L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 28 aprile 2016 |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it
“Più valore al lavoro” è il tema del concertone Giunto alla 26esima edizione l'appuntamento di Piazza San Giovanni a Roma. Baseotto (Cgil): "Un grande evento culturale patrimonio di tutto il paese, capace di aggregare e di trasmettere messaggi positivi alla società italiana". Tutti gli ospiti Torna anche quest'anno il Concerto del primo maggio a Roma, tradizionale appuntamento promosso come sempre da Cgil, Cisl e Uil ed organizzato da iCompany e Ruvido Produzioni. Un evento che dal 1990 raduna nel giorno della Festa dei lavoratori migliaia di spettatori in una delle piazze più importanti della capitale, Piazza San Giovanni in Laterano, per 8 ore di musica. “Il concerto del primo maggio, giunto alla sua 26esima edizione, è diventato un grande evento culturale, non solo per la città di Roma ma per tutto il Paese. Un evento nazionale di prima grandezza, capace di aggregare e di trasmettere messaggi positivi alla società italiana”, ha detto il segretario confederale della Cgil, Nino Baseotto, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del concerto che si è tenuta oggi a Roma nella sede di Radio Rai. “Il titolo dell’appuntamento musicale - ha sottolineato il dirigente sindacale - dice tutto: ‘Più valore al lavoro: contrattazione, occupazione, pensioni’. Lavoro che deve essere visto da chi ci governa come una risorsa per uscire dalla crisi e rilanciare il Paese e non come un costo, come un problema”. Gli artisti che si esibiranno sul palco sono: Skunk Anansie, Max Gazzè, Vinicio Capossela con i Calexico, Asian Dub Foundation, Salmo, Marlene Kuntz, Tiromancino, Fabrizio Moro, Gianluca Grignani, Coez, Bugo, Dubioza Kolektiv, Tullio De Piscopo, Raiz Mesolella Rossi, Gary Dourdan feat, Nina Zilli, Nada con A Toys Orchestra, Perturbazione feat, Andrea Mirò, Bandabardò con Gaudats Junk Band, Mau Mau, Ambrogio Sparagna, Peppe Barra, Rezophonic, Modena City Ramblers & Fanfara di Tirana, Eugenio Bennato, Maldestro, Thegiornalisti, Orchestra Operaia per Remo Remotti con Petra Magoni, Massimiliano Bruno, Stefano Fresi, Max Paiella, Anna Foglietta, Michela Andreozzi e Carlotta Natoli, Enzo Avitabile, Tony Canto con Faisal Taher, Miele, Il Parto Delle Nuvole Pesanti, Med Free Orkestra con Roberto Angelini e Matteo Gabbianelli, Blebla, Santino Cardamone. In apertura, si esibiranno i 3 finalisti del contest 1MNext, dedicato agli emergenti: Banda del Pozzo, Banda Rulli Frulli e il geometra Mangoni. Il vincitore assoluto del contest sarà decretato sul palco del Concertone. La manifestazione musicale andrà in onda, in diretta televisiva dalle ore 15.00 a mezzanotte su Rai 3 e sul canale 501 HD. La regia è di Cristiano D' Alisera. L' evento sarà trasmesso in diretta anche su Radio2, partner ufficiale dell'evento. |
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EDITORIALE Se le politiche di austerità continueranno di Andrea Ermano Trionfante (ma non ancora eletto), il neo-heideriano Hofer, con il suo 35,05% dei voti ha portato aria di gran festa nella casa austriaca della "destra di destra". La "destra di sinistra" (o di centro-sinistra, o di centro: insomma i socialisti e i democristiani al governo di quel paese) ha subito, invece, una cocente sconfitta. Si conferma la regola per cui le forze democratiche vengono battute ogni qual volta s'illudano di poter contrastare il populismo imitandone toni e temi. Così, la blindatura del Brennero portata avanti dal governo di Vienna non ha salvato per nulla la "destra di sinistra", e anzi ha agevolato una sorta d'ipnosi propagandistica ai danni dell'opinione pubblica austriaca, ora in piena trance xenofoba (l'Austria, dati alla mano, "esporta" in Italia più immigrati di quanti non ne "importi"). Ciò premesso, è lecito chiedersi se una sinistra che avesse il coraggio di dire e fare cose di sinistra potrebbe vincere là dove la "sinistra di destra" invece perde. Non è detto. Sperare di risalire la china è possibile, per le forze "sinceramente democratiche", solo se queste, finché stanno al governo, attuano politiche sociali volte a risollevare i ceti medi demoralizzati dall'attuale miseria, dopo un Ventennio durante il quale l'idrovora anarco-capitalista ha sistematicamente derubato i poveri per dare ai ricchi, un po' come nelle grottesche e ridanciane avventure di Superciuk, eroe negativo partorito dal genio di Max Bunker nei primi anni Settanta.
