. Come dimenticare le tensioni nel governo di Berlino tra SPD e Linke? Tuttavia quanto è avvenuto in Germania deve essere spunto per una riflessione a livello europeo: quella è la vera dimensione dello scontro, ma non tra sovranisti ed europeisti, ma per quale Europa, quella di oggi o quella ideale di Spinelli, Rossi e Colorni o del federalismo socialista, figlio ma non surrogato dell'internazionalismo, quello della terza strofa dimenticata di Bandiera Rossa*

    In Olanda della perdita del PvdA in percentuale dal 24, 34 % al 5,2%, non ha beneficiato il Partito Socialista (-0,45%), ma almeno i Verdi di Sinistra (Groenlinks) guadagnano un sostanzioso 6,57%. In Francia, a proposito la scelta dl primo Ministro di Macron un repubblicano ha il merito di porre fine alle fantasie che impersonasse la nuova sinistra del futuro, la situazione della sinistra non è tanto migliore. Il risultato di Mèlanchon confrontato con quelli della sinistra italiana nelle sue ultime incarnazioni , dopo il PCI e il PSI è sicuramente esaltante, ma come il PD non può intestarsi la vittoria di Macron, la sinistra non deve esaltarsi. La somma dei voti di Mèlanchon e di quelli di Hamon(25,94%) è inferiore al voto di Hollande (28,67%)al primo turno delle presidenziali 2012 e senza contare per sottolineare la sconfitta della sinistra, che Mèlanchon aveva avuto un 11,10% e Eva Joli degli ecologisti il 2,31 % cioè la sinistra 2012, senza contare le formazioni comuniste e trozkyste era al 42,08%, ancora un piccolo sforzo e la sinistra anche senza i Verdi con l'Italikum si prendeva il premio di maggioranza. Neppure il confronto con il risultato di Ségolène Royal del 2007 (25,87%) rappresenta appena un +0,7%, che va in segno negativo se aggiungiamo i voti della candidata sostenuta del Pcf, ora sostenitore di Mèlanchon, che pure aveva ottenuto un modesto 1,93 % e sempre senza contare la sinistra anticapitalista del 5,41%

    Se il mantra prevalente è che non esiste più la divisione destra/sinistra, la prima reazione a sinistra è di pensare alla sinistra nel suo complesso, pur non ignorando le divisioni e le inimicizie, che la percorrono, perché vi è la convinzione che o la sinistra comincia a pensarsi come un soggetto portatore di un progetto unitario di cambiamento o deve giocare di rimessa su un piano secondario. Se destra/sinistra non è una scriminante e anche basso/alto sta perdendo significato, cosa resta responsabili/populisti? o sovranisti/europeisti, a prescindere da quale stato nazionale o da quale Europa? Se si impongono queste dicotomie la sinistra è fuori gioco, non perché sia irresponsabile o sovranista, ma perché non ha un suo progetto alternativo all'austerità e una visione di unità europea democratica e federalista. Da qui partiamo e da una constatazione semplice, non c'è una formazione di sinistra, che da sola possa aspirare ad un'alternativa di potere. Cominciamo a non godere delle disgrazie di chi non la pensa allo stesso modo, perché a sinistra mal comune non è mezzo gaudio.

               

     

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

In Francia per i Rosselli

 

Quest'anno ricorre l'ottantesimo anniversario dell'assassinio di Carlo e Nello Rosselli, avvenuto a Bagnoles de l'Orne il 9 giugno 1937. Per onorare la memoria di Carlo e Nello saremo presenti in Francia con due iniziative.

