L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., centro socialista italiano all'estero, fondato nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 2 marzo 2017 |
IPSE DIXIT Film senza una vera trama - «Joel Coen rimarcò il fatto che "il film non aveva una trama vera e propria, e ciò ci portò a riflettere su questo punto, e fu per questo che inserimmo il gatto"». – Wikipedia, “A Proposito di Davis”
Maggie Stiefvater, Vitruvian Cat |
8 marzo 2017 Cortei e scioperi in tutto il mondo In tutto il mondo e anche in Italia per l'8 marzo 2017 si organizza lo sciopero delle donne per rifiutare la violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. Cortei, assemblee, manifestazioni creative per porre al centro ancora una volta la trasformazione radicale della società.
''Se le nostre vite non valgono, scioperiamo'' dicono le femministe che chiamano all'adesione dell'8 marzo dopo aver partecipato a Bologna il 4 e 5 febbraio alle assemblee di preparazione. Tanti i motivi per farlo tra cui la rivendicazione dell'applicazione della legge sull'aborto, molto spesso e tragicamente inapplicata (un nervo perennemente scoperto in Italia come dimostra il recente caso del concorso all'ospedale San Camillo per l'assunzione di due medici non obiettori per garantire l'attuazione della 194, immediatamente al centro di polemiche) ; l’educazione alle differenze come formazione culturale e scolastica sin dall’asilo nido per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere, non solo per pari opportunità ma per dire basta ai modelli stereotipati di femminilità e maschilità; la rappresentazione delle donne e del loro corpo rovesciando linguaggio e immaginario sessisti e misogini. (Ansa/Adl) |
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EDITORIALE Per una Politica di programmi di Andrea Ermano Che cosa dovrebbero fare i concorrenti alla leadership del PD? Devono puntare a una maggioranza "bulgara" in vista del prossimo congresso di partito? O cercare di assicurarsi un punto di vista consistente sulle cose a venire? Oltre a questi due, c'è sempre un terzo modo di posizionarsi nel confronto politico: l'eliminazione dell'avversario. Tema vecchio di mezzo millennio, di cui scrisse il segretario fiorentino, Nicolò Machiavelli, con mani ancora dolenti, rese storpie dalle gravi torture subite. Tre sono i modi per l'acquisizione del consenso necessario a esercitare il potere: 1) il possesso di una capacità di conoscere il da farsi: gouverner c'est prevoir, dicono i francesi; 2) il possesso di ricchezze tali da consentire le varie forme della regalia; 3) il possesso di forza di fatto sufficiente a battere gli avversari. Il buon governo, secondo una lunga tradizione di pensiero, dipende dall'egemonia culturale del primo fattore: conoscere per deliberare. Senonché, tra l'amore per la conoscenza e il desiderio di ricchezza sussiste una sorta di conflitto delle razionalità, perché un conto è la nozione del bene pubblico, un altro la massimizzazione del profitto in senso privato e particulare. Aut aut. Bisogna allora vedere quale ratio, tra le due "concorrenti", riesce di volta in volta ad aggiudicarsi l'alleanza con il fattore della forza. Ma se la ragione deve allearsi alla forza, e domarla, è allora qui che passa, da Platone a Gramsci, il nervo scoperto dell'egemonia culturale. Perché occorre realizzare l'alleanza, ma anche evitare il prevalere della forza sulla ragione. Altrimenti ne scaturisce una mera eversione, che in termini tecnico-giuridici si può definire "rivoluzione politica", ma che poi, anche se conquista il Palazzo d'Inverno, anche se crea uomini "nuovi" per decreto sovrano, anche se versa sangue a scopo didattico e conquista il cuore dello Stato, in conclusione non muta in nulla ciò che è nei cuori e nelle coscienze degli uomini: un "dio fallito", per dirla con Silone.
Ma torniamo al PD. Come a ogni tornante della vicenda politica, c'è chi si dà da fare nel libero mercato delle tessere. E c'è chi celebra, o vorrebbe celebrare, costituenti e conferenze programmatiche. Nella Prima repubblica la maggioranza "dorotea" della DC si occupava attentamente delle tessere. Le sinistre, invece, almanaccavano sulle «magnifiche sorti e progressive». Resta memorabile la grande conferenza "dei meriti e dei bisogni", promossa dal PSI, e in particolare da Claudio Martelli, a Rimini nel 1982. Rimini ha rappresentato un esempio di Politica con la "p" maiuscola perché, alla ricerca dei possibili soggetti di un riformismo moderno, focalizzò una maggioranza sociale che ha nel seguito alimentato a sinistra la cultura di governo durante un quarantennio di storia repubblicana. Deinde philosophari. Ma tutto finisce e la crisi planetaria in atto costringe anche la Politica con la "p" maiuscola a una profonda riflessione. Siamo in mezzo a un sisma antropologico. Tre libri sul tema: Breve storia del futuro dell'economista francese Jacques Attali (già consigliere di Mitterrand), Il postumano della filosofa femminista italo-australiana Rosi Braidotti e Homo Deus dello storico israeliano Youval Harari. Il quale riassume la destinazione della storia universale in tre semplici step: i) Homo sapiens conquista il mondo, ii) Homo sapiens dà un senso al mondo, iii) Homo sapiens perde il controllo.