Un recente quaderno di "Alan Ford" dedicato alle avventure di Superciuk Se le politiche di austerità continueranno, allora continuerà a salire complessivamente anche la disoccupazione, e in particolare quella giovanile. Stiamo perdendo un'intera generazione, come diceva anche Draghi. E questo è il problema dei problemi di fronte al quale la middle class non può che perdere la trebisonda iniettando nel corpo sociale paura e instabilità. Di fronte a ciò i populisti della "destra di destra" giocano (ovviamente) al rialzo della paura buttando la croce addosso agli immigrati. I moderati della "destra di sinistra", come detto, si barcamenano e perdono. Non resta che da chiedersi: che cosa propongono i populisti di sinistra? Molti di loro, seguiti e affiancati in Italia dal M5s, reputano che l'unica via d'uscita da questa situazione comporti l'introduzione del Reddito di Cittadinanza. Proprio su questo tema, su un'iniziativa popolare federale "Per un reddito di base incondizionato", si voterà in Svizzera il prossimo 5 giugno. L'iniziativa referendaria prevede un emendamento costituzionale che affiderebbe allo Stato l'obbligo di versare "a tutti i residenti sul territorio elvetico" un certo importo in denaro (il "reddito di base", appunto), svincolato da qualunque pre-condizione attinente al reddito e al patrimonio, cioè tale da consentire a chiunque un’esistenza dignitosa anche senza l'esercizio di attività lucrative. I promotori non precisano né l’importo del "reddito di base incondizionato" né le modalità di finanziamento che l'eventuale modifica costituzionale richiederebbe, sicché questi aspetti dovrebbero essere disciplinati o dal Parlamento elvetico o, eventualmente, nell’ambito di una successiva consultazione referendaria qualora, caso assai improbabile, l'iniziativa passasse l'esame delle urne. Secondo i calcoli del Consiglio Federare elvetico, il governo di Berna, un'eventuale fissazione del reddito al minimo esistenziale genererebbe costi annui per la Confederazione di poco inferiori ai 200 miliardi di euro, parte cospicua dei quali potrebbe anche essere coperta da prelievi su redditi da attività lucrativa e da trasferimenti di prestazioni sociali. Ma per il fabbisogno residuo, calcolato in Svizzera intorno ai 25 miliardi di euro (che in Italia si moltiplicherebbero per cinque o per otto), bisognerebbe ricorrere a cospicui tagli di bilancio combinati con un sensibile aumento della pressione fiscale. Sul piano delle dinamiche sociali è facile prevedere che aumenterebbe il lavoro nero e, per intere categorie di lavoratori a basso reddito, risulterebbe assai poco interessante esercitare un’attività lucrativa. La rarefazione dell'offerta sul mercato del lavoro favorirebbe i processi di delocalizzazione produttiva, comunque in atto, e le conseguenze di tutto ciò sul Welfare sarebbero tendenzialmente devastanti perché una serie di prestazioni sociali (quelle medico-sanitarie in testa) subirebbero un'ulteriore impennata e potrebbero risultare non più sostenibili a causa del progressivo indebolimento economico del Paese. Fin qui le valutazioni sul reddito di cittadinanza nell'opulenta Confederazione Elvetica. In qual modo iniziative analoghe potrebbero ipotizzarsi nel nostro Paese è un enigma grillino avvolto in un mistero a cinque stelle, sempreché si voglia tenere fermo al principio astratto di un reddito di base incondizionato e cioè di un sistema di diritti totalmente dissociato da qualsiasi nozione di dovere. Il discorso cambierebbe radicalmente se ipotizzassimo, invece, un reddito di base non "a pioggia" e non incondizionato, ma al contrario collegato a certe prestazioni obbligatorie che ogni cittadino/a sarebbe tenuto/a a fornire nella misura del possibile e del ragionevole. Discorsi di questo genere hanno come loro archetipo l'"Esercito del Lavoro" di cui ragionava Ernesto Rossi nel suo celebre saggio Abolire la miseria, scritto nelle carceri fasciste intorno all'anno 1942 e dato poi alle stampe nel 1946. Ma è ovvio che, per scelte di questa portata, occorrerebbe compiere quanto meno sul piano delle idee un passettino oltre il pensiero unico dominante, occorrerebbe cioè riconcepire il ruolo dello Stato al di là della sua dimensione nazionale e al di là dei dogmi liberisti che pretendono di affidare la gestione dell'economia, dell'ecologia, della società e della vita umana al cosiddetto "mercato", ridotto a sua volta a una logica angustamente unidimensionale: la logica del massimo profitto nel minimo tempo.
Ernesto Rossi Oggi nessuno si occupa di drenare i fiumi, imbrigliare i torrenti, curare i boschi, ripopolare la fauna ittica… Sarebbe lunghissima la lista delle cose che il "mercato" non fa perché non producono massimizzazione a breve. E al "mercato" non importa nulla se, poi, i danni conseguenti all'incuria comporteranno gravi oneri per la società. Lo stesso valga per i costi socio-previdenziali in continuo aumento strutturale a causa della denatalità e dell'invecchiamento della popolazione. Ma argomenti analoghi si potrebbero sviluppare sul tema della legalità, su quello della conservazione dei beni artistici e sui mille altri ambiti dello "sgoverno" anarco-capitalista contemporaneo. Va da sé che di fronte a fatti eclatanti tutti poi reclamino a gran voce l'intervento dello Stato: piove governo ladro! E allora si pretende che lo Stato risolva una sequela di emergenze rispetto alle quali per interdetto ideologico liberista gli è però vietato adottare gli strumenti idonei a farlo sia sul piano locale, sia nazionale, sia transnazionale. E così rischiamo di vederci lentamente ma inevitabilmente sommersi tutti quanti da uno "sgoverno" sempre più caotico e quindi sempre più foriero di ondate populiste e quindi sempre più esposto all'autodistruzione dell'unica realtà istituzionale, l'Unione Europea, che sola potrebbe ancora in ipotesi offrirci una sponda di governabilità. Ecco, è proprio questo, la governabilità, il punto cruciale di tutta la sfida politica che il futuro ci lancia. Perché, mentre il lavoro produttivo si assottiglia a causa di mille processi di automazione e informatizzazione, noi abbiamo grande difficoltà a vedere l'evidente, dum patet latet, e cioè: che dobbiamo governarci, riorganizzarci e svolgere un grandissimo lavoro sociale e politico su noi stessi, se vogliamo riacquisire una minima capacità di gestione delle dinamiche che noi stessi abbiamo messo in moto. |
