L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 3 marzo 2016 |
IPSE DIXIT Maternità - «A una donna non si può imporre di essere o non essere madre. E neanche di usare o non usare il proprio corpo a fini riproduttivi. Non lo può imporre una legge dello stato e non lo può imporre un contratto». – Maria Grazia Giammarinaro
Un’immagine “Surrogacy friendly” del Centro “BabyYou” di Barcellona Maternità surrogata - «La globalizzazione e la segmentazione del processo tra soggetti, desideri, corpi distinti rende infatti particolarmente difficile distinguere quali pratiche sono espressione di autodeterminazione e quali, invece, sono da ritenere effetti dello sfruttamento delle capacità biologiche dei corpi analizzato da Melinda Cooper e Catherine Waldby nel loro Biolavoro globale. Questo nervo si fa particolarmente scoperto negli accordi di surrogazione stipulati all’interno di un mercato di tipo transnazionale che coinvolge paesi poveri o emergenti, in cui pesano gravemente le diseguaglianze sociali ed economiche tra coppia committente, madre surrogata, ovodonatrice. Già, perché capita che la coppia di genitori intenzionali sia europea, chi porta avanti la gravidanza una donna nepalese, e chi dona l’ovulo una donna ucraina, bianca come i committenti. L’ovodonazione, tra l’altro, è una tecnica particolarmente invasiva per la donna che vi si sottopone, prevedendo trattamenti complessi e rischiosi per la salute. A cosa siamo di fronte? A un gioco di società sempre più pericoloso a livello planetario? O a un fenomeno che ha radici nell’organizzazione del mondo del lavoro e della vita familiare nei paesi cosiddetti occidentali? Lasciando da parte il caso, minoritario, delle coppie gay maschili, il fatto appare piuttosto semplice, sempre più evidente alle statistiche: in Italia, il 20-30% delle coppie, nel 70% dei casi con età compresa tra i 35 e i 40 anni, ha problemi di infertilità. E il discorso vale in generale per i paesi a industrializzazione avanzata. Alla base ci sono ragioni fisiche, ma anche, sempre di più, motivazioni economiche, culturali e politiche: a causa di condizioni di lavoro precarie le coppie tendono infatti a pensare ai figli dopo i 35 anni, cioè nel periodo in cui la fertilità cala drasticamente. Dall’infertilità diffusa discende non solo l’aumento di richieste di accesso a cicli di procreazione assistita, omologa (cioè con gameti della coppia) ed eterologa (cioè con ovuli o spermatozoi provenienti da donatore/donatrice), ma anche – fuori dall’Italia – alla surrogazione di maternità… secondo l’Osservatorio sul turismo procreativo, sono nell’ordine di ben 4.000 le coppie che vanno all’estero in cerca di trattamenti di procreazione assistita, in particolare di fecondazione eterologa (pratica illegale in base alla legge 40 fino alla decisione della Corte Costituzionale del 2014 che ha fatto cadere il divieto), mentre sono una trentina le coppie italiane che ogni anno si recano in altri paesi per avere figli con il contributo di una portatrice.». – Giorgia Serughetti |
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. |
EDITORIALE Il lavoro dopo la fine del lavoro Governare la fuoriuscita dell'umanità dalla “produzione” richiederà… un grande lavoro. Da parte di tutti. di Andrea Ermano Quando circa vent’anni or sono iniziammo a occuparci dell’allora imminente centenario della nostra testata, “L’Avvenire dei lavoratori”, la questione dell’avvenire del lavoro ci si presentò come quella su cui imperniare tematicamente le manifestazioni. Compito che ben presto si rivelò tuttavia impervio poiché ci trovavamo in mezzo a una mutazione epocale di cui nessuno riusciva a ben comprendere né la logica né la destinazione. Senza contare che la sopravvivenza della testata era ormai entrata in oscillazione. Venivamo guardati malissimo per via di Craxi, e nulla importava a nessuno che noi non si avesse avuto parte alcuna negli scandali accaduti in Italia. Le altre forze politiche d'emigrazione (allora superstiti, oggi scomparse) cavalcarono "il nuovo che avanza", puntando decisamente a eliminare ogni traccia di presenza e memoria nostra. A un certo punto nessun editore volle più ospitare L'Avvenire dei lavoratori. Un quindicinale politico, per quanto antico e prestigioso, aveva effetti deleteri sugli affari, soprattutto in campo pubblicitario. Qualcuno scrisse che avevamo cessato le pubblicazioni. Non era vero. Iniziammo a pubblicare quaderni trimestrali e volumi monografici. In seguito inaugurammo una nostra (timida) presenza in posta elettronica. Nell'anno 2000 questa Newsletter constava di cento destinatari circa, per lo più studiosi che si scambiavano notizie e opinioni sul "Caso Silone", allora giunto al calor bianco. La cerchia prese negli anni ad allargarsi. Oggi oltre quarantacinquemila persone – parte non del tutto trascurabile della sinistra di lingua italiana – ricevono il nostro settimanale. <> Strana vicenda editoriale, la nostra. Che, a ben pensarci, compendia la questione che avremmo voluto trattare sul piano teorico due decenni fa, senza per altro riuscirci. Ma la questione dell’avvenire del lavoro continua a presentare enormi difficoltà anche oggi. Lo si può constatare guardando una recente (e assai istruttiva) puntata di Otto e mezzo, programma di Lilli Gruber e Paolo Pagliaro. La puntata cui ci riferiamo, recante il titolo "Chi ci ruba il lavoro?”, è andata in onda il 27 febbraio scorso (vai al video su La 7), ospiti in studio il sociologo Domenico De Masi, il giornalista del Venerdì di Repubblica Riccardo Staglianò nonché Riccardo Luna, consulente di Palazzo Chigi per la cultura digitale.
