L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a oltre 50mila utenti – Zurigo, 11 maggio 2017 |
IPSE DIXIT Di nuovo - «Sta ancora cercando la parte da recitare in commedia, ma non può più recitare quella dell'innovatore e del fondatore di una nuova repubblica che voleva a sua immagine e somiglianza… Non siamo più in tempi di "nuovo" ma di "di nuovo".» – Marco Da Milano Hic Rhodus - «Non puoi dire che sei per un'Europa forte quando per fare un'unione di bilancio o per fare le riforme nel tuo Paese bisogna passare sul tuo cadavere.» – Emmanuel Macron Risk management - «Prima di mettere i rischi in comune, dobbiamo ridurli.» – Wolfgang Schäuble |
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EDITORIALE A lunga gittata Nell'autunno prossimo questa vecchia testata socialista va a compiere centoventi anni di attività. È dunque lecito, e forse persino doveroso, porsi domande un po' più "a lunga gittata". di Andrea Ermano Ci sono conventicole molto incavolate con Papa Francesco a causa del suo sostegno ai migranti, i quali, secondo le conventicole medesime, tenderebbero a profanare orribilmente i simboli della fede cristiana. Sempre contro Bergoglio furoreggia, poi, l'accusa di "papolatria", che negli ultimi cinque secoli era stata monopolio di protestanti e anticlericali e che oggi dilaga invece nei blog di osservanza ultra-clericale. Perché? "Perché questo papa è troppo relativista", ci ha spiegato una persona colta e sensibile, proveniente dal variegato mondo che, ai tempi della prima repubblica, faceva riferimento alla DC. Sarà, ma bisogna riconoscere che il capo della Chiesa universale ha posto in evidenza un fatto storico di assoluto rilievo: "Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti", ha detto nell'agosto del 2014 rientrando dal suo viaggio in Corea. In effetti, centinaia e centinaia di migliaia di morti nella sola regione che va dalla Siria all'Iraq confermano la tragica validità di quel giudizio. Ma perché non ce ne rendiamo conto tutti con un gran sobbalzo?!
Aleppo, crateri delle bombe diventano piscine per i bimbi Forse non ce ne rendiamo conto anche perché nelle guerre post-moderne muoiono ormai quasi solo i "civili" appartenenti a popolazioni lontane. Le perdite militari sono ridotte al minimo, soprattutto per quel che concerne gli eserciti occidentali. Sicché i nostri ragazzi – che stanno là per dare una mano a sempre incerti alleati in nome di alti e nobili ideali – lavorano, per fortuna, in condizioni di quasi sicurezza, coadiuvati per altro dai temibili dispositivi dell'intelligenza artificiale, i cosiddetti "droni". Tutto ok? Oddio, non è che – se qualcuno ce lo domandasse a brutto muso – noi diremmo di considerare "meno preziosa" la dignità personale dei bambini siriani o afgani o iracheni o africani o sudamericani, e sono tanti quelli uccisi nei vari conflitti sociali e politici. È che ogni giorno, in diretta e in differita, assistiamo a ore e ore di reality che ci distraggono dalla guerra mondiale a pezzetti. È che, fin dalla più tenera età, la cultura massmediatica ci ha insegnato che ciascuno di noi ha il preciso dovere morale di realizzare se stesso, cioè le sue potenzialità più autentiche, cioè i propri desideri. Soddisfare i propri desideri, mano a mano che questi emergono misteriosamente dall'animo, non è complicato. C'è quasi sempre, alla fine della fiera, un oggetto, più o meno carino, più o meno prezioso, oppure una vacanza più o meno rilassante, più o meno esotica, in grado di renderci felici, almeno per un po'. Ed è bello che la felicità abbia un costo abbordabile in quarantotto comode rate mensili, interessi inclusi. Ma tutto questo, ovviamente, comporta un sacco di cose: in termini d'indebitamento (pubblico, privato e bancario), in termini d'inquinamento ambientale, in termini di delocalizzazione e robotizzazione, cioè di disoccupazione. Ma T.I.N.A. – There Is No Alternative! – non si vede altrimenti come mantenere bassi i prezzi della felicità alla quale tutti abbiamo diritto. Guardiamoci intorno – dal Mediterraneo al Caucaso, dall'Africa al Sudamerica, dal Medio all'Estremo Oriente – siamo finiti per davvero in un nuovo conflitto globale, anche se noi non lo percepiamo. E non lo percepiamo sia perché circonfusi da un'informazione "a pezzetti", sia soprattutto perché, a morire in guerra, ci pensano gli altri. Si capisce che un mondo dominato da questo livello spaventoso di crudeltà preferisca restare in ombra. Il che corrisponderebbe all'essenza più "genuina" dello spirito oscurantista-reazionario. La cui natura consiste appunto in uno scambio estremamente ipocrita ("simoniaco" diceva Marco Pannella, richiamandosi al gran padre Dante) tra il cinismo del potere e l'uso auto-assolutorio della religione. Immaginatevi, dunque, quanto sono incavolati lor signori con questo tizio venuto al soglio di Pietro "quasi dalla fine del mondo" per strappare il velo di alcune, sensibili, post-verità.