SPIGOLATURE In quest’Europa agitata di Renzo Balmelli ALLARME. Se l'Austria dei muri vince alle urne travolgendo con l'impeto di un fiume in piena una gloriosa tradizione social-liberale significa una cosa sola: significa che quando l'estrema destra xenofoba, anti europea e anti immigrati rompe gli argini e imbarca voti oltre il limite fisiologicamente tollerabile stanno per iniziare tempi grami per tutto il Continente. Anzi, già ci siamo nel marasma in questa Europa drammaticamente agitata che invece di costruire ponti appare contagiata dalla riproposta delle bacate ideologie in auge il secolo scorso. A Vienna il vento gelido della deriva increspa il Danubio e mentre le dolci note dell'ultimo valzer triste si perdono nella foschia della storia, sarebbe imperdonabile se le forze sane dell'arco democratico sottovalutassero il campanello d'allarme austriaco e non solo. IDEALI. Porre un bavaglio ai blogger è una scelta che ripugna a coloro che richiamandosi a Voltaire fanno della libertà di espressione e del confronto delle opinioni, anche le più sgradevoli, uno dei capisaldi della comunicazione senza censure. In talune circostanze capita però che dietro il comodo paravento dell'anonimato vengano veicolati giudizi a dir poco discutibili e in più occasioni condannabili. Ne abbiamo avuto un abbondante e indiscriminato florilegio nei commenti alle elezioni austriache in cui non mancano frasi deliranti inneggianti all'imbianchino folle per auspicare il pronto ritorno al "sano e muscolare patriottismo" d'antan. Patriottismo che nel clima attuale, carico di livore contro i migranti, non significa poetico amor patrio bensì il ripudio dei valori e degli ideali tramandatici dai padri illuministi. RESISTENZA. "Liberateci dalla Liberazione e dalla lagna antifascista". Se davvero si vuole ampliare il concetto del 25 aprile, pur rispettandone il significato originale, non sarà certo dalle balorde elucubrazioni come quelle virgolettate poste all'inizio e veicolate dai media accasati a destra che verrà l'ispirazione. Di ben altro spessore sono invece le parole di Mattarella quando ricorda che è sempre tempo di Resistenza perché "guerre e violenze si manifestano ai confini d'Europa, in Mediterraneo e in Medio Oriente". A maggior ragione lascia quindi allibiti l'insistenza con la quale viene propagata da certi ambienti la contro storia tendente a delegittimare la lotta partigiana che ha riscattato l'Italia dall'onta del regime e l'ha riportata nell'orbita delle nazioni civili. Cedere ai revisionisti sarebbe l'inizio della fine. NO WAR. Nel suo Farewell Grand Tour europeo, forse l'ultimo del suo mandato che molti già cominciano a rimpiangere, Obama non si è smentito e ha lasciato intendere che fino a quando sarà alla Casa Bianca gli Stati Uniti non andranno oltre lo stretto indispensabile per contrastare l'Isis. Non vi saranno insomma corpi di spedizione come all'epoca del Vietnam con l'esito disastroso che tutti ricordano. Una guerra però gli USA la stanno comunque facendo attrezzandosi per bloccare sul Web la diffusione propagandistica dello Stato islamico che di questa strumento ha fatto e fa ampio uso per mobilitare nuove leve. Il Presidente americano ha insomma sposato il convincimento, inviso ai repubblicani, che il Califfato si può battere con le armi della cultura e dell'intelligence meglio di quanto sappiano fare i cannoni. PELLEGRINAGGIO. Sembra che "du côté de chez Salvini" non sappiano più che pesci pigliare per scalare il Campidoglio romano se sono ridotti a prendersela con la povera Pascale, la compagna di Silvio B. che non le manda a dire al leader leghista impegnato a sferrare calci a destra e manca nel tentativo di imporre il suo candidato. Ormai la baruffa tra Forza Italia e il Carroccio alimenta lo spassoso teatrino inscenato quasi ogni giorno dai due schieramenti nella corsa alle amministrative della capitale. Non potendo ormai più contare sulla benedizione dell'ex Cavaliere, il successore di Bossi è andato in pellegrinaggio da Trump che gli ha pronosticato un futuro radioso. "Presto sarai primo ministro e io presidente" gli ha detto, e formeremo un binomio fantastico. E' stata la classica gara a chi le spara più grosse. MISTERO. A ognuno il suo Shakespeare. Celebrato a quattrocento anni dalla morte con numerose iniziative globali, il Bardo di Stratford-upon-Avon, non cessa di stupire, di interpellare le nostre coscienze e di scavare nei gangli della società con intuizioni che indagano nella psicologia dell'uomo quattro secoli prima di Freud. Tale è il suo fascino e la sua capacità di parlare a tutti, che nel settecento, come svela il Giornale del Popolo di Lugano, un erudito contadino svizzero del Toggenburgo, autore di uno dei primi commenti in lingua tedesca dedicati all'autore, gli si rivolge chiamandolo "Caro William", cogliendo in pieno il significato universale dell'opera shakespeariana. Ancora oggi sopravvive il mistero legato alla vera identità del drammaturgo, ma le numerose congetture riguardo alle sue origini svaniscono al cospetto dei suoi personaggi più riusciti. |
Riceviamo e doverosamente pubblichiamo La legge contro la tortura entro il 2016 Ilaria Cucchi si batte ormai da sette anni per suo fratello, Stefano, morto nell'ottobre del 2009, e per "una giustizia che ha dimenticato i diritti umani". Ora chiede che Parlamento e Governo approvino finalmente, ed entro quest'anno, il reato di tortura in Italia. "Stiamo chiedendo all’Egitto verità per Giulio Regeni. Dobbiamo farlo. Ma ricordiamoci che lo facciamo dall'alto del fatto di essere l’unico Paese d’Europa a non avere una legge contro le brutalità di Stato. La Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia per gli orrori del G8 di Genova nel 2001. Che aspettiamo?" di Ilaria Cucchi Mi chiamo Ilaria, ho 42 anni e 2 figli. Vivo a Roma e di Roma è tutta la mia famiglia. È qui che sono cresciuta: non da sola, ma insieme a mio fratello Stefano, quello "famoso". Stefano Cucchi, "famoso" perché morto tra sofferenze disumane quando era nelle mani dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato. Mio malgrado, sono molte le persone che mi conoscono in questo Paese. Sanno come sono fatta. Sanno - perché da sette anni ormai non mi stanco di ripeterlo - che sono in ottima forma fisica e che sono viva. Al contrario di mio fratello, che pesava quanto me ma che vivo non è più. Nell'ottobre del 2009 non sono stata picchiata. Non mi hanno pestato, non mi hanno