L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 9 marzo 2017 |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it
Otto Marzo, Susanna Camusso (CGIL): "La lunga rivoluzione pacifica delle donne" "Quella per l'uguaglianza delle donne è stata una lunga rivoluzione pacifica: dobbiamo riflettere su come difendere i risultati raggiunti e quali obiettivi darci", dice Susanna Camusso l’Otto marzo. "Uso il termine rivoluzione perché, quando si parla di eguaglianza e parità, serve una rivoluzione dei rapporti per come si sono sempre instaurati. La libertà delle donne è il metro di misura della democrazia di un paese". "Se penso a com'era il paese 30 anni fa ci sono stati cambiamenti, ma c'è ancora molto da fare". Lo afferma il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in occasione dell'8 marzo parlando con le agenzie di stampa. Le donne italiane, spiega, hanno un divario salariale con gli uomini inferiore alla media Ue "grazie al contratto nazionale. Attenzione a non tornare indietro, bisogna difendere il contratto". "La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti", ha aggiunto. "Chiediamo che siano finanziati i centri antiviolenza e si permettano dei percorsi di autonomia per le donne, cioè avere una casa, un lavoro e poter dare le cure ai figli". Proprio sul tema della violenza "ci preoccupa il grande silenzio degli uomini: quando capiranno che non è con la violenza che si mantiene il potere avremo fatto dei passi avanti". |
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Freschi di stampa, 1917-2017 Prima scena di una storia remota La prima scena di questa storia remota, per dirla con Thomas Mann, «s'è svolta ed ebbe a svolgersi nel tempo che c'era una volta, nei giorni antichi del mondo di prima della Grande guerra, il cui inizio tante cose iniziò che ben difficilmente hanno già cessato d'iniziare». Questa non è tutta né soltanto la storia della Giornata della donna, lo Woman's Day che nasce a Chicago nel 1908 per iniziativa di Corinne Brown, leader socialista americana, allo scopo di unire le rivendicazioni sindacali delle camiciaie e delle altre lavoratrici con la battaglia per il diritto di voto, dal quale la metà femminile della cittadinanza americana era allora esclusa.
Per l'Otto marzo 1914 a Monaco di Baviera Due anni dopo lo Woman's Day sbarca in Europa, a Copenaghen, dove Clara Zetkin riesce far accogliere dalla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste una risoluzione che istituisce la "Giornata della Donna". Non ovunque si formalizza subito la data dell'Otto marzo. Ma "la nave va", e con l'anno successivo la Giornata viene celebrata in un numero crescente di città, a partire dalla metà di febbraio. Il 10 marzo 1917 su L'Avvenire del lavoratore (così, al singolare, si chiamava allora la nostra testata) si legge che: «Come tutti gli anni… le donne socialiste di diversi paesi organizzano la giornata… di lotta e di dimostrazioni, [che] deve servire di conforto e di incitamento alle sfruttate del mondo intero, perché guidate dal pensiero socialista rivendichino i loro diritti – tutti quanti i loro diritti». Tutti quanti i loro diritti! A scrivere queste parole è Angelica Balabanoff (1878-1965), che si prepara a un giro di comizi in lingua italiana e tedesca nella Svizzera centro-orientale. E, infatti, poco sotto il suo pezzo, un poscritto annuncia che il 18 marzo 1917 la compagna Balabanoff parlerà a Zurigo, nella sala grande del Volkshaus, e che sarà «ben lieta, qualora ci fosse un discreto intervento di proletarie italiane, di rivolgere a queste un discorso in italiano perché dai comizi esca un voto unanime di donne svizzere ed italiane, unite dalla visione delle ingiustizie che subiscono oggi e della radiosa liberazione che porterà loro il socialismo» . Ma, se nella Confederazione elvetica è ancora possibile convocare pubblicamente una regolare manifestazione a favore dei diritti delle donne, tutt'intorno infuria una guerra tremenda che, giunta al suo terzo anno, ha già mietuto dieci milioni di morti. Perciò Angelica, che guida la battagliera testata pacifista degli emigranti italiani, riprende dal giornale delle socialiste svizzere le parole che seguono, e che le servono a collegare la questione femminile con le indicibili sofferenze provocate dal grande massacro bellico: «Non più luce per illuminare le loro case, non più carbone per scaldarsi, non più pane per sfamarsi. Non più sangue nei corpicini denutriti dei bimbi, non più sangue nelle vene dei superstiti figli adulti destinati a tornare ad innaffiare del loro sangue di campi di battaglia. Non più forza nelle braccia per stringere al cuore straziato i poveri mutilati tornati dalla guerra, non più forza per informarsi all’apposito ufficio o al giornale, se esiste o non esiste più quello che era l’unico bene loro». Questo scriveva un secolo fa Angelica Balabanoff. E, nelle stesse ore in cui mandava in stampa queste parole, fu proprio una Giornata della Donna a scoccare la scintilla che incendiò una grande prateria.