Kurt Iverson, Vitruvian Robot Attali, Braidotti e Harari sono tre intelletti di prim'ordine, appartenenti a tre generazioni diverse, a tre continenti diversi, a tre discipline diverse, approcciate con metodi di ricerca diversi. Ma concordano su questa diagnosi: siamo a una soglia. Rispetto alla quale soglia occorre ripensare "la vita oltre l'individuo, oltre la specie, oltre la morte" (Braidotti). In effetti, se consideriamo la globalizzazione dal punto di vista dell'ideale cosmopolita, per il quale ogni essere umano è "cittadino del mondo", rischiamo il capogiro. I processi planetari più importanti per la nostra vita – la pace, l'ambiente, il lavoro, la finanza, la giustizia e la legalità, l'alta tecnologia e financo la biologia umana – sembrano sfuggire a ogni "controllo", tanto collettivo quanto individuale. Dopodiché, certo, non ogni speranza è perduta. Se solo riuscissimo a imboccare la prospettiva di una associazione democratica mondiale... Forse lo si potrebbe, perseguendo il principio per cui "il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti". Ma questo, si sa, è ancora Carlo Marx… Dixi et salvavi animam meam (Attali). <> Insomma, per definire una Politica è consigliabile non partire dalla leadership, che serve a poco se è vero che poi si consuma velocemente, in assenza di cultura e programmi. Quindi la via delle conferenze, dei dibatti, delle analisi e del confronto delle idee – per quanto sostanzialmente impervia e apparentemente ingenua – resta la via giusta. Il nucleo di una possibile riflessione programmatica di merito s'impernia, a nostro giudizio e non da oggi, nello sforzo di pensare il combinato disposto tra un servizio civile universale e l'introduzione, grazie anche a strumenti finanziari innovativi, di un salario di cittadinanza. Buona notizia. In quest'ambito è stato compiuto un passo avanti. Il Governo ha licenziato un decreto legislativo contenente interessanti elementi di novità. L'Italia ha voluto “rafforzare il servizio civile quale strumento di difesa non armata della Patria ai sensi degli artt. 11 e 52 della Costituzione, di educazione alla pace tra i popoli e di promozione dei valori fondativi della Repubblica”, si legge nel comunicato ufficiale. Parrà estemporaneo, ma qui il plauso è doveroso. Un plauso che va ai governi Renzi e Gentiloni, nonché ai ministri Bobba e Poletti. Si tratta di un provvedimento molto rilevante, perché il carattere universale del Servizio allo Stato riporta alla luce della dimensione pubblica il concetto di dovere di cittadinanza, al quale è possibile collegare il diritto a un salario di cittadinanza, tema di cui finalmente s'incomincia a discutere in modo concreto, fuoriuscendo dalla glaciazione del pensiero unico neo-liberista. E qui il merito va al Movimento Cinque Stelle, che prima o poi dovrà scegliere, tuttavia, se stare con la Lega o con il Centro-sinistra. Se il punto archimedeo per una riemersione della Politica sta e cade con le prospettive di una pacifica mobilitazione generale della società, e cioè con la capacità di aggredire collettivamente le vere questioni sul tappeto, allora ogni seria riflessione politico-programmatica dovrebbe prendere le mosse da questo "strumento degli strumenti" che è il servizio civile universale. Ma poi l'elaborazione di un necessario collegamento tra servizio civile e salario di cittadinanza rappresenterà solo un aspetto della questione. Occorrerà pensare altresì la democrazia nel servizio civile, intendendo questo come luogo ospitale verso forme di partecipazione e gestione diretta. Anche l'apertura ai cittadini UE come pure l'apertura agli immigrati, due ragguardevoli misure previste dalle nuove norme, possono preludere a importanti sviluppi, sia nel senso della gestazione di un Servizio civile europeo (causa, questa, per la quale l'Italia deve battersi con energia a Bruxelles), sia in direzione di un Servizio civile migranti, nel quale e grazie al quale promuovere un'accoglienza dignitosa e universale dei profughi, ma, contemporaneamente, orientata al rafforzamento delle strategie di sostegno allo sviluppo. |
Da CRITICA LIBERALE riceviamo e volentieri pubblichiamo Quale socialismo La fine del PSI non ha portato con sé anche quella dei socialisti che ci sono un po’ in tutta Italia raccolti in circoli, gruppi, attorno a riviste; desiderosi che qualcosa di serio rinasca, ma paralizzati dall’incapacità di parlarsi come si deve e all’altezza del tema in oggetto. di Paolo Bagnoli Recentemente da uno dei pianeti del frammentato cosmo socialista è stata riproposta la figura di Filippo Turati nel tentativo di stimolare l’avvio di una discussione culturale propedeutica a uno sviluppo positivo della questione politica. Il fatto è meritevole di una qualche attenzione per due sostanziali motivi: il primo riguarda la conoscenza del leader fondativo del socialismo italiano; il secondo perché il solo riferimento a Turati evoca, subito, suggestioni che interrogano il nostro presente e, tanto più, ciò vale per chi continua a credere, nonostante le repliche amare della nostra storia recente, che il problema del socialismo in Italia continui a essere all’ordine del giorno. E lo è tanto più se si vede come una rinascita ideale-politico-organizzativa non solo stenta ad alzare la testa, ma, pregiudizialmente, a porsi nella condizioni per cercare di rialzare la testa. Le osservazioni un po’ fanciullesche che, in perfetta buona fede peraltro, ogni tanto si alzano da questi ambienti per ammonire che uno spazio di ripresa ci sarebbe, non costituiscono un dato politico. In politica, infatti, lo spazio c’è sempre che lo si sappia conquistare e non è sufficiente lanciare una qualche iniziativa perché ciò avvenga. Occorre programmare un