L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 30 giugno 2016 |
PAUSA ESTIVA Con il presente numero iniziamo la consueta pausa estiva, durante la quale procederemo ai necessari aggiornamenti tecnici del servizio. Le regolari trasmissioni riprenderanno giovedì 1 settembre 2016. A tutte le lettrici e a tutti i lettori gli auguri più cordiali per l’estate! La red dell’ADL |
IPSE DIXIT Mi domandò all'improvviso - «E mi domandò all'improvviso, quasi che davvero volesse un parere: tu pensi che io esisto? Guardami, secondo te esisto? Batté la mano aperta sul petto prosperoso, ma lo fece come per dimostrarmi praticamente che la mano lo trapassava, che il suo corpo... non c'era. Lui s'era preso tutto di lei, subito, quand'era ancora quasi bambina. Lui l'aveva consumata, l'aveva sgualcita». – Elena Ferrante
|
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. |
EDITORIALE First things first È paradossale che le elezioni siano divenute uno dei principali fattori di inquinamento della nostra democrazia, con l’effetto perverso di una doppia deriva: corruttiva e populista. Se, come dice il proverbio inglese citato nel titolo, le questioni primarie vanno affrontate per prime, allora è urgente per l’Italia superare le inique regole del gioco inscritte, da oltre dieci anni, nella normativa elettorale, dapprima tramite il cosiddetto Porcellum, poi tramite il cosiddetto Italicum. Auguriamoci che in questa materia il Parlamento proceda a una riforma degna del nome. Un barlume di speranza ci viene dalla calendarizzazione autunnale del dibattito sul profilo di costituzionalità dell’Italicum, come richiesto in una mozione della Sinistra Italiana. I vertici del PD renziano sarebbero ben consigliati se volessero utilizzare la pausa estiva per ponderare seriamente il proprio atteggiamento dinanzi a questa prova d’appello. di Andrea Ermano Che l'Italicum somigli al vecchio Porcellum è cosa evidente. Lo è a tal punto che già nel febbraio scorso il Tribunale di Messina ha rimesso la nuova normativa elettorale renziana al giudizio della Consulta dando, in ben sei punti su tredici, ragione al pool di avvocati guidato da Felice Besostri, che è stato co-autore del ricorso vincente sul Porcellum.
L'avvocato socialista Felice Besostri, regista dei ricorsi sulla costituzionalità delle leggi elettorali Ufficialmente l'Italicum (legge Renzi, n. 52 del 6 maggio 2015) entra in vigore domani, primo luglio 2016, ma a settembre il Parlamento tornerà a occuparsene, per verificarne il profilo di costituzionalità ed eventualmente rimaneggiare la normativa "prima che la Consulta si pronunci su di essa". Il cambiamento non sarà facile. L'establishment ha interesse a mantenere sotto stretto controllo la vita politica, l'attività legislativa e l'azione di governo nel nostro Paese, sicché in quest'ottica è necessario disciplinare i parlamentari tramite meccanismi come il "potere di candidatura". Questo potere deve restare nelle mani dei leader di partito che, controllando sigle e simboli, possono includere chiunque nel novero degli eleggibili, oppure escluderlo. Storicamente, grazie all'altro meccanismo di controllo – che a sua volta tende a stabilire quali sigle e simboli vadano proposti in prima o seconda serata all'attenzione dei telespettatori – sembrò nascere, con la fine della Prima Repubblica, un sistema di potere a tenuta stagna e di grande futuro. Ma quel sistema è durato tanto quanto l'egemonia giornalistico-televisiva di marca berlusconiana. Il controllo dei canali pubblicitari e finanziari sembrava garantire una lunga stabilità alla cosiddetta "Seconda Repubblica", il principale leader della quale reputò utile, a un certo punto, muovere verso una logica bipartitica. In questo quadro, il Porcellum (legge Calderoli, n. 270 del 21 dicembre 2005) rappresentava, effettivamente, la normativa ideale, perché garantiva una maggioranza di yes men pronti a tutto pur di essere "nominati" e ricandidati, mentre il maggiore esponente dello schieramento a lui avverso (si fa per dire) poteva simmetricamente espellere dal Parlamento non solo tutti i "rompiscatole" (radicali, socialisti e "antagonisti"), ma anche tutte le forze politiche in cui questi avrebbero eventualmente potuto cercare rifugio. Senonché il sistema della cosiddetta Seconda Repubblica è stato terremotato dalla crisi finanziaria globale, che ha spietatamente messo a nudo la deriva ludopatica del sistema bancario, in Italia privatizzato ad uso e consumo di lor signori, e tutto ciò ha avuto ripercussioni devastanti sul sistema pubblicitario cioè su quello della televisione e dei media cartacei. L'avanzata dei social media ha fatto il resto, generando ondate d'opinione, certo non sempre belle o ben fondate, ma comunque al di fuori delle logiche di potere antecedenti. A questo punto il Porcellum, nato per garantire sonni tranquilli alle segreterie di partito e ai loro referenti nei "poteri forti", è stato imbracciato da Beppe Grillo. Il quale grazie a una lunga e immaginifica tournée di spettacoli gratuiti ha coagulato, "nominato" e catapultato in Parlamento ben 109 deputati e 54 senatori, aprendo come una scatola di tonno il bipartitismo dall'italiana. Tanto che, nonostante il carattere geneticamente modificato in senso maggioritario del Parlamento dei "nominati", nessuna maggioranza di governo è potuta emergere dalle urne nell'ultima tornata elettorale.