San Pietroburgo, 8 marzo 1917, le operaie protestano per il pane L'Otto marzo 1917 le operaie di alcune fabbriche tessili pietroburghesi entrarono in agitazione, appellandosi al sostegno dei metalmeccanici: «Sembrava non esserci alcun nuovo motivo, salvo le code sempre più lunghe per il pane, a farle scioperare», leggiamo nelle memorie del rivoluzionario russo Vasilij Kajurov. In poche ore quelle operaie tessili in sciopero aggregano circa centomila manifestanti. La dimostrazione spontanea che segue si svolge in maniera tutto sommato pacifica. Scoppia qualche scontro con la polizia zarista solo quando il corteo vira verso il centro della capitale, il cui accesso è per ora impedito. E non di meno quella sera iniziano a finire la Prima guerra mondiale e tre imperi. Il giorno dopo duecentomila lavoratrici e lavoratori invadono San Pietroburgo, manifestando per il pane e la pace, e quindi contro la guerra e contro l'autocrazia zarista. L'insurrezione dilaga. La polizia inizia a sparare sulla folla, ma dalla folla c’è chi risponde al fuoco. Il 15 marzo 1917, lo zar Nicola II (1868-1918) si vede costretto a compiere un passo indietro, cedendo i poteri al Primo ministro liberale Georgij L'vov (1861-1925), al quale in luglio succederà il laburista (trudovik) Aleksandr Kerenskij (1881-1970). Ma la guerra continua e Kerenskij dilapida ogni popolarità in una sanguinosa offensiva militare, fallita la quale per Vladimir Lenin (1870-1924) diviene possibile ordinare l'assalto del Palazzo d'Inverno al grido: Pace subito! Un anno dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi – alle ore 11.00 dell'11.11.1918 – entra in vigore l'Armistizio che segna la fine della Grande guerra. Lo stesso giorno ha luogo l'abdicazione del Kaiser tedesco Guglielmo II (1859-1941): dopo lo sciopero generale proclamato dalla maggioranza di sinistra nel Parlamento di Berlino i poteri passano al presidente socialdemocratico Friedrich Ebert (1871-1925). Ma quell'11 novembre anche il Kaiser austriaco Carlo (1887-1922) deve rimettere i propri poteri ai rappresentanti del popolo, sotto l'egida del cancelliere socialdemocratico Karl Renner (1870-1950).