Lilli Gruber, “Chi ci ruba il lavoro?” La questione dell’avvenire del lavoro coincide in larga parte con l'accelerazione tecnologica impressa dal digitale e dalla robotica alla produzione. Se durante la prima rivoluzione industriale furono gli asini e i cavalli a vedersi sostituiti dalle macchine, oggi le cose vanno diversamente. Nell'ultimo quarto di secolo la robotizzazione e l'informatizzazione ha sostituito una serie di lavori manuali, e basti pensare alla Fiat di Torino o all'Alfa di Arese, grandissimi stabilimenti industriali in cui entravano ogni giorno decine e decine di migliaia di operai. Oggi sono o automatizzati e svuotati oppure scomparsi. Una gigantesca riconversione industriale ha portato fuori dalla fabbrica masse enormi di lavoratori per reimpiegarli, o impiegare i loro figli, nei settori del terziario. Ma oggi il terziario stesso è finito sotto tiro, e non fanno eccezione nemmeno professioni intellettuali o "creative" come il disegno tecnico, molte consulenze, la contabilità bancaria, il giornalismo, la fotografia, l'alta formazione ecc. ecc. Lo sottolinea Riccardo Staglianò, autore di un saggio dal titolo emblematico: Al posto tuo - Così web e robot ci stanno rubando il lavoro (Einaudi, 2016). Tutti gli esperti – tra cui diversi premi Nobel come Joseph Stiglitz, Amartia Sen, Paul Krugman e altri ancora – concordano sull'esito del mega-trend globale in atto: le attività produttive verranno svolte da robot prevalentemente sganciati dall'apporto umano. In altre parole, la produzione di beni e servizi assorbirà solo una minima frazione dell'attuale “monte ore” lavorativo. E questo avverrà in tempi non lontani. Ma allora – è l'esperimento mentale proposto da De Masi – ipotizziamo che un domani la Cina produca tutti i beni materiali e l'India tutti i servizi. Non sarebbe una condizione assurda? Eppure è ciò che rischia di accadere, se andiamo avanti così. Dunque, sarà opportuno iniziare a redistribuire il lavoro. Ma poi, redistribuito il lavoro, cosa ce ne faremo del maggior tempo libero? E, se avremo più ricchezza di quella che ci serve, sapremo anche come distribuirla? "Occorrerà incidere sulla cultura, altrimenti dilagherà la depressione", è la tesi del professor De Masi. Su queste posizioni converge il consulente governativo Riccardo Luna, che sostiene una duplice esigenza: l'introduzione di un reddito minimo e la promozione di vasti programmi di formazione permanente ("Tornare a scuola!"). Nella Silicon Valley si sta studiando il tema del reddito minimo, perché l'accelerazione tecnologica in atto produce più ricchezza, ma anche più sperequazione. È notizia recente che una sessantina di ultraricchi possiede ormai quanto la metà più povera del genere umano. Quindi, l'unica via appare quella prefigurata da Martin Luther King con la celebre parola d'ordine: "Eliminare la povertà per legge", sostiene Riccardo Luna. (Sia qui consentito, nello spirito del più profondo e devoto rispetto per Martin Luther King, ricordare che anche il “nostro” Ernesto Rossi scrisse nel 1944 un saggio dal titolo "Abolire la miseria").
Foto segnaletiche di Ernesto Rossi (“Abolire la miseria”) e di Martin Luther King (“Eliminare la povertà per legge”) Ecco, dunque, alcuni dei temi toccati in Otto e mezzo, trasmissione della quale occorre segnalare anche il servizio di Paolo Pagliaro incentrato sulle politiche di redistribuzione del lavoro inaugurate dal cancelliere socialdemocratico tedesco Gerhard Schroeder. Oggi quelle concezioni vengono rilanciate in Italia dall'economista prodiano Nicola Cacace. (Ma ai tempi di Schroeder i prodiani non sostenevano che la socialdemocrazia era morta?!). Da un quadro sia pur estremamente riassuntivo sullo stato dell'arte si deduce che sarà necessario un grande lavoro culturale al di là… del lavoro produttivo. Perché governare la fuoriuscita dell'umanità dalla produzione di beni e servizi richiederà un vastissimo impegno inteso – da parte di tutti – alla riforma delle nostre culture, delle nostre relazioni, delle nostre società. E proprio qui sta il nucleo rimosso di tutta la questione. |
Segnalazione La Rivista storica del Socialismo La “Rivista storica del Socialismo”, dopo un silenzio, riprende le pubblicazioni, con cadenza al momento semestrale, in ideale continuità con la rivista a suo tempo diretta da Luigi Cortesi e Stefano Merli. di Paolo Bagnoli, direttore Nel 1958 la “Rivista storica del Socialismo” esordisce con un fascicolo unico – la prima periodicità è trimestrale e, successivamente, quadrimestrale – dedicato a Filippo Turati nel centenario della nascita; una scelta che voleva indicare una generale via maestra che noi riconfermiamo nella non esclusiva attenzione alla storia e alle vicende del socialismo italiano. La nuova serie della “Rivista storica del socialismo” manterrà intatto il proprio profilo scientifico, ma non sarà chiusa nell’ambito specifico dell’accademia, bensì cosciente che non si può, nel proporsi di far cultura storica, avere gli occhi chiusi sul mondo e i suoi travagli, sulle vicende vive dei nostri tempi. Rivista scientifica, ma non per questo anagraficamente datata, bensì aperta alle nuove leve della storiografia, cui vogliamo mettere a disposizione uno strumento serio per i loro lavori da valutarsi secondo le regole e i metodi adottati nel mondo della comunità degli studiosi. Al pari della passata serie, naturalmente, non tratteremo solo di storia del socialismo. Ci proponiamo, infatti, di affrontare il tema nei suoi vari aspetti – storici, dottrinari, economici, sociali – cercando, anche, di indicare particolare attenzione alla ripresa di queste tematiche a livello europeo ed extra-europeo. Nel presentare, alla nascita, la “Rivista storica del socialismo”, i direttori chiudevano la loro prefazione rilevando “la considerazione del socialismo come realtà sviluppatasi e vivente in stretta connessione con tutte le pretese varie storie, cioè entro la storia, solo sperimentalmente scindibile nel laboratorio ideale dello studioso. Nulla, insomma, sarà estraneo alla tematica della rivista che appartenga al mondo contemporaneo, del quale il socialismo è parte integrante e vitale.” Condividendo tali considerazioni, le sottoscriviamo in pieno.