L'odio dei sovranisti europei verso Papa Francesco somiglia all'odio dei suprematisti trumpiani verso Barack Obama. Agli occhi delle destre sovraniste e suprematiste, d'Europa e d'America, Obama e Bergoglio sono rei di avere portato la "questione sociale globale" dentro l'agenda dell'Occidente. Non solo: lo hanno fatto nella loro veste di capi legittimi nei rispettivi imperi e, quel che è peggio, mostrandosi capaci di raccogliere un vasto consenso popolare, ben oltre i confini tradizionali delle rispettive potestates. È notevole che – mentre in Europa la socialdemocrazia cade di nuovo in pezzi – la sinistra liberale USA, di cui l'ex presidente Obama appare oggi l'unico leader dotato di carisma internazionale, converga abbastanza stabilmente e credibilmente su posizioni di evidente profilo socialdemocratico europeo. Ed è non meno notevole che analoga convergenza stia compiendo la Chiesa Cattolica a guida bergogliana, come dimostra anche, proprio in questi giorni, l'importante iniziativa vaticana presso le Nazioni Unite per una riduzione del debito dei Paesi poveri. Questa iniziativa, ricordiamolo, si pone in un continuum ideale con l'azione inaugurata, nel lontano 1990, da Bettino Craxi su mandato del segretario generale dell'ONU di allora, Javier Perez de Cuellar. La convergenza "socialdemocratica" tra Washington e Roma è il bandolo oggettivo di quella matassa nella quale può sostanziarsi una prospettiva di riorganizzazione anche della sinistra europea nel XXI secolo. Ma ci sono almeno tre grossi nodi da sciogliere: a) Quale 'statualità' sarà possibile dopo la crisi del liberismo finanziario globale che ha disarticolato lo stato nazionale europeo? b) Quali saranno i criteri del rapporto tra una nuova 'statualità' e la scienza-tecnica, rapporto su cui s'impernierà l'ineludibile transizione dall'umanesimo al post-umanesimo? c) Quale forma potrà assumere in ciò una 'statualità' specificamente europea, cioè specificamente socialdemocratica? Dalla risposta alla prima questione (a) dipendono forme e prospettive del welfare, cioè della coesione sociale, che sta e cade insieme alla possibilità di una forma statuale al di là dello stato nazionale europeo. Per inciso, non si rendono conto i sovranisti che la grandezza di scala "nazione" è tanto superata quanto quella dei comuni medievali e delle signorie rinascimentali? Dalla risposta alla seconda questione (b) dipendono le forme e le prospettive della laicità, cioè della libertà di ricerca scientifica nell'epoca in cui questa fondamentale conquista moderna esige l'elaborazione di criteri etici e giuridici all'altezza di una sfida la cui posta in gioco è, detto semplicemente, l'umanità. Dalla risposta alla terza questione (c) dipende la condizione in cui si troveranno a operare le nuove generazioni europee nella prospettiva, auspicabile, di un assetto cosmopolitico mondiale dal quale dipende, detto semplicemente, il loro futuro.
Barcellona, 18.2.2017 – 160mila ragazzi manifestano a favore di una politica dell'accoglienza per i rifugiati Nell'autunno prossimo questa piccola testata socialista va a compiere centoventi anni di attività. È, dunque, lecito, e forse doveroso, chiedersi come saranno i prossimi centoventi anni. Si è colti come da una vertigine della ricapitolazione. E potremmo allora citare in ausilio Jürgen Habermas e Michael Walzer che hanno magistralmente ricapitolato importanti aspetti dell'idea di laicità nel rapporto tra scienza ed etica; oppure Jacques Attali che ci mette innanzi a un inquietante affresco dello scatenamento capitalistico in accelerazione; oppure Giorgio Agamben che ha scavato i segni del tempo messianico; oppure ancora Rosi Braidotti che propone una rilettura "in positivo" delle filosofie umaniste, anti-umaniste e post-umaniste da Spinoza al femminismo contemporaneo. Infine, c'è Yuval Harari. Che – nel suo recente Homo Deus. A Brief History of Tomorrow ("Homo Deus. Una breve storia di domani") – ricapitola lo stato dell'arte con queste chiare parole: «Se pensiamo in termini di mesi, dobbiamo porre occhio a problemi immediati come le convulsioni nel Vicino Oriente, la crisi migratoria verso l'Europa e l'indebolimento dell'economia cinese. Se riflettiamo su scala pluridecennale, un ruolo centrale è assunto dal mutamento climatico, dalla crescente diseguaglianza e dal tracollo del mercato del lavoro. Se però consideriamo la vita nel suo complesso, tutte le altre questioni e vicende vengono poste in ombra da tre processi interconnessi tra loro: 1. La scienza si va convertendo in un dogma onnicomprensivo che asserisce essere gli organismi strutture algoritmiche e la vita un'elaborazione di dati. 2. L'intelligenza [dei nostri dispositivi artificiali, ndr] si va separando dalla coscienza. 3. Ben presto, strutture algoritmiche non-coscienti, ma altamente intelligenti, potrebbero conoscerci meglio di noi stessi.» |
SPIGOLATURE Ha prevalso la Francia dell'Illuminismo di Renzo Balmelli PROGETTI. Occorre muoversi con cautela sull'onda dell'euforia post-elettorale. Se dopo il netto successo di Macron si inneggia allo scampato pericolo, ciò non significa ancora che per l'UE l'emergenza di stampo neo fascista sia finita. L'inno alla gioia e le bandiere stellate segnano la rivincita dei simboli europei, certo, ma solo di questi fintanto che la svolta non sarà confortata e consolidata da altre, rassicuranti votazioni. Mentre si intrecciano le congetture per riuscire a capire come sarà l'Eliseo del nuovo inquilino, di lui sappiamo con certezza che contende a Napoleone il primato di più giovane "comandante" della Nazione e che con lui ha prevalso la Francia culla dell'Illuminismo. Ma il confronto con la storia ci dice anche che dietro l'angolo può sempre esserci una Waterloo imprevista, capace di vanificare le speranze, i