rotto a calci la schiena, non ho avuto per questo bisogno di cure mediche. Non mi hanno torturato. Sono viva. Sono viva e combatto con una giustizia che ha dimenticato i diritti umani. Sono viva e da allora mi batto per non smettere di credere. Ecco perché chiedo che Parlamento e Governo approvino finalmente, ed entro quest'anno, il reato di tortura in Italia. Stiamo chiedendo all’Egitto verità per Giulio Regeni. Dobbiamo farlo. Ma ricordiamoci che lo facciamo dall'alto del fatto di essere l’unico Paese d’Europa a non avere una legge contro le brutalità di Stato. La Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia per gli orrori del G8 di Genova nel 2001. E ci ha imposto l’introduzione nel nostro codice penale del reato di tortura. Che aspettiamo? Nonostante tutto io alla giustizia ci credo ancora. In questi giorni di preparazione alle elezioni amministrative in grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, ho lanciato delle provocazioni. Ho provato a richiamare l'attenzione della politica di qualsiasi colore su qualcosa che da sette anni fa parte della mia vita. Perché da sette anni sono una donna che chiede giustizia per l'abuso di cui è stato vittima suo fratello. E da sette anni sono una cittadina che chiede che la sfera pubblica dia finalmente risposte di civiltà. Ho sempre creduto e continuo a credere nonostante tutto all'uguaglianza sostanziale di ognuno di noi di fronte alla legge. Vedo la politica litigare con la magistratura, i giudici scontrarsi con i governi ma non vedo, continuo a non vedere la base. E la base può essere solo quella di ripartire dai diritti umani. Voglio che si riaccendano le luci non solo su questioni che riguardano la memoria di Stefano, ma che hanno a che fare con tutti noi. Penso a Giulio Regeni, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini. Tutte queste storie, tutte le persone dietro a queste storie ci testimoniano, con la loro morte che è una morte di Stato, che uno Stato di diritto senza diritto è una banda di predoni. In questo nostro Stato manca un fondamento: quello del reato di tortura. Non è uno Stato di diritto quello che permette che un uomo, Andrea Cirino, venga torturato in carcere. E che permette che per questo orrore disumano non ci sia alcuna condanna, perché il reato di tortura in Italia non c'è. Per quale motivo l'Associazione nazionale Magistrati che è sempre così giustamente sensibile ai problemi che la legislazione in materia di lotta alla corruzione e alla mafia può creare, mai e dico mai è intervenuta sul tema degli abusi e della violazione dei diritti civili e della mancata approvazione di una legge sulla tortura? Se non si parte proprio da questo a nulla può portare il confronto tra le istituzioni: sono scontri di potere a danno dei cittadini, che vengono schiacciati, non tutelati. Ogni tassello rimesso a posto rende più vicina la verità. Per Stefano, per Giuseppe, per Marcello, per Giulio, per Riccardo e per tutti gli altri: approviamo il reato di tortura in Italia entro il 2016! Vai al sito per firmare la petizione |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ SCHENGEN, ADDIO Vienna presenta il piano per il "muro" al Brennero: «Pronti a schierare lʼesercito, controlli anche sul territorio italiano». Renzi: «Chiusura sfacciatamente contro regole Ue». Hofer su accordo di Dublino: «Firmato anche dall'Italia, lo rispetti». Locatelli: «Europa impotente». Cgia: «Duro danno anche all'economia, tra i 5 e i 10 mld» di Maria Teresa Olivieri Vienna non torna indietro, sbarra i confini con l’Italia e tira l’ennesimo muro nel cuore dell’Europa. Il Piano per la chiusura della frontiera al Brennero è pronto ed è stato illustrato oggi durante l’attesissima conferenza stampa congiunta delle autorità austriache, tedesche e italiane indetta sul funzionamento della barriera per i controlli. Helmut Tomac, il capo della polizia del Tirolo che ha presentato il piano che il governo austriaco intende attuare per evitare che il Paese venga “invaso” dagli immigrati e ha spiegato cosa intende fare l’Austria al Brennero: “Se l’Italia non ferma i profughi prima del valico, ci penseremo noi”. Un annuncio che ha odore di minaccia verso l’Italia, tanto che il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha affermato: “L’ipotesi di chiudere il Brennero è sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro”. Renzi rivendica poi il diritto, anzi “il dovere”, di “chiedere all’Europa di cambiare linea sia sulla migrazione che sull’economia”. Ma l’Austria non sembra battere ciglio di fronte alle proteste italiane e Vienna, ha spiegato ancora Tomac, schiererà al Brennero 250 poliziotti ai quali, in caso di necessità, verranno aggiunti, dopo il via libera del ministero della Difesa, anche dei militari. Vienna ha già predisposto tutto: ci sarà una rete metallica lunga 250 metri che si sviluppa in larghezza e “taglia”, in perpendicolare, la carreggiata dell’autostrada A22, a est, e quella della strada statale del Brennero, a ovest. Due lingue di asfalto che corrono parallele, separate dalla ferrovia che passa in mezzo, lungo l’autostrada ci saranno 4 corsie separate con un limite di velocità di 30Km/h, i Tir verranno separati dalle auto. Inoltre il monitoraggio sarà previsto tanto sulla strada statale che lungo la ferrovia. Infatti in futuro potrebbero essere istituite pattuglie trilaterali per i controlli a bordo dei treni, che l’Austria chiede a partire da Fortezza (Bz) ma l’Italia continua ad opporsi. Se tale resistenza non verrà meno, Vienna procederà alla costruzione di un recinto di 370 metri lungo l’asse viario e obbligherà tutti i treni a uno stop alla stazione di Steinach per controllare che sui convogli non vi siano migranti irregolari. Insomma, come confermato dal Capo della Polizia, se l’Italia non permetterà alla polizia austriaca di salire sui treni già su territorio italiano per effettuare controlli sul flusso dei migranti, Vienna costruirà un recinto alla frontiera. Insomma l’Austria mette l’Italia davanti a un bivio, la cui ultima parola spetterà in ogni caso a Vienna. Non solo, ma a irritare Roma ci pensa anche il leader dell’Ultradestra vincitore delle elezioni del 24 aprile, Norbert Hofer che sulla revisione del regolamento di Dublino sul diritto di asilo ha beffato le richieste italiane. L’accordo “deve essere applicato così com’è – ha affermato – e i rifugiati devono rimanere nel primo territorio sicuro in cui