L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 10 novembre 2016 |
IPSE DIXIT
Hillary Clinton ieri a New York, durante il discorso del suo giorno più duro Una donna – «Non smettete mai di lottare. Non possiamo ancora rompere quel tetto di cristallo, ma un giorno qualcuna lo farà. E voglio ricordare della nostra campagna: che è stata indirizzata alla costruzione di un’America della speranza, dell’inclusione e della generosità.» – Hillary Clinton Il senso del bene - «I bambini dell'asilo conoscono già la differenza tra convenzioni sociali e principi morali. Sanno che non è lecito indossare il pigiama a scuola (una convenzione) e anche che non è lecito picchiare un compagno senza ragione (un principio morale). Ma quando si chiede loro se queste azioni sarebbero lecite se il maestro le permettesse, la maggior parte dei bambini risponde che indossare il pigiama sarebbe lecito, ma non prendere a pugni un compagno. Ed esiste una grammatica morale anche negli animali. Secondo lo psicologo-filosofo Jonathan Haidt dell'Università della Virginia (Stati Uniti), l'istinto a rifiutare la violenza è presente anche nelle scimmie “reso” (il cui genoma è identico per il 98 % al nostro) le quali, piuttosto che tirare una catena che dà loro il cibo ma provoca una scossa alla scimmia vicina, rinunciano al cibo. È vero che il gene della bontà non è stato ancora scoperto, ma il senso del bene e dell'altruismo è iscritto nei nostri geni.» – Umberto Veronesi (1925-2016) |
USA 2016 Sì alle politiche per i lavoratori No al razzismo e al sessismo La dichiarazione del senatore socialista democratico del Vermont esclude mercati con Trump sui valori della dignità, della parità, dell'accoglienza e dell'ecologia. di Bernie Sanders Donald Trump ha pescato nella rabbia della middle class declinante, che è stanca e stufa di establishment economici, politici e anche mediatici. La gente si sente spossata dai turni più lunghi per salari più bassi, spossata alla vista di posti di lavoro delocalizzati in Cina o in altri paesi a basso tenore salariale, spossata da miliardari che non pagano imposte sui redditi, e spossata dal vedersi incapace di affrontare un'educazione universitaria per i figli – e ciò mentre i ricchissimi diventano ancora più ricchi. In merito all'intendimento di Mr. Trump di perseguire politiche migliorative delle condizioni di vita dei lavoratori di questo paese, io e altri progressisti siamo pronti a collaborare. In merito all'intendimento di Mr. Trump di perseguire politiche razziste, sessiste, xenofobe e anti-ecologiche ci opporremo a lui vigorosamente.
Bernie Sanders |
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EDITORIALE La ricerca della felicità A margine di una conferenza del professor Lino Guzzella, Presidente ed ex Rettore del Politecnico federale di Zurigo di Andrea Ermano Uomo e studioso di valore indiscutibile, Lino Guzzella ha conquistato i vertici del mondo accademico muovendo da una semplice famiglia di lavoratori emigrati italiani. Già magnifico rettore e ora presidente del Politecnico federale di Zurigo (una delle dieci migliori università al mondo, quarta in Europa), ha recentemente tenuto una conferenza sul tema "Il lavoro di domani". Luogo: il nostro polo scolastico nella città sulla Limmat, la Casa d'Italia di Zurigo, sulla cui storia esce in questi giorni un interessante volume documentario di Tindaro Gatani. “Tre sono le condizioni per studiare al Politecnico di Zurigo” – ha esordito Guzzella – “Ci vuole in primo luogo intelligenza, in secondo luogo intelligenza, in terzo luogo intelligenza. E poi ci vuole una quarta cosa, anch’essa indispensabile: la volontà di studiare almeno diecimila ore nel proprio campo. Dopodiché, una nostra laurea ha grande valore in qualsiasi centro di ricerca e in qualsiasi impresa d’avanguardia nel mondo”. Se il “lavoro di domani” per i laureati al Politecnico zurighese è cosa garantita, c'è tuttavia in queste parole del Presidente un tratto ruvidamente meritocratico. Per capirne la logica è utile aver visto La ricerca della felicità, film del 2006 di Muccino con Will Smith, ispirato alla vita di un milionario che, prima del successo, patisce drammatiche situazioni di povertà, con il figlio a carico e senza una casa in cui poterlo crescere. Ma la rudezza meritocratica è, nel Rettore emerito del Politecnico, un metodo, e non soltanto il residuo psichico sedimentatosi nell'animo di chi per diecimila ore e più si è spaccato la schiena in sforzi e rinunce per emergere, o sui libri o in un laboratorio di ricerca… alla “ricerca della felicità”. La ricerca della felicità… Come il titolo del film di Muccino, anche Lino Guzzella nel suo discorso alla Casa d'Italia ha usato questo riferimento alla Dichiarazione d’indipendenza promulgata dal Congresso degli Stati Uniti il 4 luglio 1776. In essa veniva per la prima volta solennizzata l'Idea dell’Americanismo, quella per cui esistono con assoluta evidenza le seguenti verità: “che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti”, e che questi diritti inalienabili sono: “la Vita, la Libertà, e la Ricerca della Felicità”.