Questo accadeva nella primavera del 2013 e si deve alla saggezza dei giudici di Cassazione e della Corte costituzionale se le massime istituzioni di garanzia della Repubblica hanno iniziato allora a prendere atto che l'illusione di potere dell'establishment era ormai morta e sepolta. Mai si sarebbero dovute accettare "regole del gioco" che consentivano ai pochissimi di nominare l'intero Parlamento causando abissali effetti di decadenza dei costumi, come quando una maggioranza di senatori certificò in Ruby Rubacuori la nipote di Mubarak oppure quando si costituzionalizzò il pareggio di bilancio sotto la dettatura di uno stolido rigorismo teutonico. Nel gennaio 2014, quando la sentenza n° 1 della Corte Costituzionale fece decadere la Legge Calderoli, l'Italia tirò un respiro di sollievo. Non così Berlusconi e i vertici del PD. Fu a quel punto che il Governo Letta venne fatto cadere dai renziani ed emerse il cosiddetto "Patto del Nazareno" che aveva il proprio ubi consistam nella riproposizione – tramite l'Italicum – di un meccanismo elettorale analogo a quello del Porcellum. Era l'epoca in cui Renzi poteva ancora immaginare che sarebbe bastato qualche sbandieramento rottamatorio per rintuzzare l'onda populista e ripristinare il bipartitismo perduto. Ma tripolarismo era. E tripolarismo è restato. Non solo: a Roma e a Torino – due settimane fa – s'è visto con estrema chiarezza che sic stantibus rebus il PD ha scarse o nulle possibilità di sconfiggere il M5S alle prossime elezioni politiche, dato che sui grillini confluirebbero al ballottaggio segmenti non del tutto trascurabili di voto, vuoi giovane, vuoi di destra, vuoi di sinistra, vuoi di rientro dal non voto. A questo punto, come diceva il vecchio Nenni, l'alternativa è: "Rinnovarsi o perire". Auguriamoci che l'estate porti consiglio e che in autunno tutte le forze politiche sappiano cogliere l'occasione del ritornante dibattito sull'Italicum per mettere a punto una legge elettorale giusta, intelligente e lungimirante. Questa ci pare la prima cosa da fare per consolidare la tenuta istituzionale mentre siamo inevitabilmente in viaggio verso il mare mosso. |
Le elezioni in Spagna La sinistra perduta è perdente Dopo il “20 D” e sei mesi di trattative inconcludenti per la formazione di un nuovo governo, eravamo tutti qua ad aspettare la prova d'appello del “26 J”, come usano gli spagnoli indicare le elezioni… di Felice Besostri Le persone normali in Spagna speravano di capire se dalle elezioni sarebbe uscito un governo, ma i media hanno dedicato più spazio al tema del sorpasso a sinistra: sarebbe riuscito Pablo Iglesias con Unidos Podemos superare il PSOE? Il sorpasso era stato previsto dai sondaggi d'opinione, compresi quelli pubblicati il giorno delle elezioni dal Periodico d'Andorra. Il Principato d'Anvalore in percentuale 3,36% è estero e quindi non soggetto alla legge spagnola, che proibisce la pubblicazione di sondaggi nei giorni precedenti l voto. Un sondaggio serio, aggiornato all'esito della Brexit del 23 giugno precedente. I sondaggi avevano previsto il sorpasso del PSOE da parte di Podemos già il 20 dicembre 2015, anzi alcuni davano il PSOE superato anche da Ciudadanos. Non è stato così il PSOE si conferma secondo patito in voti (5.545.315), seggi (90) e percentuale (22%), mentre Podemos in tutte le sue 4 articolazioni è terzo con 5.369.391 voti, 69 seggi e il 20,69%. Tuttavia, a sinistra i rapporti sarebbero stati altri, con una diversa legge elettorale, poiché quella vigente privilegia le piccole circoscrizioni quindi o i partiti presenti in forza su tutto il territorio nazionale ovvero i partiti regionalisti, mentre punisce i partiti distribuiti su tutto il territorio nazionale con percentuali sotto il 10%. IU unita con 926.783 voti e il 2,68% aveva soltanto 2 deputati tutti eletti a Madrid. L'abilità tattica di Iglesias, che aveva rifiutato l'alleanza con IU nel 2015, preferendo quella con formazioni regionali in Catalogna, Galizia e Paese Valenziano, per le elezioni 2016 fa un'alleanza generalizzata con IU e si forma Unidos Podemos: il sorpasso in voti (6.291.174) e in percentuale (24,36%) era assicurato in partenza con i dati 2015. I seggi in più avrebbero seguito come le salmerie l'esercito vittorioso. E infatti i sondaggi andorrani davano una forchetta di 83-87 seggi, la stessa del PSOE, ma con una perdita di seggi ed in percentuale di quest'ultimo. A urne aperte i socialisti e Unidos Podemos avrebbero potuto mettere la firma su un risultato conforme a quelle previsioni anche con