arrivano”. Per Hofer si tratta di un regolamento che hanno “firmato tutti, e tutti sapevano cosa c’era scritto”. Anche gli italiani che, ha sottolineato ancora, “avrebbero potuto rifiutarsi. Ma se si sottoscrive” un patto, va mantenuto”. Proprio l’Europa sembra inerme di fronte all’ennesimo attacco a quello che è il proprio tallone d’Achille, la gestione di migranti e profughi. “La decisione dell’Austria di innalzare una barriera al Brennero è un colpo durissimo per l’Europa, che sancisce di fatto la fine degli accordi di Schengen”. afferma Pia Locatelli, capogruppo socialista alla camera e presidente del Comitato Diritti umani. “La grande comunità che ha sancito la libertà di circolazione delle merci, ma soprattutto delle persone, oggi si è chiusa in se stessa, ha innalzato muri e barriere e invece di accogliere chi scappa dalle guerre e dalla violenza, respinge. Di fronte a questo atto unilaterale che viola il patto di Schengen, l’Unione, al di là della condanna, è impotente e non ha strumenti per replicare”. Inoltre la decisione dell’Austria di trincerarsi preoccupa anche sul versante economico dell’Italia in lenta ripresa. “La chiusura del Brennero sarebbe un danno gravissimo per l’economia e per i trasporti europei, non solo italiani. E comunque non possiamo tornare a una Europa unita solo dal punto di vista commerciale o della moneta”. Afferma il ministro dei Trasporti Graziano Delrio in un’intervista al Mattino, che aggiunge: “A pagare il conto maggiore sarebbe il settore agroalimentare”, che subisce già le conseguenze delle sanzioni verso la Russia. Con la chiusura della frontiera si ipotizzano danni ipotetici tra 4,8 e 9,8 miliardi, tenuto conto anche della riduzione del potere di acquisto delle famiglie nel lungo periodo, dovuto pure al rialzo dei prezzi (dell’1 e del 2% nei due scenari), e del conseguente calo dei consumi interni. Lo riferisce Cgia di Mestre che ha analizzato i dati di Alpinfo-Ufficio federale trasporti svizzero, riferiti al 2013 (ultimo anno disponibile). “Secondo uno studio redatto dall’associazione degli autotrasportatori belgi – segnala il coordinatore della Cgia Paolo Zabeo – ogni ora di lavoro costa mediamente 60 euro. Con un ritardo di sole due ore è stato stimato un aumento dei noli del 10% che ricadrà, nel medio e lungo periodo, sui costi e quindi sui prezzi dei prodotti e di conseguenza sul consumatore finale”. I controlli al Brennero rischiano dunque di colpire tutto il sistema produttivo, soprattutto quello legato alle esportazioni. Inoltre il 40% di tutto l’import e export che ha per meta o partenza l’Italia – e deve oltrepassare, in un senso o nell’altro, le Alpi – transita proprio per il valico alla frontiera con l’Austria. In particolare, un terzo del totale delle merci (29 tonnellate su 89) usano i Tir come mezzo. Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Si riapre il fronte greco Ma stavolta lo scontro non è solo tra Berlino e Atene. A meno di un anno dall’accordo con i creditori, la Grecia è di nuovo sull’orlo del default. Una vicenda che potrebbe polarizzare ulteriormente lo scontro tra i rigoristi e chi vuole superare definitivamente il muro dell’austerity di Stefano Cagelli - @turbocagio E’ passato meno di un anno da quel referendum greco che ha tenuto tutta l’Europa con il fiato sospeso. In quell’occasione i cittadini greci si pronunciarono contro il piano proposto dai creditori internazionali in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario. A quel No fece seguito una nuova trattativa e un nuovo accordo tra il governo greco e la troika rappresentata dalla Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Il famoso Terzo Memorandum che sbloccò, in cambio di impegni e riforme precise da parte dell’esecutivo guidato da Alexis Tsipras, un piano di salvataggio da 82-86 miliardi. Questo accordo, che provocò le elezioni anticipate e la frattura dentro Syriza con l’abbandono del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, sembrava comunque aver messo la parola fine a quella che dai media di tutta Europa era stata enfaticamente ribattezzata come “la tragedia greca”. Sembrava, appunto. Già perché i conti ancora non tornano. La Grecia ha bisogno di oltre 5 miliardi di euro di aiuto da parte dei suoi creditori ma rifiuta di effettuare altri tagli alla spesa pubblica. Il Fondo Monetario continua il pressing su Atene (e su Berlino) per rivedere il piano di salvataggio. Raggiungere un avanzo primario del 3.5% come previsto dalle intese richiederebbe “uno sforzo eroico” da parte del popolo ellenico, ha detto il numero uno del’Fmi Christine Lagarde, e anche se si riuscisse a centrare l’obiettivo una volta, ben difficilmente si “potrebbe consolidare il risultato nel tempo”. La Germania, dal canto suo, ha già fatto sapere che se Washington si defilasse, sarebbe impossibile portare avanti l’intesa. Alla luce di tutto questo, la Grecia sembra ad un passo dal finire il denaro a sua disposizione, che potrebbe terminare già nelle prossime settimane. Come già visto più volte in passato, insomma, il film sta per ripetersi. I creditori chiedono ad Atene di mantenere gli impegni, il governo greco parla di richieste aggiuntive e irrealizzabili. E intanto il popolo greco è allo stremo della forze, vessato da una crisi economica ormai decennale che ha trasformato l’economia nazionale, con ripercussioni devastanti sulla vita di tutti i giorni. Tsipras vuole chiedere all’Europa un alleggerimento del debito. Ha rivolto un appello affinché si possa svolgere il prima possibile un vertice con capi di Stato e di governo dell’Ue per provare a prendere una decisione politica e far uscire, ancora una volta, “i falchi allo scoperto”. Richiesta rispedita per il momento al mittente dall’austero ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha esortato “l’Eurogruppo (che era previsto per domani ma è stato annullato, ndr) a riunirsi in tempi brevi, giorni, non settimane”. Era stato lo stesso Tsipras ad esprimere a Tusk “la sua insoddisfazione per l’insistenza sulle misure chieste dalla Fmi che vanno oltre quanto previsto nell’accordo di luglio 2015″. La politica intanto si muove. E l’Italia sembra intenzionata, a differenza dello scorso anno, a prendere convintamente le difese di Atente. “La Commissione Ue – afferma Federica Mogherini, Alto Rappresentate per la Politica estera – continua a lavorare con uno spirito di cooperazione con le autorità greche e con