Paolo Bagnoli Biblion edizioni (www.biblionedizioni.it) è lieta di segnalare alla comunità di studiosi e agli enti e istituzioni che si occupano di storia la prossima pubblicazione della nuova serie di “Rivista storica del socialismo”, periodico pubblicato dal 1958 al 1967, diretto da Luigi Cortesi e Stefano Merli. Biblion Edizioni intende oggi riproporre uno strumento di studio e approfondimento sui temi del socialismo italiano e internazionale, consapevole della vastità dell’argomento e dei suoi molteplici aspetti che incidono, oggi più che mai, nella società contemporanea da tutti i punti di vista: storico, economico, politico e sociale. L’autorevole board editoriale e il comitato scientifico internazionale sono a testimoniare come la storia del socialismo rimanga in stretta connessione con gli scenari europei e internazionali di oggi e che le esperienze di studio e ricerca siano inevitabilmente collegate a esso. |
Segnalazione MILANO – 70 ANNI DI CASA DELLA CULTURA Il 14, 15 e 16 marzo si festeggia il settantesimo compleanno della nostra Casa della Cultura, la “Signora in rosso” della cultura milanese, luogo di ricerca e di confronto democratico noto ben oltre i confini della metropoli lombarda. Per un appuntamento così importante, è stata promossa una tre giorni ricca di spunti, suggestioni e incontri, in cui trovarsi e ritrovarsi. Ecco il programma: Lunedì 14 marzo, ore 18.00 Presentazione del libro LA PORTA ROSSA 70 anni di Casa della Cultura tra storia e storie di Ferruccio Capelli (Edizioni Casa della Cultura) Interventi di Ferruccio Capelli, Enrico Finzi, Carmen Leccardi, Giovanni Petrini, Salvatore Veca <> Martedì 15 marzo, ore 18.00 ILLUMINISMI. ATTUALITÀ E LIMITI DELL’ETÀ DEI LUMI Ciclo di incontri a cura di Mario Ricciardi Ultimo incontro: Che cos’è l’illuminismo Intervengono: Valeria Ottonelli, Mario Ricciardi, Salvatore Veca <> Mercoledì 16 marzo, ore 18.00 A 70 anni dal discorso con cui Ferruccio Parri inaugurò la Casa della Cultura Saluti di Ferruccio Capelli, Giuliano Pisapia, Salvatore Veca Aglaia Zannetti leggerà testi di: Antonia Pozzi - Vittorio Sereni Antonio Banfi - Elio Vittorini - Ferruccio Parri - Rossana Rossanda Proiezione di “La signora in rosso” Video documentario di Giacomo Mondadori CASA DELLA CULTURA Via Borgogna, 3 20122 Milano |
DESTRA SVIZZERA UNO SCHIAFFO SONORO ALLA DESTRA XENOFOBA Ma il Canton Ticino si è dimostrato, ancora una volta, la regione in cui i sentimenti xenofobi prevalgono. di Dino Nardi, coordinatore europeo UIM Si, proprio così la piccola Svizzera - campione di democrazia, che ospita oltre due milioni di stranieri -in questa tornata referendaria del 28 febbraio 2016 ha detto chiaramente NO all’espulsione automatica degli stranieri che commettono determinati “gravi” reati elencati con pignoleria certosina nel testo messo in votazione su iniziativa dell’UDC, il partito della Destra conservatrice elvetica che sembra avere come unico scopo quello della difesa della Svizzera dalla contaminazione straniera. Una vittoria netta dei NO (59,9%) che è stata espressa dal 63,2% degli aventi diritto al voto. Una straordinaria affluenza al voto per le abitudini elvetiche: basti pensare che una percentuale simile (60%) non si aveva in Svizzera dal 1992, ovvero quando c’era in ballo l’adesione della Confederazione allo Spazio Economico Europeo. Ciò detto, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, desidero esprimere la mia soddisfazione e quella della UIM per questo risultato che, da un lato, premia la battaglia per il NO che – insieme all’ITAL UIL - abbiamo portato avanti unitariamente con le altre organizzazioni, patronati e associazioni italiane presenti in Svizzera e, dall’altro, gratifica l’appello pubblico lanciato dalla UIM a favore del NO indirizzato soprattutto alle centinaia di migliaia di elettori doppi cittadini italo-svizzeri il cui voto (unitamente a quello di altri “Secondos”), in questa circostanza, potrebbe aver contribuito in modo determinante alla vittoria dei NO. Unico rammarico, in questa gioiosa giornata elettorale dove è stato anche approvato a larga maggioranza (57%) il raddoppio del tunnel autostradale del Gottardo, è dover constatare che il Ticino - con il 59,4% di SI all’iniziativa dell’UDC (sostenuta pure dalla Lega dei Ticinesi) - si è dimostrato, ancora una volta, il Cantone elvetico dove maggiore è la paura ed il sentimento antistranieri! |
SPIGOLATURE Nemo propheta di Renzo Balmelli IPOTESI. Nemo propheta in patria? Supponiamo per un solo istante, però rigorosamente col punto di domanda, che Matteo Renzi non sia come appare nelle spassose imitazioni di Maurizio Crozza in cui ha preso il posto dell'ormai spento Berlusconi. Supponiamo pure, sempre in forma interrogativa, che il Presidente del Consiglio riesca davvero a cambiare l'Italia. Se in patria il cammino delle riforme è lastricato di di ostacoli, è invece interessante notare come tale ipotesi appaia meno improbabile se vista dall'osservatorio internazionale. In proposito negli uffici di Palazzo Chigi non sarà di sicuro passata inosservata ad esempio l'analisi del Tages Anzeiger di Zurigo che parlando di Renzi presenta ai suoi lettori , pur con tutte le sfumature del caso, l'immagine di un premier italiano controcorrente, capace, grazie alle Unioni civili, tema molto sentito al nord delle Alpi, di modernizzare il Bel Paese con una legge che i suoi predecessori hanno sempre tenuto prudentemente nel cassetto. Va da se che quello dell'autorevole quotidiano svizzero d lingua tedesca è un punto di vista come un altro, certo, ma in fondo non meno plausibile di quanto suggerisca la ragionevolezza dell'antica e sempre attuale locuzione latina. SCHIAFFO. La Svizzera che ti aspetti, interprete della sua lunga e comprovata tradizione umanitaria. La Svizzera che tira un sospiro di sollievo, percepito anche all'estero, dopo avere bocciato l'iniqua iniziativa populista che senza specificare la tipologia dei reati spalancava le porte agli abusi nel decretare l'espulsione degli stranieri. In tempi