 

di Valdo Spini

 

Martedì 6 giugno a Parigi, presso l'Istituto Italiano di Cultura, una giornata di studio promossa con la Fondazione Circolo Rosselli con relazioni di Valdo Spini, Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, Alessandro Giacone Université Grenoble-Alpes, Michele Canonica, Presidente Asociazione Dante Alighieri di Parigi, Michele Mioni Université Paris 1, Simone Visciola Université de Toulon, Isabelle Richet et Thibault Guichard Université Paris 8, Éric Vial et Diego Dilettoso Université de Cergy-Pontoise, Patrizia Dogliani Université de Bologne, Marco Bresciani Université de Pise, Francesca Tortorella Université de Strasbourg, Olivier Dard Université Paris-Sorbonne, Éric Panthou Archivi di Clermont-Ferrand. Al termine dei lavori, alle ore 19, ci sarà una iniziativa pubblica, coordinata dal direttore dell'Istituto Italiano di Cultura, dr. Fabio Gambaro, e sarà proiettato il documentario prodotto dalla RAI TV “Carlo e Nello Rosselli”. Contemporaneamente, sarà allestita la mostra sui fratelli Rosselli prodotta dalla Fondazione Circolo Rosselli

    Mercoledì 7 giugno, a Bagnoles de l'Orne, presso il monumento che ricorda Carlo e Nello Rosselli, su invito delle autorità locali, si svolgerà una cerimonia di commemorazione.

 

Chi volesse prenotarsi per il pullman che  il giorno 7 giugno trasporterà i partecipanti da Parigi a Bagnoles de l'Orne può rivolgersi all'indirizzo fondazione.circolorosselli at gmail.com. Il pullman è messo a disposizione dalla Fondazione. Posti liberi sino ad esaurimento. Preghiamo anche chi avesse già espresso il proprio interesse a partecipare di ufficializzare la propria presenza scrivendo al nostro indirizzo.

 

    

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Trump, re dei populisti,

oscar dell'inadeguatezza

 

Su Donald Trump si sta scatenando la tempesta perfetta. Prima è venuta fuori la storia (confermata dal diretto protagonista) della trasmissione di notizie "top secret" all'ambasciatore russo, Sergej Lavrov; lui ha risposto in tono padronale, come si conviene a chi ha fatto gli italici "schèi": posso farlo. E in teoria ha pure ragione perché è lui che toglie e mette la segretezza sulle informazioni riservate. Il fatto è che erano state trasmesse da una agenzia di uno stato estero e la cosa tira direttamente in ballo l'affidabilità di un partner che senza preoccuparsi degli eventuali rischi che può creare agli uomini "sul campo" passa come un atto di cortesia notizie riservate al rappresentante di uno stato che dell'alleanza non fa parte, anzi. Adesso viene fuori l'altra storia ancora più imbarazzante: le pressioni fatte sull'ex direttore dell'Fbi, James Comey, per bloccare le inchieste sull'ormai famoso Russiagate, cioè sui rapporti intrattenuti con Mosca da uomini (uno, Michael Flynn, è già stato costretto a fare le valigie) dell'attuale amministrazione con emissari di Mosca. La risposta negativa di Comey avrebbe "armato" il presidente che ha immediatamente rimosso il direttore sostenendo che aveva perso la fiducia dei suoi subordinati.

    Questioni imbarazzanti, che gettano un'ombra lunga sull'amministrazione statunitense avvolgendola in una nube di pericoloso dilettantismo. Ecco, è proprio da questo punto di vista che la parabola di Donald Trump può insegnarci qualcosa. Soprattutto può insegnarla a coloro che con entusiasmo eccessivo aderiscono alle campagne dei numerosi populisti in servizio permanente effettivo (peraltro imitati da chi populista non nasce ma all'improvviso scopre che quella declinazione dell'agire politico garantisce utili immediati alla borsa elettorale).

    Se ci sarà l'impeachment capiremo perfettamente in che misura i comportamenti del presidente americano siano stati ispirati dalla buona o dalla malafede, dalla possibilità di ottenere da Mosca un aiutino nella travolgente cavalcata verso la Casa Bianca o semplicemente dalla volontà, un po' naif, di ripristinare con il potente concorrente-partner relazioni più distese. Al momento, però, una cosa si può dire: queste vicende dimostrano che non basta sostenere pubblicamente, semmai alzando molto i toni, quel che la gente vuole sentirsi dire in questa epoca di grandi incertezze e pericoli, per diventare immediatamente dei grandi statisti o, più semplicemente, degli ottimi politici. Ci vuole qualcosa di più: competenza, equilibrio, capacità di lettura della realtà, coerenza di comportamenti, rispetto delle istituzioni e, semmai, anche il coraggio di dire alla gente quel che la gente non vuol sentirsi dire spiegando, in maniera convincente, perché è necessario agire in quella maniera. Trump ha dimostrato al momento di essere il re dei populisti ma anche il premio oscar dell'inadeguatezza.