Che cosa c’entra la felicità, o meglio la sua ricerca, il suo "perseguimento" (persuit) con la meritocrazia? C’entra per il fatto che la felicità, cioè “il godere del benessere”, deve essere pensata dall’uomo “in mezzo a tutto il suo lavoro” – così si legge testualmente nel Libro (Ecclesiaste, 3, 13) che i Padri Fondatori americani avevano ben presente nel redigere la Dichiarazione. In altre parole, il godimento del benessere, per essere vero godimento, deve scaturire nell'uomo da “tutto il suo lavoro”. Lavoro che, in fin dei conti, altro non è se non un certo uso possibile della libertà: tutt'altra cosa dal relax, la libertà è poter compiere sforzi e rinunce, cioè poter appunto lavorare: “e tu mangerai il pane con il sudore del tuo volto” (Genesi, 3, 19). Beninteso, parlando alla "Casa d'Italia" di fronte all’Emigrazione italiana il Presidente del Politecnico di Zurigo ha citato la Dichiarazione degli Stati Uniti e non la Bibbia. Però il discorso ha assunto via via un tono marcatamente “protestante”, con accenti che non ti aspetteresti in un grande stratega della formazione tecnologica d’avanguardia.
Lino Guzzella Da un punto di vista fattuale, la "meritocrazia" è il metodo di selezione dei campioni tecnologici tanto d’Occidente quanto d’Oriente. Solo un pazzo potrebbe voler mettere in discussione questo che è un "fatto oggettivo" nel nostro sistema globale. Nel nostro sistema si chiama "fatto oggettivo" anche e soprattutto il "fatto compiuto", cioè un atto di forza vincente e vigente. Così, per esempio, il "fatto compiuto" automobile e inquinamento sono un "fatto oggettivo". Anche la catena di montaggio è (era) un "fatto oggettivo", finché non sono diventate "fatti oggettivi" la robotizzazione e la disoccupazione di massa. In realtà, la storia umana è una sequenza di sistemi che ribattezzano i "fatti compiuti", cioè i loro atti di forza vincenti e vigenti, chiamandoli "fatti oggettivi". E anche questi ‘ribattezzamenti’ sarebbero in realtà da considerarsi dei "fatti compiuti". Senonché, di norma, anche i "fatti oggettivi" cambiano nome, a un certo punto, e vengono detti "valori". Riassumendo: l'atto di forza, se vale e prevale, viene ribattezzato prima "fatto", poi "valore". E, fin qui, sai che novità: è la legge fondamentale di ogni sistema. Ma questa legge fondamentale descrive una menzogna, perché alla fine le prepotenze restano prepotenze, e i valori restano valori. E “la giustizia fugge dal campo dei vincitori”, come diceva Simone Weil. Ma torniamo alla meritocrazia, divinità un po’ crudele che espressamente rivendica la propria “durezza” nei riti e nei miti dell'eccellenza globale. Questa parola – “durezza” – è risuonata più volte nel discorso del Rettore emerito alla Casa d'Italia, il quale si è spinto a elogiare il sistema scolastico svizzero-tedesco, sebbene questi di fatto espella dal ciclo formativo molti bambini già a partire dalle elementari, cioè da soglie d'età sicuramente troppo precoci e francamente inaccettabili. Il problema peggiora ulteriormente quando la selezione, che in università sarebbe di per sé una cosa legittima, si ricombina però con il "mercato", un ente di cui oggi si celebrano virtù portentose, come fosse il Giudizio di Dio, o un qualche altro criterio ultimo della verità. Qual misura di ragionevolezza sottenda a tutto ciò non è dato vedere, eppure proprio al “mercato” affidiamo il criterio generale per l'allocazione delle risorse destinate alla ricerca tecnologica e scientifica, cioè destinate a influire sul futuro di tutti noi. Le scelte decisive per il destino di tutti sono così affidate a una roulette che chiamiamo "mercato" – roulette gigantesca, impersonale e alquanto manipolabile. In realtà, non è neanche una roulette: è una roulette russa. Che viene utilizzata come fosse… una bussola. A pensarci, tutto ciò non è intelligenza. A pensarci, uno nemmeno ci crederebbe. Mentre ascoltavo il presidente del Politecnico federale di Zurigo impegnato nelle sue professioni di fede contro lo stato e per il libero mercato, mi sono chiesto: a quali conclusioni dovremmo pervenire volendo applicare la "durezza" meritocratica a un giudizio di valutazione sulla nostra civiltà in generale? E mi sono sorpreso a pensare che la dinamica caotica del liberismo cui si sono consacrati i severi educatori dell'establishment tecno-scientifico planetario, potrebbe alla fine di tutte le cose condurci non al regno illuminato delle élite, ma a un trionfo del populismo. Sì, questo pensavo. E mi pareva però un'ipotesi troppo ardita e inattuale. Eventualmente riferibile al medio-lungo periodo. Mai e poi mai avrei pensato che Trump… |