calamitosi, l'esito del voto , che interessava pure l'UE, ha confermato senza sbavature il primato della giustizia giusta e non punitiva nonché il pieno rispetto dei diritti umani contemplati dalla Convenzione europea. Nel solco di quest'ordine di idee, fa bene all'anima la consapevolezza che al rassicurante risultato abbia concorso la mobilitazione della società civile, sempre vigile nel contrastare la deriva verso i limacciosi lidi della xenofobia. A tale proposito lo schiaffo bruciante inferto a quel testo raffazzonato alla bell'e meglio per vellicare gli istinti più riposti, può ben essere letto come un segnale di incoraggiamento rivolto a tutti coloro che in Europa lottano contro la dilagante avanzata dell'oscurantismo. BRANDELLI. Quanto sia urgente un vigoroso cambio di marcia nella politica migratoria, ce lo conferma la difficoltà, documentata dalle immagini che arrivano nelle nostre case, di garantire, come prevedono gli accordi tra gli Stati, la protezione dei profughi nella loro marcia verso la libertà e la sicurezza portata avanti con la sola forza della disperazione. Nell'assistere al dramma quotidiano di migliaia di esuli ammassati come bestie alle frontiere, siamo pervasi dallo sgomento frammisto a un doloroso sentimento di impotenza. Davanti a noi brandelli di futuro senza futuro , brandelli sparsi qua e la lungo la via crucis nei luoghi sconosciuti di una notte senza fine , gridano al mondo la sofferenza, il dolore delle donne, degli uomini, dei bambini che loro malgrado continuano a essere i protagonisti della tragedia umanitaria dei migranti e dell'infanzia negata. BALUARDO. Alla luce dei risultati scaturiti nel South Carolina e soprattutto durante il Super Tuesday, il super martedì considerato lo spartiacque delle primarie, appare poco probabile se non addirittura impossibile che Bernie Sanders riesca a ottenere l'investitura dei democratici per la corsa alla presidenza. In un certo qual senso è peccato perché la presenza dell'arzillo senatore del Vermont avrebbe contribuito a rimescolare le carte di una competizione che ora appare segnata: una corsa a due tra Hillary Clinton e l'ineffabile Donald Trump. Ad ogni buon conto, seppure fuori dai giochi che contano , il sorprendente alfiere del socialismo declinato all'americana, potrebbe portare in dote alla Convention di Philadelphia il cospicuo capitale di voti rappresentato dall'elettorato giovane e disamorato dell'establishment che non simpatizza per l'algida leader democratica , ormai in volo verso la nomination. Sarebbe un contributo significativo per colei che pur già avendo frequentato le stanze del potere non potrà restare seduta sugli allori se davvero vuole passare dal ruolo di ex first Lady a quello ben più prestigioso di Mrs. President. ASCESA. Mentre in casa democratica il passaggio delle consegne tra il primo Presidente di colore e la prima donna candidata alla guida della Casa Bianca appare del tutto naturale, non così è tra le file dei repubblicani dove prevale lo sgomento per l'incredibile ascesa del moderno Arturo Ui rispondente al nome di Donald Trump. Nell'America che va giustamente fiera delle sue prerogative, le farneticanti esternazioni di questo emulo dell'immaginario personaggio raccontato da Brecht rischiano infatti di fare arrossire dalla vergogna la Statua della libertà. Ma come ammonisce un vecchio detto, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Se ora gli eredi del Grand Old Party si trovano in una situazione imbarazzante , non possono fare altro che recitare il " mea culpa" . Per quattro anni , invece di darsi un profilo rispettabile, si sono ostinati a voler demolire l'operato di Obama, ricoprendolo di giudizi carichi di livore. Col solo risultato di restare con un pugno di mosche, alla mercé delle misere ideologie di colui che dall'alto dei suoi milioni cita Mussolini e ha quale massima aspirazione l'insano progetto di isolare gli Stai Uniti dal resto del mondo. SORRISO. Bisogna essere un pochino aridi di cuore e di mente per non avvertire la grazia innocente del neologismo "petaloso" sbocciato dalla fantasia di un bambino di otto anni desideroso di trovare un aggettivo fuori dal comune capace di descrivere la sua margherita con un tocco di originalità. Ma nel Paese dove – per dirla con Massimo Gramellini – nessuno "si fa i petali suoi", anche la bellezza e la genuinità di una storia nata per caso e senza secondi fini su un banco di scuola, finiscono con l'essere stritolati dal chiacchiericcio pseudo-intellettuale. E questo sì frutto di intenzioni recondite. Al pari dello "inzupposo" usato per la pubblicità di un biscotto, il "petaloso" nella sua essenza è solo un errore bello, niente di più. Le parole, trovino o no ospitalità nei dizionari, sono vita, sono una invenzione dello spirito che apre lo spazio all'immaginazione e strappa un sorriso in questo mondo spesso triste e nebuloso in cui tanti coetanei dello scolaretto non hanno né fiori da illustrare né dolcetti da inzuppare. |
LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it Il grande bluff dell'austerità espansiva Danilo Barbi (Cgil) ai microfoni di RadioArticolo1. “Italia in deflazione? Purtroppo ce l'aspettavamo. E tra un po' arriveranno nuovi dati negativi sul lavoro. Si può ripartire soltanto con gli investimenti pubblici” Prezzi in deflazione a febbraio. La flessione registrata dall'Istat è dello 0,3%. “Non siamo sorpresi: vuol dire che l'economia reale non si sta riprendendo, purtroppo. Da tempo, anche inascoltati, lanciamo l'allarme sulla deflazione: è ovvio che il calo dei prezzi riflette la debolezza della domanda”. A dirlo è il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, intervistato da RadioArticolo1 nella trasmissione 'Italia Parla' (qui il podcast). Un ragionamento, il suo, che parte dalle politiche europee. “Il concetto di austerità flessibile – osserva il dirigente sindacale – è ambiguo. Come dire che bisogna ingrassare e dimagrire contemporaneamente. Guardiamo i dati del bilancio dello Stato italiano: in questi anni il governo