progetti e quindi di non fare nulla, di non riformare nulla. Per Macron il difficile comincia adesso. TERREMOTO. Nelle urne francesi era in gioco non unicamente la Presidenza, ma il futuro assetto dell'UE di cui Parigi è parte integrante, fondatrice e vitale. Immaginare che un verdetto diverso avrebbe potuto cancellare gli ultimi sessant'anni di pace sancito dai Trattati di Roma era davvero una ipotesi intollerabile. La vittoria di Marine Le Pen avrebbe contagiato i populisti di ogni risma e innescato un terremoto a catena addirittura peggiore di quello messo in moto dalla Brexit (e per anglo-sassoni convergenze anche dall'elezione di Trump) con conseguenze che ancora non sono state messe a fuoco. Colui che ha vinto ha ora enormi responsabilità sia nel provare a placare il malumore che serpeggia in quella parte del Paese, impoverita ed emarginata, che non l'ha sostenuto, sia nel recuperare le lezioni della Storia la quale insegna che lasciando indietro masse di persone arrabbiate di solito il prezzo da pagare è l'avvento di regimi impresentabili. UN COLPO. Quale governo vedremo dopo il cambio della guardia all'Eliseo si saprà una volta conosciuto l'esito delle legislative di giugno che serviranno a definire gli equilibri usciti dalle presidenziali. Per quello che sarà il primo banco di prova di Macron e che potrebbe rappresentare l'inizio di una nuova era politica, viene da chiedersi se il Partito Socialista riuscirà a farsi sentire oppure se dovrà rassegnarsi a subire un significativo ridimensionamento. Anche altrove, dalla Gran Bretagna dove i conservatori sono in grande spolvero, alla Germania, dove la SP, nonostante l'effetto Schulz, incassa la seconda pensante battuta d'arresto, le prospettive non sono propriamente rosee. Che i partiti tradizionali facciano fatica a proporre le loro ricette non una novità, ma che sull'altro fronte, nonostante la sconfitta, sia il blocco di estrema destra a intercettare il dissenso è un fenomeno che deve preoccupare ben oltre i confini francesi. Insomma, viene da dire, sinistra se ci sei batti un colpo. DINAMICA. A volte ritornano. O forse non erano mai usciti realmente di scena. Si erano soltanto nascosti dietro le quinte in attesa della prossima chiamata. Tale eventualità si sta verificando in Italia con una dinamica un tantino sospetta proprio quando si cominciano a tratteggiare gli scenari delle elezioni prossime venture. Tra coloro che fino all' altro giorno parevano avversari irriducibili, iniziano scambi di segnali e disponibilità' neppure tanto larvati. Tra Pd, 5 Stelle e l'inossidabile Berlusconi circolano, dopo la riconferma di Renzi, strizzatine d'occhio sulle regole del voto. L'intento è di non regalare il Paese agli incalliti populisti eurofobici, ma la ricerca di una scelta condivisa dovrebbe essere l'occasione per creare governabilità e stabilità e non la solita confusione. SFIDA. Nel mondo milioni di individui soffrono la fame. Negli Stati Uniti una fetta cospicua della popolazione rischia di trovarsi senza assistenza sanitaria di base in seguito alla cocciutaggine con la quale la Casa Bianca per puro spirito di rivalsa appare determinata a ripudiare la riforma di Obama. Eppure sui giornali, alla televisione, ai congressi proliferano le ricette di cucina e quelle che vantano il fascino e la piacevolezza delle lussuose strutture alberghiere dedite alla cura della salute. Manicaretti, cibo a iosa, massaggi rilassanti, rassodanti, inebrianti fanno da cornice a un universo di privilegiati che i seimila profughi salvati in questi giorni riusciranno a malapena a scorgere da lontano, magari gettando lo sguardo oltre il muro che li divide dal consesso umano. Cibo, malnutrizione, migrazioni, pandemie sono fenomeni strettamente connessi e rappresentano la sfida più importante tra i grandi temi globali da vincere senza indugi. Fa specie che a prevalere sia l'esatto opposto. GAFFE. Come nella pubblicità di una marca di orologi, alla popolazione britannica si può toccare tutto, ma non la famiglia reale. All'occorrenza saprà resistere anche ai contraccolpi della Brexit, ma delle storie che da tempo immemore circondano la vita di Buckingham Palace non può fare a meno. Il tè delle cinque, i pasticcini dolci e salati e le vicende delle loro maestà sono componenti della quotidianità che ora trovano nuovo e chiacchierato alimento nell' annuncio che il principe Filippo a 96 anni dopo un'esistenza trascorsa all'ombra della Regina, si ritira con imperturbabile aplomb dalla vita pubblica in piena campagna elettorale, proprio quando i reali evitano di fare parlare di se. Che sia questa l'ultima trovata del principe celebre per le sue gaffe politicamente scorrette ma che a quanto pare sembrava divertito a mettere in imbarazzo gli interlocutori è un motivo in più per tenere al caldo il piacere inesausto dei pettegolezzi. SCANDALO. Deturpata dai rifiuti e dal degrado ambientale, Roma non è mai stata così irriconoscibile. Se quelle viste nelle ultime ore sono le immagini terribili della città che hanno fatto il giro del mondo – e purtroppo lo sono senza trucchi e senza inganno – nessuno può proclamarsi innocente. Né chi c' era prima e non ha fatto ciò che andava fatto per ovviare a guasti di tale dimensione, né chi c'è adesso e anziché reagire si arrampica sugli specchi per difendere l'indifendibile. E nessuno, sia nell'urbe che nella regione, è mai stato né prima né ora al suo posto, all' altezza del proprio mandato di amministratore se invece di porre fine allo scempio ci si ostina in sterili baruffe per il rimpallo delle responsabilità. Lo scandalo lambisce pure il governo che non può permettersi di avere come capitale una città lordata dal pattume e dai cassonetti maleodoranti che ammorbano l'aria. Roma è la caput mundi dell'arte, della storia e di uno straordinario patrimonio archeologico che richiamano milioni di turisti e che oggi assiste impotente al suo lento naufragio. Dovrebbero vergognarsi tutti coloro che la stanno mandando in rovina a causa di colpevoli inadempienze, condannandola alla stessa sorte che segnò il declino dell'impero romano, minato dall'ozio e dai giochi di potere. Roma tanto bella e tanto sporca sta vivendo l'ennesima tragedia della sua sublime e tormentata eternità. |