San Pietroburgo 1917, prima dell'8 marzo: donne in fila per il pane Questo articolo inaugura una serie di testi ispirati o ripresi dall'ADL nell’anno delle due rivoluzioni russe che hanno cambiato il mondo. La nostra redazione di allora poté "coprirle" entrambe con materiale di prima mano. Ciò grazie soprattutto ad Angelica Balabanoff, fautrice degli stretti legami sviluppatisi tra i socialisti italiani e russi intensamente impegnati insieme al PS svizzero nella grande campagna di "guerra alla guerra". Campagna lanciata con la Conferenza di Zimmerwald. E culminata nella Rivoluzione d'Ottobre. |
SPIGOLATURE Da Zurigo a Pietroburgo di Renzo Balmelli SCINTILLA. Lenin è tornato a Zurigo, ma non la rivoluzione. La lotta di classe ormai non abita più qui: il quadrilatero delle banche e dell'alta finanza può dormire sonni tranquilli. Sarà invece interessante e istruttivo rivivere il clima turbolento di quell'epoca attraverso il percorso iconografico della mostra allestita al Museo nazionale della città per rievocare i legami con l'esule russo che dalla Svizzera partì sul famoso treno blindato per andare ad accendere la scintilla rivoluzionaria di Pietroburgo. Sul continente soffiavano venti impetuosi in tutti i campi, lo sforzo bellico aveva acuito le tensioni sociali e Zurigo, neutrale ma aperta e curiosa, era un palcoscenico formicolante di idee e personaggi illustri che provavano a incanalare le nuove tendenze. Lenin fu tra costoro nel pianificare le giornate che cambiarono l'esistenza di milioni di persone, accesero speranza inaudite, ma conobbero anche l'inesorabile violenza della Storia. FRAGILITÀ. In Francia, Paese che in tema di rivoluzioni non è secondo a nessuno, pare che tutto congiuri, alla vigilia delle presidenziali, per agevolare il cammino del Fronte Nazionale. Dopo il quasi suicidio delle forze costitutive della Quinta Repubblica e l'ennesimo autodafé della sinistra, tale opzione ormai non è più soltanto una ipotesi, ma un pericolo reale che lascia aperte possibili svolte da brivido, come un successo di Marine Le Pen. La leader del FN cresce non solo nei sondaggi, per quanto abbiano perso di credibilità, ma anche nel ballottaggio e può sognare l'Eliseo sebbene la strada resti ancora impervia. D'accordo, non significa ancora che le elezioni siano già decise, ma considerando la fragilità che turba la Francia degli scandali e dei colpi di scena a questo punto nulla è impossibile, nemmeno il peggiore degli scenari immaginabili. D'altronde nessuno credeva a Trump e alla Brexit, LOOK. Com'è ristretta la visuale se basta indossare una più sobria cravatta regimental al posto dell'orribile modello rosso shocking, per regalare a Trump una settimana di grazia e per rivalutarne l'immagine agli occhi dell'opinione pubblica. Ma è soltanto un effetto mediatico. Ad la dell'apparenza la sostanza non cambia poiché la "filosofia" della Casa Bianca a trazione repubblicana ricalca esattamente i punti centrali del programma presidenziale. Anzi, caso mai, ne ha aggiunto uno ancor più preoccupante e che deve fare riflettere. Nel suo discorso Trump ha infilato quasi di straforo l'annuncio che l'America ricomincerà a vincere le guerre. La qual cosa potrebbe significa che intende farle. Un clamoroso dispetto a Obama, determinato a dire basta alle guerre americane e che potrebbe costare molto caro. Gli accordi sulla riduzione delle armi nucleari ora rischiano di finire nel cestino della carta straccia. Alla faccia del nuovo look. DISAGI. Che la Brexit non fosse soltanto una semplice operazione contabile con la quale Londra sperava di divorziare dall'UE a costo zero era una favoletta del governo che i dati stanno clamorosamente smentendo. Non solo il prezzo da pagare sarà alto, ma i disagi e i danni collaterali rischiano di aprire ferite difficili da cicatrizzare. Oltre alle ricadute sul piano umano che poco alla volta stanno discriminando i cittadini dell'UE attivi nel Regno Unito e sottoposti a un crescendo di pignolerie burocratiche, anche i rapporti con i vicini, come evidenzia il