ha continuato a ridurre gli investimenti pubblici per affidarsi a quelli privati che, invece, dall'inizio della crisi sono calati del 31 per cento nonostante tutte le decontribuzioni e gli sconti fiscali a pioggia. Nel frattempo, gli investimenti pubblici sono scesi a 32 miliardi da 56, questo è il dato finale del 2015. Fra poco, purtroppo, ci saranno i primi dati negativi anche sull'occupazione”. “Il governo italiano – prosegue Barbi – ha mandato in Europa un documento scritto tutto inglese, magari sperando che così in Italia non lo leggesse nessuno, nel quale si ammette che la ripresa non c'è e però si conferma il bisogno di riforme strutturali. Riforme che puntano sempre sulla riduzione dei diritti e del costo del lavoro che alla fine aumentano la disoccupazione e riducono la domanda”. Si può uscire da questa spirale di contraddizioni? “Noi continuiamo ostinatamente a dire di si”, sottolinea Barbi: “La Cgil non a caso a inizio della crisi presentò il suo Piano per il lavoro in cui prevedeva un rilancio degli investimenti pubblici per creare occupazione giovanile”. Quanto al tema delle tasse, “non è vero che sono tutte troppo alte. Alcune lo sono, altre no, e mi riferisco a quelle sui grandi patrimoni che continuano a essere bassissime. Anche i più ricchi mangiano tre volte al giorno, non è che se gli riduci le tasse mangiano dieci volte, questo è noto sin dagli anni Trenta”. Infine, una riflessione sul piano di investimenti targato Juncker, praticamente una meteora: “È stato un bluff – conclude il sindacalista – perché pretendeva, con soli 8 miliardi, di avere una leva finanziaria di 17 volte: una cosa assolutamente iperbolica e impossibile. Noi abbiamo detto con la Ces che ci vorrebbe un piano di investimenti da 260 miliardi all'anno per dieci anni in Europa, finanziato anche dalla Banca centrale europea. E invece la Bce continua a stampare migliaia di miliardi per prestarli alle banche o per comprare titoli pubblici alle banche”. |
ECONOMIA Le banche minori e la crescita economica Da un po’ di tempo le banche regionali e quelli di credito cooperativo sono al centro della discussione. Di una particolare attenzione lo sono anche da parte della Banca centrale europea che le vorrebbe sottoposte alla sua supervisione e riformate secondo un’ottica di maggiore aggregazione. Non solo perché alcune di loro sono entrate in crisi. E non solo in Italia, ma in tutta l’Europa. di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi) e Paolo Raimondi, Economista Tecnicamente le istituzioni bancarie di piccole e medie dimensioni sono chiamate “less significant institutions”. Entità ‘meno significative’ rispetto a quelle di ‘importanza sistemica’, che per questo sono spesso considerate too big to fail. Nell’intera area euro vi sono circa 3300 gruppi bancari, di cui 129 di dimensioni notevoli e perciò supervisionate dalla Bce. Le circa 3200 piccole e medie banche restanti rappresentano il 18% di tutte le attività del sistema bancario europeo. Sono quasi tutte concentrate in tre Paesi, la Germania, l’Italia e l’Austria. Le suddette piccole banche hanno però bilanci pari all’80% della somma del Pil della Germania e dell’Austria. Esse rappresentano la più importante ‘catena di trasmissione’ del credito produttivo verso le imprese di piccola e media dimensione che, non solo secondo noi, sono la spina dorsale e l’interna ossatura dell’economia. In Germania, per esempio, le ‘meno significative’ finanziano il 70% dell’economia. Il loro tasso di capitale, il cosiddetto Tier 1, è mediamente del 15,2%, straordinariamente superiore al minimo richiesto per le tutte le banche della zona euro che è del 6%. E’ una eccellente garanzia per poter far fronte a situazioni difficili. Secondo le stime, le ‘piccole’, soprattutto in Germania, sono piene di liquidità e in cerca di investimenti e di rendimenti più alti. Non manca loro il mercato. Manca, invece, la stabilità delle imprese e delle famiglie a causa della recessione economica. Naturalmente esse soffrono moltissimo per la prolungata politica dei bassi tassi di interesse sui prestiti concessi. Di fatto l’interesse sui crediti è ‘il motore’ per generare i loro introiti. A loro non è permesso speculare né tanto meno operare con derivati o con altre operazioni finanziarie ad alto rischio. Adesso la Bce e il Single Supervisory Mechanism per il controllo bancario hanno deciso di intervenire sulle banche ‘less significant’ con l’intenzione di sottoporle a una supervisione più stringente sia europea che nazionale, a una revisione del loro modello di business, di governance e delle loro strategie. Di fatto ciò potrebbe comportare un processo di fusione, di possibili cambiamenti del loro status giuridico e di conseguenza determinare la possibilità di essere partecipate o addirittura acquisite dalla banche di rilevanza sistemica. In altre parole le istituzioni monetarie europee, comprese quelle italiane, intendono far fronte, a loro modo, a quella che esse definiscono “la sfida al tradizionale modello di business delle banche di piccola e media dimensioni”. Ciò nonostante esse riconoscano che le banche minori sono “solvibili, liquide, con un basso tasso di crediti inesigibili e con riserve considerevoli”. Oltre al fatto che le banche regionali hanno davvero il polso delle situazioni economiche e imprenditoriali locali e spesso una vera conoscenza diretta dei propri clienti e del loro profilo di rischio. Lo stesso non si può dire delle grandi banche. Che, oltre ad essere principalmente coinvolte in operazioni di cosiddetta “alta finanza” , hanno spesso una scarsa conoscenza della propria clientela. Si dovrebbe perciò chiedere perché le istituzioni europee privilegino le banche con grandi numeri e pochi legami con i settori portanti dell’economia reale. Non si comprende perché si voglia intervenire sulle reti di banche locali e regionali che notoriamente affiancano le imprese nelle produzioni, nelle modernizzazioni e nell’espansione verso nuovi mercati, anche i più lontani. Se la priorità dei governi, compreso