SPIGOLATURE S.O.S. showman alla Casa Bianca L’America ha scelto il suo futuro, mettendolo nelle mani di Donald Trump. Ed è stato un voto shock per l’ampiezza del risultato, oltre ogni immaginazione: 290 grandi elettori per il repubblicano, 218 per la sua avversaria, superata in quasi tutti gli Stati. Il trionfo di Trump, l’imprenditore showman che ha parlato alla gente comune, apre una fase carica di incognite non soltanto per gli Stati Uniti. Hilary Clinton, algida e incapace di trasmettere sentimenti, non ha saputo convincere le donne. La sua sconfitta, che paga dazio alla lunga frequentazione con il potere, apre una crisi di grandi proporzioni in seno al Partito Democratico, dalla quale non sarà semplice riemergere. Intanto da Le Pen a Orban, passando per Salvini, la destra europea esulta e specula sull’”Effetto Donald” per imporre il proprio credo. di Renzo Balmelli SCANDALI. Era la domanda finale, il domandone, del quiz per la corsa alla Casa Bianca. Basteranno gli scandali sessuali a fare cadere Donald? No, non sono bastati. Le scappatelle del 45esimo Presidente americano, che tra l'altro hanno suggerito gustose analogie col signor Silvio B., non hanno minimamente scalfito gli orientamenti dell'elettorato deluso dalla politica e in cerca dell'uomo della Provvidenza. Di colui che con un colpo di bacchetta magica toglierà l'esercito dei diseredati dal cono d'ombra della congiuntura. Per buona pace del Paese non vorremmo, dopo l 'euforia del voto, che chi ha creduto di avere fatto la scelta giusta sia costretto a ricredersi in tempi brevi. Le illusioni, merce che si vende all'ingrosso a costo zero, alla pari dei sogni, fanno in fretta a morire anche prima dell'alba sotto i pesanti diktat della finanza senza cuore. Con le chimere non si costruisce il progresso sociale. Quando i fans di Trump capiranno di avere puntato sul cavallo sbagliato, ricadranno in preda allo sconforto, amareggiati più di prima. E potrebbero essere guai grossi. Intanto il novello leader, cambia faccia, si mostra conciliante, meno aggressivo e non più arrogante. Ma è un trucco cosmetico che non incanta. TONFO. La vittoria del candidato repubblicano, così come la dolorosa sconfitta di Hillary Clinton, che detto per inciso segna pure il tonfo rovinoso dei sondaggi, nasce da un presupposto sbagliato. Se misuriamo le reali intenzioni del milionario prestato alla politica su quanto ha sempre dichiarato, le sue priorità sono ben diverse da quelle che hanno circuito milioni di americani in buona fede. Intercettare il malcontento, incanalare le frustrazioni, ridare ossigeno ad ampi settori della società che dall'economia hanno ricevuto solo poche briciole, non rientra nelle opzioni dei suoi primi cento giorni. All'opposto il verdetto delle urne spalanca le porte a quella che Mario Calabresi su Repubblica ha chiamato “l'età dell'incertezza”, una fase di confusione e smarrimento carica di incognite che trascina con se il rischio di una rottura storica dalle conseguenze neppure lontanamente immaginabili. DERIVA. Nello sgangherato tripudio dell'internazionale populista e xenofoba, che da questo voto trae nuova e insperata linfa, assistiamo col fiato sospeso, a maggior ragione in Europa, alla deriva sempre più marcata verso l'irragionevolezza e la politica fondata sugli stereotipi di facile suggestione. Come gli imbonitori che nel vecchio West spacciavano imbevibili intrugli quale panacea di tutti i mali, Trump contrabbanda ricette di infimo conio per risolvere problemi complessi e profondi. La gente gli ha creduto e il grave torto dei democratici e in primis della loro rappresentante, avviata ormai a “un triste, solitario y final”, è stato di non essere riusciti a cambiare passo, di non avere sviluppato l'immaginazione e la spinta propulsiva in grado di trovare parole convincenti da opporre alla rozza grammatica del populismo. L'establishment già tanto malvisto da larghe fasce della popolazione si è presentato alla resa dei conti con il solito vestito, ormai consunto, e per i democratici, confrontati con una crisi che li lascia senza fiato, il resto d'ora in poi è tutto da riscrivere. CONTAGIO. Il solo che avrebbe potuto avere qualche possibilità di spegnere l'incendio era il battagliero senatore del Vermont Bernie Sanders, capace di catalizzare le aspirazioni soprattutto dei giovani per dare vita a una società più giusta e più equa. Ma è stato presto congedato e congelato anche nel suo partito. Se gli Stati Uniti non sono ancora maturi per la prima donna alla presidenza, figuriamoci un socialista “rosso antico” come il titolo di un libro del compianto Dario Robbiani. Nell'ottica di sinistra, o liberal secondo la terminologia statunitense, a bocce ferme ci troviamo dunque di fronte a un disastro