      

          

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Il neoqualunquismo e

la decadenza del parlamento

 

Non crediamo ai proverbi, ma il vecchio adagio secondo il quale chi semina vento raccoglie tempesta è proprio una verità se pur di senso comune. La conferma ci viene, giorno dopo giorno, dalle condizioni nelle quali versa la nostra democrazia, da quanto sia scaduto il luogo rappresentato dal Parlamento "grazie" alla classe politica che in esso siede.

 

di Paolo Bagnoli

 

Scadimento del Parlamento e inadeguatezza della classe politica sono due aspetti intercorrelati nel senso che l’uno è l’interfaccia necessitato dell’altro. A forza di denigrare la politica, di ritenere che la vita della democrazia possa essere senza partiti veri, che tutto il Palazzo sia casta e covo di ladroni, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il processo parlamentare non riesce più a pensare se stesso essendo scomparsa la consapevolezza di quanto esso comporta e tutto sembra avvolto e travolto dalla demagogia, notoriamente anticamera della crisi della libertà e della democrazia. Nella lunga, sfiancante crisi che stiamo vivendo l’autorevolezza del Parlamento andava salvaguardata quale bene supremo anche per non permettere, come invece è avvenuto, ad altri poteri – economici, finanziari, giudiziari – di sostituirsi a esso. Il cane però si mordeva la coda perché, senza partiti, veniva meno il processo di una qualche selezione della classe politica e, quindi, il livello del Parlamento non poteva non andare di pari passo con ciò. Si aggiunga che la costruita rappresentazione della politica quale puro interesse di privilegi e di interessi personali – e questi ultimi, venendo meno il collante repubblicano, ne hanno sicuramente approfittato - ha fatto il resto fecondando un’avversità atavica, di pancia, degli italiani verso la funzione parlamentare. Lo diciamo intendendola nel senso proprio di una democrazia liberale; un qualcosa cui la democrazia repubblicana aveva messo un argine fondamentale. Teniamo inoltre conto che l’Italia è un Paese recalcitrante ai canoni della pedagogia civile. Essa, volenti o nolenti, viveva coi partiti; ossia, con la gente nella democrazia; oggi la gente è ridotta solo al popolo delle primarie che sono solo la prova provata del fatto che l’Italia deficita di soggetti che la organizzano, la sviluppano e la rappresentano. E’ chiaro che la pedagogia civile non c’è più e tutto è solo mosso dalla ricerca di consenso per la conquista del potere; la categoria del governo ha sostituito quella della politica.

    Vediamo che ci sono ministri che mentono al Parlamento. Quanto, poi, è successo sulla legge riguardante la legittima difesa altro non è che la conferma, per lo più aggravata da un governo quasi risucchiato da una specie di dissolvenza. La notte, ritenuta zona franca per sparare, illumina il crepuscolo della politica democratica e denuncia un vero e proprio stato di confusionismo parlamentare. Assente il partito di governo in quanto “partito” – Matteo Renzi sembra essere venuto a conoscenza di un provvedimento così delicato solo dopo il pasticcio e si è giustamente risentito – latitante il governo, distratto e inadeguato al proprio compito il relatore, l’emendamento risulta in sé assurdo e ridicolo; si dice sia opera del ministro Finocchiaro. Se è vero si tratterebbe di un’aggravante trattandosi di un parlamentare di lungo corso e pure magistrato di professione. Tuttavia quel testo è passato senza che nessuno alla Camera si sia degnato di leggerlo con un minimo di attenzione; doveva essere respinto per pura illogicità. Punto e basta. Meno male che il Senato c’è ancora; ma Renzi non lo può dire. Anche qui, mentre la cronaca è stata puntuale, la riflessione non c’è stata. In un Paese di politologici e di moralisti della domenica è prevalso il silenzio. Come si fa, osserviamo, a comprendere la condizione del Paese se non ci si applica alla lezione che viene dalle cose concrete? Sembra un bell’interrogativo. Non è così; è solo l’amara conclusione di chi non ha scordato la lezione di Niccolò Machiavelli: alla libertà bisogna tenerci le mani sopra!