quello italiano, è - o dovrebbe essere - la ripresa economica e l’occupazione, perché non valorizzare ulteriormente il meccanismo virtuoso delle banche di credito locale? A loro si può chiedere più informazione, imporre più controlli, ma bisognerebbe anche offrire maggiori sostegni per continuare ad operare con un modello ben funzionante e collaudato di supporto delle imprese. Il falso argomento delle loro dimensioni contenute non è convincente. Non si tratta di esaltare il “piccolo è bello” ma di salvare e sostenere ciò che ha funzionato e continua ancora a funzionare. In Italia il caso della Banca Etruria e delle poche altre banche locali è l’eccezione rispetto ad una rete che oggettivamente si deve ritenere efficace e positiva per l’economica locale e nazionale. L’imperativo pertanto, almeno nel nostro Paese, dovrebbe essere quello di colpire severamente i responsabili della bancarotta delle poche banche disastrate da gestioni scellerate e sostenere invece quelle che meritoriamente sono gestite correttamente e danno il giusto sostegno allo sviluppo dei territori i cui operano, spesso quelli più svantaggiati. |
Da Avanti! online www.avantionline.it/ Giornali, tutto in famiglia di Rodolfo Ruocco La famiglia tradizionale padre, madre, figli perde colpi in favore di quelle allargate, di quelle gay, delle coppie conviventi, dei single. Nel capitalismo italiano e nell’editoria, invece, la famiglia continua a dominare. Il gruppo Espresso-Repubblica (proprietà della famiglia De Benedetti), La Stampa (Agnelli), Il Secolo (Perrone) hanno deciso di convolare “a nozze”. C’è anche una separazione: Fiat Chrysler Automobiles (Agnelli) esce dal gruppo Rcs - Corriere della Sera. Le tre grandi famiglie di imprenditori hanno firmato un memorandum d’intesa «finalizzato alla creazione del gruppo leader editoriale italiano», con una quota del 20% del mercato domestico. Sarà «uno dei principali gruppi europei nel settore dell’informazione quotidiana e digitale». L’operazione si svolgerà nei prossimi 12 mesi. Il perfezionamento della fusione tra i maggiori quotidiani italiani «è previsto per il primo trimestre del 2017». La famiglia De Benedetti, già proprietaria della Olivetti, dell’Omnitel e di Sorgenia (società scomparse o vendute) avrà una quota superiore al 40% del futuro gruppo editoriale. Si prepara una rivoluzione. Ci sarà una formidabile concentrazione di giornali, in un settore delicatissimo e in grave crisi come l’informazione (e le maggiori difficoltà riguardano proprio la carta stampata). Chissà se l’Antitrust avrà qualcosa da obiettare? Chissà chi saranno (o sarà) i nuovi proprietari del Corriere della Sera? Una cosa è certa: per la mega concentrazione editoriale sarà una operazione tra famiglie altolocate dell’imprenditoria nazionale. Un “matrimonio” tra famiglie, tutto “in famiglia”. Per ora il dominus, il “pater familias” sembra essere Carlo De Benedetti. L’Ingegnere avrà il 40% della proprietà, per adesso. > > > Vai al sito dell’avantionline |
Da l’Unità online http://www.unita.tv/ Incubo 2017: un vertice Trump-Putin-Le Pen La sua “dottrina”, che Martin Wolf, editorialista del Financial Times, sintetizza con la formula del “pluto-populismo”, funziona. Ora, dopo il Super Tuesday, è allarme vero. L’incubo che il paese più democratico del mondo possa essere governato da uno come Donald Trump è reale. Può vincere non solo le primarie repubblicane ma la corsa alla Casa Bianca. di Mario Lavia @mariolavia Trump disegna l’onda lunga di quella che sommariamente si definisce antipolitica, il mostruoso arco che va da Budapest a Las Vegas, passando per Parigi e Marsiglia e – forse, almeno in parte – Roma. Antipolitica come Grande Semplificazione: basta immigrati, basta parlamenti, basta banche. Orban, Trump, Le Pen, Grillo – mettiamoci anche Putin, Erdogan: tutte cose diverse, ovvio, e tuttavia tutti piccoli e grandi fenomeni egemonici, in grado di intercettare il famoso spirito del tempo e dargli brandelli semplificati di pseudo-risposte. E così, in teoria, l’anno prossimo potremmo avere un vertice Trump-Putin; o un “trilaterale” Trump-Putin-Le Pen (molto più difficile che i Grillo e i Salvini “prendano” Roma), uno scenario con il quale bisogna fare i conti. Colpa, anche, del ritardo della politica a rinnovarsi. E quando la politica non si rinnova fanno presto a cadere gli anelli deboli, stavolta è toccato ad un Grand Old Party privo da decenni di grandi figure e preda ormai di spiriti animali, da Sarah Palin a Trump. Ci sono stati, certamente, altri momenti in cui negli Usa l’anti-politica si è fatta sentire: anzi, l’hanno inventata loro, come quasi tutte le cose. Con la differenza che stavolta la carica anti-establishment non solo non ha nulla di progressivo (com’era il ’68) ma anzi si colora di follia, mania di grandezza e potenziale violenza (la sua citazione di Mussolini è significativa). E’ possibile fermarlo, Donald Trump? Lo vorranno fare, saranno capaci di farlo, gli altri candidati repubblicani in corsa? Se per esempio la corsa di Trump dovesse rallentare, potrebbero Cruz e Rubio trovare un accordo, per far convergere i voti negli ultimi Stati? O se Trump dovesse arrivare alla Convention repubblicana senza una maggioranza di seggi, potrebbero Cruz e Rubio favorire una nuova candidatura alla Casa Bianca? O è già troppo tardi? O, infine, toccherà solo a Hillary e alla sua Clinton machine rimettere la Storia sul binario giusto? Leggi l’intero articolo sul sito dell’Unità |