che non si supponeva di dimensioni tanto inusitate. Viene da chiedersi chi ha copiato chi nel solco del micidiale meccanismo che ha portato oltre Atlantico il lepensimo in salsa americana, e che per l'effetto “boule de neige” ha rimandato sulle nostre sponde, ingigantendolo, il contagio di ideologie già presenti e poco raccomandabili. E' come se fossimo saliti su una giostra incontrollabile dalla quale è difficile scendere in questo passaggio delicatissimo e decisivo per il futuro delle democrazie occidentali sempre più sotto pressione e fragili, come ci ricorda la già citata analisi di Mario Calabresi. FANTASMI. In chiave europea, nota dolente dei rapporti tra Washington e Bruxelles, a questo punto il pensiero non può che correre alla Gran Bretagna e alla Brexit di cui Trump si è ampiamente servito per presentare la sua elezioni come una mastodontica Brexit. Un paragone che la dice lunga su come la prossima Casa Bianca a trazione repubblicana immagina i futuri scenari geo-politici nell'emisfero occidentale. A tale proposito possiamo facilmente immaginare che altre due sfide, una in Italia, l'altra in Austria dove crescono le tensioni per il referendum costituzionale e il ballottaggio presidenziale pesantemente insidiato dall'estrema destra, saranno meticolosamente vivisezionate dalla compagine “trumpiana”. La prossima primavera sarà poi il turno di Marine Le Pen con il suo Fronte nazionale a togliere il sonno agli eredi dei padri fondatori dell'UE. I fantasmi che il trionfo di Trump ha fatto uscire dai sepolcri come accade nella saga cinematografica dedicata ai Pirati dei Caraibi potrebbero fare molta paura se per disavventura dovessero avverarsi le peggiori congetture. Con la non esigua, pirandelliana differenza che la realtà in quel caso supererebbe di gran lunga la fantasia. E ADESSO. Cosa succederà con l'impennata demagogica del miliardario scavezzacollo? Dei suoi programmi si conoscono per ora alcuni frammenti appena accennati, ma bastanti per destare diffuse preoccupazioni tra l'opinione pubblica che non ne condivide gli indirizzi. Avendo quasi di sicuro il Congress dalla sua parte il “tycon” non si dannerà certamente l'anima per evitare la rottura del tessuto sociale americano già sfilacciato. Si può nutrire la ragionevole certezza che smantellerà la sanità dopo avere mostrato pubblicamente la sua avversione alla riforma di Obama. Con grave scorno per milioni di assicurati che avevano finalmente potuto usufruire di cure dignitose senza finire sul lastrico. Sull'immigrazione, suo cavallo di battaglia elettorale, forse non otterrà i fondi per una grande muraglia. Ma non importa. Il suo muro, fotocopia di quanto si fa da noi, già esiste a livello mentale, costruito sui pregiudizi, su visioni retrograde e nessun rispetto per i migranti. Contro di esso – questo è il timore – finiranno con l'infrangersi i valori che costituivano l'espressione più autentica del sogno americano ormai avviato sul viale del tramonto, come ammonisce da tempo Noam Chomsky, scettico, agnostico e rispettato illuminista della cultura contemporanea. CODICI. Infine il capitolo più controverso e rischioso per tutti noi. L'altro importante banco di prova delle reali intenzioni di Trump sarà la sua politica estera, guidata da un lato dall'istinto isolazionista, ma dall'altro anche dalla possibilità che torni interventista qualora l'inquietante, apparente intesa con Putin sfociasse invece in un braccio di ferro tra due ex superpotenze che sotto sotto, circondate da generali scalpitanti, anelano a ravvivare gli antichi e nefasti splendori dell'era bipolare quando erano Mosca e Washington a dettare legge con la forza devastante dei loro arsenali. C'è un monolite a questo proposito che fa venire i sudori freddi. In mano a Trump, convinto assertore della libertà di girare armati, finirà il controllo e l'accesso alla valigetta che può scatenare l'olocausto: quella con i codici della guerra nucleare. Che uso ne farà? Il ricordo del dottor Stranamore, la creatura di Kubrick che ha imparato a non preoccuparsi, ad amare la bomba e che si trastulla con gli ordigni come con le donnine, non aiuta a scampare dall'idea del pericolo in un mondo in balia delle intemperie e dei capricci dei personaggi che lo governano. Di solito a Washington i presidenti concludono i loro interventi con il rituale God bless America, “Dio benedici l'America”. Da martedì 8 novembre 2016, una data che può cambiare i destini di tutta l'umanità, di benedizioni gli americani dovranno farne una scorta abbondante per non cadere prigionieri del cinismo e dello sfascio. E con l'America anche noi. Nella sua saggezza che forse molti già cominciano a rimpiangere, Barack