progetto che segua organicamente all’intenzione e le possibili, subito agguantabili, soluzioni organizzative, sono solo una corsa sul posto. Occorre all’intenzione far seguire la chiarezza sulle idealità, su come si vuole stare nella storia, quali forze si vuole rappresentare; significa fare dell’intenzione un progetto politico e muoversi lungo la definizione che ci offre un pensiero compiuto. E, significa altresì, puntare a dare forma al soggetto che non può essere il vecchio Psi travolto dal craxismo ma dalla vicenda del Psi, il soggetto storico per eccellenza del socialismo italiano non si può nemmeno prescindere in un rapporto serio di continuità di funzione storica e di innovazione metodologica. Naturalmente occorrono idee che tengano conto della lotta che occorrerebbe aprire nel presente storico che viviamo senza, con ciò, inseguire il presentismo poiché la rinascita del socialismo in Italia implica una non eludibile scommessa con la storia. Una scommessa duplice in quanto a essa è legata la più generale questione della sinistra; di quella vera, anch’essa cancellata soprattutto per responsabilità delle scelte compiute dai postcomunisti dalla fine del Pci in poi. Crediamo che una delle ragioni per cui nulla di effettivamente fattuale esista per ricostituire un soggetto socialista dipenda dal fatto che ancora non siano stati fatti seriamente i conti con la stagione di Bettino Craxi. Questo grumo irrisolto impedisce di avere quella pagina bianca su cui scrivere una nuova storia nonostante che l’insieme della vicenda stessa del Psi offra un canone storicamente e culturalmente alti, tali da permettere di avere un riferimento complessivo, ricco e articolato, per una ripartenza negli anni 2000 anche se la storia non si ripete e il passato non si cambia. Il discorso, naturalmente, è complesso e richiede intima consapevolezza di cosa esso voglia dire; una consapevolezza che, al momento sicuramente non c’è. Come non mai, nel caso dello specifico socialista, il rapporto tra passato e presente si impone. La vicenda del Psi ci consegna, infatti, un messaggio sociale e pure un contributo di identità che, se viene smarrito o messo in second’ordine, tutto riduce alla miseria dello smarrimento odierno. Infatti, se guardiamo bene, la questione socialista italiana ci sembra come incistata nel solo dover rendere omaggio a Craxi e alla tragedia umana che ha sofferto e che lo ha travolto. Così non si va da nessuna parte e, infatti, tutto è praticamente fermo. Non crediamo al tacitismo, ma senza saper leggere il passato, non solo non si governa il presente, ma si perde di vista – cosa fondamentale in politica – che l’oggi deve ragionare e incidere in funzione del domani. Se ciò non avviene dallo smarrimento si passa all’abdicazione di se stessi e dei propri ideali che è quanto è successo e sta succedendo, pur con gradazioni diverse, al socialismo europeo. La negatività indotta dal blairismo rischia di essere un virus da cui risulta difficile guarire poiché esso cancella del socialismo quella che è la sua ragione, ossia l’alternativa al capitalismo; tanto più alternativistico quanto più questo è barbarico. In fondo l’arrivo di Corbyn in Inghilterra e il farsi avanti di Hamon in Francia, al di là dei risultati legati alle rispettive situazioni, ci dicono della volontà socialista nei due Paesi di recuperare il socialismo alla sua funzione naturale di forza di sinistra, non di cogestione compassionevole del mercato senza regole. E dove il socialismo non assolve al proprio ruolo ecco che, come in Spagna e in Grecia, sorgono forze con la storia nel presente, ma non nella Storia, che ne surrogano la funzione; ma, piacenti o nolenti, il socialismo sta, per molteplici ragioni, solo nei partiti socialisti. Diverso è il caso della Germania ove sembra dato per scontato che Spd e Cdu continueranno, anche dopo le prossime elezioni, nel governo del Paese avendo i socialdemocratici escluso che, anche se ci fossero i numeri, di dar vita a un’alleanza di sinistra. Per il popolo tedesco probabilmente è giunta l’ora di cambiare la guida del governo. Forse nasce da qui l’ascesa della Spd nei sondaggi. Di Filippo Turati, visto che è da lì che partono queste riflessioni, occorrerebbe tenere presente due cose che, quando si parla di lui, vengono sempre ignorate preferendo ricorrere alla formula trita del “riformismo”; un termine che identifica un metodo legalitario di lotta politica. Parlare di “riformismo” ha veramente poco senso oggi poiché non si sa più cosa la parola voglia dire. Per lo più essa è usata oramai da destra e da sinistra per celare un vuoto di identità e di proposta. Di Turati si dovrebbe ricordare, invece, che egli definiva il socialismo quale “rivoluzione sociale” sostenendo che era dovere dei socialisti avere una risposta per ogni problema sociale e politico che si presentava e doveva essere affrontato. Ci sembra un lascito su cui vale la pena di riflettere. Infatti, se ci pensiamo bene, se si vuole provare seriamente a ridare avvio a un processo di ricostruzione vera del socialismo italiano che non si riduca solo ad un’accolita di reduci o a un’adunata dei refrattari, è un po’ difficile sfuggire a ciò. Nagib Mahfuz, egiziano, Premio Nobel per la letteratura nel 1988, ha scritto: «Prima o poi tornerà il socialismo. Il socialismo non morirà mai». Ne siamo convinti anche noi anche se non è poca la differenza tra il prima e il poi. Vai al sito di Critica liberale |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/