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/ I fantasiosi referendum pentastellati Appare sempre più palese la tendenza del Movimento 5 stelle a legare i diritti civili ai sondaggi. Al di là del merito di ciò che viene sostenuto, della fondatezza o della infondatezza delle tesi. di Antonio Maglie La maternità surrogata è sicuramente una questione delicatissima che andrebbe affrontata con serietà, sobrietà e pacatezza, cioè evitando gli estremismi e gli isterismi. Ma il fatto che Beppe Grillo scopra la questione con un intervento sul “Corriere della Sera” dopo che i sondaggi hanno illustrato il favore degli italiani per le Unioni Civili e la contrarietà nei confronti della stepchild adoption, è a dir poco sospetto. Uno degli enfant prodige del partito, Luigi di Maio, garantisce che Grillo è coerente: sicuramente alla sua linea di comportamento, un po’ meno alle idee che possono variare in base alle necessità. Coerente lo è rispetto al “contrordine compagni” lanciato quando il Senato era entrato nel vivo del dibattito sulle Unioni Civili e ci si avviava al voto, scoprendo una libertà di coscienza che spiazzò il gruppo parlamentare sino a quel momento attestato su altre trincee. Un mutamento di posizione che venne letto come un tentativo di ingraziarsi quella fetta di elettorato di destra (a Roma, ad esempio, sembra essere cospicua: aiuta il fatto che il candidato-sindaco abbia svolto il praticantato legale nello studio di Previti) che nutre grandi simpatie nei confronti dei pentastellati. Adesso tocca a Di Maio che con una nuova correzione di rotta conferma questa tendenza a considerare la politica non uno strumento per far crescere la società ma semplicemente una cassetta della posta in cui i sondaggisti depongono le opinioni dei cittadini un po’ come si fa con i volantini pubblicitari. Se la politica fosse questa, in Italia probabilmente non ci sarebbe stata né la battaglia sul divorzio, né quella sulla legalizzazione dell’aborto e il Pci avrebbe vinto a mani basse il referendum sulla scala mobile. Ma la democrazia dei sondaggi si trasforma nella democrazia della maggioranza che finisce per avere sempre ragione. In sostanza, la quintessenza della legge del più forte, quella che i politologi chiamano “democradura” al cui fascino non sembra sfuggire Grillo (e di conseguenza anche i suoi delfini). Ma la democrazia è un concetto più complesso: cittadini che partecipano e partiti che aiutano i cittadini a partecipare; elettori che indicano i propri bisogni e forze politiche che, analizzando il presente e provando a interpretare il futuro, tratteggiano le linee di sviluppo di una storia collettiva mettendo a punto gli strumenti più utili per garantire il soddisfacimento del bene comune. Una democrazia che si basa sui sondaggi e, quindi, sui voleri delle maggioranze finisce inevitabilmente per emarginare le minoranze che vengono così escluse dal godimento del bene comune che si trasforma in un bene sostanzialmente parziale. Ecco perché in un sistema evoluto la nobiltà della politica consiste anche nella funzione in qualche misura educativa delle Istituzioni, nella loro capacità di tenere uniti tutti i bisogni, sebbene definendo una scala di priorità. Ma capendo allo stesso tempo, come diceva Piero Calamandrei parlando della Costituzione, che qualsiasi legge, qualsiasi intervento deve partire più che dal volere delle maggioranze, dalla tutela delle minoranze. Poi in questo zigzagare dei pentastellati c’è qualcosa di veramente incomprensibile. In un video-forum ospitato dal quotidiano “la Repubblica”, Di Maio ha sostenuto che sulla stepchild adoption bisogna andare al referendum. Se questa è la posizione vera, allora aveva ragione Matteo Renzi a non fidarsi perché il sostegno sbandierato anche a quel pezzo dell’originaria legge Cirinnà nascondeva un “non detto” che sarebbe evidentemente esploso nel segreto dell’urna. Se la linea è quella del referendum, l’adesione al testo iniziale del provvedimento non era poi così incondizionata come si voleva far intendere. Ma, soprattutto, di quale referendum stiamo parlando? Se sono quelli che conduce sul web Beppe Grillo, non contano assolutamente nulla: rispettabilissimi, ma riguardano porzioni poco significative di opinione pubblica. Se parliamo di referendum consultivi, nella costituzione italiana, come dovrebbe essere noto anche a Di Maio, non sono citati. Se parliamo, infine, di quelli per ora previsti, allora per organizzarlo ci vuole una legge (da confermare o da abrogare) che al momento manca. Ma si sa, sui referendum i pentastellati hanno sempre fatto un po’ di populistica confusione, come ad esempio quello sull’euro, sbandierato e inevitabilmente dimenticato. La realtà è che siamo di fronte al purissimo esercizio dialettico e al tentativo, peraltro maldestro, di recuperare nei confronti di pezzi di elettorato delusi dal comportamento pentastellato in Senato e dalle acrobazie cybernetiche e a mezzo stampa di Grillo. |
LETTERA Criteri etici Rispetto per le scelte di coscienza di chi ricorre alla maternità surrogata ma essa è in contraddizione con criteri etici generali. Le notizie di oggi sul caso Vendola stanno riaprendo immediatamente la discussione durata troppo a lungo sulla cosiddetta step child adoption conclusasi in Parlamento in modo che a me sembra molto discutibile. Il tanto parlare e discutere di queste settimane hanno permesso all’opinione pubblica una conoscenza di questioni che prima era riservata agli addetti ai lavori. Ciò mi permette alcune considerazioni per punti sintetici senza riprendere ogni aspetto dei problemi in questione. · tutti concordano che tutto (leggi, magistratura, servizi sociali, famiglie coinvolte) debba avere come riferimento principale l’interesse dei bambini e la loro crescita all’interno di una famiglia accogliente; · le informazioni che abbiamo acquisito ci dicono che ci sarebbero ancora nel nostro paese 35.000 bambini negli orfanatrofi. Un numero enorme, incredibile. Inoltre nel 2015 oltre 250.000 bambini sotto i 14 anni e 125.000 tra i 14 e i 17 sono nella condizione dei richiedenti asilo in Europa provenienti dall’ondata immigratoria fuori controllo; si può pensare per essi a una qualche forma di affido o altro anche con istituti giuridici ad hoc? · d’altro lato a ogni dieci richieste di adozione corrisponde un solo bambino adottando e le adozioni internazionali sono calate in un anno del cinquanta per cento. Le procedure sono lente, costose, il sistema non funziona, la legge in vigore è inadeguata e ci sono anche tanti bambini a disagio in famiglie etero “normali”. Ci