I fatti di Parigi hanno sconvolto
l'opinione pubblica. Abbiamo assistito, quasi in
diretta, ad ogni fase dell'attacco. Abbiamo avuto
paura, abbiamo pianto. Abbiamo acceso candele e in
molti si sono detti francesi, colorando i loro
profili nei social network con il tricolore
francese. Tutti abbiamo chiesto di fare qualcosa.
In poco tempo tutti si sono
improvvisati strateghi ed esperti di un fenomeno
così complesso che perfino chi lo fa di mestiere
stenta a capire le dinamiche precise e soprattutto
a trovare soluzioni o a prevenire gli atti che
regolarmente avvengono nel mondo.
Abbiamo parlato - tutti
improvvisamente competenti e grandi conoscitori -
di sciiti e sunniti, di integralismo, di armi,
di peshmerga, di yazidi, di jihad e califfato
alcuni dimostrando di avere soluzioni, semplici e
immediate, per ogni problema.
Abbiamo chiesto attacchi aerei,
dichiarato guerra, chiuse le frontiere e abbiamo
offeso l'islam.
Non importa che il giorno prima i
terroristi - che si dichiarano dello stesso gruppo
- abbiano colpito Beirut (37 morti, 181 feriti)
facendosi esplodere davanti ad un santuario sciita
o che qualche giorno dopo Boko Haram abbia colpito
a Yola in Nigeria (32 morti, 80 feriti) o ancor
prima abbia ucciso 42 persone in una moschea.
Oramai per tutti è una guerra
dell'islam contro l'Europa o, ancor meglio, contro
i cristiani.
Abbiamo soprattutto imparato che
non tutti i morti sono uguali, i nostri valgono
molto di più. E pensiamo di essere noi,
europei, al centro di ogni attacco.
La realtà è ben diversa.
Il Global Terrorism Index (GTI)
(un indice statistico creato dall'Università del
Maryland che monitorizza tutti i casi di
terrorismo nel mondo compilando una classifica per
stato in base anche al numero di atti, alla
quantità di morti e feriti oltre che di danni
prodotti) ci dice che le 32.658 vittime del
terrorismo (quasi raddoppiate rispetto al
2013 - nel 2000 erano 3329) nel 2014 si
concentrano per l'80% in Afghanistan e Iraq
(per puro caso due dei paesi in cui dovevamo
esportare la democrazia), mentre il maggior
numero di attacchi sono stati portati a termine
da Boko Haram in Nigeria.
La classifica del GTI vede
primeggiare in questa tristissima e orrenda
classifica l'Iraq, l'Afghanistan, la Nigeria,
il Pakistan, la Siria, l'India, lo Yemen, la
Somalia, la Libia e la Thailandia. Paesi di
aree, cultura e religioni diverse. Il primo paese
europeo, il Regno Unito, si trova in 28°
posizione.
Ma, quello che
salta maggiormente agli occhi (e che dovrebbe
farci riflettere tutti) è che il numero dei
morti per terrorismo nel mondo subisce una
rapida impennata dopo l'inizio della guerra
civile siriana. Nemmeno gli attacchi dell'11
settembre e la successiva invasione
dell'Afghanistan e poi dell'Iraq sono riusciti a
determinare un simile effetto.
Appare evidente
che la questione siriana (così come nel
passato è stata quella palestinese) ha avuto una
funzione importante nella geopolitica e
nell'incremento del terrorismo.
Ecco il sito del Global
Terrorism Database, dove sono inseriti oltre
140 mila attacchi terroristici dal 1970 al 2014 in
un database open-source.