tutte e due le formazioni al loro livello più basso. Avrebbero avuto 166 seggi perciò in grado di competere con un'alleanza di destra-centro PP-Ciudadanos di 169 seggi. Invece, un mezzo disastro. Il PSOE guadagna in percentuale lo 0,67%, ma perde 5 seggi e Unidos Podemos ritorna con gli stessi seggi del 2015, cioè 71, e in percentuale, con il suo 21,11%, perde il 3,25% quasi coincidente con la diminuzione dei votanti in percentuale – 3,36%: una debacle. La sinistra avrebbe capitalizzato la voglia di governabilità se si fosse presentata con una proposta unitaria e credibile. Non è stato così perché a sinistra da bordo campo, anche nel girone italiano, si era come ipnotizzati dal tema del sorpasso. Il sorpasso c'è stato, ma da destra. Dato che la destra ora può contare con 169 seggi, a -7 dalla maggioranza assoluta, mentre la sinistra ne ha 156, cioè è scesa a -20. A sinistra si è ragionato in puri termini di partito, con eccessi di aggressività da parte di settori irresponsabili di Podemos, malgrado un discorso distensivo di Pablo Iglesias ma troppo in ritardo. Quando il tema principale era il sorpasso una maggioranza numerica non sarebbe diventata politica come anche è servito poco definire Podemos come “socialdemocrata”, ma anche “patriotico e plurinacional”. Non ha conquistato simpatie socialiste, ma allontanato gli elettori comunisti di IU: non è un caso che le perdite maggiori si siano registrate a Madrid, la circoscrizione dove IU era più forte e aveva eletto i suoi deputati. Dall’altro lato l’aggettivo “patriotico” spiega le perdite nei paesi baschi… Insomma, una sinistra perduta è perdente su tutta la linea. Peccato, speriamo meglio in futuro.
Tania Sanchez e Pablo Iglesias |
SPIGOLATURE Meno banche, più valori di Renzo Balmelli PROMESSA. Meno banche, più valori. Con questa premessa che vale come promessa di un futuro più equo, nella cabina di regia italo-franco-tedesca si preme sull'acceleratore per stabilire se dopo la Brexit la lingua franca dell'Unione continuerà a essere l'inglese. Sempre un pochino snob, i sudditi di Sua Maestà invece prendono tempo, ritardano le pratiche del divorzio, studiano clausole speciali, fingendo di non capire che non si può stare dentro restandone fuori pur di non perdere i vantaggi acquisiti. Lo slogan preferito da Margaret Thatcher che reclamava la restituzione dei suoi soldi (give me my money back) grazie al quale negoziò condizioni di favore che gli altri Paesi non hanno avuto, aleggia sempre nell'aria con la speranza che la storia si ripeta. Insomma ne vedremo ancora delle belle (o brutte, dipende) tra Londra e Bruxelles prima che l'ADL riprenda le pubblicazioni a conclusione della pausa estiva. Come minimo sarà un'estate torrida anche se nella City come al solito pioverà. RIVOLUZIONE. Dire dove ci condurrà la Brexit col suo basto di insidiose incognite nel Regno ormai disunito e avvelenato dal clima del “tutti contro tutti”, è un pronostico che nemmeno i bookmakers più avveduti si azzardano a fare. Sarà però un processo molto lungo che rischia di lacerare del tutto un tessuto già abbondantemente rovinato. Le spinte secessioniste della Scozia e in un certo qual senso anche della capitale che teme l'isolamento non concorrono certo a rasserenare il clima. Poi si tratta di capire bene come si è arrivati a questo punto. Economia e finanza, chiamate in causa da varie parti, non hanno solo demeritato, ma il loro linguaggio molto spesso si è rivelato troppo arido per arrivare al cuore dell'uomo. Ora serve una rivoluzione culturale capace di recuperare la fiducia, le visioni e le speranze che sono andate perse, sacrificate alla logica della chiusura contro quella dell'apertura. Ma la politica ne sarà capace? TRAPPOLA. Nella patria di Winston Churchill che auspicava l'Europa federalista in antitesi alla cortina di ferro, qualcosa è andato storto. Chi vede il bicchiere ancora mezzo pieno e invita a non cedere alla rassegnazione, sostiene che il progresso non si può fermare. Non ha torto. Ma al di là della nebbia che di colpo ha reso difficile la traversata della Manica, l'orizzonte appare fosco, mentre guadagnano la scena personaggi poco affidabili. Personaggi politici sparsi in vari Paesi, che Lee Masters, celebrato autore della vicenda di Spoon River, non esiterebbe a definire "bugiardi e padri della menzogna" per la perfidia con la quale hanno manipolato la paura del domani, dei migranti e dell'identità a repentaglio. Sono attori scadenti che ci stanno infilando in una "Trappola per topi", però molto meno