Kerenskij, uno di noi Nel centenario della Rivoluzione di febbraio Il 23 febbraio del 1917 (l’8 marzo, secondo il calendario gregoriano) cominciò in Russia la rivoluzione democratica che avrebbe portato all’abdicazione dello zar Nicola II e alla fine dell’autocrazia instaurata dalla dinastia dei Romanov. Il principale leader di quella rivoluzione fu Aleksandr Kerenskij, socialista menscevico, che cercò di formare un’alleanza fra socialisti e liberali per governare la nuova repubblica russa. Il suo tentativo venne stroncato ad ottobre dal colpo di Stato dei bolscevichi, gravido di conseguenze non solo per la Russia ma per l’intero movimento socialista internazionale. Cento anni dopo vogliamo ricordare Kerenskij come uno di noi, e riflettere sulle tragiche conseguenze che ebbe la sua sconfitta. Ne discuteremo mercoledì 8 marzo - ore 17.30 al Circolo “Giustizia e Libertà” Via Andrea Doria 79 - Roma Presiede Luigi Covatta Introduce Luciano Pellicani Intervengono Ernesto Galli della Loggia, Claudia Mancina e Fabio Martini Conclude Enrico Morando |
SPIGOLATURE Unica uscita dalla sofferenza di Renzo Balmelli STRAPPI. Arroventata dalle polemiche, la politica si è mossa come il classico elefante nel negozio di porcellane nell'avviare un dibattito improrogabile sul fine vita e gli interrogativi posti dall'eutanasia legale. Sottratto alla sfera privata e diventato di pubblico dominio, il destino dell'ex dj Fabo, che ha scelto di sua volontà il suicidio assistito per evadere dalla prigione di una esistenza segnata dal dolore, ha evidenziato una situazione sempre più drammatica sulla quale il legislatore ha steso finora un velo di rinvii. In assenza di una normativa, frenata dall'assillo di evitare strappi su un tema controverso, la via d'uscita dalla sofferenza resta il mesto pellegrinaggio all'estero, il viaggio senza ritorno per rivendicare il diritto a una morte dignitosa. In un vortice di sentimenti contrastanti, sembra però impossibile affrontare il delicatissimo argomento in modo razionale. E certo non saranno le sporadiche fiammate mediatiche a suggerire la soluzione. BRUTTURE. Un uomo folgorato alla frontiera italo-svizzera sul tetto di una carrozza ferroviaria come un condannato alla sedia elettrica. E' stata una fine orribile, l'ultimo, tragico anello del dramma dei migranti; una fuga senza scampo, frutto dell'incoscienza certo, ma anche della paura e della disperazione. Casi analoghi purtroppo non sono sconosciuti e gettano una luce livida sulla infinita odissea dei profughi che si consuma tra l'assuefazione, l'indifferenza e spietati episodi di prevaricazione dell'uomo sull'uomo destinati il più delle volte a rimanere impuniti. Forse non riusciamo nemmeno a immaginare che impasto di brutture sia il calvario di chi si trova alla mercé della follia umana e di sordidi interessi. Costa fatica dirlo, ma che cos'è questo interminabile, crudele stillicidio di vittime innocenti se non una gigantesca epurazione, poiché questo è il suo vero nome anche se il rimorso ci vieta di pronunciarlo. MERCATO. Esiste il capitalismo dal volto umano? Alla domanda il battagliero Giorgio Bocca rispondeva che il capitalismo non aveva un'anima e quindi era insensibile alla compassione. Dare un contenuto morale al capitalismo, è stata la missione di Michael Novak, il filosofo americano spentosi nei giorni scorsi, considerato uno dei protagonisti della controversa "rivoluzione reaganiana". Il maggiore intellettuale cattolico degli USA, profeta del libero mercato, diffidava dello Stato e, bontà sua, si professava contrario al socialismo. Il punto è capire di quale capitalismo parliamo. Il proposito di conferirgli una valenza spirituale vacilla al cospetto delle sue manifestazioni più rozze che mantengono grandi masse in condizioni di estrema indigenza. Anche il socialismo, come ogni idea degna di questo nome, è perfettibile, ma il postulato per un mondo migliore sul quale si fonda lo distingue comunque in modo netto dal capitalismo senza etica. RIARMO. Se persino i generali mostrano evidenti segni di inquietudine per i bellicosi proclami di Trump, qualcosa non fila per il verso giusto. A poco più di un mese dall'insediamento del Presidente le promesse di un approccio ragionevole ai temi della sicurezza, hanno lasciato il posto a minacce di riarmo nucleare che disorientano l'opinione pubblica mondiale. Per ora solo di retorica si tratta, per quanto irresponsabile e pericolosa. E dopo? Nemmeno i mirabolanti proclami del primo discorso presidenziale davanti al Congresso, sono valsi a placare i dubbi sul possibile ritorno in grande stile all'epoca della guerra fredda. Già ora le relazioni tra Washington e Mosca, per nulla intenzionata a porgere l'altra guancia, sono al livello più basso e in queste condizioni l'ultima cosa di cui si avverte il bisogno è la comparsa di un novello dottor Stranamore, il personaggio di Kubrick che ha imparato ad amare la bomba senza curarsi delle conseguenze. SOGNO. Gente che costruisce il consenso sul " contro" piuttosto che sul " con" difficilmente ha a cuore il benessere dei suoi simili. Si è avvertito un brivido alla burrascosa serata degli Oscar, segnata da una gaffe memorabile per le buste scambiate, quando il regista iraniano Farhadi, offeso dallo "islam ban", ha consegnato il suo messaggio contro la divisione del mondo tra "noi" e "i nostri nemici". Quel Muro trumpiano che diffonde una visione manichea della società è un oltraggio planetario all'umanità che avvilisce il mito del sogno americano di cui trabocca "La La Land", favoritissimo della vigilia, e al quale è mancato un soffio per il trionfo finale. A detta di chi c'era potrebbe essere stata un'abile provocazione "dadaista" della Hollywood in cui tutto è possibile, tesa a dimostrare che nell'attuale clima politico di spazio per i sogni ce n'è ben poco. Cambierà? Per saperlo dobbiamo attendere che il tempo e il cinema ce lo dicano. SCONTRO. Tutti i pronostici pendono dalla sua