L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 30 marzo 2017 |
IPSE DIXIT Una fase costituente - «La nostra finestra di opportunità non rimarrà aperta per sempre... Dobbiamo essere capaci di governare i cambiamenti prima che divenga impossibile farlo. Nessun ripiegamento in se stessi potrà mai garantire ai nostri cittadini il medesimo livello di pace, prosperità e libertà… I Paesi europei si dividono in due categorie: gli Stati piccoli, e quelli che ancora non hanno realizzato di esser tali… La discussione per metter mano a una revisione dei Trattati non sarà semplice, ma quel che emerge dalla Dichiarazione di oggi è che inizia una "fase costituente"». – Sergio Mattarella
La Cancelliera Merkel e il Premier greco Tsipras durante il ricevimento al Quirinale di sabato scorso |
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EDITORIALE Parliamo ancora di programmi di Andrea Ermano Lui è "l’uomo col vestito impeccabile", quello che da dodici anni sta a fianco di Berlusconi, membro dell’ufficio di presidenza di Forza Italia, vicepresidente della Commissione Finanze della Camera, è uno dei collaboratori più stretti e fidati del Cavaliere: si chiama Sestino Giacomoni, come informa il quotidiano Libero. Quale Italia ha in mente Giacomoni? Secondo lui il piano "per vincere", è: «Niente tasse sulla casa, sulla prima auto e zero imposte di successione. Il nostro obiettivo è l’aliquota unica al 20 per cento». Ecco un altro effetto deleterio del partito della nazione, stavolta sul centro-destra. L'occupazione renziana del centro spinge il Cav, che aspirava a guidare un partito liberal-popolare di massa, in un club di ricchi, tipo la FDP tedesca, con base di consenso intorno al 4-9%. Il famoso giaguaro di bersaniana memoria è smacchiato. Con la conseguenza però che, nel prossimo Parlamento, neanche una Grosse Koalition riuscirebbe più a mettere insieme i numeri per governare. Tanto meglio – diranno gli uni. Grillo ante portas – diranno gli altri. Occorre una legge elettorale ad hoc – commentano e opinano i commentatori e gli opinionisti. Come sempre.
Il giaguaro è smacchiato. Dopo il Porcellum e l'Italicum avremo, dunque, un Renzellum? Un nuovo sconvolgimento delle "regole del gioco" a pochi mesi dal voto politico, come il Consiglio d'Europa fortemente sconsiglia? Nel qual caso eventuale, Felice Besostri – il combattivo avvocato socialista che nel 2014 ha patrocinato l'abrogazione in Consulta del Porcellum e poi ancora dell'Italicum a inizio 2017 – fa sapere che non intraprenderà una terza azione legale in materia elettorale. Gli effetti marasmatici delle forzature in quest'ambito sono sotto gli occhi di tutti. Errare è umano, ma… L'atmosfera è satura. Si potrebbe tornare al Mattarellum. Altrimenti ci auguriamo che, alla fine dell'ennesima partita tattica, sussista nelle due Camere una maggioranza capace almeno di "armonizzare" le soglie di accesso. Dopodiché, la governabilità della prossima legislatura dipenderebbe da due semplici fattori: a) le scelte elettorali degli italiani e b) le alleanze politiche nel nuovo Parlamento. Sarebbe, questa, la soluzione forse più sana per la Repubblica. Ma il M5S viaggia ormai oltre il 30% nei sondaggi! – protestano commentatori e opinionisti. Raggiungerà, il M5S, la maggioranza assoluta nei seggi? Improbabile. In ipotesi, si assisterebbe a una riedizione della vicenda greca dopo la vittoria di Syriza. Non senza contraccolpi sull'Europa, però, e quanto più drammatici. Il popolo elettore, per voler imboccare la via grillina (o leghista) al sovranismo, dovrebbe possedere una gran fede palingenetica, che invece esso ha perso dopo la catastrofe della rivoluzione mediatico-giudiziaria di venticinque anni fa. E dunque? L'unità politica dei cittadini grillini non è il tabernacolo dell'inviolabilità. Forse dovrebbero mettersi, loro stessi, ad aprire il M5S "come una scatola di tonno", e ricollocarsi una parte di qua, l'altra parte di là, uscendo dalle troppe ambivalenze. Sarebbe quanto di meglio possa capitare al loro movimento e anche al loro programma, nella misura in cui esso contiene aspetti interessanti.