le altre istituzioni, per poter concludere la revisione quanto prima. Ci sono ancora pochi passi da fare, siamo fiduciosi che possano essere fatti in un periodo di tempo limitato”. Non usa mezze misure Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D all’Europarlamento e uomo di punta del Partito Democratico a Bruxelles: “Non possiamo chiedere alla Grecia misure addizionali. Vorrebbe dire che alcuni falchi vogliono uccidere la Grecia e non possiamo consentire questo ricatto. La posta in gioco per l’Europa è troppo alta, vogliamo un accordo equo, che includa anche una discussione sulle misure per alleviare il debito”. Una presa di posizione netta che sembra sottendere, in maniera neppure troppo celata, a una battaglia ben più grande di quella che vede contrapporsi la potente Berlino e la malandata Atene. E’ la differenza di visione dell’Europa e dell’euro che stanno maturando Germania e Italia, sempre più su poli opposti nella gestione della finanza comunitaria. La dialettica tra i due Paesi è sempre più aspra e ne sono una rappresentazione plastica le dichiarazioni fatte alcuni giorni fa da Mario Draghi per giustificare le misure espansive della Bce (“lavoro per l’Europa, non per la Germania”), cui hanno fatto seguito le parole del presidente della Bundesbank tedesca Jens Weidmann che ha ammonito l’Italia sul debito e sulle violazioni del patto di stabilità, stoppando le proposte di Pier Carlo Padoan sulla condivisione dei rischi. Anche a Berlino, però, qualcosa si sta muovendo e il muro dell’austerity (proprio in un momento storico in cui una miriade di barriere nascenti sta mettendo l’Europa intera sotto scacco) potrebbe cominciare a vacillare. Cronache giornalistiche riferiscono di un colloquio tra Pittella e Sigmar Gabriel, in cui il vicecancelliere e leader della Spd avrebbe garantito l’appoggio del suo partito alla forte presa di posizione presa dai socialisti europei sulla vicenda greca. Per non parlare del Portogallo, della Spagna ancora senza governo e (sarebbe ora) anche della Francia. Insomma, la convinzione del governo italiano è che, questa volta, la linea contro il rigore si stia allargando a macchia d’olio e che possa essere finalmente la volta buona per fare breccia anche nelle istituzioni europee. Vai al sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ Migranti, dietro la paura C’è un diritto a emigrare come si evince da diverse convenzioni sull’argomento. L’emigrazione come fattore di liberazione e di emancipazione. di Enzo Russo Da anni l’Ocse e le organizzazioni delle Nazioni Unite raccomandano la ripresa dell’Emigrazione per compensare l’invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi della Unione Europea – uno dei paesi con la popolazione più vecchia del mondo. A tal fine serve non solo l’inserimento nel mercato del lavoro ma anche la piena integrazione. Ricordo il discorso che la direttrice della sezione demografia dell’Istat, una ventina di anni fa, pronunciò alla Società degli economisti pubblici (Siep) a Pavia: ci disse che il fabbisogno di forze nuove per ottenere l’equilibrio demografico era stimato in circa 500 mila persone all’anno. Dopo le dichiarazioni della Merkel del settembre 2015 uno dei 5 saggi che consigliano il governo tedesco in una intervista al Sole 24 Ore ha detto che l’analogo fabbisogno della Germania è pari a 700 mila persone all’anno. Dal lato della domanda, per citare solo due casi, ci sarebbe in teoria ampio spazio per assorbire gli attuali flussi emigratori. Il problema più grave è dal lato dell’offerta, e la situazione dell’offerta si è aggravata con la crisi del 2008-09 che in Europa si trascina ancora sino ad oggi. La crisi ha prodotto secondo i calcoli dell’ILO (Ufficio internazionale del lavoro) 61 milioni di disoccupati in più rispetto alla situazione del 2008, colpendo in modo grave le aree del Sud dell’Asia e l’Africa a Sud del Sahara. E nei prossimi cinque anni la disoccupazione è vista peggiorare portando i disoccupati a 212 milioni nel 2019. Durante la sessione primaverile del G20 la direttrice del FMI, Christine Lagarde, ha confermato la gravità della situazione. Emma Bonino la settimana scorsa ha detto che 60 milioni di persone potrebbero emigrare dall’Africa. C’è la globalizzazione che velocizza i meccanismi di trasmissione e, come noto, c’è una flessione della crescita mondiale. E la ripresa in Europa è vista molto debole se non proprio di stagnazione complessiva. C’è anche l’accresciuta debolezza del movimento sindacale a livello mondiale. C’è l’inadeguatezza strutturale delle istituzioni sovranazionali che si occupano di questi problemi: Onu, Fmi, Banca mondiale e del sistema delle banche regionali che si occupano dei problemi della crescita e dello sviluppo, G7, G8, G20 – ora abbiamo anche il G5… All’assemblea generale dell’Onu prevalgono paesi dittature, nei paesi europei prevalgono governi di centro-destra. Ci sono alti tassi di disoccupazione nella UE: la crescita langue. Persino negli USA si teme la stagnazione secolare. Il Rapporto dell’ILO denuncia l’aumento delle diseguaglianze, calcola che al 10% più alto della popolazione va il 30-40% del reddito totale mentre al 10% più povero solo qualcosa tra il 2 e il 7%. Ovunque cala la fiducia nei governi ed è aumentato fortemente il disagio sociale dall’inizio della crisi globale. In questo scenario si acuiscono i problemi della emigrazione per motivi politici, per scappare dalla fame, dalle persecuzioni, dai conflitti interni…. Dopo 40 anni di neo-liberismo nei paesi ricchi è fortemente aumentato l’egoismo e si è ridotta la solidarietà supposto che ce ne sia stata a sufficienza prima. Ricordo che la solidarietà non funziona in contesti di aree regionali molto larghe (continenti), figuriamoci a livello globale. Come economista preferisco ragionare in termini di reciprocità, di interesse comune ma, come sappiamo dall’esperienza, molti soggetti non riconoscono l’interesse comune neanche nel contesto ristretto locale. Cosa non funziona? Non funziona la governance mondiale, non funzionano i governi di centro-destra e, non di rado, neanche quelli di centro-sinistra. A livello globale, in un modo o nell’altro, prevale un consenso contrario all’intervento diretto della Stato nell’economia per cui non si adottano le politiche economiche più adatte a promuovere crescita del reddito, della occupazione e lo sviluppo sostenibile. Come sappiamo non c’è una tendenza spontanea del