risultato delle elezioni nord-irlandesi e come testimoniano le frizioni con la Scozia, potrebbero uscirne talmente compromessi al punto da rinfocolare antichi e mai sopiti conflitti. Da Edimburgo a Belfast, dove le tensioni si sono acuite proprio a causa della Brexit bocciata a netta maggioranza dalla popolazione, il Regno unito per uscire dall'Europa rischia di diventare un regno disunito e litigioso. FUTURO. Se nel film dei fratelli Coen l'America non era un paese per vecchi, nel suo di film Giovani Veronesi presenta un'Italia che invece, a parti inverse, "Non è un paese per giovani" proprio come indica il titolo del lungometraggio. Il regista scava dentro le pieghe di un fenomeno che sta assumendo proporzioni drammatiche e fa perdere qualsiasi punto di riferimento. Per sfuggire a una vita priva di prospettive certe, sempre più giovani se ne stanno andando all'estero in cerca della stessa cosa: un futuro che a casa non hanno. Per il potere evocativo della sceneggiatura, la visione della pellicola dovrebbe essere resa obbligatoria per tutta la classe politica che magari comincerebbe a pensare che cosa fare per fermare la fuga anziché dilaniarsi nei suoi angusti orticelli. L'uscita del film è programmata allo scoccare della primavera, ma con i giovani che partono se ne vanno anche la bellezza e l'entusiasmo di una generazione nel fiore degli anni. |
Lo "spettro autistico" si aggira per l'Europa Ma gli autisti non sono affatto "autisti" di Marco Morosini "Je ne suis pas autiste" tre volte al telegiornale di ieri su France 2. Per molti è stato troppo tre volte. Per alcuni anche una volta sola. Dopo pochi minuti si leggeva in twitter: "Utilizza la parola autismo, come se fosse un insulto", "Si può dire a Fillon che autista non è un insulto?", "L'autismo è una malattia riconosciuta, essere autisti non significa essere stupidi", "I 650.000 autisti in Francia e le loro famiglie apprezzano", "Gli autisti e le loro famiglie ringraziano per questa mancanza di rispetto". Altri autisti, più politici: "Io sono autista, davvero, e sono onesto, non rubo soldi, e non racconto favole nei media", "In effetti gli autisti non sanno mentire, né imbrogliare in banda organizzata", "Ha detto tre volte che non è autistico. Forse. Ma gli autisti non sono ladri e bugiardi", "Io sono autista, in buona salute, certamente più lucido di te". Ségolène Neuville, Segretaria di Stato per la disabilità e la lotta contro l'esclusione: "Colpa grave di Filllon che dichiara più volte io non sono autista" e "Il marchio di un profondo disprezzo per le persone con disturbi dello spettro autistico". Oggi (7 marzo) diverse associazioni di autisti hanno emesso comunicati, dicendo che Fillon ha veicolato pregiudizi tenaci su questa forma di disturbo. Forse non ci sarebbero state simili reazioni se avesse detto "Non sono cieco". Forse neanche con un "Non sono schizofrenico". Le vive proteste di persone toccate dall'autismo, sembrano dimostrare quanto esse sappiano essere più attente e riflessive di altri. Ovvero il contrario di ciò che Fillon voleva esprimere: non sono incapace di percepire e comprendere le critiche. "Analitiche e creative nel pensare, meticolose, originali, corroborantemente diverse – così sono le persone con la sindrome di Asperger. Approfittate dei nostri straordinari talenti e capacità. La nostra agenzia vi sostiene nei settori della progettazione grafica, sviluppo web e ingegneria del software" dice la pagina internet di "asperger AG" una dinamica azienda zurighese fondata nel 2008 da Susan Coza, una donna toccata dalla sindrome di Asperger. Con lei lavorano solo persone con la stessa sindrome. Le loro prestazioni sono superiori alla media. Due sintomi dei "disordini dello spettro autistico" (Dsa) sono descritti dal noto deficit nella comunicazione e interazione sociale, interessi o attività o modi di comportamento ristretti e ripetitivi. Fillon non ha certo questa sindrome, ma l'ostinazione e la apparente insensibilità a ciò che ora gli sta accadendo intorno rendono ancor più maldestro il suo "Je ne suis pas autiste". Forse in modo più efficace che non dai testi psichiatrici, vi potete profondamente sensibilizzare sull'autismo con lo splendido film "https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_Go%C3%BBt_des_merveilles", di Eric Besnard. Con poesia e ironia racconta la nascita di un amore tra un giovane uomo autistico e una signora reduce da un matrimonio fallito. Un film profondo e leggero. Ci si commuove, si sorride e si ride. Ah, se l'avessi visto prima! Anch'io forse abusai del termine "autistico". "L'economia autista - scrissi in Le Monde - è un'economia del qui e adesso, sorda e cieca di fronte a due entità molto più grandi di essa: la natura e le generazioni future." Anche diverse iniziative di economisti eterodossi si dedicano alla "economia autista" o alla "economia post-autista". Al grande economista http://gregmankiw.blogspot.it/2007/12/autism-and-economics.html un collega, padre di un figlio autistico, scrisse: "Le persone autistiche hanno già abbastanza difficoltà senza che i loro problemi siano usati come un punchingball dagli intellettuali". Mankiw rispose: "Gli studenti francesi che hanno coniato il termine "http://www.paecon.net/HistoryPAE.htm" ritengono che gli economisti tradizionali manifestino alcune delle deficienze associate alla condizione autistica. Tuttavia sono d'accordo che questo uso del termine indica una mancanza di empatia e comprensione per coloro che vivono con un autismo reale e grave." Non pensavo di abusare del termine. Poco dopo ricevetti una cortese lettera di Amélie Mariage Rifaut, pubblicata in rete nell'interessante http://autisteenfrance.over-blog.com/. "Signore - dice la lettera - accompagnare l'autismo comporta un processo d'informazione e sensibilizzazione sociale, è per questo che vi scrivo oggi. Leggendo il suo articolo in Le Monde L'economie autiste e capendo che non c'è malizia alla base di questo articolo, ma piuttosto ignoranza sull'uso del termine autismo, vorrei informarla. Nonostante gli sforzi di molte persone e organizzazioni per sradicare l'abuso associato con il termine autismo nella nostra società, molte persone, giornalisti, perfino dei politici, e influenzatori d'opinione, utilizzano il temine autista in senso peggiorativo e squalificante. Continuare a informare la società per sradicare i miti associati all'autismo e l'utilizzo del termine con connotazioni negative è responsabilità di tutti. Sono convinta che se la società fosse più informata circa la realtà dell'autismo, questi fraintendimenti non sarebbero commessi. Per questo motivo, accogliamo felicemente qualsiasi segno di comprensione dell'autismo da parte dei media e della società in generale". Insomma, gli autisti (in senso psicologico) non sono affatto "autisti" (in senso giornalistico). |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Niente lezioni, please "Non siamo i primi della classe, ma non accettiamo lezioni e lavoriamo nell'interesse comune". Il premier Paolo Gentiloni nelle comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo difende il lavoro del suo governo e bacchetta la Ue. "Le riforme non hanno rallentato il loro corso". Locatelli: "Condividiamo ogni sforzo per il processo di integrazione europea" L’attività di governo è concentrata su una serie di misure, "dall’immigrazione alla P.a., dal processo penale alla sicurezza urbana, dalla legge sulla povertà al ddl sulla concorrenza: sfido chiunque ad indicare un altro governo e un altro Parlamento in Europa impegnati su un complesso di riforme come quello su cui siamo impegnati in Italia. Non siamo i primi della classe, ma non accettiamo lezioni e lavoriamo nell’interesse comune". Il premier Paolo Gentiloni nelle comunicazioni al Parlamento in vista del Consiglio europeo difende il lavoro del suo governo e bacchetta la Ue. "L’Italia rispetta le regole dell’Unione europea – aggiunge -, ma vuole contribuire a modificare alcune politiche, per far sì che l’unione abbia un ruolo di accompagnamento e non di depressione della crescita economia. Sappiamo che da