parte, eppure la destra francese, da quella repubblicana alle frange frontiste, si accinge a scalare l'Eliseo con una pagella non proprio immacolata. Sia Francois Fillon, sorpreso a tessere con la moglie Penelope una tela con qualche grinza di troppo, sia Marine Le Pen, alla quale l'Europarlamento intende revocare l'immunità, sono entrati in rotta di collisione con la magistratura di cui contestano l'operato. Agli occhi dei lettori italiani più smaliziati lo scontro tra politica e giustizia ha il sapore di un déjà vu, mentre in Francia aggiunge motivi di incertezza a una contesa elettorale già surriscaldata e che mostra un Paese profondamente diviso sui grandi temi del momento: l'immigrazione, il terrorismo, l'Europa. Quanto i guai di Fillon, che rischia di essere indagato a poche settimane dal voto ma resta comunque in corsa, sposteranno o toglieranno consensi alla deriva nazionalista del FN è un terreno sul quale i sondaggisti esitano ad avventurarsi. In questo contesto oltremodo frammentato la "gauche" avrebbe la sua parola da dire se non fosse prigioniera delle divisioni che aprono la porta al populismo. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Io, rifugiato, pagato a voucher Toudo è scappato dai terroristi in Mali ed è arrivato in Italia dove oggi vorrebbe costruirsi un futuro. “Quello che chiedo è di poter contare su qualcosa alla fine di ogni mese” di Fabrizio Ricci Sembrerà strano, ma questa, che è una storia sull’uso e l’abuso dei voucher nel nostro Paese, comincia in un mercato di Mopti, in Mali, e per l’esattezza dietro un bancone del pesce. Toudo fa questo nella vita, vende pesce, e non lo pagano a voucher, ancora. Il banco è di suo padre, quindi quello che incassa, tolte le tasse che deve versare ai padroni del mercato, lo divide con lui. Poi, un giorno, a pochi metri dal banco del pesce scoppia una bomba. Una bomba in mezzo al mercato, rivendicata dal movimento Ansar Dine, uno dei gruppi fondamentalisti islamici che tormentano il Paese. Ci sono morti, feriti, c’è il panico. Toudo sente che la sua vita è in pericolo e scappa, come farebbe chiunque. La prima tappa è la vicina Algeria, ma lì non si può restare e allora il viaggio prosegue verso la Libia, che però, come sempre, è un inferno per quelli come lui. Un giorno nel quartiere di Tripoli dove Toudo si è rifugiato arriva un camion della spazzatura, scendono uomini armati, sono paramilitari. Con i fucili puntati caricano lui e altri 300, come sacchi dell’immondizia, e li portano in prigione. Per uscire, dopo una settimana di bastonate e angherie, bisogna pagare circa 350 euro, che per chi arriva dal Mali o dal Gambia sono tantissimi. Ma di soldi ne serviranno ancora di più per imbarcarsi e scappare ancora, stavolta verso l’Europa. “La Libia – dice Toudo – è come un buco nella sabbia: entrare è facile, ma uscire è difficilissimo”. L’unico modo è pagare, stavolta 1.000 euro, i risparmi di una vita. Con quelli si può salire su una barca che potrebbe contenere al massimo 50 passeggeri, ma in realtà ce ne sono 109. Tutti uomini, con qualche bambino di 11-12 anni. “L’idea all’inizio era di arrivare in Francia, ma spesso i programmi che uno si dà si scontrano con la realtà delle cose e ora vivo e sto bene qui in Italia”, spiega Toudo, che dopo due anni di progetto Emergenza sbarchi e di Sprar (il sistema di protezione per i richiedenti asilo) da cinque mesi è in totale autonomia, vive in Umbria, in affitto con un amico (350 euro in due) e ha un permesso di protezione sussidiaria, che gli consente di lavorare. Così, già durante il programma di assistenza, si è recato prima al Centro per l’impiego, poi in un’agenzia interinale, e ha anche fatto un corso per magazziniere e conseguito il patentino di mulettista. Insomma, non è stato con le mani in mano, ma l’unica proposta che ha ricevuto richiedeva un requisito per lui impossibile da soddisfare: essere automunito. Quindi, niente da fare. Allora, da buon aspirante italiano, si è affidato alle relazioni personali e qualcosa ha trovato. Lavoretti, di giardinaggio, potature o cose simili, per conto di un italiano che lo pagava a fine giornata, naturalmente in nero, 30 euro per otto ore di lavoro. Poi la seconda esperienza e la scoperta dei voucher: “Una coppia di italiani mi ha utilizzato per due mesi di raccolta delle olive – racconta Toudo –. Lavoravamo tutti i giorni quando non pioveva, otto ore al giorno. Alla fine ho messo in tasca 789 euro, dei quali 112 in voucher e il resto in nero”. C’erano diversi africani a raccogliere le olive con Toudo, tutti pagati un po’ con i voucher e un po’ in nero. “In realtà – precisa lui – alcuni mie amici non li hanno pagati proprio e hanno dovuto chiamare i carabinieri per ottenere quanto gli spettava”. Agli occhi del giovane africano, probabilmente, lavoro nero e voucher non sono poi molto diversi: qualche centinaia di euro, utili a pagare l’affitto e qualcosa da mangiare. Ma l’obiettivo così non è raggiungibile: “Io vorrei costruirmi un futuro qui, perché mi trovo bene, ho imparato l’italiano, ho conosciuto persone in gamba. Per questo cerco un lavoro fisso, anche con uno stipendio basso, non importa. Però – conclude – vorrei poter sapere che alla fine del mese posso contare su qualcosa”. |