La via italiana al "sovranismo" Senza dubbio, per esempio, l'introduzione progressiva di un reddito di cittadinanza, finanziato dove serve anche tramite strumenti come la moneta locale (perché no?), potrebbe aiutare ampi strati giovanili a uscire dall'attuale grave situazione. Il reddito di cittadinanza dovrebbe, però, viaggiare su una progressiva universalizzazione del servizio civile, tema sul quale i governi di centro-sinistra hanno realizzato importanti passi avanti. Un servizio civile universale può, tra l'altro, generare importanti contributi al valore prodotto nel Paese, in forma di beni, servizi, coesione sociale, formazione permanente ecc. Ma una universalizzazione della leva civile dovrebbe a sua volta articolarsi e bilanciarsi progressivamente in forme di democrazia partecipativa diretta e autogestionaria. Chi vuole cambiare l'Italia, sa che occorre procedere progressivamente. Dopodiché, cambiare si deve: a partire dalla concretezza della Questione sociale (lavoro, reddito, partecipazione, equità, accoglienza). Senza di che, anche la "fase costituente per l'Europa" – evocata con giusta solennità dal presidente Mattarella al Quirinale nel 60° dei Trattati – rischierebbe di fallire per astrattezza. |
Freschi di stampa, 1917-2017 Nell’anno delle due rivoluzioni russe l'ADL di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami tra i socialisti italiani e russi impegnati, insieme al PS svizzero, nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre. Questa settimana ripubblichiamo ampi stralci tratti da due testi apparsi in prima pagina sull'ADL del 31 marzo 1917. LA RIVOLUZIONE RUSSA «Sulla Russia sono fissi oggi gli occhi di tutto il mondo. Guardano tremebondi i governanti, i dominatori; guardano ansiosi, pieni di speranza e di fede, gli sfruttati, i calpestati di tutta la terra.» «Al divampare delle fiamme rivoluzionarie, il 9 corrente, le notizie del grandioso movimento giunsero telegraficamente ai Gabinetti d'Europa.» «Prima cura delle borghesie fu quella di nascondere il fatto ai popoli. Poi, a piccole dosi, giorno per giorno la verità si è fatta strada. (...)». «Dal "gesto magnanimo" dello czar, e dalla "rivoluzione per la guerra", siamo passati alla "rinuncia volontaria" del nuovo czar Michele, all'internamento "volontario" dei sovrani spodestati, alla loro "prigionia", all'arresto di Ministri, Generali, poliziotti (...)». «È tutta qui la verità? Non sappiamo. Intuiamo che nei giorni che seguiranno altro sapremo: altro che ci farà balzare il cuore di gioia, e che farà spegnere forse nei biechi reazionari di tutta Europa, di tutto il mondo, l'ultima speranza che il movimento rivoluzionario di Russia sia stroncato (...)». «Altro intuiamo.» «Comprendiamo lo spasimo borghese; ci rendiamo conto dello spasimo nostro. (...) la borghesia sta facendo il suo dovere, rappresentato dal suo interesse. E cerca l'inganno, la censura, e prepara strumenti di oppressione. (...) I socialisti, quelli che tennero fede, d'innanzi al fatto della guerra, al principio internazionalista, lo stanno facendo (...)». «Il fenomeno è grande, grande la ripercussione.» «Prepariamoci. Se l'ora è matura anco per noi, che l'ora ci trovi al nostro posto, sicuri, fidenti, temprati e forti! Abbasso la guerra! Evviva la rivoluzione sociale!» (ADL 31.3.1917) Un manifesto del Partito socialista russo Cittadini! «La capitale si trova nelle mani del popolo, una parte delle truppe s'è unita ai ribelli. Il proletariato rivoluzionario e l'esercito rivoluzionario salveranno il paese dalla rovina totale verso la quale lo spingeva il Governo dello czar. La classe lavoratrice e l'esercito rivoluzionario formeranno il Governo provvisorio, si assumeranno l'incarico di creare e consolidare il nuovo stato repubblicano, proteggeranno i diritti del popolo, solleciteranno la confisca fondiaria, della proprietà ecclesiastica, onde questa possa passare nelle mani del popolo, introdurranno la giornata di otto ore e convocheranno un'assemblea costituente basata sul suffragio popolare.» «Il Governo provvisorio considera altresì per un suo dovere di provvedere immediatamente all'approvvigionamento dell'esercito e della popolazione civile mercé la requisizione dei viveri accumulati dal Governo precedente e dalle amministrazioni comunali. Ancora il mostro della reazione può alzare la testa; è compito del popolo di soffocare tutte le tendenze liberticide, antirepubblicane.» «Il Governo rivoluzionario ha la ferma intenzione di entrare in comunicazione con i proletari di tutti i paesi belligeranti per mettere rapida fine alla carneficina dei popoli.» (ADL 31.3.1917)
ADL 31.3.1917 – La "fine alla carneficina dei popoli" sarà, però, tutt'altro che rapida |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Nel centenario della Rivoluzione di febbraio. Tavola rotonda su "Kerenskij, uno di noi" con Luigi Covatta, Luciano Pellicani, Fabio Martini, Claudia Mancina, Ernesto Galli della Loggia ed Enrico Morando. >>>>> Vai al video |