    

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

       

Freschi di stampa, 1917-2017 (9)

   

Prosegue la serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell'anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami svilup­pa­tisi tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS sviz­zero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lan­ciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre.

 

Tic-tac, tic-tac

 

Sulla prima pagina dell’ADL in uscita il 5 maggio del 1917 continuano a campeggiare titolazioni “internazionaliste” inneggianti, cioè, alla pace tra gli oppressi e alla solidarietà di classe.

    Il titolo a tutta pagina esordisce con un cubitale “Pasqua dei lavoratori”, e nel catenaccio c'è la parola d’ordine: “Internazionalismo in azione – In tutti i paesi, in tutte le favelle i lavoratori chiedono: Pane, pace, libertà”.

    Questa parola d'ordine riassume il sentimento ormai prevalente emerso dalle manifestazioni del Primo Maggio, cui allude la “Pasqua”. Parola che s’intende non in modo generico come festa grande del movimento operaio, ma anche come vera e propria resurrezione.

    Dopo le complicità belliche che avevano portato la socialdemocrazia europea a divedersi per votare i crediti di guerra mettendo la “nazione” davanti alla “classe”, la rivoluzione in Russia riporta l’interna­zio­na­li­smo nelle piazze come forza politicamente e culturalmente egemone:

    «Ai compagni operai di tutta Europa ancora sotto il martellare della morte e della fame e dello sfruttamento più iniquo”, si legge a conclusione dell’editoriale, “il nostro plauso e il nostro incitamento. Come nella giornata del Primo Maggio 1917 la parola culminante fu in tutti i nostri comizi operai di Europa e di America l’“Abbasso la guerra” e l’“Evviva la rivoluzione”, così per l’oggi e per il domani… la parola d’ordine sia “abbasso la guerra, evviva la rivoluzione sociale!”».

    Lenin, ormai rientrato a San Pietroburgo, ha pubblicato sulla “Pravda” del 20.4.1917 le sue dieci Tesi d’Aprile nelle quali invita l’esercito alla fraternizzazione con il cosiddetto “nemico” e dichiara che – dopo questa prima fase “borghese” della rivoluzione – i bol­sce­vichi devono prepararsi a una “seconda fase”, cioè alla “rivo­luzione proletaria”. Che porterà al controllo dell’economia e della società sotto l’egida dei Soviet. I bolscevichi cambieranno nome al loro partito, che non sarà più “socialdemocratico”, ma d'ora in poi “comunista”, e che costituirà il nucleo di una nuova “Internazionale”.

    Queste posizioni non coincidono affatto con il programma della sinistra socialista e internazionalista d’Europa, la quale punta semmai a una pacificazione bilanciata (“senza annessioni e senza riparazioni”), all’instaurazione di democrazie ovunque possibile e a un programma rivoluzionario sì, ma in senso “sociale”. Perché – per ora lo si nota poco, ma con il tempo lo si vedrà meglio – c’è una bella differenza tra la “rivoluzione proletaria” con la quale i comunisti intendono rovesciare il “governo borghese” in Russia e il programma di riforme radicali che i socialisti di sinistra intendono portare avanti nel primo dopoguerra. Questo programma è la “rivoluzione sociale” di cui parlerà il riformista Turati quattro anni più tardi nei suoi celebri discorsi al Congresso di Livorno.

    Angelica si riconosce sostanzialmente nelle posizioni “socialrivoluzionarie” e non certo in quelle leniniane, che rimangono per ora decisamente minoritarie anche all'interno della stessa frazione bolscevica in Russia e che mai avrebbero potuto conquistare la maggioranza, se il governo provvisorio e soprattutto Kerenskij non avessero imboccato con tanto disastrosa determinazione la prosecuzione della guerra.