Obama ha detto che il suo Paese ha dovuto superare altre prove difficili. Non importa che cosa accadrà, domani sorgerà il sole. Speriamo abbia ragione perché questo davvero non sembra il sol dell'avvenire. TUTELA. Creatura delicata, sensibile, a volte fragile nelle mani di uomini che non la amano, la democrazia dimostra di avere, nonostante le avversità, una costituzione di ferro. La costituzione di coloro che sembrano sul punto di piegarsi, ma non si spezzano. Ci hanno provato i terribili totalitarismi del secolo scorso, oggi deve guardarsi dalle scalmane della peggior destra in circolazione. La preoccupante deriva turca, la brutale repressione del dissenso in atto in varie parti del mondo sono tutti esempi di prevaricazione che sfidano la decenza etica e istituzionale. Per questi motivi occorre restare vigili e mai abbassare la guardia. La tutela di una delle grandi e irrinunciabili conquiste dell'umanità non potrà mai venir meno se davvero si vuole preservare la speranza di creare un mondo migliore. DISSENSO. Se c'è una istituzione che fin dalle origini ha piantato saldamente le sue fondamenta nel rispetto delle regole democratiche, questa è senza dubbio la comunità europea che a tali principi è rimasta fedele seppure attraverso le sue cicliche trasformazioni. Non dovrebbe quindi suscitare reazioni di protesta o di sorpresa il fatto che la piccola Vallonia, con l'un per cento della popolazione totale dell'UE, abbia tenuto testa all'Europa a proposito di un accordo contestato col Canada. In nessun passaggio della carta continentale sta scritto che il dissenso quale espressione di democrazia non debba avere diritto di cittadinanza nelle sale di Palazzo Charlemagne. In fondo questo ulteriore capitolo dell'eterna battaglia tra Davide e Golia toglie argomenti agli euroscettici che considerano Bruxelles solo un mostro senz'anima. NEMICI. Pare che Theresa May abbia perso il proverbiale humor britannico, E ne ha ben donde. Il verdetto dell'Alta Corte che le impone di sottoporre alle Camere la notifica della Brexit, è ben più di una tempesta in un bicchier d'acqua. Molti sperano ancora di modificare la decisione, ma un voto perfettamente legittimo non si ribalta con un colpo di spugna senza creare un vulnus istituzionale di immense proporzioni. D'altro canto il malumore per le ricadute del referendum cresce a vista d'occhio, tanto più che l'ipotesi di negoziare una uscita “ light” dall'UE che garantisca al Regno l'accesso preferenziale al mercato unico appare difficile da realizzare. O si è dentro o si è fuori. E dal vicolo cieco non si esce col presentare gli austeri magistrati in parrucca quali “nemici del popolo”, come usava un noto italico ex. PASSIONE. “Ai grandi amori non si comanda”. Che Berlusconi fosse un ospite di riguardo a Porta a Porta, un ospite da trattare coi guanti di velluto, lo sapevano anche i sassi. Ora abbiamo capito che la passione non si è mai del tutto estinta. La foga con la quale Bruno Vespa ha difeso di fronte a Renzi l'intervento militare in Libia del 2011 deciso dall'allora governo del Cavaliere ne ha fornito una prova eloquente. Ne è nato un vivace siparietto diventato subito virale al quale il premier ha replicato con la battuta sui grandi amori, tra l'altro oggi impensabili nell'universo mediatico in linea con lo spirito de tempo. Su tutte le emittenti pubbliche o private, grandi o piccole, proliferano i dibattiti ed i talk show che spesso si assomigliano e ripropongono lo stesso canovaccio. Ma questa è un'altra storia. MISERICORDIA. Ci mancava pure il revival in perfetto stile Sodoma e Gomorra di un frate domenicano piuttosto esagitato per aggiungere ulteriori tormenti ai terremotati che già si accingono ad affrontare in condizioni difficilissime i rigori dell'inverno. Quel monito sul sisma provocato dai peccati dell'uomo e dalle unioni civili e quindi da intendere come una punizione divina non ha fatto che addossare assurdi e inaccettabili sensi di colpa alle popolazioni colpite dal disastro. Che la Chiesa e Radio Maria abbiano preso le distanze da simili sproloqui è il minimo che si doveva attendere. Ma in una chiave di lettura diciamo così laico-politica lasciano perplessi i numerosi e convinti consensi che il religioso ha raccolto attraverso i blog per questa sua interpretazione oscurantista e lontanissima dalla misericordia e dalla carità cristiana. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Paradosso americano: Clinton vince nel voto popolare Nel frastuono dei commenti a caldo delle elezioni americane si sono perduti alcuni elementi che, al contrario, andrebbero comunque valutati, pur non avendo alcuna influenza sull’esito finale… di Antonio Maglie I meccanismi elettorali, cioè le leggi maggioritarie che vengono applicate in larga parte degli stati che consentono a chi ottiene un voto in più di aggiudicarsi tutto il bottino dei grandi elettori in palio, si è prodotto un paradosso che per Hillary Clinton e i democratici suona come la beffa che si unisce al danno. Una beffa che riguarda anche i sondaggisti che hanno sicuramente perso nell’indicazione del vincitore finale sottovalutando la “credibilità” della candidatura di Donald Trump, ma hanno in qualche misura vinto sul fronte delle previsioni sui consensi nazionali, che sono stati quelli normalmente misurati nel corso della campagna elettorale e a cui quasi tutti hanno fatto riferimento. La candidata democratica nel voto popolare ha superato il neo-presidente. La prima è stata complessivamente votata da 59 milioni 796.265 americani conquistando così il 47,7 per cento dei consensi globali; il repubblicano si è fermato al 47,5 conquistando in tutto duecentomila voti in meno della Clinton (59.589.806). Sono dati che non cambiano la sostanza ma dovrebbero indurre, soprattutto i politici italiani, a una maggiore cautela soprattutto quando parlano di popolo e di sovranità perché se guardiamo ai consensi il “plebiscito” che alcuni protagonisti della scena nostrana hanno ritenuto di commentare in realtà, dal punto di vista dei numeri assoluti, non è stato propriamente tale. La larghezza della vittoria di Trump è soprattutto la conseguenza di meccanismi elettorali maggioritari che garantiscono la formazione di solide maggioranze ma non fotografano in maniera fedele la distribuzione del consenso. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Immigrati e referendum: altre ragioni per un NO Per lo sviluppo delle politiche di accoglienza non è sicuramente un bene quando l’obiettivo del sistema democratico si rivela esclusivamente quello di garantire la governabilità, mentre la partecipazione finisce per essere considerata un ostacolo. di Selly Kane, responsabile politiche per l’immigrazione della Cgil nazionale Il diritto di migrare inteso anche come diritto a “entrare”, convivere, partecipare (oltre che essere diritto a “uscire”), ha bisogno in primo luogo di un modello di democrazia e di strutture di potere che facilitino i collegamenti tra lo Stato, i suoi apparati e la società civile. Per lo sviluppo delle politiche di accoglienza, di inclusione, non è sicuramente un bene quando l’obiettivo del sistema democratico si rivela esclusivamente quello di garantire la governabilità, la stabilità e – in questo contesto – la partecipazione finisce per essere considerata un ostacolo al funzionamento degli stessi apparati. Anche le politiche finalizzate a offrire un rifugio o semplici occasioni di collocazione con un lavoro e una nuova vita vengono penalizzate da un modello di democrazia come quello che si vuole realizzare con la riforma costituzionale. È una questione di qualità della democrazia. Le migrazioni sono indiscutibilmente un fatto strutturale e non straordinario e, perciò, la questione delle mutazioni delle società va affrontata con questa consapevolezza. Tuttavia, le istituzioni continuano a ignorare questo dato, e si continua ad affrontare il tema in maniera emergenziale, con un approccio securitario, dove ai cittadini immigrati vengono sistematicamente negati diritti e cittadinanza; ne è una dimostrazione il vuoto legislativo per quanto riguarda il diritto al voto, nonché il diritto all’acquisizione della cittadinanza, che interessano milioni di persone straniere che vivono stabilmente in questo Paese. I modelli di insediamento vanno ridisegnati, anche tenendo conto delle mutazioni che discendono dal dato strutturale delle migrazioni di donne e uomini. Per farlo servono alti livelli di partecipazione e non l’esasperata centralizzazione degli apparati e dei poteri, come previsto sempre dal disegno di riforma in questione. E come già avviene per le problematiche dei conflitti e dei contenziosi tra Stato e sistema delle autonomie locali. Il caso della sanità, a questo proposito, è tra i più emblematici, visto che già oggi molte delle decisioni di spesa in questo comparto vengono prese dal ministero dell’Economia, prima ancora che da quello della Salute, e non al contrario dalle Regioni, che di fatto sono già esecutrici di linee decise centralmente. Non occorrono forse per gli immigrati (donne, uomini, bambini) politiche che prendano adeguatamente in considerazione le loro condizioni (di base, di vita, di area di collocazione, anche se temporanea)? Ma altrettanto importante è la questione dei servizi socio-educativi nel territorio. Come vengono disegnati? Con quale riferimento ambientale (chi sono le persone interessate, la loro educazione e formazione di partenza ecc.)