mercato alla piena occupazione. Al contrario, agli imprenditori fa comodo avere un esercito industriale di riserva – anche in Cina. Gli immigrati dicono alcuni rubano posti di lavoro ai locali. Ma il vero problema è che se c’è disoccupazione e c’è anche uno squilibrio demografico grave, i governi responsabili dovrebbero perseguire una politica economica in grado di creare posti di lavoro a sufficienza per i residenti e per gli immigrati. Se non si fa questo, si alimenta la nascita e crescita dei movimenti populistici e xenofobi. È quello che avviene un po’ dappertutto anche in Europa e in Italia. Ma da noi abbiamo l’apparente paradosso delle regioni del Nord che chiedono deroghe per consentire l’ingresso di immigrati perché questi, in pratica, non hanno diritti o sono costretti a non rivendicarli perché rischiano di essere rimandati indietro. Con alta disoccupazione e molti immigrati anche i lavoratori locali debbono accettare la riduzione dei loro diritti se vogliono continuare a lavorare. Lo ripeto: il problema è globale. Manca una politica economica idonea a produrre la crescita del PIL e dell’occupazione. Non funziona la governance mondiale? Oppure le sue istituzioni sovranazionali e i governi e/o i poteri forti che le egemonizzano non vogliono farla funzionare nell’interesse della stragrande maggioranza dei lavoratori per favorire la minoranza dei ricchi e dei potenti? Un’ altra riflessione riguarda il lancio da parte del governo italiano di un Patto per l’emigrazione con emissione di eurobond per il finanziamento di programmi di sviluppo nei Paesi africani. Secondo me, si tratta solo di una proposta che la Germania vede come provocatoria o come grimaldello per introdurre uno strumento che ha sempre avversato. Come si fa a pensare che l’UE possa emettere eurobond per finanziare lo sviluppo di Paesi africani quando non l’ha voluto fare per la Grecia o altri paesi cosiddetti periferici della stessa UE? Se riteniamo che il problema della crescita e dello sviluppo sostenibile è problema di carattere globale che interessa, in primo luogo, l’Africa ma anche altri paesi del mondo, perché l’UE non spinge per mobilitare le organizzazioni specializzate delle NU a partire dalla Banca Mondiale e dalle banche regionali di sviluppo? Queste hanno una lunga esperienza in materia e si finanziano con l’emissione di obbligazioni nei mercati finanziari. Con il QE (l’allentamento monetario) in America e in Europa ci sono “oceani di liquidità” ma questa non viene utilizzata per gli obiettivi più importanti. Perché l’UE non spinge per incrementare le risorse della Banca Mondiale, dell’African development Bank e dell’Asian Development Bank – senza dimenticare il Banco interamericano di sviluppo ? Per questo motivo ritengo che la proposta del governo italiano è solo fumo negli occhi degli altri partner europei. |
Riceviamo e volentieri pubblichiamo Solar Impulse in volo verso un futuro sostenibile di Marco Morosini, esperto di sviluppo sostenibile Dopo aver volteggiato silenziosamente sulla baia di San Francisco e sul Golden gate bridge, la sera del 23 aprile si è posata a terra con un lieve ronzio elettrico una maestosa libellula di 72 metri. È Solar Impulse, il simbolo di una nuova era di sofisticata leggerezza, non solo delle nostre future tecnologie, ma anche dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Con un aereo senza una sola goccia di carburante, è stata compiuta la prima traversata del Pacifico (Cina-Giappone-Hawaii-California), solo una parte dello straordinario giro del mondo dei “piloti solari” svizzeri Bertrand Piccard e André Borschberg. Nei prossimi mesi la tecno-libellula made-in-Switzerland traverserà in cinque tappe gli Stati Uniti, l’Atlantico, l’Europa, e raggiungerà Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, da dove è partita il 9 marzo dell’anno scorso. È là che si trovano l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) e la città solare ideata da Norman Foster, Masdar City. Da Abu Dhabi alle Hawaii Solar Impulse ha percorso ventimila chilometri in otto tappe e 250 ore di volo usando 5.600 kwh generati da 200 metri quadrati di pannelli fotovoltaici. Con un ritmo circadiano come quello degli esseri viventi, di giorno l’aereo sale sempre più in alto e carica le batterie. Di notte invece “riposa” planando e usando a basso regime l’energia delle batterie. Scienza e avventura - A bordo si alternano Bertrand Piccard e André Borschberg. Quest’ultimo, ex pilota militare, è la mente aeronautica del progetto, Bertrand Piccard è la figura carismatica. Da tre generazioni i Piccard sono una dinastia svizzera di “savant-urier” (scienziati e avventurosi). Dopo che la Terra era ormai tutta esplorata in estensione, i Piccard si dedicarono a esplorarla in verticale. Auguste Piccard (1884-1962), professore di fisica al Politecnico di Zurigo, concepì sia una mongolfiera stratosferica, con la quale nel 1930 raggiunse i 17.mila metri di quota, sia il batiscafo Trieste (costruito in Italia) con il quale raggiunse nel 1950 i quattromila metri di profondità. Nel 1960 suo figlio Jacques Piccard (1922-2008), padre di Bertrand, s’inabissò con lo stesso batiscafo fino a 11mila metri, imbattuto record di profondità. Mentre il nonno e il padre esplorarono il pianeta per conoscerlo, Bertrand Piccard lo percorre per proteggerlo. Ma più del “pianeta esterno”, Bertrand, psichiatra, praticante di yoga e ipnosi, sonda il “pianeta interno”: quali limiti psicologici raggiunge un uomo in solitudine per 50 o cento ore sopra oceani e continenti? Quali limiti ecologici l’umanità deve darsi, per permettere a dieci miliardi di persone di vivere degnamente, senza devastare la Terra? Pertinente quindi è stato il video-colloquio del 22 aprile tra Piccard in volo e il segretario dell’Onu Ban Ki-moon, insieme ai capi di stato di 175 nazioni, convenuti alle Nazioni Unite, a New York, per firmare l’accordo di Parigi sul clima. Rifiuti e lavoro ostinato - Solar Impulse è un gioiello di tecnologia e di coordinazione elvetiche. Quando nel 2000 Piccard propose il suo progetto, tecnologi e industriali gli dissero che era irrealizzabile. Eppure, con un lavoro ostinato dal 2003 al 2015 questo aereo che sta facendo storia è stato progettato e costruito in Svizzera, in collaborazione con il Politecnico federale di Losanna, con il contributo della Confederazione, e di istituzioni e aziende in buona parte elvetiche. A ricevere Piccard