ECONOMIA Iniziativa internazionale sul debito pubblico di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Dal 2007 a oggi il debito pubblico mondiale è più che raddoppiato, passando da 28,7 a oltre 61 trilioni di dollari. Nello stesso periodo quello americano è triplicato, attualmente è circa un terzo del totale. Ogni cittadino americano ha più di 60.000 dollari di debito pubblico federale sulle sue spalle. Il record mondiale. Si ricordi che in Italia esso è di circa 38.000 euro pro capite. Il crescente debito globale è una delle più pericolose minacce di crisi sistemiche. Per il momento, però, sono i Paesi più poveri, e quelli impoveriti o a rischio default, ad esserne schiacciati. Finora i potenti della Terra, anche se di fatto sono i più indebitati, hanno avuto la spregiudicatezza e gli strumenti per far pagare il conto agli altri. E' perciò significativo che sia la Santa Sede, e non i governi, a portare all'esame delle Nazioni Unite il tema della legittimità del debito pubblico. Certamente si intravede la mano di papa Francesco. L'obiettivo, come ci ricorda il professor Raffaele Coppola, direttore del Centro di Ricerca "Renato Beccari" dell'Università di Bari e tra i principali coordinatori dell'iniziativa, è far pronunciare l'Assemblea Generale dell'Onu al fine di legittimare la richiesta di parere alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja sulla gestione del debito internazionale per verificarne le eventuali violazioni dei diritti umani e dei popoli. Si pone, quindi, l'esigenza di un'analisi approfondita dei fondamenti sia giuridici che etici della questione del debito. Non può diventare un macigno insostenibile per le popolazioni, né frenare lo sviluppo e limitare l'indipendenza e la sovranità di uno Stato. Molti giuristi di varie ispirazioni stanno riflettendo sul problema del pagamento del debito da parte dei Paesi poveri e sullo stato di forza maggiore e di necessità a cui vengono sottoposti. Per lo stato di forza maggiore il non pagamento dipende da un evento incontrollabile da parte dello Stato. Lo stato di necessità, invece, giustificherebbe l'inadempienza quando il pagamento sarebbe troppo gravoso per i cittadini. Chi può pensare di affamare il popolo per pagare a tutti i costi gli interessi sul debito? L'iniziativa presso l'Onu costituirebbe un precedente giuridico su una materia nevralgica per lo sviluppo della globalizzazione e in particolare per il rapporto fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Di conseguenza non potranno essere ignorati gli effetti deleteri della finanziarizzazione e della deregulation dell'economia. La proposta della Santa Sede non è campata in aria ma poggia anche su un precedente importante: la risoluzione 69/319 dell'Onu del 2015 relativa ai cosiddetti "fondi avvoltoio", cioè quei fondi speculativi che operano in modo aggressivo sul debito dei Paesi in crisi. E' appena il caso di ricordare che essa fu approvata nonostante il parere contrario degli Stati Uniti. I valori esplicitati nella proposta si ispirano alla Carta di Sant'Agata de' Goti del 1997 nella quale giuristi, uomini di Chiesa, intellettuali e laici misero a punto una serie di principi giuridici per regolare secondo giustizia la questione del debito. In particolare «il divieto di accordi usurari», il rispetto «dell'autodeterminazione dei popoli» e il divieto di «una eccessiva onerosità del debito». Intorno all'iniziativa vaticana si sta tessendo un'ampia rete di alleanze. E' importante in quanto la Santa Sede ha lo status di osservatore alle Nazioni Unite e c'è bisogno che uno Stato presenti, in sua vece, la richiesta di discussione all'Assemblea Generale. E' un ruolo che l'Italia naturalmente potrebbe e dovrebbe assumere. Sull'argomento pare esista già un'intesa di massima con il governo italiano. Ricordiamo che l'Italia ha già avuto un ruolo meritorio nel 2000 quando il Parlamento approvò la legge 209 relativa alle «Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati». Il significativo provvedimento nacque sull'onda del Giubileo promosso da Giovanni Paolo II durante il quale fu lanciata la campagna per l'abbattimento del debito dei Paesi poveri. Al riguardo si ricordi l'articolo 7 della citata legge che recita: «Il Governo, nell'ambito delle istituzioni internazionali, competenti, propone l'avvio delle procedure necessarie per la richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia sulla coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell'uomo e dei popoli». E' esattamente l'obiettivo della Santa Sede. In merito l'Italia, non solo per il rispetto della sua legge ma anche per la sua indiscussa sensibilità per le problematiche dei Paesi in via di sviluppo, può davvero svolgere un ruolo incisivo a partire dal prossimo G7 di Taormina. |