ECONOMIA L’Italia e le nuove Vie della Seta Con la recente visita del presidente Sergio Mattarella l’Italia e la Cina si impegnano a promuovere una cooperazione a tutto campo di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista La Via della Seta è nel dna dell’Italia. Non è un caso che furono italiani, in particolare Marco Polo e il padre gesuita Matteo Ricci, a far conoscere la Cina in un’Europa che coniugava il localismo con le ambizioni colonialiste. Con la recente visita del presidente Sergio Mattarella l’Italia e la Cina si impegnano a promuovere una cooperazione a tutto campo, a cominciare dalla fattiva partecipazione alla realizzazione del grande progetto infrastrutturale “One Belt One Road” (OBOR), cioè la Nuova Via della Seta, sia terrestre che marittima. Le ricadute in campo industriale, tecnologico, occupazionale e, evidentemente, anche geopolitico potrebbero essere veramente rilevanti per il nostro Paese. Per cominciare, la delegazione imprenditoriale italiana ritorna con un carnet di accordi economici per oltre 5 miliardi di euro nei settori più disparati, dall’agroalimentare all’esplorazione dello spazio, dai trasporti alle nuove tecnologie, dalla ricerca alla cultura. Ma è proprio il progetto OBOR a rappresentare la grande sfida soprattutto per l’Italia, che, come ha ribadito il presidente Cinese Xi Jinping, “offre vantaggi imparagonabili quale porta tra Oriente e Occidente”. L’OBOR prevede la costruzione di una serie impressionante di infrastrutture, tra ferrovie, autostrade, porti e snodi logistici. Le sfide per l’Italia sono anzitutto poste al “sistema Paese”, visto che spesso le individualità non mancano. Il governo italiano e le relative istituzioni dovrebbero muoversi in modo organico e strutturato sui mercati internazionali. Le visite istituzionali “apripista” sono essenziali, ma il vero “sistema Paese” lo si vede dopo, quando, nel tempo, deve mettere in campo in modo efficace, continuo e non burocratico le varie strutture di sostegno agli investimenti, al credito, all’export, ecc. Lo stato italiano, in verità, ha già un ventaglio completo di enti mirati a questi servizi, ma troppo spesso i nostri imprenditori si lamentano della loro inefficacia, tanto da preferire a volte che non si intromettano nel business perché creerebbero più impicci e ritardi che aiuti. La nostra forza sta nelle Pmi, soprattutto quelle dell’alta e della nuova tecnologia. Agevolare e sostenere la formazione di reti di imprese, che sappiano muoversi in modo efficace nei mercati internazionali, dovrebbe essere l’impegno principale e costante. In questo campo, noi riteniamo che il modus operandi della Germania sia quello vincente. Le industrie tedesche, grandi e piccole, si muovono costantemente nel mondo per sottoscrivere importanti contratti, sempre affiancate dal governo e dalla banca nazionale di sviluppo KFW, che è l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti. Non si dimentichi che partecipare alla realizzazione delle Nuove Vie della Seta significa essere coinvolti in un progetto epocale, straordinario, di corridoi di trasporto, di sviluppo e di urbanizzazione che richiedono la capacità di lavorare in settori complessi e multifunzionali. Infatti esse coinvolgeranno direttamente numerosi Paesi con un mercato vastissimo, prevedendo una crescita della classe media di ben tre miliardi di persone entro il 2050 e un aumento del commercio mondiale di ben 2.500 miliardi di dollari in dieci anni. Il corridoio marittimo collegherà la Cina con l’Europa passando attraverso il rinnovato Canale di Suez. Perciò il Pireo dovrebbe diventare un importante hub logistico. Ma l’aspetto più importante verterà intorno al ruolo di cerniera giocato dal Mediterraneo. Al riguardo il nostro Mezzogiorno, con i suoi porti e attraverso lo sviluppo delle autostrade del mare, potrebbe davvero diventare lo snodo dei collegamenti verso il nord dell’Europa e, sotto molti aspetti anche più rilevanti, verso l’intero continente africano. Si tenga presente anche il fatto che la Cina da tempo sta lavorando per connettere il citato OBOR con il corridoio infrastrutturale russo, il TransEurasian Belt of Development, conosciuto come “Progetto Razvitie”, che collega l’Europa con Mosca fino al porto strategico di Vladivostok sull’Oceano Pacifico. Infatti, la città russa di Kazan sta diventando lo snodo centrale di collegamento tra i due corridoi. Questi progetti intercontinentali di sviluppo infrastrutturale richiedono ovviamente grandi linee di credito e notevoli finanziamenti. La Cina, di conseguenza, ha già creato l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), a cui anche l’Italia e altri 50 Paesi hanno aderito. Questa banca sarà essenziale per i necessari finanziamenti ma, speriamo, potrebbe diventare promotrice di nuove forme di finanza produttiva e non speculativa. E’ certo che il legame tra un differente sistema bancario e finanziario e lo sviluppo reale dell’economia potrebbe gettare le basi per un nuovo e più equo sistema finanziario e monetario internazionale. In definitiva, anche per gli stretti legami storici, culturali e “di simpatia” tra Cina e Italia, il nostro Paese potrebbe diventare l’attore privilegiato nei rapporti tra Cina ed Europa. E’ una prospettiva strategica quanto mai entusiasmante. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ SCENARI EUROPEI Il Presidente della Commissione europea, Juncker presenta cinque scenari post Brexit per l'Ue. Pittella: "Libro bianco delude, nessuna indicazione politica". Moscovici: "L'Ue forte disturba, vogliono smantellarci, dalla Russia alle iniziative di Trump" e sulla manovra correttiva dell'Italia: "L'Europa non chiede un aggiustamento irrealistico". Sul futuro di un’Europa sempre più divisa e in affanno, arriva a dare prospettive il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che oggi presenta al Parlamento europeo il suo Libro bianco sul dopo Brexit. “Possiamo essere orgogliosi di quanto abbiamo realizzato – ha spiegato in un comunicato il presidente dell’esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker – i nostri giorni peggiori del 2017 saranno in ogni caso di gran lunga migliori rispetto a uno qualsiasi dei giorni che i nostri antenati hanno trascorso sul campo di battaglia. Con il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma è giunto il momento per una Europa unita a 27 di definire una visione per il futuro”. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha telefonato al Presidente Paolo Gentiloni per discutere del summit per i 25 anni dei Trattati di Roma, in agenda il 25 marzo nella capitale e per parlare del futuro dell’Europa. Proprio in vista del summit Juncker in 26 pagine fa lo sforzo di guidare i Paesi membri verso una possibile strada, ma senza imporre soluzioni. Il libro traccia cinque possibili percorsi fino a dicembre, e nessuno degli scenari previsti però impone la revisione dei Trattati. Il documento illustra infatti gli scenari verso i quali l’Europa potrà dirigersi da qui in avanti, alla luce degli ultimi avvenimenti che sembrano aver fatto vacillare la stessa idea dell’Europa e che vede populismi e nazionalismi cavalcare con sempre maggiore foga il Vecchio Continente in crisi. Scenario 1: Proseguire in questo modo - Nessun cambiamento e tutto viene lasciato nelle mani dei singoli Stati membri responsabilità fondamentali come il controllo delle frontiere. Scenario 2: Uniti nel Mercato unico - Con questa prospettiva la missione principale sarebbe il mercato unico, ma così l’UE si troverebbe ad affrontare elevati rischi per l’euro e l’Eurozona sarebbe vulnerabile anche si fronte a nuove crisi finanziarie. Scenario 3: Chi vuole di più faccia di più - È lo scenario dell’Europa a più velocità, basato su “coalizioni di volenterosi” disposti a elaborare politiche comuni su temi come difesa, sicurezza interna, questioni fiscali e sociali, ma verrebbe messa in dubbio la governance dell’eurozona. Scenario 4: Fare meno ma farlo meglio - Si tratterebbe di affrontare meglio alcune questioni come una Frontiera europea e una Guardia costiera, così come una posizione comune in politica estera, tuttavia i Paesi devono prima essere d’accordo tra loro sulle aree in cui vogliono una cooperazione più efficiente. Scenario 5: Fare molto di più e farlo tutti insieme - L’Ue avrebbe più risorse proprie e una sola voce su politica estera e commercio; potrebbe assumere la leadership globale su cambiamento climatico e questioni umanitarie. A Bruxelles si farebbe un lavoro di decision-making “molto più ampio e veloce”, cosa che – ammette la Commissione Juncker – “rischia di alienare quelle parti della società che non credono nella legittimità dell’Ue”. Tra le cinque opzioni contenute nel libro bianco è proprio questa l’unica ad avere una prospettiva e un futuro. E l’unica che con ogni probabilità sarà rilanciata nella dichiarazione del vertice di Roma del 25 marzo. Contro l’esposizione di queste prospettive arriva il parere del capogruppo dei Socialisti e democratici al Parlamento Ue Gianni Pittella che si dice “deluso” dal Libro bianco di Juncker, “perché ha dato 5 opzioni per il futuro dell’Europa senza sottolineare una scelta politica della Commissione”. Sempre in Parlamento europeo arriva anche l’avvertimento dal Commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici, in audizione oggi in Parlamento per preservare l’Europa. “Siamo in mondo pericoloso, ci sono forze che vorrebbero smantellarci, penso alle politiche americane e alla politica russa, e a forze interne che potremmo temere come la Brexit”. ha detto Moscovici. “Se così tanti vogliono dividerla forse è perché l’Unione è forte e disturba. Serve un sussulto politico per lottare per una Ue più democratica e più efficace anche a livello economico”. Moscovici è intervenuto anche sulla manovra correttiva che il governo italiano si è impegnato a realizzare per far fronte ai rilievi sui conti posti da Bruxelles. La commissione- ha spiegato – “non chiede un aggiustamento di bilancio irrealistico ma progressivo e ragionevole per il rispetto del braccio preventivo del patto di stabilità”. Il commissario si è detto comunque “certo che l’Italia assumerà le proprie responsabilità e il dialogo andrà avanti”. “A titolo personale sono favorevole a concetto estremamente ambizioso di zona euro, di una capacità di bilancio che permetta da una parte di prolungare piano Juncker” e dall’altro di “sostenere una assicurazione minima contro la disoccupazione. Secondo me l’Unione deve andare fino in fondo, e dotarsi di un Tesoro europeo, per una trasformazione progressiva”. In questo modo – ha spiegato – ci sarà “maggiore trasparenza. Noi – ha spiegato – prendiamo decisioni, ad esempio sulla Grecia, che gravano sull’economia dei Paesi. Credo che agiamo con saggezza ma capisco che ci possa essere una richiesta di spiegazioni e apprensione da parte delle istituzioni democratiche, dei Parlamenti e dei cittadini”. Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Nuova bufera sull'Amministrazione Trump Anche il ministro della Giustizia parlò con la Russia. Secondo il Washington Post, Sessions avrebbe avuto più di un colloquio con l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kisliak nel 2016. Il ministro della Giustizia Usa ha smentito di avere avuto contatti con rappresentanti ufficiali russi in qualità di consigliere della campagna elettorale di Donald Trump, per cui era un referente in materia di politica estera. Secondo il Washington Post, Sessions avrebbe avuto più di un colloquio con l’ambasciatore russo a Washington Sergey Kisliak nel 2016 e non l’ha rivelato durante le audizioni al Senato per la sua conferma. Un potenziale sviluppo imbarazzante del ‘Putingate’ che è già costato all’amministrazione Trump le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto a lasciare per aver mentito sui suoi contatti con l’ambasciatore Kisliak. “Non ho mai incontrato funzionari russi per