SPIGOLATURE Di lui non si sente più parlare di Renzo Balmelli NEMESI. Specchio dello stato confusionale in cui versa la così detta società liquida teorizzata da Bauman, l'universo anonimo dei blogger, in special modo se orientato a destra, crea e distrugge i propri miti come cambia il vento. L'ultima vittima della sarabanda ideologica è stato Geert Wilders, il leader populista olandese idolatrato fino alla vigilia delle elezioni e dopo la sconfitta riportato ai piedi della scala senza una parola di commento. Di lui non si sente più parlare. Visto l'andazzo, pare che anche Marine Le Pen, convinta di essere sulla cresta dell'onda, stia molto più attenta alle bizze della rete che non ai sondaggi, nel timore di fare la stessa fine. Forse avrà qualche vaga reminiscenza del Manzoni, il quale "pour cause" ammoniva i francesi che dall'altare alla polvere il passo è breve. D'altronde non è una novità che la nemesi storica non fa sconti a nessuno. E chi sparge livore prima o poi se lo ritrova in casa come un boomerang. BREXIT. "Give me my money back", ridateci i nostri soldi non si stancava di ripetere la battagliera Margaret Thatcher con quella grinta che faceva venire i sudori freddi agli alleati europei. Le parole della Lady di ferro di nome e di fatto tornano d'attualità mentre prende il via ufficialmente la procedura per attivare la Brexit che segna una rottura senza precedenti e forse insanabile tra Londra e Bruxelles. Gli artefici del referendum anti-UE esultano, ma al di la dei fuochi d'artificio della propaganda nessuno si nasconde che i due anni necessari per sancire la separazione potrebbero costare lacrime e sudore. Come spesso accade nei divorzi, saranno infatti le questioni finanziarie e molto meno quelle ideali a dominare i negoziati che si preannunciano molto duri (hard Brexit ) e con le parti in causa per niente disposte a fare concessioni. Nella loro euforia gli euroscettici celebrano il giorno dell'indipendenza, l "Indipendence Day" del film che segnò la sconfitta dei marziani, in questo caso d'oltre Manica. Ma sull'altro fronte si teme un salto nell'ignoto che la Scozia per prima vuole evitare approvando un voto bis per l'indipendenza dal Regno Unito. Un altro guaio dai drammatici contorni legali e costituzionali per il governo di Sua Maestà. IMMAGINE. In politica un conto è annunciare provvedimenti fantasmagorici, altra cosa è governare. Se ne sta rendendo conto a sue spese Donald Trump, colui che venne per liquidare la riforma sanitaria di Obama e che di colpo, vicino al giro di boa dei primi, fatidici cento giorni, si trovò a sua volta liquidato dai compagni di merenda, sempre più insofferenti verso certi suoi atteggiamenti da guascone. A un certo punto, volendo forzare troppo la mano ai tre poteri classici della democrazia, esecutivo, legislativo, giudiziario, si finisce inevitabilmente col farsi male, anche se ci si trova nella confortevole situazione di controllare il Congresso. Ora resta da capire fin dove il tycoon , leone ferito nell'orgoglio e quindi vieppiù pericoloso, persisterà nel braccio di ferro con le istituzioni, incaponendosi in progetti controversi che potrebbero costare alla sua presidenza, al suo partito e alla Casa Bianca un danno politico e di immagine incalcolabile. SPOSSATA. Né Washington né Mosca possono essere annoverate tra gli amici incondizionati del Vecchio Continente. Al vertice per i sessant'anni dei Trattati di Roma, sebbene mai evocate ufficialmente, le due capitali erano però nella lista dei convitati di pietra che allungavano la loro ombra inquietante sui litigiosi eredi dei padri fondatori. Su questa sponda dell'Atlantico non c'è per fortuna un Trump, ma pallide imitazioni populiste che della UE farebbero volentieri un falò come quando si bruciavano i libri sgraditi al potere. Gli euroscettici per contro pare abbiano cambiato orizzonte simpatizzando maggiormente con Putin di cui ammirano l'autoritarismo, indifferenti alla sorte riservata all'opposizione russa. Per un verso o per un altro sembra comunque di essere tornati alla prosecuzione del bipolarismo d'antan con altri mezzi che potrebbe condizionare il cammino dell'Unione Europea, spossata, ma decisa a rinnovarsi. GERUNDIO. Presidente del Consiglio dopo Caporetto, Vittorio Emanuele Orlando venne preso di mira dalla critica, lesta a ricordargli che "mal comincia un periodo con un gerundio". Non è dato a sapere se Martin Schulz, candidato SPD alla Cancelleria, conosca questo episodio, ma anche per lui il primo banco di prova nella rincorsa ad Angela Merkel, dimostratasi ancora capace di vincere malgrado le difficoltà, è iniziato con lo stesso tempo verbale. Nella Saar, piccolo Land con una storia importante, brusca e inattesa è stata la frenata per le speranze del leader socialdemocratico e la coalizione di sinistra che i sondaggi davano in grande spolvero. Certo, le elezioni federali di settembre sono ancora lontane e c'è tutto il tempo per rimediare e preparare lo sprint finale. Ma qualcosa non ha funzionato, a dimostrazione del fatto che nei prossimi mesi servirà qualcosa di più per cambiare non soltanto il gerundio, ma anche il governo nazionale. PANE. Sull'ultimo numero della rivista pubblicata da Caritas-Ticino è apparsa la presentazione di un video realizzato sulla base del volume "Non avete pane a casa vostra" dello studioso Alberto Gandolla. Libro che in 180 pagine analizza alcuni aspetti dell'emigrazione italiana in Svizzera, soffermandosi in particolare sui lavoratori frontalieri, " vitali per lo sviluppo economico del cantone, ma anche fonte di odio, resistenze e pregiudizi" ancora oggi duri a morire. "Uno sguardo indietro" – si legge nell'articolo – "è sempre utile per comprendere la trasformazione del presente". Martin Scorsese, immigrato di terza generazione, ne diede una dimostrazione eloquente nel suo "Gangs of New York", film che mette a fuoco diversità culturali ed etniche in apparenza insanabili, che però – citiamo – non impedirono alla città di diventare un polo mondiale di integrazione. Guardare oltre i rancori che la propaganda xenofoba tende ad attizzare rende meno amaro il pane degli altri. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Poveri avvocati Lo scorso anno un quarto degli avvocati ha guadagnato meno di 1.000 euro al mese. Sono i più giovani: lavorano nei grandi studi, formalmente come autonomi, di fatto dipendenti del senior partner. di Stefano Iucci Gli ultimi dati disponibili ci dicono che, a fronte di un 5 per cento di professionisti che guadagnano la metà dell'intero fatturato prodotto dalla categoria, esiste una stragrande percentuale di avvocati che si barcamena con redditi piuttosto bassi. Un quarto delle toghe italiane lo scorso anno ha dichiarato meno di 1.000 euro al mese. Su 240.000 iscritti all'ordine, in 60.000 dunque non guadagnano più di 10.000 euro l'anno e 40.000 sono fermi a 20.000. Insomma: il 7,5 per cento più ricco (16.000 persone su 235.000) si accaparra da solo 3,9 miliardi di euro. Non meravigliano dunque i dati che vedono l’appeal di questa professione ridursi progressivamente negli anni: se nel 2008 i nuovi iscritti all’albo erano 14.237, nel 2005 sono diventati 9.445, con un calo del 33 per cento. Come è stato possibile arrivare a questa situazione? Le spiegazioni classiche – ci sono troppi avvocati – non convincono. Nella realtà la situazione è più complessa: molti di questi professionisti (in particolare i più giovani e quelli a basso reddito) lavorano in mono-committenza in grandi studi legali, soprattutto nelle città. Sono, cioè, solo formalmente lavoratori autonomi ma, di fatto, galoppano tutto il giorno per i grandi avvocati a fronte di paghe misere: nel settore vengono chiamati sans papier. Per questo la Cgil, insieme ad alcune importanti associazioni che rappresentano gli avvocati (Mga, Anf e Agifor), ha iniziato una raccolta di firme on-line per far decadere quello che tutti ormai considerano un anacronismo: e cioè il divieto per gli avvocati iscritti all’albo di avere un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, una sorta di contratto, insomma, che migliori la propria condizione, non solo retributiva. "I professionisti che operano in mono-committenza – spiega Cristian Perniciano, responsabile della Consulta delle professioni della Cgil – sono in una situazione paradossale. Lavorano spesso in esclusiva per un capo, che si chiama addirittura ‘dominus’, che decide i loro orari di lavoro, gli mette a disposizione una scrivania, un ufficio. Non hanno nessuna possibilità di essere davvero lavoratori autonomi e di crescere come tali. È una situazione che non può essere ignorata e sulla quale occorre intervenire. L’idea che un avvocato debba per forza essere una sorta di micro-impresa è ormai smentita dalla realtà"… >>>>> Continua la lettura sul sito >>>>> Ascolta l'inchiesta radiofonica in podcast |
ECONOMIA The Government La più chiacchierata banca d’affari americana all’arrembaggio dell’Amministrazione Trump di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Molti negli Usa si riferiscono all’amministrazione Trump con l’appellativo "Government Sachs" in quanto ha imbarcato un numero impressionante di personaggi che, in vario modo, hanno lavorato o collaborato con Goldman Sachs, la più chiacchierata banca d’affari americana. Dall’esplosione della crisi globale la banca ha scalato molte posizioni nella lista delle banche americane più esposte in derivati finanziari over the counter fino a conquistare la terza posizione con oltre 45,5 trilioni di dollari di valore nozionale. Rispetto alle prime due, la Citigroup e la JP Morgan Chase, c’è una "piccola" differenza. Essa vanta il peggiore rapporto in assoluto tra il valore dei derivati e gli asset (gli attivi), che sono soltanto 880 miliardi di dollari. Il che significa che per ogni dollaro di asset, la GS ha quasi 52 dollari di derivati, mentre la Citigroup ne ha 28,5 e la JP Morgan 20. Per cui, se queste due ultime non navigano in mari tranquilli, per la GS il mare rischia di essere sempre in burrasca. Sono dati significativi quanto preoccupanti tanto che anche l’Office of the Comptroller of the Currency (OCC), l’agenzia di controllo delle banche americane, a fine settembre 2016 ha affermato che il rapporto tra l’esposizione dei crediti e il capitale di base (credit exposure to risk-based capital) era del 433% per Goldman Sachs, rispetto al 216% della JP Morgan e al 68% della Bank of America. Sempre secondo il citato rapporto, sei anni dopo l’entrata in vigore della riforma finanziaria Dodd-Frank, che obbligava le banche a sottoscrivere tutti i contratti derivati attraverso piattaforme regolamentate, la GS mantiene ancora il 76% dei suoi derivati in otc non regolamentati. Si tratta della percentuale più alta tra tutte le banche quotate a Wall Street. Come è noto l’opacità dei derivati otc ha giocato un ruolo determinante nella crisi finanziaria, in quanto le banche in quel periodo avevano in gran parte sospeso di farsi credito reciprocamente sospettando buchi nascosti. Di conseguenza le stesse hanno cercato di garantirsi contro eventuali crolli accendendo polizze presso le grandi assicurazioni, in particolare con il gigante AIG. Solo di recente è diventato noto che circa la metà dei 185 miliardi di dollari versati dal governo americano per salvare la citata AIG è andata a beneficio delle grandi banche "too big to fail". Infatti la GS ne avrebbe ricevuti ben 12,9 miliardi. Crediamo non debba sorprendere il fatto che la GS sia sempre stata al centro delle grandi indagini per far emergere i responsabili della crisi globale, né tanto meno il conoscere che la banca sia stata in prima fila nel tentativo di bloccare tutte le riforme del sistema bancario e finanziario americano. E’ sorprendente, invece, che il presidente Trump continui a reclutare molti dei suoi uomini tra gli ex leader della GS. Da ultimo il suo team economico si è "arricchito" con l’arrivo di Dina Power, presidente della Fondazione della Goldman Sachs. Ma la nomina più