noi la crescita è ancora lenta, anche se la distanza dalla media europea nel 2016 è stata la più bassa degli ultimi 5 anni. Tra un mese, con il Def, indicheremo le proposte al parlamento per ridurre questo gap, ma a Bruxelles deve essere molto chiaro che le riforme non hanno minimamente rallentato il loro corso: sfido a trovare un altro Paese impegnato in un pacchetto di riforme così ampio". "Con il sostegno del Parlamento – aggiunge – il Governo potrà svolgere al tavolo europeo un ruolo all’altezza dell’Italia". "Noi siamo favorevoli a considerare il percorso di integrazione con livelli differenziati: c’è il riconoscimento di uno stato di fatto, ovvero che lo slogan che da sempre campeggia sull’edificio dell’Ue – l’Europa deve muoversi verso un’integrazione sempre maggiore – è una prospettiva molto difficile da realizzarsi in un’Europa a 28. Non è un progetto contro qualcuno ma è una realtà di fatto". Sulle riforme aggiunge: "Sia chiaro da subito a Bruxelles che in Italia le riforme non solo non si sono fermate ma non hanno minimamente rallentato il loro corso". "La mia generazione – continua il premier – ha molto chiaro il privilegio del lunghissimo periodo di pace, senza guerre, in Europa. Il secondo risultato è che l’Ue è stato straordinario motore di libertà che ha consentito di uscire dalle dittature fasciste, come in Spagna, Grecia e Portogallo, e da quelle comuniste nei paesi dell’est". "Bisogna raccontare anche i successi dell’Europa negli ultimi 60 anni, dal mercato unico che la proietta come superpotenza commerciale, all’Europa della cultura, paladina di democrazia e libertà. Tutto questo è minacciato e bisogna cercare di ancorare la dichiarazione di Roma, del prossimo fine marzo al futuro dell’Ue, indicando una strada con tre direttrici: il terreno della sicurezza e della difesa, la protezione sociale e la libera circolazione delle persone con una politica migratoria comune". Poi il premier aggiunge un no alle rigidità europea con le "virgole" sui bilanci e no alla "rigidità distratta" sui temi dell’immigrazione il cui approfondimento non rappresenta una "pretesa" dell’Italia ma una decisione comune presa dall’Unione". Temi che saranno al centro della prossima dichiarazione di Roma del 25 marzo, a cominciare dalle politiche sociali, della sicurezza e dell’immigrazione. L’obiettivo afferma Gentiloni "è sostituire immigrazione clandestina irregolare con flussi e canali più accettabili e mi aspetto un passo in più, in termini di risorse, per aiutare l’Italia" nella gestione dei migranti provenienti dalla Libia. La componente socialista voterà a favore della mozione di maggioranza. Lo afferma in aula Pia Locatelli, presidente del gruppo del Psi che è intervenuta sia nel dibattito generale che nella dichiarazione di voto. "Condividiamo pienamente ogni sforzo teso a far progredire il processo di integrazione europea a tutti i livelli, anche diversificata, anche con l’adozione di politiche di bilancio sostenibili e orientate alla crescita, con l’armonizzazione fiscale, la razionalizzazione del sistema bancario, una politica estera e un sistema di difesa comuni. Siamo inoltre profondamente convinti, e non da ieri, che l’Europa abbia bisogno di una forte connotazione sociale, che guardi insomma prima di tutto alla crescita e agli investimenti per poter finalmente uscire dalla crisi e dare risposte concrete alle difficoltà dei suoi cittadini e delle sue cittadine". Intanto dal Consiglio d’Europa arriva una bacchettata al nostro Paese e lo invita a "migliorare la capacità di accoglienza del proprio sistema di asilo e le politiche di integrazione, prevenire la tratta di esseri umani e combattere la corruzione nel campo dei servizi collegati all’immigrazione". Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Il nuovo Lingotto renziano Dieci anni fa Walter Veltroni disegnò al Lingotto un partito "dall’ambizione al tempo stesso non autosufficiente ma maggioritaria". Da domani il Lingotto, per tre giorni, è di Matteo Renzi che tenta una rentrée in grande stile di Beatrice Rutiloni Tantissima acqua è passata. Ma Renzi riparte da lì. Dopo lo stop del referendum, dopo le dimissioni, dopo tutto. Ha preso la valigia con le rotelle questo ex sindaco, ex premier, ex golden boy della politica italiana e si è rimesso in coda, come tanti, col solo bagaglio a mano. Dall’io al noi il passo non è poi così lungo, basta accorciare le distanze, mettersi tutti sullo stesso piano, parlare, confrontarsi. Come si fa d’estate, i falò in spiaggia, seduti in cerchio a parlare. Un girotondo di idee. Almeno questo è l’intento. La base è un campo di calcio dove però non ci sono attaccanti, pressing e goal, ma solo palleggi, passaggi, allenamenti. "Il Lingotto è un campo da calcio: 140 metri di lunghezza, 55 di larghezza e 10 di altezza. Quello che abbiamo fatto è trasformarlo in un ovale, circondato da 12 stanze insonorizzate e separate tra loro da pannelli alti 4 metri", spiega infatti Gramigni. E qui c’è da fare il punto sul personaggio: classe 1957, trent’anni di concerti alle spalle, ha iniziato con Lucio Dalla a Firenze il 25 aprile del 1979, poi Patti Smith, Peter Gabriel, i Radiohead. Uno che la musica ce l’ha nel sangue, come ha nella memoria il volto di Enrico Berlinguer, "ho cominciato a interessarmi di politica con lui", uno che a Massimo D’Alema, in un confronto sul referendum costituzionale, ha detto "se avessi letto i quaderni di Gramsci voteresti Sì", uno che per spiegare il Lingotto dice così : "Se la musica nel mondo è un linguaggio universale che tiene insieme donne e uomini allora è Lingotto: qui ognuno verrà a suonare uno strumento, la partitura la scriveremo insieme". La selezione musicale della Woodstock renziana è affidata a Veronique "una che la musica la sente prima che arrivi a tutti: i Muse li ha scoperti lei". La musica delle idee della politica che costruirà la mozione di Renzi verrà fuori al termine di questo lungo week end dove in ognuno dei 12 tavoli suddivisi per temi lavoreranno 50 persone, mentre l’ovale centrale ne contiene circa 800, il tutto rigorosamente in streaming, "di più, in megastreaming: chi si collegherà per seguire i lavori dal web potrà accedere a ciascuno dei tavoli perché saranno tutti on line. Altro che cinquestelle". C’è solo un piccolo problema che impensierisce Gramigni: "Juve-Milan venerdì sera. Sarà dura tenere i lingottiani ai tavoli ma in questo caso confidiamo sulle nuove tecnologie: una volta la domenica a pranzo si stava con le radioline alle orecchie, adesso ci sono gli smartphone!". Al di là di tutto questo, c’è l’aspettativa per la rentrée in grande stile dell’ex segretario, con il programma che ha in mente per riconquistare la leadership del Pd, e tutto il resto che forse verrà. Vai al sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ 4,6 milioni di poveri e sconto fiscale ai ricchi In un Paese in cui vi sono 4,6 milioni di poveri e in cui si riesce solo a promettere un sostegno da 480 euro a 400 mila famiglie appena, si fanno sconti fiscali ai ricchi stranieri. Piaceri della legge di stabilità che ha deciso di aprire la strada a una "Flat Tax" per "catturare" i milionari che dopo la Brexit decideranno di abbandonare Londra. di ANGELO GENTILE Bisognava rendere appetibile l’Italia, dare un impulso alla Milano finanziaria. E così nel paese in cui vengono nascosti al fisco, in vari modi, oltre duecento miliardi di euro, ecco che arrivano anche i saldi fiscali. Dopo l’evasione e l’elusione ecco una vera e propria "premiazione". Il mondo alla rovescia: le tasse le pagano per intero i lavoratori a reddito fisso e ritenuta alla fonte; i ricchi, invece, vanno corteggiati consentendo loro di cambiarsi più agevolmente la Panamera a fine anno. Il meccanismo è semplice. Si presenta la dichiarazione dei redditi riferita all’anno in cui si è scelta l’Italia come paese di residenza fiscale e si risolve il problema con l’Agenzia delle Entrate con un versamento di centomila euro. Il ricco può anche avere famiglia, però, e allora uno sconto bisogna praticarlo anche al coniuge e agli eredi: un quarto dell’imposta