discutere questioni della campagna elettorale. Non ho idea a cosa si faccia riferimento. E’ falso”, ha dichiarato l’Attorney General allo stesso quotidiano, negando seccamente di avere ingannato il Congresso riguardo ai suoi contatti con esponenti russi. La sua portavoce Sarah Isgur Flores ha spiegato che non c’è stato nulla di ingannevole nella risposta di Sessions al Senato, quando gli è stato chiesto se era a conoscenza di contatti tra funzionari russi e la campagna di Trump. L’attuale Attorney general non ha insomma incontrato Kisliak come emissario dell’allora aspirante presidente, ma come senatore, esponente della commissione per le forze armate: cosa del tutto normale, ha detto la portavoce, dato che oltre a quello russo ha visto più di 20 ambasciatori l’anno scorso Vai al sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Le due Italie tra Dj Fabo e il Tribunale di Trento di Antonio Maglie Ci sono due Italie. Una divisione che non riguarda quella tra Nord e Sud, con la Calabria che nei dati reddittuali (come ha svelato l’Agenzia delle Entrate) è distante non migliaia di chilometri ma milioni di anni luce dalla Lombardia. Ve ne è un’altra che riguarda la consapevolezza nei confronti della realtà, la sensibilità per le situazioni che cambiano. Da un lato quella che ogni giorno si confronta col mondo, quella vera; dall’altro quella virtuale (anche nella sua immersione propagandistica nel web) che ciondola tra Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi, soddisfatta (in larga misura) per un posto di lavoro piuttosto redditizio che nella vita reale forse non avrebbe mai trovato e anche per una visibilità che nessuna impresa personale avrebbe potuto garantire a causa della mancanza di talento e di opere da tramandare ai posteri. Le due Italie si raccontano in maniera diversa. Quella vera, ad esempio, in parte, si identifica nel Dj Fabo che in maniera estrema ci ha ricordato che un Paese civile si dota di una legge sul “fine vita”, rispettosa non solo della dignità umana riconosciuta dalla costituzione ma anche di quella più generale che dovrebbe accompagnare tutte le esistenze che quotidianamente si incrociano sulla faccia del pianeta. Evidente questa distanza l’altra sera, nel salottino di Bruno Vespa, quando un parlamentare della Lega, Massimiliano Fedriga, ha spiegato che certo i problemi esistono ma sarebbe sufficiente garantire sostegni a livello economico e assistenziale alle famiglie per eliminare quel desiderio dall’uscita di un dolore che non ha sbocchi alternativi, a parte la morte. Insomma, la questione vecchia come il mondo dell’inutile accanimento terapeutico, con tutto quello che ne consegue a livello emotivo e psicologico, non esiste; il lento dolore del diretto interessato e di coloro che gli sono attorno che si prolunga per anni e decenni nell’attesa che un corpo ormai ridotto allo stato vegetale, ormai incapace di intendere, volere e, soprattutto, in qualche modo interagire con chi gli è attorno, non conta nulla. Alla base di tutto, per il “nostro” parlamentare solo una questione di quattrini. Stranissima opinione considerato che la strada scelta da Dj Fabo (ma anche da Lucio Magri prima di lui e anche da un più anonimo italiano il giorno dopo Fabiano Antoniani si è fatto “assistere”) se la possono permettere, al contrario, solo chi i quattrini li ha. Nessuno di noi è obbligato a seguirla. Ma il testamento biologico di cui tanto si parla è legato a quell’evoluzione della società (anche tecnologica e, in corrispondenza morale) che, come diceva Norberto Bobbio, sollecita non tanto la nascita, ma l’urgenza del riconoscimento di un diritto civile. E questa urgenza è stata prodotta in buona misura dalla ricerca scientifica, dal progresso delle macchine che oggi consentono, al di là di ogni sofferenza o ragione, di prolungare vite che non sono più tali (si pensi al caso di Eluana Englaro). Fornendo una opzione (la sopravvivenza in qualsiasi modo) impongono la necessità di mettere a disposizione di tutti noi uno strumento per decidere cosa fare nel caso si vengano a determinare situazioni individuali ultimative. Il legislatore, insomma, avrebbe il compito di riconsegnare al cittadino una libertà di scelta che il progresso (o le semplici situazioni della vita non prevedibili né governabili) gli confisca. Il Vaticano può tranquillamente sostenere che quella del Dj Fabo è una sconfitta per la società, ma dato che noi siamo tenuti al rispetto delle leggi italiane, allora possiamo dire, con maggiore fondatezza di qualche alto prelato, che la sconfitta è tutta del legislatore italiano che per incuria, indifferenza, incapacità o, peggio ancora, subalternità ai diktat di oltretevere, da anni si volta dall’altra parte e lascia languire nei cassetti proposte che pure sono state presentate. E un’altra Italia rappresenta la Corte d’Appello di Trento che un anno dopo rende di fatto risibili gli scontri parlamentari, le volgari proteste dei cosiddetti leader del Family Day (alcuni dei quali si sono esibiti con la solida leggerezza anche nel caso del Dj Fabo), le vesti stracciate dei troppi “atei devoti” che contribuiscono quotidianamente a rendere sempre più ipocrita la nostra esistenza in comunità. I giudici, infatti, hanno reso possibile solo ciò che il nostro impaurito legislatore ha deciso di non regolare: la libertà per due gay di essere genitori di un bambino. Ma è evidente che tutto quello che riguarda gli affetti, le emozioni e i sentimenti difficilmente risulta comprensibile per i tanti (troppi) Fedriga (di ogni foggia e colore politico) che siedono in Parlamento. Auguri dall’altra Italia. |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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