avvincente del capolavoro di Lady Clarissa Miller, meglio nota come Agatha Christie. MANIFESTO. Sembrano scritte in questi giorni tanto suonano attuali, e invece risalgono al 1944, quando la guerra e l'Olocausto facevano sfracelli, le considerazioni apparse sull'Avvenire dei Lavoratori di quei tempi a sostegno degli Stati Uniti d'Europa. Sotto lo sguardo torvo degli sgherri di regime, cresceva tra le popolazioni oppresse dalla dittatura nazi-fascista l'aspirazione molto diffusa per un ordine tra le Nazioni europee che servisse veramente a garantire la pace, la libertà e la giustizia. In condizioni difficilissime, la testata della Resistenza si faceva interprete di un ideale ispirato al sogno del Manifesto di Ventotene che ebbe un ruolo pionieristico nel definire in chiave moderna il concetto di Europa. Quella lezione di tolleranza è una preziosa eredità da consegnare alla generazione di Erasmus, agli orfani di Jo Cox e a tutti gli europei che non vogliono più guerre, né muri. MESSAGGIO. Incollati al televisore per l'abbuffata di calcio europeo, per un istante ci eravamo dimenticati, complice anche il sisma britannico, che sopra di noi continua a volteggiare minaccioso un mostro senza cuore, sempre pronto a colpire nel mucchio. Con il sanguinoso attentato all'aeroporto di Istanbul siamo stati di colpo riacciuffati dalla spaventosa realtà rappresentata dal terrorismo che non concede tregua anche se a volte può dare la fallace illusione di avere attenuato la sua strategia omicida. Quanto avvenuto nella metropoli sul Bosforo ci conferma invece che malgrado lo spiegamento di un capillare e meticoloso dispositivo di sicurezza dovremo attenderci altri attacchi micidiali. Anche se non ci sono rivendicazioni, molti analisti concordano nel ritenere che l'offensiva, oltre a seminare il panico e stroncare il turismo, abbia quale scopo finale la riconquista dell'antica Costantinopoli al quale il Califfato attribuisce un alto valore simbolico. A tale proposito il messaggio sembra esplicito. COPERCHIO. Come il fantomatico idraulico polacco trasformato in capro espiatorio di tutte le magagne, anche la Brexit sembra destinata a diventare un coperchio per tutte le pentole atto a giustificare ciò che non funziona. Il primo banco di prova è stato la Spagna. Se le elezioni non hanno risolto il rebus di Madrid, se dalle urne non è uscita la ricetta magica per assicurare la governabilità, se lo scenario per il futuro non promette nulla di buono, secondo gli osservatori bisogna cercarne le ragioni nello choc del referendum britannico. Magari sarà in parte anche vero. Ma non esageriamo. La Nazione iberica ha alle spalle mesi e mesi di inutili trattative che hanno evidenziato la distanza anche storica tra un partito, il PP, nato dalle ceneri del franchismo, e la sinistra incapace di riconoscersi nel comune obiettivo del "pueblo unido". Chi più, chi meno, entrambi escono sconfitti, e come si vede la stagione dell'incertezza e dell'instabilità viene da molto lontano. GENOCIDIO. Se esiste ancora una letteratura che non considera "genocidio" lo sterminio di un milione e mezzo di armeni, francamente non si riesce a immaginare cos'altro debba accadere per farci aprire gli occhi davanti all'orrore. A maggiore ragione se il massacro di quel popolo è rimasto a lungo confinato nell'oblio e trattato alla stregua di un danno collaterale della storia. Tanto che stando a quanto si racconta pare che Hitler fosse convinto che se l'avevano fatto gli altri, se lo poteva permettere anche il Terzo Reich. Suonano dunque come una netta cesura, dopo l'assodante silenzio del Vaticano negli anni dell'ultima guerra, le parole di Papa Francesco, che ha usato il termine “genocidio” senza curarsi della ragion di stato. Lo sterminio degli armeni è stato il primo genocidio del '900 e se la comunità internazionale non avesse guardato dall'altra parte forse si sarebbero evitate tante sofferenze. MIRACOLO. Al pari del volo, che non funziona senza mezzi meccanici o con improbabili ali di cera pronte a liquefarsi al primo sole, anche camminare sull'acqua è un miracolo precluso all'uomo. Tuttavia, poiché provarci non è vietato da nessuna legge, il grande artista americano Christo, famoso per l'originalità con la quale impacchetta i palazzi, è riuscito a realizzare un'opera che in un certo qual senso ha evocato l'ebbrezza di camminare davvero sulle acque, quelle dell'incantevole lago d' Iseo. Il colpo di genio è dovuto una passerella galleggiante presa d'assalto dai turisti. Chi c'è stato ha provato la