provocatoria indubbiamente è quella di Jay Clayton a capo della Security Exchange Commission (SEC), l’agenzia governativa preposta al controllo della borsa valori, l’equivalente della nostra Consob. Clayton è un importante avvocato che ha lavorato per la GS, cosa che la di lui moglie fa ancora. Si tratta della stessa SEC che ha multato più volte Goldman Sachs per operazioni illegali di vario tipo: nel 2010 una multa di 550 milioni di dollari per operazioni fraudolente con titoli tossici immobiliari subprime e un’altra di 11 milioni nel 2012 perché alcuni suoi analisti avevano segretamente favorito dei clienti ben selezionati. Anche la Federal Reserve nell’agosto 2016 le ha inflitto una sanzione di 36,3 milioni di dollari per aver usato informazioni confidenziali risultanti da operazioni di controllo fatte dalla stessa Fed. Per non dire della condanna a pagare 120 milioni per manipolazioni fatte sui tassi di interesse comminata nel dicembre dell’anno scorso dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC), l’agenzia che ha il compito di controllare le borse delle merci e delle relative operazioni in derivati finanziari. Non è un caso, quindi, che nelle settimane passate alcuni senatori americani abbiano chiesto alla Goldman Sachs di rendere pubbliche le sue attività di lobby contro la legge di riforma Dodd-Frank e di conoscere l’ammontare dei profitti risultanti dalla sua cancellazione. Si ricordi che tra i primi provvedimenti del presidente Trump c’è stata l’abrogazione della citata legge. Evidentemente, purtroppo, il presidente americano ha dimenticato quando da lui stesso detto qualche settimana fa: "Per troppo tempo, un piccolo gruppo nella capitale della nostra nazione ha raccolto i compensi governativi, mentre la gente ne ha sostenuto le spese. Washington ha prosperato, tuttavia il popolo non ha condiviso la sua ricchezza". E’ il classico esempio di quanta distanza a volte c’è tra il dire e il fare. |
La Germania verso le urne SAAR Un test a dimensione ridotta di Felice Besostri Alla vigilia del voto le previsioni attestavano una vittoria della SPD con il 32,5%, che sommato al 12,8% della Linke davano una vittoria ad una possibile coalizione di sinistra, perché la CDU sarebbe stata sì il primo partito con il 36%, ma senza alleati in quanto sia i liberali della FDP che i Verdi non avrebbero superato la soglia del 5%: esclusa una Jamaica Koalition, essendo i colori dei partiti nero (CDU), giallo (FDP) e verde gli stessi della bandiera della patria del reggae, che governò la Saar dal 2009 al 2012. Nel 2012 si sostituì al governo una Grosse Koalition CDU-SPD con 37 seggi su 51, cioè superiore ai due terzi. La realtà è stata altra, perché la CDU ha preso il 40,7% (+5,5), la SPD il 29,6% (-1) e la Linke 12,9% (-.3,2). La sinistra passa dal 46, 7% del 2012 al 44,3% e i Verdi escono dal Landtag con il 4%( -1). Una maggioranza relativa di destra esiste sulla carta – CDU + AfD – con il 46,8% e 27 seggi, ma politicamente impraticabile perché CDU e AfD sono alternative alle elezioni federali. Il sistema di riparto dei seggi, per i partiti sopra soglia, favorisce il partito più grande e perciò SPD con 17 seggi e la Linke con 7 hanno lo stesso numero di seggi della CDU, cioè 24, pur avendo un 4% in più. Le ridottissime dimensioni della Saar non ne fanno un test significativo per le prossime elezioni federali, se non la conferma che l’AfD sarà rappresentata nel Bundestag, come la è ormai in 11 dei 16 Land tedeschi. I liberali sono a rischio di esclusione. La partita CDU vs. SPD si gioca anche su questo e sulla capacità di Verdi e Linke di stare nella stessa coalizione. Se la Saar fosse il modello non si potrebbe essere ottimisti. I rapporti tra Linke e i Verdi sono pessimi da sempre. Infatti, malgrado un chiaro 51,7% a sinistra (Linke al 21, 3%, SPD al 24,5% e Verdi al 5,9%) il risultato fu un governo CDU, FDP e Verdi. Le coalizioni "Jamaica" non funzionano. Anche nella Saar non si completò la legislatura e nel 2012 si andò ad elezioni anticipate. Ma in linea di principio i Verdi non sono incompatibili con un’alleanza con la CDU di Angela Merkel. Al successo CDU ci sono spiegazioni locali la Ministerpresidentin è popolare e un buon governo alternativo non era credibile. I Socialdemocratici erano reduci da una Grosse Koalition a guida democristiana. La Linke ha disperso in pochi anni un consenso del 21%, mai raggiunto in un Land dell’Ovest. I Verdi, infine, non hanno dato prova di essere affidabili per un governo stabile. Se a ciò si aggiunge, che settori di opinione pubblica sono dell'idea, dimostrata dalla più alta percentuale di votanti degli ultimi 15 anni, che per arginare l'estrema destra la cosa tatticamente più saggia sia rinforzare la Mutti, cioè Angela Merkel… Un voto CDU-CSU a spese dei liberali è anche un'ottima assicurazione contro una maggioranza rosso-rosso-verde. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ E se i programmi non servissero a niente? di Aldo Forbice Giuseppe De Rita ne sa una più del diavolo, non solo perché è un cattolico devoto da sempre, ma perché come prestigioso sociologo ultraottuagenario (fondatore e presidente del Censis) conosce da vicino il mondo della politica, dal dopoguerra ad oggi, avendo attraversato tutte le fasi (centrismo, centrosinistra, governi tecnici, secondo centrosinistra, governi monocolori, "civici", ibridati, pasticciati, ecc.). Tutto questo per ricordare che non gli manca certo la saggezza e l’esperienza. L’ultima volta che l’ho visto è stato in un affollato auditorium, mentre si preparavano le elezioni amministrative di Roma, dove Francesco Rutelli aveva riunito la creme de la creme degli esperti, dei tecnici della capitale (architetti, urbanisti, ecologi, ambientalisti, persino psichiatri) per un possibile programma di idee, progetti, iniziative idonee a rivoluzionare il Campidoglio e dare un forte segnale di cambiamento nell’area metropolitana romana, sia nel modo di governare che nelle opere da realizzare per "stupire" l’elettorato. Un fuoco d’artificio di grandissimo interesse: non si ascoltavano da anni tante voci originali, direi scoppiettanti, di veri esperti che analizzavano, con passione e vera competenza, le direttrici su cui muoversi per una svolta radicale per rinnovare alle radici la nostra derelitta capitale (ridotta, come purtroppo sappiamo, in uno stato pietoso da una serie di sindaci, non ultima l’attuale Virginia Raggi, che il suo "protettore", Beppe Grillo, cerca di assolvere, anche se con scarsa convinzione). Che cosa c’entra il prestigioso De Rita con tutto questo? C’entra, c'entra, perché De Rita era presente, anzi era l’invitato d’onore. Intervistato sul palco si è rivelato il più "giovane", il più moderno, il più realista (quel realismo che a torto viene spesso definito sprezzantemente pessimismo). In realtà, De Rita disse chiaramente, senza perifrasi, che Roma non può essere governata senza rinnovare radicalmente la classe dirigente capitolina, che significa sostituire, trasferire, licenziare (se necessario), cambiare i dirigenti per rinnovare la burocrazia e tutti coloro che hanno il potere di tradurre in atti concreti le decisioni della Giunta e del Consiglio comunale. I fatti, anche quelli recenti, hanno confermato che il "grande vecchio" aveva ragione. E continua ad avere ragione, non solo per Roma, ma anche per l’Italia. Queste idee le ha in qualche modo riproposte pochi giorni fa sul Corriere della Sera ("Meglio mettere i programmi in soffitta"). In sostanza il sociologo, anche sulla scorta della sua lunga esperienza, spiega che le ricette sulla povertà, sulle crescenti diseguaglianze sociali (ma anche su altri temi) non servono o per lo meno rischiano di risultare inadeguate a una realtà che muta ogni giorno. Si risolverebbero, scrive De Rita, in un "insieme di provvidenze e perderebbero ogni profondità di visione politica. Meglio allora cambiare esercizio. silenziando l’ansia da ‘programma’ e dando invece spazio a una logica di ‘agenda’ scadenzata nel breve periodo, articolata per specifici scopi, che quindi lavori sull’esistente più che sulle intenzioni. In fondo, se c’è un’urgenza in Italia, è quella di far funzionare la macchina istituzionale, che oggi è inceppata, non riesce a fare giustizia fra potere e cittadini e non riesce neppure ad applicare quel po’ d'intenzionalità riformista espressa negli ultimi decenni". In pratica, si ritorna a porre in primo piano la questione della riforma della Pubblica Amministrazione, degli apparati amministrativi e burocratici, delle macchine dei controlli pubblici di quelle istituzioni (che continuano a rimanere carenti o, in molti casi, del tutto assenti). Lo diceva anche il vecchio Pietro Nenni, quando già negli anni ’60, insisteva sulla necessità e l’urgenza della "riforma delle riforme ", rappresentata dalla Pubblica Amministrazione, cioè da quella burocrazia obsoleta, su cui si arenava ogni processo riformista, un "potere" abbarbicato nelle istituzioni, con radici profonde che nessuna legge e neppure le nuove tecnologie riescono ancora oggi a sradicare. Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Trump: dazi fino al 100% su alcuni prodotti europei Anche la Vespa nel mirino. Secondo la ricostruzione del Wall Street Journal si tratterebbe di una ritorsione per il divieto europeo all’importazione di carne di manzo americana trattata con gli ormoni. di Maddalena Carlino - @maddacarlino Il presidente Donald Trump starebbe valutando di imporre tariffe commerciali al 100% sulle importazioni negli Usa di alcuni prodotti europei, compresi l’iconico scooter italiano, la Vespa Piaggio, e la regina delle acque minerali francesi, la Perrier, ma anche anche l’acqua minerale San Pellegrino, di proprietà della Nestlé, il Roquefort con altri formaggi francesi, il foie gras, e le moto leggere di fabbricazione europea come le svedesi Husqvarna e le austriache Ktm. Lo scrive il Wall Street Journal, segnalando che si tratta di una ritorsione contro il bando europeo sulla carne di manzo americana trattata con gli ormoni. “Il caso della carne fornirà un’indicazione su quanto l’amministrazione intenda essere aggressiva con i partner commerciali”, ha osservato il Wall Street Journal, ricordando le promesse elettorali di Trump che ha ripetutamente sventolato la bandiera delle tariffe. Secondo la ricostruzione del Wall Street Journal è l’eredità ha una causa ben precisa: il divieto europeo che colpisce l’importazione di carne di manzo americana trattata agli ormoni. La guerra commerciale sulla carne agli ormoni è un contenzioso di vecchia data tra Usa e Ue: risale al 1998. Nel 2009 era stato negoziato un accordo per cui l’Ue aveva acconsentito ad aprire il suo mercato alla carne americana non trattata con gli ormoni. Stando ai produttori Usa, tuttavia, il mercato Ue non è stato adeguatamente aperto. La Commissione Ue aveva quindi proposto di risolvere la disputa nell’ambito dell’accordo commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) poi naufragato lo scorso mese di settembre. Secondo i dati del dipartimento del Commercio Usa, la carne è un settore economico cruciale per il Paese: l’esportazione vale 6 miliardi di dollari l’anno con un indotto di 7,6 miliardi che garantisce 50.000 posti di lavoro. Vai al sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ In 15 