Un finale hollywoodiano – ovvero come ti fabbrico il terrorista
di Piero Cammerinesi (corrispondente dagli USA di Coscienzeinrete Magazine, Altrogiornale e Altrainformazione)
Un
“finale hollywoodiano” era quello che ci si aspettava dal piano
terroristico del ventisettenne di origine kosovara, instabile
mentalmente, che avrebbe dovuto farsi saltare in aria in un
affollatissimo Casinò di Tampa in Florida.
Houston, 16 Marzo 2015
- Nel corso degli otto minuti del “video da martire”, girato nel Days
Inn di Tampa, il giovane, Sami Osmakac, promette, infatti, di vendicare
le uccisioni di fratelli musulmani in Afghanistan, Iraq, Pakistan e in
ogni altra parte del mondo.
“Occhio per occhio, dente per dente, una donna per ogni donna, un bambino per ogni bambino”.
Registrato
il video, Sami aveva in programma di recarsi all’Irish bar di Tampa e
poi al Casinò locale, dove avrebbe preso degli ostaggi prima di farsi
esplodere all’arrivo della polizia.
Per
questo piano, peraltro non portato mai a termine, oltre che per
possesso di armi di distruzione di massa – un’auto-bomba, sei granate,
un giubbotto esplosivo e varie armi tra cui un AK-47 - il giovane è
stato condannato, il 26 Novembre scorso, a 40 anni di carcere dalla corte di Tampa.
Fin qui nulla di strano.
Solo che oggi emerge – da un clamoroso scoop di The Intercept,
il nuovo giornale di Glenn Greenwald, meglio noto come colui che
realizzò le prime interviste ed il ‘lancio’ di Edward Snowden - che il
giovane squilibrato kosovaro era stato irretito, condizionato,
finanziato e armato niente meno che da una rete di agenti FBI sotto
copertura.
Dov’è la novità? direte voi.
La novità è che questa volta c’è la smoking gun, la pistola fumante, vale a dire le intercettazioni che mettono nei guai i federali.
Il
meccanismo è sempre lo stesso. S’individuano giovani instabili
mentalmente, preferibilmente di origine araba, spesso in disperate
condizioni economiche e li si trasforma, con tecniche di controllo
mentale, in informatori e talent scout di potenziali
terroristi. I soggetti che questi infiltrati trovano vengono poi armati e
motivati per compiere attentati o – come nel caso di Sami – per
divenire capri espiatori per la war on terror, la guerra al
terrorismo, che ha bisogno di divorare quotidianamente nuove vittime per
mantenere sempre alto il livello dell’emergenza, della paura instillata
nelle masse.
Pronte a barattare sempre maggiori spazi di libertà a fronte di una presunta sicurezza.
Le operazioni condotte da informatori sotto copertura sono dunque al centro del programma antiterrorismo dell’FBI. Dei 508 imputati processati
per casi terrorismo nel decennio dopo l’11 Settembre, in ben 243 casi
erano coinvolti informatori dell'FBI, mentre 158 sono stati gli
obiettivi di operazioni sotto copertura. In questi ultimi un informatore
dell'FBI o un agente sotto copertura ha spinto 49 imputati a realizzare
o pianificare atti di terrorismo, in modi analoghi a quello che è stato
attuato con Sami Osmakac.
Naturalmente,
l’FBI ufficialmente pretende di pagare informatori e agenti sotto
copertura per sventare gli attacchi prima che si verifichino. Ma le
prove indicano chiaramente - e un recente rapporto di Human Rights Watch
lo dimostra - che l’FBI, piuttosto che acciuffare aspiranti terroristi
imbranati, induce ad azioni terroristiche soggetti malati di mente o
economicamente disperati. Individui che da soli non potrebbero mai
realizzare piani criminali complessi.
Nel
caso di Osmakac, gli stessi agenti dell'FBI confermano pienamente
questo stato di cose, anche se non lo ammetteranno mai pubblicamente. In
questa operazione, l’agente sotto copertura dell’FBI agisce con lo
pseudonimo di “Amir Jones”. È il tipo dietro la telecamera nel video che
annuncia il martirio di Sami. Amir, che si presenta come il rivenditore
delle armi da utilizzare nell’azione terroristica, nasconde su di sé un
registratore.