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FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Suicidio politico di un traditore seriale Bisogna ammetterlo: con le sue scelte, Manuel Valls si è fatto pochi amici e in futuro ancor meno conoscenti vorranno intrattenere rapporti di maggiore familiarità con lui considerata la rapidità con la quale abbandona, tradisce. Con Emmanuel Macron, il neo-presidente, ha condiviso l'esperienza di governo. Non erano legati da un particolare rapporto di simpatia, tutt'altro. Ma non gli stava simpatico nemmeno Benoit Hamon, il candidato socialista bruciato come Giovanna d'Arco sul rogo elettorale a causa del suo misero sei per cento. Quando quest'ultimo lo ha battuto alle primarie, lui ha preso cappello e annunciato che avrebbe sostenuto il vecchio, poco amato compagno di governo. Un po' per saltare sul carro del vincitore (si usa anche in Francia) e un po' per fare un dispetto al vecchio partito che pure lo aveva trascinato (con risultati deludentissimi) alla guida del Paese in qualità di capo del governo. Non ha atteso nemmeno la proclamazione dei risultati elettorali per "firmare" la dichiarazione di "morte presunta" del Psf e presentarsi, col cappello in mano, alla porta del nuovo Bonaparte confidando in una candidatura alle prossime elezioni sotto le insegne del neonato movimento Republique en marche. Lo hanno immediatamente respinto: il posto dove lui vorrebbe presentarsi è stato già promesso ad altri (o, per la precisione, ad altre). Quindi, a scanso di equivoci, è arrivata la comunicazione di Jean-Paul Delevoye, l'ex neogollista che si sta occupando delle liste elettorali per Macron (a conferma che destra e sinistra saranno pure defunte, ma poi tutti da qualche parte arrivano, tutti tranne qualcuno). "Non soddisfa i criteri", ha sentenziato Delevoye. Dunque, non lo candideranno né "al suo paese" (dove pure lo hanno chiaramente "mandato"), né in altri paesi della Francia. Poi l'ultima porta in faccia gliel'ha sbattuta il segretario del partito socialista che l'indomito Valls aveva dichiarato defunto, cioè Jean-Christophe Cambadelis, il quale ha annunciato l'apertura nei confronti del premier in uscita di una procedura di espulsione. Manuel Valls è agevolmente rintracciabile nella fotografia scattata tre anni fa alla Festa dell'Unità bolognese. Una corona di leader europei tutti più o meno caduti in disgrazia. All'epoca Matteo Renzi, che volle quella "foto di gruppo", li ridusse in camicia (bianca); Valls adesso, da quella sua irrefrenabile pulsione a tradire per ambizione, si è ridotto da solo in mutande. |
Le idee LEGGI ELETTORALI E SCELTE POLITICHE Due sentenze della Consulta hanno dichiarato incostituzionali le ultime due leggi elettorali. Il referendum del 4 dicembre ha dimostrato che occorre una legge elettorale che rispetti la volontà degli elettori. Ma la discussione di questi giorni sembra ignorare tutto ciò. di Felice Besostri e Salvatore Salzano Avremo una terza legge incostituzionale? Dobbiamo evitarlo: tre leggi incostituzionali di seguito rappresenterebbero un rischio per la credibilità e la tenuta delle istituzioni. Occorre tenere conto dei principi che discendono dalle sentenze della Consulta e, soprattutto, delle questioni non ancora esaminate. La sentenza n. 35/2017 ha deciso sulle ordinanze di soli cinque Tribunali. Se i rimanenti dodici Tribunali si pronunciassero sui ricorsi ancora pendenti, l'impatto sui lavori della Commissione Affari Costituzionali della Camera sarebbe fortissimo. Teoricamente quattro o cinque pronunciamenti potrebbero arrivare prima del 29 maggio, data presunta per la conclusione dei lavori della Commissione e la trasmissione di un testo base all'aula di Montecitorio. Esaminiamo le possibilità oggi in discussione. Un sistema di collegi uninominali a riparto proporzionale, con premio di maggioranza, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 48, 56 e 58 e dei principi del voto eguale, personale e diretto. Idem un sistema che abbassi la soglia per il premio e alzi quella di accesso, che abbia o no capilista bloccati. Stesso rischio per tutti i sistemi che confondono e complicano la volontà di espressione del cittadino. Gli unici sistemi elettorali sicuramente costituzionali sono quelli semplici, cioè: 1) i sistemi proporzionali, con o senza una limitata soglia di accesso, con o senza un limitato premio di maggioranza legato a una soglia di accesso significativamente alta. Oppure 2) i sistemi maggioritari senza fronzoli, come quelli che impongono di ottenere la maggioranza parlamentare conquistando la maggioranza dei collegi uno per uno, senza trucchi. Un maggioritario all'inglese, dove si vince per merito di candidati, conquistando la maggioranza dei seggi, secondo la volontà degli elettori, sarebbe perfettamente costituzionale, benché scandalizzi la maggioranza dei nostri amici e compagni e non sia tra le nostre opzioni preferite. Il sistema alla francese, invece, è più distorsivo del maggioritario all'inglese. Nel modello francese, con il ballottaggio al secondo turno, prevale il meno peggio o il voto contro, che spesso è una cosa molto diversa dalla iniziale volontà dell'elettore. Cosa fare allora? La legge elettorale non è un dettaglio tecnico. Si tratta di una scelta politica, che va pensata in un'ottica di lungo periodo e nell'interesse del Paese, non di uno o più partiti. Non fu così con Mattarellum, Porcellum e Italicum, alla base dei quali c'erano calcoli per favorire gli interessi di partito: il Partito Popolare nel primo caso, il PdL nel secondo e il PD nel terzo. Calcoli che si sono per giunta rivelati sbagliati e che hanno condannato il Paese a oltre un decennio di paralisi e degrado della politica. I due partiti egemoni nei due Poli – Forza Italia e PDS-DS-PD –erano d'accordo su tre punti: sistema politico bipolare tendenzialmente bipartitico; sistema elettorale maggioritario; togliere ai cittadini la scelta dei loro rappresentanti, grazie a collegi uninominali e liste parzialmente (Mattarellum) o totalmente bloccate (Porcellum) fino all'invenzione dei capilista bloccati (Italicum). Su quest'ultimo punto va ricordato che abolire il voto di preferenza senza fare una legge sulle regole democratiche dei partiti, secondo l'art. 49 della Costituzione, ha lasciato la nomina dei candidati ai capipartito o, nei casi