anni i robot taglieranno un terzo di posti La robotica è da molto tempo un argomento affascinante, ma implica degli interrogativi morali e sociali di assoluto rilievo. Un recente studio di PWC (Price Waterhouse Coopers, società di revisione e certificazione dei bilanci) ha riprodotto un quadro che fa riflettere proprio su questo tema. L’agenzia ha infatti sfruttato alcune stime correnti per effettuare una proiezione dei livelli di automazione potenziali dei prossimi anni. Il lavoro parte dalla velocità di estensione della robotica negli ultimi anni e quindi appare abbastanza affidabile dal punto di vista numerico. Fermandosi ai dati proposti il report appare quantomai nefasto per i livelli occupazionali. Il 38% dei lavoratori statunitensi verrà sostituito da un robot, così come il 35% dei tedeschi ed il 30% degli occupati del Regno Unito. Una delle poche nazioni che pare riuscirà a resistere a questa ondata è il Giappone (con un 20% di sostituzione), che da tempo ha portato avanti questo processo di automazione. La proiezione calcola che tutto ciò avverrà in soli 15 anni, un tempo relativamente breve considerando i tempi di adattamento del mercato del lavoro (sia per la sua componente legislativa che umana). L’impatto maggiore sarà nei settori con un più basso livello di specializzazione, che però sono quelli che impattano maggiormente sulle fasce medio-basse della popolazione. Nello specifico il report parla di "ospitalità, servizi alimentari, trasporto e stoccaggio", tutti ambienti altamente "umanizzati". La previsione combacia con una precedente effettuata da "Hi News Russia" (un portale di analisi tecnologica russo, meno affidabile di PWC) che parlava del 47% dei lavoratori mondiali sostituiti da macchine in circa 20 anni. Tutti sono concordi nel dire che comunque verranno create "nuove professionalità" necessarie per sviluppare e monitorare questa industria 4.0. Ma è logico che questi nuovi mestieri non riusciranno mai a sopperire alla perdita di posti derivanti dall’automazione. D’altra parte la figura del robot nasce proprio per sostituire l’uomo, rimpiazzandolo con una macchina più rapida ed efficiente di lui. Un’altra problematicità che sorge spontanea (alla quale nessuno risponde) riguarda la bassa specializzazione dei lavori che verranno robotizzati, che quindi renderà molto complessa l’operazione di nuovo collocamento sul mercato del lavoro. Un lavoratore che per anni ha svolto il magazziniere o l’autista (visto che la guida automatizzata pare essere dietro l’angolo) come potrà "rivendersi"? Come si sosterranno queste fasce deboli della popolazione? Questi interrogativi vanno posti ora, perché nel momento in cui questa rivoluzione arriverà sarà troppo tardi per rimediare. Un pensiero finale non può che riguardare il senso stesso di questa rincorsa all’automatizzazione. Se realmente milioni di persone non riusciranno più a collocarsi sul mercato e non avranno la possibilità di sostenersi, per chi produrranno i robot? E’ una domanda paradossale ma che, viste le prospettive, occorre porsi. |
Da CRITICA LIBERALE Hanno creato un deserto di Paolo Bagnoli «Il serbatoio della sinistra non ha più benzina anche perché quelli che un tempo sollecitavano un pensiero, stimolavano il partito, non ci sono più. Gli intellettuali sembrano spariti. La classe operaia sta cambiando volto, la borghesia sta scomparendo. Come sparite sono le riviste, spariti i luoghi associativi. Esistono voci che non hanno però la forza di quelle di un tempo». Sono parole di Guglielmo Epifani, socialista, già segretario generale della Cgil e del Pd, consegnate a un’intervista su "il Fatto Quotidiano" del 6 marzo 2017. E sono parole sacrosante perché le cose stanno veramente così e poi, esse, venendo da un politico già responsabile di grandi soggetti, suonano ancora più pesanti. Nessuno peraltro, a quanto ci risulta, le ha tuttavia prese in considerazione ed espresso un giudizio, sviluppato una riflessione a conferma che siamo oramai arrivati a un punto in cui non solo la riflessione, ma nemmeno il dibattito – un dibattito vero, naturalmente – sembra interessare. La politica, ogni giorno di più, perde se stessa. Oggi Epifani non è più nel Pd; forse non sarebbe stato male del motivo per cui ci si è innamorati delle primarie, di Matteo Renzi, del partito della nazione e di proclami propagandistici fatti esclusivamente per mediatizzare il messaggio, ma vuoti di tutto il resto; avesse cercato, cioè, di dare una spiegazione del perché il partito rigeneratore sia rimasto soffocato da se stesso; dalla spirale leaderistica del suo segretario che era anche presidente del consiglio. È chiaro che la sinistra di cui parla Epifani non è quella che il Pd spaccia di essere, ma una realtà storica, sociale, culturale e politica che non esiste più, almeno in Italia. Alla sua decozione ha contribuito in maniera determinante proprio la nascita del Pd. La sinistra, quella storica per intendersi, pur nelle sue divisioni, differenziazioni e diversità, si configurava come una vera e propria comunità politica, quale luogo storico del mondo del lavoro che perseguiva una nuova civiltà nei rapporti sociali e il riconoscimento della dignità di una vita che valesse la pena di essere vissuta. Ha ragione Epifani. Sembra che oramai non esista più nemmeno un pensiero compiuto della sinistra e nessuno, di coloro che dovrebbero occuparsene, risulta interessato a farlo probabilmente nel convincimento che tanto non ne vale la pena. Infatti, se non esiste una forza politica vera di sinistra a chi finiscono per parlare gli intellettuali progressisti o coloro che ritengono semplicemente di avere qualche cosa da dire