troviamo di fronte a una vera e propria “emergenza infanzia”; · in questa situazione “Noi Siamo Chiesa” nel suo testo del 27 gennaio, discutendo della legge Cirinnà, ha ipotizzato di fronte al punto più controverso, l’allora art. 5 (che poneva indirettamente il problema della maternità surrogata) una riforma che liberalizzasse il sistema delle adozioni allargando l’area dei soggetti adottanti e adottabili fino a comprendere, tra i primi, i single e le coppie omo. Si tratta di modificare tutta la normativa oltre che la consistenza e la qualità dei servizi sociali competenti; · in questo modo si può ipotizzare un incontro virtuoso tra il bisogno di così tanti bambini, non solo italiani, e il desiderio legittimo e comprensibile di genitorialità di tante coppie infertili, a partire da quelle gay. Penso che l’aspirazione alla maternità e alla paternità di sangue non possa essere considerata alla pari di un diritto da perseguire in ogni modo. Tutti ormai lo sappiamo: la logica del possesso/proprietà del figlio proprio dovrebbe essere superata da una relazione affettiva ed educativa che è compatibile con un rapporto diverso dalla genitorialità di natura. Dopo e insieme a questa riflessione sull’infanzia, la maternità surrogata mi appare come l’ espressione di un punto di vista e di una sensibilità di fatto egocentrica che è in contraddizione con dati certi: il rapporto intimo madre-figlio attestato da tanti studi specifici, l’utero non è un organo qualsiasi, la logica neoliberista cerca di impadronirsi della libertà e della sostanza stessa della femminilità per realizzare profitto, lo spirito della civiltà europea va in ben altra direzione, le possibili e non infrequenti difficoltà giuridiche e affettive di vario tipo prima e dopo questo tipo di maternità. Sono confortato in questa convinzione dal formarsi di un senso comune collettivo, almeno nel nostro continente, che si è manifestato al Parlamento europeo con il voto del 17 dicembre che ha ritenuto “la pratica della gestazione per altri contro la dignità della donna e da esaminare con priorità nel quadro degli strumenti di difesa dei diritti dell’uomo”. Inoltre a Parigi il due febbraio è sorta una iniziativa di grande importanza, nata nell’ambito del movimento femminista e con l’appoggio delle istituzioni, per promuovere una convenzione internazionale per l’abolizione, ovunque nel mondo, della maternità surrogata. Il nostro paese dovrebbe- mi sembra- associarvisi senza distinzioni di parte ma non so se questa opzione di fondo sia possibile od opportuno abbia conseguenze nel diritto interno che vadano aldilà del reato con cui viene sanzionata nel n.6 dell’art.12 della legge n. 40 la maternità surrogata che avvenga nel nostro paese. Mi sembra comunque che, di fronte a casi concreti di maternità di questo tipo che avvengano all’estero, come la cronaca ci dice, da parte di coppie omo od etero, debba essere vagliata e decisa caso per caso dalla magistratura la condizione del bambino, ovviamente nel suo interesse che deve essere considerato assolutamente prioritario. Constato che esistono situazioni in cui la maternità surrogata, in determinate circostanze e in determinati paesi , è considerata, da chi vi accede, moralmente legittima e quindi degna di tutela. Mi sembra che meriti assoluto rispetto ogni decisione di coscienza per un tale comportamento . Ma ciò non può significare l’accettazione di fatto o di diritto della maternità surrogata perché credo che essa sia un’opzione in contraddizione con criteri etici generali oltre che, spesso, con norme di diritto positivo. Vittorio Bellavite, Noi Siamo Chiesa Laicamente: ci vuol “giudizio”. Il problema della maternità surrogata è innegabile e i criteri etici universali (qui la centralità degli interessi dei bambini) cozzano con le leggi di mercato tendenti alla mercificazione totale. I criteri etici bastano senz’altro a indicare a ciascuna coscienza degna del nome quali siano i doveri cui attenersi. Ma questo è appunto il compito di ciascuna coscienza nella propria dimensione autonoma. Giudicare “dal di fuori” è qui difficile. Molti comportamenti (anche parentali) possono apparire ed essere eticamente sbagliati, senza che però sia utile o pensabile normarli per legge. Perciò, prima di compiere salti automatici alla dimensione degli obblighi e divieti sanciti dallo Stato occorrono seri approfondimenti. – La red dell’ADL |
LETTERA A me piacerebbe se l'Inghilterra uscisse dall'UE Caro Direttore, a me piacerebbe che veramente l'Inghilterra uscisse dall'Europa affinché capiscano ciò che loro poi perderebbero. Non hanno aderito all'Euro hanno sempre chiesto e criticato tutto quello che potevano. Pretendono di essere i primi della classe. Cosa hanno dato in cambio? Io da profano credo poco. Il desiderio di comandare come quando avevano l'impero, ma l'impero e finito, e fanno finta di non accorgersi. E allora fuori dalla pelle. Poi con la Francia hanno distrutto la Libia e come i francesi fanno finta di non sapere. Noi dobbiamo sopportare il peso degl'immigrati e ora non vogliano più sentire parlare di immigrati ed altro ancora. Non voglio dilungarmi perché di argomenti c'è ne sono. La ringrazio per le sempre magnifiche lettere del suo scritto. Cordiali saluti Giuseppe Vadalà, e-mail Caro Vadalà, la ringrazio delle sue gentili parole, ma mi permetta di ricordare Pietro Nenni quando ammoniva che la politica non si fa solo con i sentimenti, e men che meno con i… risentimenti. Ce n’è tanta di gente semplice sia tra gli inglesi sia tra gli immigrati. Ed è solo lavorando alla solidarietà tra tutti quelli come noi che anche noi andremo finalmente di nuovo avanti. – AE |
LETTERA Umberto Eco Grazie AdL per la fine evocazione della figura e della posizione di Umberto Eco. Molti giornali hanno pubblicato un necrologio ma nessuno ha saputo mettere a fuoco il contenuto del pensiero di Eco.
Francesco Papagni, Zurigo Grazie. – La red dell’ADL |
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti. |
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