pagata dal capofamiglia, venticinquemila euro. È il bello della globalizzazione che non conosce la socialità; che si contende i ricchi ma dimentica i poveri considerando contemporaneamente un fastidio gli immigrati; questo è il bello di uno stato da sempre forte con i deboli ma estremamente malleabile con i forti e, soprattutto, con gli abbienti. Da noi non vale l’urlo di Brenno: "Guai ai vinti"; da noi si urla: "Guai ai nullatanenti". Purché siano veri, perché nei confronti di quelli fasulli con yacht nel porticciolo turistico più vicino, villone a Cortina per l’inverno e un chilometrico conto in qualche banca siste¬ma¬ta in un paradiso fiscale (7.600 miliardi di dollari che scompaiono dai radar fiscali di tutte le agenzie delle entrate di questo mondo), normalmente manifesta grande comprensione. Semmai chiudendo definitivamente gli occhi con una opportuna voluntary disclosure. |
Migranti I nuovi processi d'integrazione PRESENTAZIONE DELLA RICERCA: I processi di integrazione dei giovani italiani all’estero e dei giovani migranti e delle seconde generazioni in Italia: i casi di Zurigo, Bruxelles, Barcellona, Milano, Roma e Napoli Ecap, Zurigo, 9 marzo 2017 - Neugasse 116, 8005 Zurigo Dalle 18.30 alle 20.30 INTRODUCE G. Bozzolini - Direttore Ecap Suisse INTERVENGONO E. Galossi - Coordinatore della ricerca FdV L. Di Pasquale, F. Marra, D. Perollo, M. Lento, S. Bonavia e P. Rustico - Ricercatori COORDINA G. Tedesco - Vice Direttrice Ecap Suisse CONCLUDE F. Fammoni - Presidente Fondazione di Vittorio |
LETTERA O Socialismo… o The Donald Commento all’editoriale del 23 febbraio: se i democratici americani, anziché insistere sulla famiglia Clinton, avessero scelto Sanders, oggi non avremmo The Donald... Lettera firmata, Trieste |
LETTERA UNA STORIA DA FAR CONOSCERE "Sciopero di due ore su ogni turno, alla Oerlikon di Rivoli per protestare contro il licenziamento di un operaio invalido al 100 %. Per tutta la giornata di mercoledì 8 marzo Fiom, Fim e Uil hanno proclamato lo stato di agitazione e definito «inaccettabile» la decisione dell’azienda, leader nel campo della produzione di ingranaggi e componenti per la trasmissione. Per il futuro non è escluso il ricorso a un’intera giornata di sciopero a livello nazionale che coinvolga anche gli altri stabilimenti piemontesi e il sito di Bari. Protagonista involontario della mobilitazione sindacale è Antonio Forchione, 55 anni, appena rientrato al lavoro dopo un lungo periodo di convalescenza. «Ho subito un trapianto di fegato a luglio e, lunedì scorso ho rimesso piede in azienda, scoprendo di essere stato licenziato. La motivazione? Ho una disabilità del 100% e non posso più stare in officina. Insomma, sono diventato inutile. Io però penso che potrei continuare a fare lavoro d’ufficio o di magazzino, anche demansionato». Dopo 37 anni di lavoro, 27 trascorsi nella fabbrica di Cascine Vica, ad Antonio mancano ancora 5 anni per raggiungere la pensione: «L’azienda non ha informato le Rsu e ha fatto offerte ridicole al lavoratore, che giustamente le ha rifiutate – spiegano i rappresentanti sindacali –. Non si può trattare in questo modo un uomo che ha dato buona parte della sua vita per la sopravvivenza di questo stabilimento». Siamo arrivati a questo punto nello scivolare all’indietro della condizione materiale di lavoro e di vita, nell’inasprirsi ulteriore delle logiche di sfruttamento, nello smarrimento globale che investe il mondo del lavoro, nell’incapacità di trovare ragioni di solidarietà. Per fortuna, in questo caso, sembra emerga un sussulto di responsabilità, un guardarsi in faccia, un dirsi – appunto – "ma dove siamo arrivati?". L’immutabile logica del padrone deve ritrovare il contrasto forte di una affermazione dell’altrettanto insopprimibile ragione di classe. Altrimenti, di caduta in caduta, si arriverà al fondo del ritrovarsi in una condizione simile a quella antica dei servi della gleba Franco Astengo, Savona |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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