[Diritti] Monete locali come ipotesi di uscita dalla moneta capitalistica?



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Monete locali come ipotesi di uscita dalla moneta capitalistica?   
       
Venerdì 27 Febbraio 2015 08:27
di Paolo Rabissi
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Esempi di monete locali italiane
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C’è nella proliferazione delle monete complementari e/o alternative, sia pure di livello locale (o magari proprio per questo), qualcosa per cui le si possa avvicinare alle iniziative caratterizzate dal ‘prendersi cura’? E’ una domanda che volentieri vorremmo porre (non mancherà l’occasione) alla stessa Silvia Federici e alla quale tuttavia verrebbe a un primo esame da rispondere affermativamente. Le cose in realtà sono più complicate, come vedremo.

Breve parentesi: complicazioni o meno facciamo nostro l’invito di Federici a dare fiducia ai progetti sperimentali anche se non sono immediatamente di marca antagonista, ci interroghiamo, al di là della loro capacità di collegarsi con le molteplici realtà di movimento, se si muovono in un’ottica che riesca a far proprie anche istanze concrete provenienti dal mondo del lavoro cosiddetto di cura o riproduzione. Per non agitare solo problemi teorici richiamo ad esempio qui, anch’io come Romanò, l’esperienza della Ri-Maflow, la fabbrica milanese occupata e trasformata in un punto d’eccellenza del riciclo elettronico, che dunque pratica una logica rigenerativa delle risorse e che contemporaneamente in spazi liberati della fabbrica organizza un mercato permanente dell’usato, un laboratorio per il riuso di apparecchi elettrici ed elettronici, un Gas e un’attività di autoproduzione con prodotti del Parco agricolo Sud Milano e di SOS Rosarno (a cui fornisce una logistica alternativa alla grande distribuzione), una palestra, una sala musica, corsi, eventi culturali e spettacoli, un ostello per migranti e senza casa (più notizie qui ). Insomma un momento, non più solo teorico, di ricerca dei modi per gettare il ponte per noi necessario tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo. Una risposta solo di resistenza o è possibile intravederci dentro qualcosa di più? Questa e simili esperienze si sottraggono a pratiche di semplice solidarismo e mutuo soccorso prefordisti? E si sottraggono tanto più a semplici pratiche che fanno del ‘dono’ il loro orizzonte? Si muovono in altre parole dentro un orizzonte politico antagonista postfordista?

Esperienze in qualche modo paragonabili a quella della Ri-Maflow sono riecheggiate anche nel convegno tenuto a Milano il 21-22 giugno 2014, nel Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca denominato M^C^O (più notizie qui ), V.le Molise, a cura di Effimera ( e qui ) intitolato: “La sfida della Moneta del comune e dell’istituzione finanziaria del comune: quali alternative reali? Un primo laboratorio di discussione”. (Il sito al quale ho rimandato contiene anche i paper di preparazione del convegno e poi i video del convegno stesso che nelle intenzioni dovrebbero prossimamente essere convertiti in un testo).

Ci sono circa 5000 monete locali nel mondo, da molto tempo varie regioni in Francia, Austria, Italia e soprattutto in Germania le stanno sperimentando, in alcuni casi con grande successo. Secondo molti esperti la moneta locale aiuta a creare dei legami tra gli abitanti del quartiere, a combattere l’esclusione sociale, a promuovere atteggiamenti ecologici, a reindirizzare il commercio verso consumi rispettosi dell’ambiente e dei diritti sociali all’interno dell’economia locale, a mettere infine in mora la crescita a tutti i costi. Teoricamente dunque quanto interessa il nostro discorso.

Scrive Luca Atzori sul Fatto quotidiano del 7 aprile 2014: vi sono valute locali, sociali, virtuali e molte altre. Ognuna ha diversi scopi, dal marketing al welfare, dallo sviluppo locale e la tutela dell’ambiente al semplice scambio di competenze (vedi Banche del Tempo).

Il Toreke per esempio, è la moneta istituita e finanziata dalla città belga di Gand. Il progetto del Toreke è volto al conseguimento di opere sociali e ambientali, tramite la riqualificazione degli spazi urbani e la creazione di un grande giardino comunitario. L’affitto annuale di un appezzamento pubblico è di 150 Torekes (15 euro) che possono essere guadagnati attraverso varie iniziative, come le attività socialmente utili o le giornate di lavoro collettivo, per poi essere spesi nel giardino comune, per i trasporti pubblici, o nei negozi partner. Sempre in Belgio l’Epi si concentra invece sul sostegno all’agricoltura,

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l’economia locale e il commercio etico. In tutta Italia è oggi in rapida diffusione l’Arcipelago Scec che, proprio come il Toreke e l’Epi, non punta solo a contribuire all’economia locale, ma a responsabilizzare l’individuo e rafforzare il senso di comunità. A Milano promuovono il Lombard, in Sicilia il Turi, a Napoli il Napo. A Brescia dal 2001 è invece attivo il BexB, un progetto che oggi accomuna 2.700 imprese italiane su 160 diversi settori. Uno strumento che consente di acquistare beni e servizi pagandoli con il proprio prodotto o servizio, senza utilizzare denaro. Sullo stesso principio, in Sardegna, il Sardex vanta una rete di 1500 imprese e 15mln di euro di scambi nel 2013.