migliori, alle oligarchie al potere. Sappiamo che chi non è candidato non può essere eletto, quale che sia il sistema elettorale proporzionale, maggioritario o misto. Nel 2009, nelle Giunte delle Elezioni di Camera e Senato, nell'esaminare i ricorsi contro la legge elettorale, si dichiarò il Porcellum perfettamente costituzionale, con voto all'unanimità che includeva i rappresentanti di partiti ufficialmente contrari a quella legge. Quando nel 2014 la Corte Costituzionale dichiarò l'incostituzionalità del Porcellum, questo Parlamento formalmente legale ma in sostanza delegittimato fu utilizzato per alterare, con una nuova legge elettorale e la modifica alla Costituzione, gli equilibri tra i poteri dello Stato, cercando di imporre la supremazia del capo del Governo sia sulle Camere, sia sul Presidente della Repubblica, sia sulla Corte Costituzionale. Si voleva creare un premierato assoluto, senza nemmeno i pesi e contrappesi di un sistema presidenziale, che prevede la separazione dei poteri esecutivo e legislativo. Quel disegno non è riuscito per vari motivi. In primo luogo a causa degli elettori, che nelle elezioni 2013 hanno creato dal nulla un terzo polo con forza equivalente agli altri due votando per il M5S. Inoltre si è sottovaluta la tenacia degli avvocati antiporcellum e antitalikum. Quest'ultimi hanno promosso un'azione giudiziale parallela e unitaria in 22 tribunali sui 25 delle città capoluogo di distretto di Corte d'Appello. Infine, l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, vinto dai comitati per il NO. Questa è stata la storia politica di questi ultimi venti anni. Adesso si deve ripartire dalla nostra Costituzione, restituendo la sovranità al Popolo. Pertanto, sarebbe un errore riproporre un centro-sinistra con una legge che premi le coalizioni, e per giunta con Renzi alla guida del PD, come se non fosse successo nulla. Non si può pensare di ricorrere a mezzucci come primarie farlocche o, peggio ancora, "premi" a coalizioni improbabili in cui i partiti si mettono insieme solo per convenienza elettorale. Occorre una legge elettorale che affermi una diversa idea di Politica, in cui i rappresentanti eletti abbiano "disciplina e onore" in quanto rappresentanti della Nazione. Far tornare in Parlamento idee e programmi che in questi anni sono stati emarginati è l'unico modo per cambiare una società ingiusta nella ripartizione della ricchezza e del potere. Se invece il centrosinistra dovesse nascere con una coalizione imposta da leggi elettorali come quelle di questi ultimi vent'anni, farebbe la fine di Italia Bene Comune, dove il PD ha utilizzato il premio di maggioranza per fare cose diverse da quelle concordate. D'altra parte, come si fa a parlare di CENTRO-SINISTRA, quando la componente di CENTRO è chiara, mentre quella di sinistra non si sa dov'è? Se la vittoria di Renzi è dovuta alla riscossa dei liberali di sinistra, questi dovranno comunque cercare un'intesa con i socialisti di sinistra di stampo europeo, e costoro devono essere chiaramente identificabili dagli elettori. La sinistra, come il Paese, hanno bisogno di un'operazione verità, che soltanto un sistema elettorale proporzionale può dare, perché la maggioranza di governo deve nascere dalle urne e da un successivo accordo fra le forze politiche presenti in Parlamento, non da un algoritmo che trasformi in maggioranza chi non lo è! Siano gli italiani, con i loro voti, a scegliere se vogliono un nuovo centrosinistra, oppure le larghe intese oppure qualcos'altro. Infine, è finito il tempo che un unico partito della sinistra possa vincere da solo. In Austria al ballottaggio presidenziale mancavano i due tradizionali partiti: Popolari e Socialisti, lo stesso in Francia, con l'esclusione di Gollisti e Socialisti dal ballottaggio presidenziale. In Spagna l'impossibilità di un accordo PSOE-Podemos ha fatto vincere la destra. Persino Syriza in Grecia, con la scomparsa del PASOK e l'ostilità dei Comunisti, governa solo grazie ad un partito nazionalista di destra. Così anche il socialdemocratico Robert Fico in Slovacchia. La SPD senza Verdi e Linke, è solo l'appendice di una grande coalizione a guida CDU-CSU. Oggi la democrazia rappresentativa, nella sua dimensione nazionale, è minacciata dal peso crescente del capitalismo finanziario, dalle multinazionali e dalle decisioni di organizzazioni e istituzioni internazionali non elette dai popoli. In Italia la risposta a questa situazione sta nella formazione di un Fronte Popolare Democratico per il Lavoro e la Libertà, che raggruppi tutta la sinistra rosa, verde o rossa che sia, e tutti i sinceri democratici, compresi i veri liberali di sinistra, uniti dai valori della nostra Costituzione Repubblicana, che, se fosse attuata in pieno, sarebbe di per sé un ottimo programma di governo. |
Heri dicebamus Beppe e i Migranti "Chi sono allora gli invasori?" - domandava Beppe Grillo nel 2004 in forte polemica con la xenofobia delle destre allora al governo… di Marco Morosini "Con una percentuale di stranieri molto più bassa di quella svizzera (due su dieci) o tedesca (uno su dieci), in Italia il governo, alcuni politici e alcuni mezzi di comunicazione stanno fomentando una psicosi da paese invaso." Queste parole firmate da Beppe Grillo nel 2004 possono aiutare a buttare un po' d'acqua sul fuoco che qualche politico attizza contro coloro che salvano dal mare migliaia di migranti. "Ma chi sono davvero gli invasori?" scriveva Grillo su Internazionale del 10 settembre 2004. "Perché il governo italiano [Berlusconi era Presidente del consiglio; NdR] parla solo delle impronte digitali degli extracomunitari e non parla mai delle impronte ecologiche degli italiani? L'impronta ecologica – continuava Grillo - è un indicatore molto utile sviluppato da Mathis Wackernagel. Essa è la