proprio alla sinistra, se non a se stessi? Che la classe operaia stia cambiando volto non è certo una novità; è dall’inizio degli anni Ottanta che il mondo del lavoro ha cominciato a cambiare. Ma perché il sindacato non lo ha compreso? Parimenti non è una novità che la borghesia, quale ceto civile e campo imprenditoriale, sia oramai agli sgoccioli e forse non è un caso a ciò scollegato che quelli che erano i padroni di una volta oggi siano dei gestori per lo più senza volto di grandi capitali finanziari e che la funzione civile, propria dei ceti borghesi, sia scomparsa rimpiazzata dai faccendieri, facilitatori, occupatori dei poteri di Stato, il tutto al fuori di ogni morale di senso comune. Dobbiamo poi lamentarci di essere uno dei Paesi più corrotti del mondo? Le riviste, a dire il vero non sono del tutto sparite; chi è interessato sa, anche se con qualche difficoltà, dove trovarle, ma certo il loro ambito complessivo si è ristretto e l’attenzione che ricevono è, sul piano dei numeri, molto limitata; quando mai uno dei grandi o piccoli quotidiani italiani anticipa i contenuti di una rivista intesa come la intende Epifani? Mai. Si anticipa, invece, il magazine di riferimento preannunciando le notizie scandalistiche di questo o quel servizio. Anche i luoghi associativi sono scomparsi: se ne sono andati coi partiti nei quali stava la gente e che la organizzavano civilmente e politicamente. La cosa non riguarda solo le vecchie sezioni che avevano una funzione di riferimento e di educazione alla politica molto, ma molto, più alta di quanto si pensi. Oggi il termine "sezione" non è più di moda e le strutture periferiche o rionali si chiamano "circoli"; quando c’erano il Pds e i Ds addirittura "unità di base". Verrebbe da dire che, se si ha paura delle parole, figuriamoci delle idee e, in effetti, il dibattito politico si è devitalizzato a tutti i livelli. La gente non è più nella politica, quasi sempre è contro la politica, ma , lo stesso concetto di "gente", proprio del soggetto partito, è stato sostituito da un fantasma concreto, senza volto e vivo periodicamente, diviso in crociate di gruppi l’un contro l’altro armati: il cosiddetto popolo delle primarie. Non è, caro Epifani, che oggi non ci siano voci sia reali che potenziali che non hanno o non avrebbero tono; ma che autorevolezza possono avere se l’autorevolezza ideale del sistema non esiste più? Se non esiste più il dialogo, se nessuno sta più ad ascoltare nessuno, ma tutti, o quasi, si prodigano a insolentire, proclamare, denunciare, accusare dando corpo a discorsi le cui parole più che uscire dai cervelli sembrano solo prodotte dai polmoni. Hanno creato un deserto e l’hanno chiamato "seconda Repubblica". Continuiamo a sperare e a credere nella democrazia repubblicana, ma certo ci auguriamo che venga una sua nuova stagione, positiva e costruttiva, anche se non se ne vedono, al momento, nemmeno pallidi segni. Vai al sito di Critica liberale |
Da vivalascuola riceviamo e volentieri pubblichiamo Una lettera al Presidente della Repubblica di Giorgio Morale In questa puntata di vivalascuola presentiamo una lettera al Presidente della Repubblica che chiediamo di diffondere, firmare e fare firmare: https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2017/03/20/vivalascuola-213/ Gli studenti non sanno più scrivere, leggere e parlare l'Italiano. Sui banchi di scuola e all'università. Periodicamente arriva l'allarme, con lunghi intervalli di silenzio. Invece da 30 anni la politica scolastica mantiene ferrea continuità. Il Politecnico di Milano impone l’inglese come "lingua ufficiale" nelle lauree magistrali, malgrado con una recentissima sentenza (n. 42/2017) la Corte costituzionale abbia ribadito la centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana. E nelle scuole? Anche qui. Si realizza il programma di Berlusconi: Inglese, Internet e Impresa. 200 ore alle Superiori sottratte per l'alternanza scuola-lavoro, altre ore perse per il giochino del Clil. E in aggiunta: meno risorse, più alunni per classe, meno insegnanti, meno ore di lezione. E con i decreti attuativi della L. 107, la "Buona Scuola" di Renzi, si preparano altri tagli agli insegnamenti di base, tra cui ancora quello dell'Italiano. Ma, come scrive Giovanna Lo Presti, "privare gli studenti della possibilità di avere sufficiente competenza nella propria lingua nativa, distraendoli con lo specchietto per le allodole dell'angloamericano è un atto regressivo, è negare l'accesso ad una eredità comune preziosa". Sarebbe ora di una nuova, diversa e attiva politica linguistica italiana: questo chiediamo con questa lettera al Presidente della Repubblica, che chiediamo di firmare e fare firmare. |
CULTURA
Leonardo, L’Adorazione dei magi (part.) dopo un restauro durato cinque anni e mezzo L'Adorazione di Leonardo torna agli Uffizi con… l'impronta del genio Dopo cinque anni e mezzo di lavori l'incompiuto leonardesco è stato "scoperto" dal direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, di fronte alle maestranze dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze che ha condotto il restauro: "Ci sono le impronte digitali di Leonardo e questo è un dato tecnico molto interessante" – racconta il dottor Bennucci dell'Opifici. Nell'opera, infatti, occorrono già tutti i tratti caratteristici del lavoro pittorico di Leonardo tra cui il cosiddetto "sfumato" che egli otteneva premendo le dita sul colore ancor fresco per attenuarne l'intensità e creare così un effetto di trasparenza. >> Vai al sito Rep per il video della "scopertura" |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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