Vediamo un po’ di capire. Le monete nazionali attuali non hanno più una unità di misura del loro valore perché con la fine degli accordi di Bretton Woods nel ’71 non c’è più la parità dollaro-oro. La determinazione del valore delle monete non è più sotto controllo né delle Banche centrali né di qualsiasi controllo pubblico, esse non sono un bene di controllo pubblico: il loro valore è determinato dalle attività speculative dei mercati finanziari. Insomma contrariamente a quanto spesso si crede la moneta non è uno strumento di scambio neutrale, in pratica sono le banche private, sotto l’egida delle banche centrali, a creare denaro tramite la concessione di prestiti e la sottoscrizione di debiti. Eppure, una moneta come l’euro è uno strumento importante per tutti e non è un bene privato. L’importanza delle banche private nell’emissione di una valuta come l’euro rappresenta un problema dal punto di vista della legittimità democratica. Mettere in circolazione uno strumento complementare all’euro, trasparente e democratico, frutto di una gestione civica e partecipativa, non è una delle ultime motivazioni alla creazione di queste valute locali.

La complementarietà all’euro di queste monete locali è comunque un dato di fatto e questo basta a caratterizzarne la natura compatibile (e tollerabile) col sistema capitalistico di produzione, tuttavia esse attraggono per certi loro aspetti, almeno apparentemente, antagonistici alla moneta di un’economia finanziarizzata basata sulla speculazione e la corruzione. Anzitutto perché appunto viene garantita (sulla fiducia) una gestione partecipativa e democratica al suo uso e poi perché in generale nessuna accumulazione di monete è prevista, esse infatti sono monete cosiddette fondenti, che perdono valore col tempo e muoiono dopo un certo periodo. Infine, dal momento che non promuovono la crescita (sempre necessaria per pagare gli interessi sul finanziamento ottenuto dalla banca mentre qui non ci sono interessi da pagare) favoriscono gli scambi, le relazioni, l’attenzione alle risorse e al recupero dei prodotti, mantiene i tessuti sociali e culturali regionali. E dunque ri-localizzano l’economia, favoriscono in particolare gli scambi di prossimità, valorizzano le competenze ignorate dalle banche, preservano l’ambiente. Ma, tanto per cominciare, le monete complementari non sembrano essere in grado di risolvere la mancanza di reddito di nessuno. In buona sostanza provvedono a rendere disponibile una liquidità di denaro per gli scambi non disponibile altrimenti. Sicuramente nemmeno arricchiscono nessuno ma le persone all’origine delle monete non sono soggetti economicamente deboli. Possono semmai aprire prospettive, da quanto si apprende da certe esperienze soprattutto in Belgio, a persone dai redditi molto bassi, come le famiglie straniere, contribuendo dunque alla lotta contro l’isolamento e l’emarginazione sociale che sicuramente aggravano la povertà.

Ce n’è abbastanza per ‘innamorarci’, come dice Christian Marazzi nel convegno sopra citato, delle potenzialità di queste monete. E Tonino Perna gli fa eco nel suo libro Monete locali e moneta globale: “La riappropriazione del denaro come bene comune fa parte del processo di costruzione di un’altra economia, per sopravvivere al fallimento delle politiche neoliberiste, alla devastazione ambientale, all’oppio della crescita infinita.”

Chi desidera informazioni ulteriori di approfondimento può consultare il sito http://cryptocoin.it