sensazione di vivere un'esperienza fuori dal comune muovendosi in totale libertà e leggerezza lungo i quattro chilometri e mezzo della pedana. Da anni Christo inseguiva il suo sogno trovando sempre porte chiuse tranne che in Italia dove il progetto è arrivato a buon fine in barba alla burocrazia con una rapidità fuori dal comune. E questo sì che è un miracolo. GIGANTE. Aveva scelto di chiamarsi Bud per via della birra e Spencer in onore di Spencer Tracy, l'attore che più ammirava. Di vero nome faceva Carlo Pedersoli ed era olimpionico di nuoto. L'eroe degli "spaghetti western" con (e senza) Terence Hill, dall'alto della sua stazza imponente era il gigante buono che menava schiaffoni, ma senza realmente fare male. Aveva realizzato in questo senso una perfetta alchimia che non istigava alla violenza, non metteva paura ai bambini, faceva trascorrere un paio d'ore di divertimento e alla fine smascherava comunque i cattivoni, tuttavia senza intenti vendicativi. Un bel messaggio, non c'è che dire, che ha fatto amare Bud Spencer, scomparso a 86 anni, in tutto il mondo e in tutte le lingue in cui è stato doppiato. Visti e rivisti in televisione i suoi film si guardano sempre con piacere, senza mai annoiarsi, cosa che non succede spesso. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Cgil: l'Europa può rinascere solo sul lavoro Dopo la Brexit: "L'esito del referendum è la certificazione del fallimento delle politiche economiche e sociali della Ue. Sono peggiorate le condizioni di vita e di lavoro, c'è più diseguaglianza e povertà. Se non cambia rotta è destinata al fallimento" “L'esito del referendum in Gran Bretagna è la certificazione del fallimento delle politiche economiche e sociali dell'Europa, che - nel vivo della crisi che si prolunga da ormai quasi un decennio - hanno prodotto il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, l'attacco al modello sociale europeo, l'aggravarsi del debito pubblico nei paesi europei più in difficoltà, la crescita delle diseguaglianze e della povertà, l'aumento della disoccupazione (specie giovanile e femminile) a livelli che mai l'Europa aveva conosciuto”. Così in una nota la Cgil, dopo il voto che sancisce l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, con la Brexit al 52%. Secondo il sindacato di corso d’Italia: “Proseguire in questa direzione porterebbe al definitivo divorzio tra i cittadini e l ’Unione Europea. Le scelte che la Commissione e i governi devono compiere sono chiare e urgenti: cambiare i trattati e le politiche. E’ necessario puntare sulla lotta alle diseguaglianze, sulle politiche sociali, sul welfare, sugli investimenti pubblici per la crescita, sull'occupazione stabile e di prospettiva legata a istruzione avanzata e formazione di qualità, sulla tutela dei diritti civili e del lavoro, sull’integrazione”. “Anche per la Confederazione Europea dei Sindacati - conclude la Cgil - siamo a un bivio: la Ces non può più rinviare la scelta di rilanciare la dimensione sociale dell'Europa, di pretendere il ritorno alla centralità del lavoro e del suo valore nel contesto europeo, di insistere sul cambiamento delle politiche economiche e sociali sbagliate della Commissione europea, di chiedere la ripresa del progetto di integrazione europea all'insegna dei valori della solidarietà e della condivisione e non della concorrenza tra i lavoratori e del dumping sociale tra i diversi Stati". |
ECONOMIA Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali? di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Il risultato del referendum sulla Brexit avrà certamente un effetto profondo sull’economia britannica, sull’Unione europea e sul suo processo di integrazione. Chi ci ha letto in passato sa che noi siamo sempre stati fautori di un’Europa forte, solidale e sovrana. Nondimeno ci sembra esagerata la reazione sia dei mercati che delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali che paventano un nuovo sconquasso finanziario globale. E’ come se l’emergenza Brexit serva a giustificare una probabile adozione di interventi eccezionali e a scaricare su di essa le conseguenze di una crisi già in atto, ma che oggettivamente non ha origine nell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Al riguardo è interessante notare che le grandi banche too big to fail americane ed internazionali, la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Citibank, la Bank of America per nominarne alcune, sono state in prima fila, anche con notevoli donazioni in denaro, per sostenere la campagna “Remain”. Anche speculatori come George Soros sono scesi in campo contro la Brexit paventando cataclismi di ogni sorta. La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi fermi e ha annunciato che il costo del denaro salirà, ma più lentamente. L'incertezza sul referendum della Brexit "è uno dei fattori che ha pesato sulla decisione" di mantenere invariato il costo del denaro, ha affermato la governatrice Janet Yellen, sottolineando che un eventuale addio della Gran Bretagna all'Ue potrebbe avere ripercussioni sull'economia e sulla finanza globale. Dopo di che anche la Banca Centrale Europea ha affermato di essere pronta ad interventi di emergenza e in ogni caso di voler mantenere i suoi acquisti di asset finanziari pari a 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017 e anche oltre, se fosse necessario. Indubbiamente l’uscita dall’Ue avrà un grosso impatto in particolare per la City di Londra. Nella City operano circa 250 banche estere che in questo modo hanno un accesso diretto al mercato Ue. La City rappresenta circa il 10% del Pil britannico e contribuisce per il 12% a tutte le tasse raccolte dal governo. Essa è la prima esportatrice di servizi finanziari del mondo. Servizi che, per 20 miliardi di euro, vanno proprio verso l’Europa. Una delle grandi preoccupazioni riguarda, per esempio, la sorte della Royal Bank of Scotland, che nel biennio 2014-15 ha accumulato perdite per oltre 7 miliardi di euro. Cosa succederebbe a questa banca in caso di un aggravamento della situazione inglese? Secondo noi il nervosismo nella grande finanza riflette un profondo senso di incertezza e anche una vera e proprio paura di effetti a catena, simili a quelli non previsti e non voluti, della bancarotta della Lehman Brothers nel 2008. L’ultimo bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea delinea andamenti finanziari e bancari che meritano una attenta disamina. Nell’ultimo trimestre del 2015 i crediti bancari transfrontalieri globali sono diminuiti di 651 miliardi di dollari, di cui 276 verso la zona euro. E’ una tendenza in crescita da tempo. La stessa cosa era avvenuta a seguito della crisi del 2008. E’ indubbiamente uno dei risultati della prolungata stagnazione economica mondiale. E’ anche rilevante notare che il valore nozionale dei derivati OTC è finalmente sceso di quasi 200.000 miliardi di dollari, da 700 mila di giugno 2014 ai circa 500 mila di fine 2015. E’ un fatto di indubbia positività. Si tratta di cambiamenti necessari e ulteriormente auspicabili. Noi abbiamo sempre ribadito l’importanza di ‘prosciugare’ la palude dei derivati finanziari speculativi otc e di contenere le operazioni bancarie non produttive. I dati della Bri sono di grandezze eccezionali, però richiedono un attento controllo e anche interventi precisi da parte delle autorità competenti. Se fossero soltanto il risultato di performance autonome dei mercati, allora dietro ai numeri potrebbero nascondersi ‘macerie’. Sarebbe proprio come spesso accade dopo fenomeni alluvionali. Dopo una violenta inondazione si è tutti contenti di vedere che le acque si sono ritirate. Ma prima di permettere il ritorno delle famiglie evacuate o addirittura concedere dei permessi di costruzione è necessario che la Protezione Civile faccia un attento controllo del territorio per determinare se la catastrofe ha minato le fondamenta dei palazzi e la compattezza del terreno. Di certo sono in atto profondi rivolgimenti nei settori finanziari e bancari per cui ogni evento, anche di portata minore, rischia di produrre conseguenze destabilizzanti. Con effetti sistemici! |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Brexit. Osborne annuncia: “Il Paese sarà più povero” Sottotitolo di Lorenzo Mattei Fa freddo nonostante sia luglio in Gran Bretagna, un freddo metaforico, quello del risveglio dalla propaganda dopo il voto sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. È lo stesso governo britannico a fare previsioni fosche sul futuro dei sudditi di Sua Maestà, che hanno portafogli e borsellini sempre più vuoti, nonostante i dati positivi fin qui registrati dalla loro economia. Votando per il ‘Leave’ credevano di fare un passo in avanti, ma tutto lascia intendere che come è avvenuto con la crisi del 2008, anche la nuova che si preannuncia, avvantaggerà solo chi è già tanto tanto ricco. Lo ha ripetuto anche oggi nel dibattito a Westminster con il premier David Cameron, il leader laburista Jeremy Corbyn, ricordando che mentre il Pil cresce, crescono anche i poveri: + 200 mila in un