? Si tratta solo di qualche esempio finalizzato a porre l’accento sul contrasto che viene a determinarsi tra l’inevitabile processo di ridefinizione delle società locali, se solo si partisse dal fatto che le migrazioni sono un fatto strutturale, e l’ipotesi di una democrazia la cui qualità è messa in discussione proprio dalla riduzione degli spazi di partecipazione. Ottimizzazione dei risultati, efficienza ed efficacia delle politiche pubbliche non trovano un ostacolo nella partecipazione, tutt’altro. E del resto, sempre pensando alle immigrazioni: lo spirito è quello di attuare politiche o farne soltanto merce di scambio – come appare evidente in queste settimane – nella querelle contabile con le istituzioni europee? |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Eccolo! di Riccardo Nencini, Segretario Psi / Viceministro dei Trasporti Si vota con la pancia, non con la testa. E la paura ingrossa la pancia, non la testa. Globalizzazione e rivoluzione tecnologica hanno aperto una fase antagonista con i pilastri che hanno sorretto la vita delle democrazie parlamentari figlie della rivoluzione industriale: stato sociale, espansione dei diritti civili, tendenza all’uguaglianza. Non c’è dubbio. La paura dei ceti medi in difficoltà e dei nuovi poveri di aver perso per sempre la speranza – speranza di emergere, di trovare un lavoro adeguato, di sicurezza – alimenta la rincorsa ‘al passato’. Trump è il passato. Con le sue teorie sulla supremazia dei bianchi, con le sue teorie sulla supremazia dell’uomo sulla donna, con le sue teorie sul pugno forte dell’America. È già accaduto, sempre nei periodi di passaggio, quando si aprono profonde faglie e la storia gira. Non durerà. Intendiamoci, se fotografi stamane il mondo, l’immagine che si presenta ai tuoi occhi fa un certo effetto: Russia, India e Turchia nelle mani di "uomini forti", la Cina guidata da un partito unico, gli USA sotto il cappello di Trump. A difesa delle democrazie rappresentative tradizionali restano l’Europa, in particolare l’Occidente d’Europa, e grandi stati quali il Canada e l’Australia. Non molto. Significa che le culture politiche attorno alle quali si è costruito il dopoguerra hanno non poche difficoltà a rappresentare questo tempo nuovo. C’è n’è abbastanza per mettersi profondamente in discussione. La prima cosa da fare è rinnovare l’anima della sinistra riformista. Più attenzione alle povertà, leggi contro il dominio incontrastato della finanza, protezioni e opportunità per meritevoli e bisognosi. È alla periferia sociale che bisogna guardare. Hic Rodhus, hic salta. Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Svanisce l’effetto Trump sui mercati. Ecco perché Le speranze degli investitori si basano sul pragmatismo e si concentrano sul suo programma elettorale di Trump di Stefano Minnucci - @StefanoMinnucci Quando alle 2,30 (ora italiana) cominciavano a uscire i primi risultati che davano in vantaggio Donald Trump su Hillary Clinton, nelle borse asiatiche aperte (le uniche in quel momento) si vedevano pesanti ribassi, crolli che facevano prevedere un bagno di sangue. I futures americani – strumenti che anticipano l’andamento di Wall Street – sono arrivati a segnare un calo di 5 punti percentuali. Ma la temuta ondata di vendite alla fine non c’è stata: passato lo shock iniziale con un’apertura delle borse europee in pesante flessione, i listini del Vecchio continente hanno invertito la rotta e ridotto via via le perdite, chiudendo addirittura in positivo. Solo Milano (Ftse Mib -0,10%) e Madrid (-0,34%) chiudono poco sotto la parità a causa delle vendite sul settore bancario. Perché dunque è svanito l’effetto Trump sui mercati? In primo luogo viene premiato il discorso conciliante del miliardario, che ha lanciato un appello all’unità del Paese dopo una campagna elettorale velenosissima. Ma è soprattutto la stabilità politica a tranquillizzare i mercati: la maggioranza conquistata dai Repubblicani sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato dovrebbe garantire pieno sostegno al governo, uno dei fattori che più piace ai mercati. Le speranze degli investitori si basano sul pragmatismo di Trump e si concentrano sul suo programma elettorale, che è basato soprattutto sull’aumento della spesa pubblica e dell’occupazione. Politiche che vedono inoltre maggiori investimenti sulle infrastrutture e regole più morbide nel settore energetico. Non a caso i due comparti (costruzioni e energia) stanno trainando i mercati globali, assieme al settore della difesa, altro comparto toccato dal programma del nuovo presidente (Trump ritiene l’attuale spesa militare