quantità di territorio fertile necessaria per produrre le risorse e per assorbire i rifiuti e le emissioni generati dai consumi di un popolo. Comparando le loro diverse impronte ecologiche si può vedere quali nazioni consumano più natura di quella che hanno sotto i piedi e quali ne consumano di meno. (…) Una parte degli ettari fertili brasiliani, per esempio, serve a produrre legnami, arance e caffè consumati dagli europei, e ad assorbire nelle foreste una parte dell'anidride carbonica prodotta dagli europei bruciando carbone, petrolio e gas. In Italia disponiamo di un ettaro fertile a testa, ma ne adoperiamo quattro a testa. Quindi, per sostenere il nostro livello di consumi materiali noi utilizziamo molto più territorio fertile di quello su cui viviamo". Quando faceva il comico, Grillo aveva spesso una visione d'insieme che sembra persa nel corpo a corpo, giorno per giorno, della lotta tra partiti politici. "In Europa – scriveva – siamo il paese che si riproduce di meno e che, per molti tipi di merci, consuma di più. Mentre le nostre discariche rapidamente si riempiono, i nostri asili lentamente si svuotano. Tutti impegnati a produrre e consumare, in Europa sembriamo dimenticare due cose. Primo: occorre un certo equilibrio tra produzione e riproduzione. Mentre ci ingozziamo sempre più di pubblicità per riuscire a vendere tutto quello che produciamo, l'Europa avrebbe bisogno di mezzo milione di immigrati ogni anno se volesse continuare a produrre e consumare tutte queste mercanzie. Se allora lavorassimo un po' di meno – per esempio 20-30 ore alla settimana – e ci dedicassimo di più alla riproduzione, alla famiglia, alla cultura, agli amici? Secondo: noi europei abbiamo invaso gli altri continenti per quasi cinquecento anni e non siamo andati per il sottile: schiavismo, massacri, stermini di interi popoli, annientamento di culture millenarie, depredamento di risorse naturali. I crimini degli attuali trafficanti di clandestini o della piccola delinquenza importata impallidiscono di fronte a quelli che i nostri eserciti e molti dei nostri mercanti hanno commesso fino a ieri nel mondo. Dopo cinquecento anni il pendolo delle migrazioni inverte il suo corso e l'Europa diventa stazione di arrivo invece che stazione di partenza. Dovremmo solo ringraziare il cielo che anche i migranti sembrano aver perso come noi la memoria della storia: invece di venire a regolare i conti di secoli di rapine, vengono in Europa per lavorare e pagano le nostre pensioni al posto dei figli che non facciamo. Eppure c'è chi riesce lo stesso a odiarli." Parola di Beppe Grillo. Testi di Beppe Grillo tratti da Internazionale del 10.9.2004 > http://www.internazionale.it/opinione/beppe-grillo/2004/11/19/limpronta-dellinvasore |
LETTERA DA ROMA
Un rogo di libri Un ricordo da mantenere vivo: il 10 maggio 1933 a Berlino furono pubblicamente bruciati libri "scomodi" con grande pubblicità; è bene che questo episodio non venga dimenticato. Vi mando un'immagine del fattaccio e questi versi di Heine: "Questo era solo un preludio, laddove / si bruciano libri, / alla fine si bruceranno anche uomini" Lettera firmata, Roma Das war ein Vorspiel nur, dort wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen. Heinrich Heine, 1820 |
LETTERA DA MILANO Annalisa Camilli (giornalista di Internazionale) intervista Loris De Filippi (Presidente Medici Senza Frontiere Italia) Pietro Massarotto (Presidente Naga) Milano, Casa della Cultura, via Borgogna 3, ore 21 (MM1 San Babila, Bus 54, 60, 61, 73, 84, 94) Il mantra del controllo Tentare di fermare il fenomeno migratorio è come cercare di fermare la pioggia. Nonostante questo e nonostante che le leggi non incidano sui flussi, le politiche europee e quelle nazionali continuano a produrre norme zeppe di tentativi di controllo e dissuasione anche simbolica. In questo senso la legge Orlando-Minniti fa un salto di qualità al ribasso e le provocazioni nei confronti di chi salva i migranti in mare segnano un grave passo in avanti nel processo di criminalizzazione dell'immigrazione. Con due interlocutori da anni impegnati a praticare e proporre un altro modo di affrontare l'immigrazione e con una delle giornaliste più esperte in materia, ci confronteremo per mettere in luce i nodi cruciali di un fenomeno che ci coinvolge tutti. Il Naga, Milano Ingresso libero, T 3491603305, www.naga.it, naga at naga.it |
LETTERA DA BARI DIECI FRAMMENTI PER SEDICI LUNGHI AUTUNNI 1. Ritorna in Italia la riunione dei 7 o 8 stati, a seconda delle relazioni con la Russia, che si sono conferiti il mandato di programmare le sorti del resto delle nazioni, costituendosi come élite al di sopra e al di fuori di altri organismi sopranazionali a ciò preposti. Al di là di occasionali tensioni interne, li unificano il comune modo di produzione capitalistico, la scelta di un modello sociale neoliberista e la conseguente collocazione geopolitica, a mala pena scalfita dalla fine della guerra fredda. 2. Come detto, tale riunione ritorna in Italia, dopo che le precedenti riunioni qui tenute si siano rivelate motivo di clamorosi fallimenti. Tralasciamo volentieri le storie di ordinaria corruzione legate alla riunione del 2009 originariamente prevista a La Maddalena, su cui la magistratura sta ancora indagando. Ricorderemo invece, se ce ne fosse bisogno, la crudele repressione perpetrata nel 2001 a Genova che mostrava non solo l'inadeguatezza del governo italiano nella gestione del cosiddetto ordine pubblico ma una tendenza mondiale – proprio di quegli stati che si facevano paladini delle libertà e dei diritti umani! – al restringimento degli spazi di dissenso e alla compressione degli stessi diritti politici e sociali. Alcune sentenze, quasi inaspettate da chi cercava giustizia delle violenze e dei traumi di allora, illuminano, oltre ogni dubbio, su che cosa sia avvenuto. Le amnesie non sono consentite, nonostante i sedici lunghi autunni da allora. 