Oltre
ai dialoghi con Sami, il dispositivo registra però anche le
conversazioni che si svolgono nella sede dell’FBI a Tampa, tra agenti e
collaboratori che credono di parlare in assoluta privacy.
Ora,
queste conversazioni permettono di ricavare un’immagine estremamente
precisa e accurata di quella che sono le operazioni anti-terrorismo
dell'FBI, e mostrano come, a volte, anche agli occhi degli stessi agenti
dell'FBI coinvolti, i soggetti di queste operazioni sotto copertura non
siano sempre inquietanti e minacciosi come li si vuole far apparire.
Nell’audio
– del 7 Gennaio del 2012 – che segue la registrazione del video del
martirio di Sami, l’informatore “Amir” e altri si fanno beffe di tale
video, che l’FBI ha realizzato per Osmakac.
Ecco alcune battute:
“Quando stava indossando la roba, si muoveva in modo nervoso” dice qualcuno ad Amir. “Continuava a indietreggiare ...”
“Sì”, risponde Amir.
“Sembrava nervoso davanti alla telecamera” qualcun altro aggiunge.
“Sì, era eccitato. Penso che si sia eccitato quando ha visto la roba”, risponde Amir, riferendosi alle armi che erano lì sul letto della stanza dell’hotel.
“Oh,
sì, lo puoi dir forte” dice una terza persona. “Era proprio come, come,
come un bambino di sei anni in un negozio di giocattoli”.
In altre conversazioni registrate, Richard Worms, il supervisore della squadra dell’FBI, descrive Osmakac come un “mentecatto ritardato” che non “riuscirebbe neppure a pisciare nel vaso”.
Poi ci sono degli agenti che sottolineano che la pubblica accusa - nonostante gli obiettivi di Osmakac siano “inconcludenti”, e le sue ambizioni terroristiche dei “miraggi” – ha bisogno di avere un “finale Hollywoodiano” dell’operazione.
La
registrazione del colloquio indica, poi, come gli agenti dell'FBI
facciano fatica persino a mettere 500 dollari in mano a Sami per dare un
acconto sulle armi.
Quelle
stesse armi che il Tribunale ha poi considerato la dimostrazione delle
capacità terroristiche di Osmakac e del suo impegno a compiere la strage
pianificata.
“Il
denaro è la prova che lui è disposto a farlo, perché anche se non siamo
in grado di farlo ammazzare qualcuno, possiamo mostrare che paga le
armi” afferma l’agente speciale dell’FBI, Taylor Reed, in una conversazione.
Chi avrebbe mai immaginato che queste trascrizioni potessero essere rese pubbliche?
Ma a volte il diavolo, come si sa, fa le pentole…
Naturalmente,
appena ciò è avvenuto, grazie al coraggio di un bravo giornalista,
Trevor Aaronson, il governo ha sostenuto che le trascrizioni delle
registrazioni potrebbero danneggiare il governo degli Stati Uniti,
rivelando le “strategie e i metodi di indagine delle forze dell’ordine”.
Ma esse, fornite da una fonte confidenziale a The Intercept in collaborazione con l’Investigative Fund,
costituiscono una preziosa rivelazione di ciò che accade dietro le
quinte di una operazione antiterrorismo sotto copertura dell’FBI,
rivelando come gli agenti federali abbiano sfruttato il loro rapporto
con un informatore prezzolato, lavorando per mesi con l’obiettivo di
trasformare lo sventurato Sami Osmakac in un terrorista.
Naturalmente né l’FBI di Tampa né il quartier generale dell’FBI a Washington hanno risposto alle richieste da parte di The Intercept di un commento sul caso Osmakac o sulle osservazioni fatte da agenti e collaboratori dell’FBI sull’operazione sotto copertura.
Guardate il video con le trascrizioni delle intercettazioni, è davvero istruttivo.
Purtroppo per l’FBI e per la fortuna di decine di persone innocenti, in questo caso il “finale hollywoodiano”
è mancato, ma non certo per merito dei difensori della legalità e della
giustizia, ma solo perché il capro espiatorio scelto era troppo
imbranato persino per farsi esplodere in un bar.