troppo bassa e intende riportarla attorno al 6% del Pil come in passato). Insomma, una serie di punti che fanno scorgere agli investitori una politica “pro-businness” nel medio-lungo periodo. Nel momento in cui scriviamo il Dow Jones sale dell’1%; l’S&P 500 (l’indice più rilevante di Wall Street) sale dello 0,9%, e il Nasdaq guadagna 0,77%. Il petrolio vola dell’1,9% a 45,84 dollari al barile nonostante un aumento delle scorte settimanali. Nessun panico nemmeno sul mercato valutario dopo il pesantissimo scivolone del dollaro innescato nella notte: il biglietto verde si è man mano rafforzato nel corso della seduta, scivolando sotto quota 1,10 rispetto alla moneta unica. Vai al sito dell’Unità |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Silvano Miniati (1934-2016) di Luigi Covatta A 82 anni se n’è andato Silvano Miniati. Io lo conobbi all’inizio degli anni ’70, quando – con Lucio Libertini, Silvano Andriani ed altri compagni il cui spirito critico non sfociava mai nell’estremismo – militava nella sinistra del Psiup. Ricordo che alla vigilia delle elezioni del 1972 vennero a trovare Livio Labor, col quale ci apprestavamo ad affrontare la difficile prova elettorale. Auspicavano un’intesa fra le tante liste di sinistra che non si riconoscevano né nel Pci né nel Psi, anche per dare onorata sepoltura all’esperienza del Psiup, dei cui limiti erano consapevoli più di noi. La proposta era irrealistica, ma l’analisi da cui nasceva era lucida. Pronosticarono infatti la comune catastrofe, che puntualmente si verificò nelle urne. Silvano tuttavia non si diede per vinto. In occasione della diaspora psiuppina rifiutò sia di confluire nel Pci, come fece la maggioranza, sia di tornare nel Psi, come fecero Peppino Avolio, Vincenzo Balzamo e tanti altri. Partecipò alla fondazione del Pdup, e poi di Democrazia proletaria. Ma dopo il fallimento di quelle esperienze trovò logico rientrare nella casa socialista, senza lasciarla neanche dopo il terremoto dei primi anni ’90. Era tornato all’impegno sindacale nella Uil, ma non aveva mai smesso di perseguire l’obiettivo di animare una sinistra non conformista. Con Franco Lotito aveva dato vita al “Network della sinistra riformista”, ed ora era vicepresidente della Fondazione Buozzi. Se n’è andato proprio adesso, quando i sassi che per mezzo secolo aveva gettato nello stagno della sinistra italiana cominciano a provocare qualche ondata di rinnovamento. |
LETTERA DA VERBANIA 70° Anniversario del Circolo Culturale Socialista L. Zappelli Incontro con Nerio Nesi Via Roma, 15 - Intra / Verbania - Domenica 13.11.2016, ore 10.30 Giornata di studio di Verbania documenti (VB/doc) per la costituzione di un Osservatorio economico cittadino. Ne parliamo con Nerio Nesi che presenta il suo libro AL SERVIZIO DEL MIO PAESE L'A. – già Ministro dei Lavori Pubblici del governo Amato – ha presieduto per dieci anni la Banca Nazionale del Lavoro e successivamente la Commissione Industria della Camera. Lo interroga Paola Giacoletti, pubblicista. All’incontro sono stati invitati rappresentanti degli industriali, delle organizzazioni sindacali, degli artigiani, albergatori e commercianti, oltre a studenti e insegnanti dei Corsi professionali di Verbania, sulla base di un documento redatto da Verbania documenti. Segue la proiezione di un video omaggio alla presenza di Nerio Nesi a Verbania realizzato da Maurizio Peruzzo su documentazione di Sergio Aicardi. Conclusioni di Bruno Lo Duca e Mino Ramoni Presiede la discussione Greta Moretti, consigliera comunale di Verbania che ha invitato l’Amministrazione Comunale. Al termine dei lavori, celebrazione dell’associazionismo popolare verbanese, con un simposio al Circolo (ore 12.30). Felicitazioni vivissime dai compagni di Zurigo! – La red dell’ADL |
LETTERA DA PALAZZO MADAMA SALTO DEL GRILLO SUL CARRO DI TRUMP "TRA POPULISTI SI INTENDONO" I senatori del Pd commentano su Twitter le dichiarazioni di Grillo e dei parlamentari pentastellati sull'elezione di Trump. Stefano Esposito scrive: "Fino a ieri tergiversavano su elezioni USA, ora tutti a osannare Trump... Ma era da dire, tra populisti ci si intende. #M5SaltaSulCarro "L'altra sera - scrive ancora Francesa Puglisi, della segreteria nazionale - Di Battista diceva 'decideranno gli elettori americani'.Ora sono Trumpiani della prima ora! Contenti loro… #M5SaltaSulCarro Conclude Pamela Orrù: "Oggi Trump è il loro idolo e ciò non ci stupisce. Mi chiedo come mai, però, non l'abbiano sostenuto prima senza vergogna!" Stefano Esposito, Francesa Puglisi, Pamela Orrù Senato della Repubblica (Gruppo PD) |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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