3. Nasceva proprio in quegli anni – al crocevia di due secoli – un movimento composito di opposizione e di alternative a quel modello. Variamente ribattezzato e in Italia chiamatosi "social forum", esso offriva una sorta di supplenza rispetto alla scomparsa o involuzione di quelle forze politiche e sociali che avrebbero potuto offrire una risposta a domande di maggiore inclusione nazionale, democrazia sostanziale e cooperazione internazionale. Quel movimento ha creato molti frutti, soprattutto in America latina, ed ha anticipato molte delle conseguenze di quel modello neoliberista contestato. Tuttavia proprio una delle sue principali anticipazione – la crisi del sistema neoliberista che in Europa meridionale assume carattere di stagnazione indefinita – si è accompagnata alla sua attuale afonia, reale o apparente. Quasi che l'inveramento della previsione della crisi abbia prodotto la crisi dello stessa movimento di massa che l'aveva previsto. 4. Di fronte alla crisi dei movimenti di carattere mondiale una possibile via di uscita per alcuni, evitando il riflusso nel "particulare", è quello di riprendere in mano un vecchio strumento novecentesco, il partito. Certo, non più nelle sue accezioni forti di epoche passate, ma come infrastruttura democratica: "voce di chi non ha voce", "strumento rappresentativo", "associazione libera per concorrere con metodo democratico a determinare le politiche", "luogo di autoformazione e cooperazione per aderenti" e così via. Non è una via agevole, lo confesso, ma è indispensabile per chi altrimenti non avrebbe strumenti e luoghi per comprendere finanche la propria condizione nel mondo alla mercè di altri gruppi di interessi, magari finendo per sostenere politiche antitetiche rispetto ai propri reali bisogni. Il partito come riunificazione degli altrimenti dispersi, divisi e sconfitti. 5. Girando per Bari che si appresta ad "ospitare" – malvolentieri – la riunione dei ministri economici, la reazione popolare è abbastanza sintomatica. I commercianti di alcune zone lamentano minore lucro, essendo costretti alla chiusura; i residenti delle stesse zone lamentano le limitazioni al traffico e al parcheggio delle auto. Quasi tutti lamentano i costi dell'ospitalità. Fuori da quelle zone c'è chi teme l'arrivo di orde di terribili contestatori con danni ai loro beni. 6. è quasi un capolavoro ideologico, senza che gli organi di informazione abbiano stavolta fatto il solito gioco, battendo sulla consueta retorica dell'attesa degli scontri. Nessuno, salvi i pochi impegnati nella preparazione alle contestazioni, ricorda il restringimento degli spazi e dei diritti di manifestare non solo nelle vicinanze della consueta "zona rossa" ma anche nei quartieri adiacenti. Il questore della città, quello che ha rispolverato i fogli di via per persone prive di condanna che anni addietro avevano occupato uno stabile disabitato, non è affatto rassicurante quando – bontà sua – concede il diritto di manifestare ma solo in modo statico nel centro cittadino, lasciando la possibilità di cortei solo fuori del perimetro del centro. I suoi interlocutori sono chiari: la borghesia proprietaria locale (indifferente, da generazioni, a questioni democratiche e perciò grande elettrice del partito renziano) e il suo diretto superiore. Minniti Marco, ministro degli interni. A me sembra un ritratto abbastanza chiaro di cosa sia una democratura. 7. Ma soprattutto una cosa andrà evidenziata. Quasi nessuno si sta chiedendo quale peso quelle politiche economiche che verranno discusse nel castello svevo fra un rinfresco e una gita turistica avranno sulle vite delle società, di loro stessi e delle altre popolazioni. Quasi nessuno si sta chiedendo se quelle politiche, già rivelatesi fallimentari, debbano essere profondamente riviste. Quasi nessuno si sta chiedendo se proprio quel personale politico, espressione di gruppi di interesse extrapopolare e di una comune matrice neoliberista, possa realizzare una profonda revisione autocritica. Si può dubitare della loro onestà intellettuale e capacità di nuove politiche fuori da austerità e crescenti disuguaglianze. 8. La critica, il dubbio, la reazione, la contestazione non bastano. Il problema ritorna allora nelle mani proprio di chi consapevolmente e politicamente si pone in contrapposizione rispetto a quelle politiche e a quei politici. Quali strumenti? Quali programmi? Quali strategie? 9. Non è il ritorno allo stato nazionale la soluzione magica, come non lo è il persistere nella scia di una globalizzazione neoliberista fallimentare, sia pure in forma temperata. Non vi sono ricette magiche, come il ritorno alle monete nazionali prima dell'euro o una sorta di autarchia. Non sono possibili (neppure pensabili) alleanze con chi sostiene idee autoritarie, neofasciste e nazionalistiche, essendo i Trump e le Le Pen mere varianti a quel sistema. Non sono comprensibili salti nel buio poiché anche le società occidentali sono spossate da continui esperimenti di ingegneria sociale condotte sulla propria carne. Non ci si deve rassegnare a nessuna forma di democratura. Non si deve abbandonare il campo anche se reso pressoché impraticabile da tanti, troppi ostacoli. L'altro ieri era il fascismo, ieri la reazione clerico-imprenditoriale, oggi la democratura, domani chissà. 10. Di fronte a questa desolazione, locale e nazionale, riesco ad esprimere nitidamente solo tanti NO che – come ci insegnava un filosofo secoli fa – hanno anche il dono di affermare. Come abbiamo visto sempre in Italia il 4 dicembre scorso. Gaetano Colantuono, Bari | |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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