Ma come funziona questa moneta? Non sembra molto simile al baratto anche se si adoperano monete elettroniche? Prendo ad esempio il Sardex in Sardegna. Si tratta di una moneta elettronica che permette alle imprese di comprare e vendere senza spendere euro. Chi si associa ha la possibilità di scambiarsi prodotti che il mercato non riuscirebbe ad assorbire. I pagamenti vengono effettuati appunto in crediti sardex. Un sistema che può affiancarsi a quello tradizionale dando ossigeno a chi non ha liquidità in cassa. In questo modo si evitano anche i costi che derivano dall’invenduto. Altri vantaggi: le aziende sono incentivate a fare affari tra loro incrementando il mercato locale, hanno a disposizione un portale on-line dove “mettere in vetrina” la propria attività più un conto e una carta in crediti commerciali e, infine, possono avvalersi dell’aiuto di un broker. Non esistono banconote sardex, perché si tratta di una moneta riconosciuta solo dalle imprese che si associano al circuito, versando quote di partecipazione a scadenze prefissate. Un sardex vale un euro, e su questo valore si effettuano le transazioni. I crediti però non sono convertibili in denaro corrente ma solo in prodotti. Quindi se si accumula un attivo di mille sardex non si può pretendere di cambiarli in euro. Si possono solo fare acquisti in prodotti dello stesso valore (L’ESPERIENZA PRATICA DEL SARDEX di Maddalena Brunetti, 29/5/2013, dal sito www.sardiniainnovation.it/). Un po’ come il baratto, chiede l’intervistatrice? “Non esattamente – precisa Gabriele Littera, 26 anni, presidente del cda e responsabile marketing – Faccio un esempio: con il baratto un produttore di uova non potrebbe ottenere un cavallo dal valore di duemila euro solo scambiando la sua merce. Quante uova ci vorrebbero? Altra differenza fondamentale è la multilateralità, che non è prevista dal baratto”. Quindi l’ipotetico produttore di uova potrebbe acquistare un cavallo andando a meno duemila sardex, un passivo che compenserebbe cedendo uova per duemila euro a più imprese che ne hanno bisogno. Così come il proprietario degli animali spenderebbe i suoi duemila Sardex di attivo, acquistando qualsiasi altra cosa. Inoltre questo tipo di scambio prevede la multitemporalità: è possibile riscuotere il proprio credito o estinguere il proprio debito in una fase successiva a quella della vendita. Tutte le operazioni fatte tramite il circuito Sardex.net sono fatturabili ed entrano nelle voci di bilancio.

Tutto abbastanza chiaro. Ma quali sono le domande che questa e altre esperienze simili suscitano?

Già nei lavori di preparazione per il Convegno l’intervento di Andrea Fumagalli non nascondeva perplessità o quanto meno interrogativi. La domanda chiave che lui poneva era questa: può una moneta del genere attaccare il potere oligarchico della grande finanza? Può diventare una moneta antagonista? In questa ottica e in accordo con C. Marazzi e C. Vercellone, Fumagalli individua quattro elementi principali che dovrebbero caratterizzare una moneta del genere, la moneta da loro chiamata ‘del comune’: 1) non deve essere accumulabile e non diventare oggetto di speculazione, perciò deve perdere una parte del suo valore nel corso del tempo 2) deve essere in grado di attenuare la dipendenza dei lavoratori dal vincolo economico della vendita della loro forza-lavoro e quindi dal rapporto salariale riducendo la precarietà 3) deve liberare tempo e risorse per sviluppare forme di cooperazione alternative fondate sulla messa in comune dei saperi, dei risultati della produzione e comunque su reti di scambio che escludano il profitto e la sua logica 4) essere infine ‘non-proprietà’.

Pila di monete, terra, piantina e libri

Interrogativi e perplessità nel convegno poi tenuto a giugno ‘14, in un contesto di numerosa e qualificata partecipazione, sono stati confermati e, almeno per chi scrive, sono risultati più concreti e legittimi rispetto alle posizioni favorevoli. E’ stato rilevato che di queste ‘quasi monete’ sub-sovrane abbiamo anche esempi che provengono da un passato recente, come nel caso dell’Argentina 2001, e che in ultima analisi sono espressione, in particolare nei periodi di crisi come il nostro, di una forma di resistenza monetaria che attiva una moneta di conto come compensazione delle storture del circuito ufficiale: aggravate con l’euro dal fatto che questa è una moneta senza Stato e che il vuoto di sovranità politica è stato colmato dalla sovranità dei mercati finanziari. E sul carattere difensivo di queste monete si sono soffermati altri interventi.

Le domande più significative per noi sono rimaste dunque senza risposta. Se assumiamo anche il lavoro di riproduzione come punto di riferimento abbiamo bisogno di sapere e comunque interrogarci così: chi sono i soggetti reali coinvolti in questa esperienza? Chi possiede i saperi necessari per organizzarla? Quanto lavoro viene liberato? In che misura vengono messi in crisi soprattutto nello scambio tra lavoro e salario gli aspetti più deleteri dello scambio di merci tipici del mercato? in che misura cioè lavoro di relazione e rispetto delle risorse e dell’ambiente entrano in circolo dentro queste comunità?

A questi interrogativi non sono state date risposte soddisfacenti. Vedremo. Terremo d’occhio queste esperienze perché prestiamo attenzione a quanto sembra muoversi, anche se ci appare solo di resistenza. Non si sa mai. Del resto mentre scriviamo il dibattito su una moneta complementare in Grecia sembra farsi più motivato.
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