    Sono questi primi giorni quelli in cui Kerenskij compie il suo errore politico più grave, incontrando la delegazione dei socialisti francesi ai quali assicura il suo appoggio, nel Governo e nel Soviet, sulla linea di continuazione delle operazioni militari. E c’è un filo diretto che lega gli abbracci tra Kerenskij e i compagni francesi alla sua fuga dal Palazzo d’Inverno nelle prime ore del 9 novembre 1917 (25 ottobre 1917).

    Ma ormai “l’orologio della storia mondiale” ha iniziato a battere forte: “Tic-tac, tic-tac”, recita il titolo dell'articolo di spalla, firmato con lo pseudonimo “arrisan”, dietro al quale si cela verosimilmente Angelica:

    «Tic, tac, tic, tac… e l’ora è suonata. Suonò l’ora della rivoluzione russa, come suonò quella della guerra, come suonerà l’ora della rivoluzione europea, l’ora della pace.

    Tic, tac, tic, tac, batte imperturbabile l’orologio della storia, preannunciando giorni di interesse universale.

    Il tic tac dell’orologio pietrogradese risuona nella capitale germanica. Ed il signor Filippo Sccheidemann misura il suo tempo traverso l’orologio del Palazzo imperiale di Berlino: egli si è accorto che mentre per i Romanoff erano suonate le ore 12, per gli Hohenzollern l’orologio segnava le 11.55.

    Ecco perché questo aborto di Giulio Cesare parlamentare esclamò preoccupato al Reichstag prussiano: “Signori, mancano cinque minuti alle ore dodici”.

    Cinque minuti di vita concesse il medico Scheidemann al suo malato Guglielmo II!

    (…) Il tic tac dell’orologio pietroburghese ha disturbato anche il sonno degli ospiti di Schönbrunn. E il neo-Kaiser di Vienna, parlando collo scrittore svedese Björn Björusen, ha confessato di trovarsi in una situazione difficilissima. Questo giovane e inesperto Carlo I (il primo e l’ultimo forse) disse di avere un vasto programma…

    Siamo cioè verso il crollo di un’altra dinastia. Andiamo incontro ad un’altra rivoluzione, che darà forza e vita ad una rivoluzione europea. Ed allora verrà anche la pace sociale, la nostra pace.» (ADL 5.5.1917).

    Sul breve periodo quasi tutto si svolgerà come previsto, fatta eccezione per… la Rivoluzione d’Ottobre. Di lì a 18 mesi cadrà il Kaiser a Berlino, e subito dopo il Kaiser a Vienna. Ma la pace non verrà affatto. Tra il 1917 e il 1918 si conclude solo la prima puntata, puntata terribile, ma quella meno terribile, del sanguinosissimo suicidio europeo. Segue un inquieto armistizio lungo diciotto anni. Prossimo appuntamento: Spagna 1936. Poi nel 1939 Hitler darà inizio al più grande conflitto armato della storia e verrà sconfitto in forza del prevalente tributo di sangue versato dal popolo russo.

    Nel 1945 il mondo ne uscirà completamente cambiato sotto il profilo geo-politico: la maggior parte dell’umanità – dal mar Adriatico al mar del Giappone, dalla Jugoslavia alla Cina – si ritroverà socialmente congelata oltre una cortina di ferro dentro regimi illiberali d’ascendenza sovietica.

    E sarà soprattutto il soft power della socialdemocrazia europea e della liberaldemocrazia americana a motivare i popoli dell’Est verso un superamento della glaciazione comunista.

    Peccato che, dopo quei “trent’anni gloriosi”, abbattuto il Muro di Berlino e caduta l’Urss, il capitalismo globale si sia scatenato di nuovo, come prima e più di prima. Tic, tac, tic, tac.     9. continua

 

cid:image007.jpg@01D2CFEE.1FC02D60

     

     

LETTERA

 

Perché non ricevo più l'ADL?!

 

Da qualche tempo non ricevo più l'ADL. Potete provvedere p.f. a reinserirmi nella mailing list? Grazie e buon lavoro.

 

Lettera firmata, Milano

 

Può capitare che l'ADL venga deviato in una cartella "spam". In tal caso occorre segnalare l'errore al proprio provider. – La red dell'ADL

       

     

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

Allegato Rimosso
Allegato Rimosso
Allegato Rimosso
Allegato Rimosso