all’aeroporto di Mountain View, nel cuore della Silicon valley, c’era Sergey Brin, fondatore di Google, uno dei partner del progetto di Piccard e Borschberg. Cosa meglio di un volo solare intorno al mondo può ispirare milioni di persone? Solar Impulse ha un’apertura alare di 72 metri, maggiore di quella di un jumbo jet, ma pesa solo 2,3 tonnellate, come un automobile. La potenza di ognuno dei suoi quattro motori è di 8 cavalli, la stessa del motore del Wright Flyer, il primo aereo a motore che si alzò in volo nel 1903, aprendo l’era dell’aviazione. Da quasi mezzo secolo il traffico aereo raddoppia ogni 15 anni, con un aumento ininterrotto della sicurezza, delle merci e dei passeggeri trasportati. Insieme a questi progressi sono però aumentati anche i consumi di energia e i danni ambientali dell’aviazione, specialmente quelli causati bruciando carburanti fossili. Riuscirà Solar Impulse ad aprire un’altra era dell’aviazione, più sostenibile? Se questo sarà il secolo della transizione alle energie rinnovabili, Solar Impulse ha buone chance di diventarne un emblema affascinante. Se i trasporti aerei vorranno continuare a muovere le attuali masse alle attuali velocità, non è pensabile di alimentarli con i pannelli fotovoltaici che conosciamo (cosa invece non irrealistica per trasporti lenti con moderni dirigibili). Un nome audace - L’esperienza specifica di Solar Impulse servirà forse a sviluppare aerei solari leggeri, anche senza pilota. Ma non è per inventare tecnologie che è nato il progetto Solar Impulse, bensì per diffondere un’idea: la transizione verso uno sviluppo leggero e sostenibile, fondato sulle energie rinnovabili. Cosa meglio di un volo solare intorno al mondo può ispirare milioni di persone? Per questo una parte integrale del progetto si chiama “Future is clean” (Il futuro è pulito) ed è una campagna mondiale d’informazione, educazione e sensibilizzazione alla sostenibilità, con testimoni come l’imprenditore britannico Richard Branson, Doris Leuthard, ministra svizzera dell’ambiente, il principe Alberto di Monaco (dove ha sede la sala di controllo della missione), Achim Steiner, direttore dell’Unep, il programma Onu per l’ambiente, Nicolas Hulot, Kofi Annan, Michael Gorbačëv. Secondo il mito, Icaro si spinse troppo vicino al Sole, che sciolse la pece delle sue ali piumate facendolo precipitare in mare. Un nome audace per la sfida di Solar Impulse potrebbe essere Icaro 2.0. O forse Icaro felice, una versione solare della celebre frase di Albert Camus: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”. Vai al video: https://www.youtube.com/watch?v=bJEACtd6s-I |
Da Noisiamochiesa riceviamo e volentieri pubblichiamo Hans Kung: “Francesco mi ha scritto sul dogma dell’infallibilità” Il teologo del dissenso cattolico Hans Küng informa di avere ricevuto una lettera da Papa Francesco in risposta "alla mia richiesta di una libera discussione sul dogma dell'infallibilità". Küng non ha reso pubblico il contenuto della lettera per "la riservatezza che devo al Papa", ma dice che la lettera è datata 20 marzo e che gli è pervenuta tramite la nunziatura di Berlino poco dopo la Pasqua. Il testo della Dichiarazione di Hans Kung Il 9 marzo ho diffuso un Appello a Papa Francesco perché desse spazio ad una libera discussione, senza pregiudizi e del tutto aperta, sul problema dell'infallibilità. Essa è stata pubblicata sulle principali riviste di diversi paesi. Sono stato felice di ricevere una risposta personale da Francesco subito dopo Pasqua. E’ del 20 marzo e mi è stata trasmessa dalla nunziatura del Vaticano a Berlino. Della risposta del papa, i seguenti punti sono importanti per me: · Il fatto che Francesco ha risposto e non ha lasciato, per così dire, cadere nel vuoto il mio testo; · Il fatto che egli stesso ha risposto e non tramite il suo segretario privato o il segretario di Stato; · Mi ha risposto in maniera fraterna, in lingua spagnola, rivolgendosi a me come Lieber Mitbruder ( "Caro Fratello") in tedesco e queste parole personali sono in corsivo; · Con evidenza egli ha letto molto attentamente l’Appello, a cui avevo aggiunto una traduzione spagnola; · Che è altamente apprezzato delle considerazioni che mi aveva portato a scrivere Volume 5 delle mie opere complete, in cui vi suggerisco di vista teologico che parlano le diverse problematiche che il dogma dell'infallibilità solleva alla luce della Sacra Scrittura e la tradizione con l'obiettivo di approfondire il un dialogo costruttivo tra la chiesa "semper reformanda" del 21 ° secolo e le altre chiese cristiane e nella società postmoderna. Francesco non ha fissato alcun limite alla discussione. Egli ha così risposto alla mia richiesta di dare spazio a una libera discussione sul dogma dell'infallibilità. Penso che sia ora indispensabile utilizzare questa nuova libertà per portare avanti la riflessione sulle definizioni dogmatiche, che sono motivo di polemica all'interno della Chiesa cattolica e nel suo rapporto con le altre chiese cristiane. Non prevedevo tutto questa nuova libertà che Francesco ha aperto nella sua esortazione post-sinodale, Amoris Laetitia. Già nell'introduzione, egli dichiara: "Non tutte le discussioni di questioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte dagli interventi del magistero". Egli denuncia "la morale burocratica e fredda" e non vuole che i vescovi si comportino come se fossero gli "arbitri della grazia". Egli dice che l'Eucaristia non è un premio per le persone perfette ma è un "nutrimento per i deboli." Egli cita ripetutamente dichiarazioni fatte al Sinodo dei vescovi o dalle conferenze episcopali nazionali. Francesco non vuole più essere l'unico portavoce della chiesa. Questo è il nuovo spirito che ho sempre atteso dal magistero. Sono pienamente convinto che in questo nuovo spirito aperto a una discussione libera, imparziale del dogma dell'infallibilità, questo problema chiave per il futuro della Chiesa potrà essere discusso al meglio. Sono profondamente grato a Francesco per questa nuova libertà e ed unisco il mio grazie di cuore all'aspettativa che i vescovi e i teologi sappiano senza riserve adottare questo nuovo spirito e unirsi nel ringraziamento partecipando a questo compito in accordo con le Scritture e con la grande tradizione della Chiesa. Traduzione dal tedesco da Christa Pongratz-Lippitt |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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