anno. È l’amara realtà di un’economia liberista che mal sopportava le (poche) regole europee e che da domani si prepara a chiedere ai cittadini nuove ristrettezze, tagli ai bilanci e più tasse. E a dirlo è lo stesso Cancelliere allo Scacchiere, il ministro delle finanze George Osborne. “The country is going to be poorer” after #Brexit vote, – “Il Paese è destinato a essere più povero dopo il voto per la Brexit” ha twittato dopo un intervista alla BBC. Nell’intervista raccolta da Radio4 il Ministro si è lasciato andare a una profezia a tinte fosche, condita da “inevitabili tagli alle spese e aumenti delle tasse per stabilizzare l’economia” il tutto sotto il segno di un crudo “realismo rispetto alle sfide economiche che ora attendono il nostro Paese” salvo poi cercare di stemperare l’allarme aggiungendo che però “non potremmo trovarci in condizioni migliori per affrontarle. E questo grazie al lavoro che negli ultimi anni ha permesso di ricostruire la nostra solidità economica”. Siamo insomma al fallout di un voto che minaccia di far pentire amaramente quei 17 milioni 410 mila e 742 cittadini (51,9%) che hanno scelto di voltare le spalle all’Ue pensando così di risolvere i loro problemi mentre si cominciano a svelare le molte bugie della propaganda per il ‘Leave’. La vittoria è stata costruita su promesse che non possono essere mantenute. Una di queste era scritta a caratteri cubitali sui pullman usati nella campagna pro-Leave ed era quella che i 350 milioni di sterline versati ogni settimana a Bruxelles sarebbero andati al sistema sanitario nazionale, ridotto a brandelli dai tagli imposti in questi anni. Già la cifra vera era diversa, meno di 250 milioni e non 350, ma lo stesso leader del fronte antieuropeista, Nigel Farage, dichiarava candidamente la sera dopo il voto che non si poteva garantire che quei soldi sarebbero stati spesi per la sanità. Una bufala anche quella sull’immigrazione, forse la bugia che più ha incontrato le paure spesso totalmente ingiustificate dell’elettorato, contribuendo decisamente alla Brexit. Il fronte antieuropeista prometteva che con la vittoria del Sì, si asrebbe avuto il controllo e la riduzione dell’immigrazione. “Rivogliamo i nostri confini, rivogliamo i nostri passaporti, rivogliamo il nostro Paese. Chiunque sia d’accordo con noi, voti il 23 giugno, sarà il giorno dell’indipendenza”, tuonava Farage. Ma oggi tutti cominciano a capire che se la Gran Bretagna vuole continuare a far parte del mercato comune – ed è quello che stanno chidendo – dovranno accettare le condizioni dei 27 che comprendono tra i punti essenziali, che alla libera circolazione delle merci corrisponda anche la libera circolazione dei lavoratori. Oggi i seguaci di Farage spiegano che in realtà chiedevano un qualche tipo di controllo su chi entra nel Paese e sulle quote d’immigrazione, conrolli che possono riguardare solo i cittadini extraeuropei, non certo quelli dei Paesi Ue. Forse credevano davvero nei sondaggi che davano la Brexit perdente, fatto sta che oggi si rendono conto del pasticcio e cercano di allungare i tempi, di avviare negoziati, di uscire senza uscire per davvero. Avevano promesso che se avessero vinto, il Regno Unito avrebbe lasciato l’Unione europea il prima possibile e invece allungano la minestra. “Il Premier ha dato tempo al Paese – ha detto il Cancelliere dello scacchiere – di decidere che tipo di relazione avere con l’Europa, rinviando la decisione di avviare la procedura dell’Articolo 50 all’autunno, quando sarà in carica un nuovo premier”. Intanto … chissà. Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Renzi-Merkel, nervi tesi sulle banche La cancelliera esclude che si possano cambiare nuovamente le regole europee. Ma il premier italiano replica: “Non vogliamo farlo, sono stati loro a violarle”. Il Consiglio europeo si chiude con un documento sulla Brexit che riesce a tenere insieme una certa flessibilità sui tempi e una solida intransigenza sui modi in cui verrà affrontata l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Ma, visto dall’Italia, il meeting di Bruxelles è stato attraversato anche da un altro tema sensibile per il nostro Paese, reso ancora più delicato dai rischi connessi proprio alla gestione dell’esito del referendum d’Oltremanica. Si tratta della tenuta del sistema bancario di casa nostra, gravato dai cosiddetti crediti deteriorati, ossia quelli il cui recupero appare complesso. “Non possiamo ora cambiare le regole ogni due anni – ha detto Angela Merkel a proposito della possibilità di modificare le norme sul bail in – abbiamo appena lavorato per avere regole sulla ricapitalizzazione”. Parole accolte con una certa dose di freddezza da Matteo Renzi, che ormai da tempo ha ingaggiato su questo tema un duello con la Cancelliera, colpevole di essersi messa di traverso nella strada per il completamento dell’unione bancaria con l’ultimo pilastro, la creazione di un fondo europeo unico salva-banche. “L’Italia non chiede di non rispettare le regole – ha replicato piccato il premier – le regole sono state cambiate l’ultima volta nel 2003 per consentire a Francia e Germania di sforare il tetto del 3% sul deficit. Allora il Governo Berlusconi accettò di violare le regole per fare un favore alla Francia e alla Germania. Questo è accaduto in passato e non è più accaduto”. Renzi ha quindi rivendicato i risultati del suo governo nel settore: “Noi abbiamo messo il sistema in sicurezza, abbiamo fatto pulizia, abbiamo fatto l’operazione ‘banche popolari’ che serve ad evitare gli scandali”. Insomma, per l’Italia in Europa “è totalmente cambiata la prospettiva. Non siamo qui a prendere le lezioni dal maestro. È da quattro giorni che non parliamo di altro che di banche. Basta con questa continua discussione ‘tizio ha detto questo e Caio l’altro’, perché è un attegiamento di subalternità”. Vai al sito dell’Unità |
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/ Il marasma post Brexit Fra i tanti risvolti della Brexit mi soffermerei per un istante su quello culturale: sul rapporto cioè fra il Regno Unito e l’Europa “continentale”. di Danilo Di Matteo Il mondo anglosassone, inglese e americano, ha spesso suscitato un misto di ammirazione e di rivalità in vari ambienti del “vecchio continente”. Quanti studiosi, ad esempio, sono stati esuli a Londra, da Ugo Foscolo a Sigmund Freud? E la stessa idea di rivoluzione affermatasi oltre la Manica e oltreoceano viene confrontata non di rado con quella “giacobina” (e bolscevica). Sta a tutti noi, ai britannici come ai cittadini dell’Unione europea, non dissipare un patrimonio così ricco e fecondo, fatto di confronto continuo, di stimoli, di tensione critica e creativa. Di certo l’esito del referendum ci scuote, fino a una sorta di incredulità. A conferma che ormai si naviga in mare aperto e “senza il vento della storia”, per usare il titolo dell’ultimo libro di Franco Cassano. Come se non ci fosse più quella “freccia del tempo” che in passato abbiamo creduto di scorgere: con i suoi percorsi inesorabili, i suoi punti di non ritorno, le conquiste sancite una volta per tutte. Insomma: viene definitivamente meno la concezione del tempo come progresso inarrestabile e ben orientato, pur con le sue cadute, talora tragiche, e i momentanei passi indietro. Davvero, forse, la storia non ha un verso preciso. Tutto appare possibile. Ma ciò accresce le nostre responsabilità. Non possiamo più confidare nel “vento della storia”, è vero: non per questo dobbiamo però rassegnarci a subire passivamente gli eventi, quasi fossero originati da una riedizione del fato. Con umiltà, consapevoli dell’azione possente di dinamiche complesse quali quelle scaturite nella tarda modernità da fenomeni di globalizzazione tumultuosi, dovremmo cercare di far leva, nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti, sui principi di libertà, di equità e di inclusione. Anche in mare aperto, infatti, si può evitare di cadere in preda al caos e al marasma. |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ La Fondazione Nenni entra nella FEPS Foundation for European Progressive Studies di Giorgio Benvenuto Con vero piacere annuncio che la Fondazione Nenni è stata accolta nella FEPS. Un grande riconoscimento per la Fondazione a suggello dei grandi sforzi di potenziamento e di rilancio delle attività di studio, di ricerca e culturali. Entriamo nella grande casa socialista europea, sede nella quale possiamo valorizzare e rilanciare le idee di solidarietà e costruire, confrontandoci con le altre realtà, proposte per un ‘Europa attenta ai problemi sociali”. La FEPS (Foundation for European Progressive Studies) ha sede a Bruxelles ed è il pensatoio del progressismo europeo che accoglie le più importanti organizzazioni e Fondazioni culturali progressiste europee. Vicino al Partito socialista europeo (PSE), ma comunque indipendente, la FEPS incarna un nuovo modo di pensare sulla scena sociale, democratica e socialista per affrontare le sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi. |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
|