[Diritti] No Tav. Quelli che non si arrendono
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- Date: Fri, 30 Jan 2015 03:14:23 +0100 (CET)
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No Tav. Quelli che
non si arrendono
C’è la folla di altri tempi al Polivalente di
Bussoleno. Scorrono le immagini dello sgombero della Libera Repubblica
della Maddalena del 27 giugno 2011, poi quelle del 3 luglio, il giorno
dell’assedio.
Sembra di tornare a quelle giornate. L’odore acre dei
lacrimogeni, il respiro che si mozza, il tempo sospeso dell’attesa di
quella breve notte estiva. Il trascolorare delle stelle nell’alba e i
primi mezzi che arrivano sull’autostrada e sostano a lungo prima di
entrare in azione.
Marco Imarisio in un editoriale del Corriere
della sera del 28 gennaio, il giorno successivo alla sentenza che
ha condannato 47 No Tav ad oltre 140 anni di carcere, irrideva il mito della
Libera Repubblica della Maddalena, come una sorta di “zona rossa
all’incontrario”, dentro i No Tav, fuori le forze dell’ordine. Imarisio
dovrebbe visitare – ai giornalisti il permesso lo danno – il
fortino/cantiere di Chiomonte tre anni e mezzo dopo. Chi scattasse una
foto e la facesse girare lontano da questo scampolo di Piemonte
difficilmente potrebbe convincere qualcuno che quello che vede è un
cantiere e non un avamposto militare in zona di guerra. Dentro, oltre gli
infiniti strati di cemento e acciaio e filo spinato ci sono soldati,
carabinieri, poliziotti, blindati Lince, depositi per i lacrimogeni e le
altre armi. Una barriera (quasi) impenetrabile.
Se Imarisio fosse
venuto alla Libera Repubblica sarebbe stato accompagnato a farsi un giro
per gli accampamenti, alla baita, alle barricate inventate da decine di
ingegneri e carpentieri No Tav, alla tenda dove arrivavano in
continuazione cibo e bevande. Per tutti c’era sempre qualcosa da mangiare
e da bere. Durante lo sgombero le pentole vennero riempite d’acqua per
soffocarci i lacrimogeni.
Alla Libera Repubblica c’erano docenti
universitari che le avevano trasformate in aule, incontri, feste, musica,
lunghe assemblee, turni giorno e notte alle barricate che, non ne dubiti
Imarisio, sapevamo bene che sarebbero state buttate giù da chi ha il
monopolio della violenza.
Lo spirito di fratellanza e condivisione
di quelle giornate, irriso da Imarisio, era quello di chi non si era
chiuso in un fortino, ma aveva liberato per tutti uno spazio. Fuori
stavano solo le forze di occupazione e gli emissari delle ditte. Le porte,
tra qualche più che comprensibile malumore, erano aperte anche per i
giornalisti. Quasi tutti quelli che hanno bussato sono entrati.
Sapevamo che la polizia avrebbe preso la Maddalena, sapevamo che il 3
luglio l’assedio non si sarebbe concluso con la capitolazione della
cittadella fortificata che stavano cominciando a costruire. Siamo rimasti
lì lo stesso. Siamo rimasti lì perché non intendevamo arrenderci.
Non l’abbiamo mai fatto in questi tre anni e mezzo di lotta sempre più
dura.
Imarisio suggerisce ai No Tav il realismo, gli fa eco Tropeano
dalle pagine della Stampa, suggerendo di ri-consegnare ai giochi della
politica istituzionale la partita, allontanando i “cattivi”.
Imarisio fa sua la tesi dell’ex procuratore capo di Torino Giancarlo
Caselli. Caselli in più occasioni ha sostenuto che nel mirino erano le
condotte individuali violente, non il movimento di opinione. Quello che
fingono di non sapere è che il movimento No Tav, tutto il movimento nelle
sue molteplici sfaccettature, non è mai stato e non intende diventare un
movimento di opinione. Nessuno vuole essere mero testimone del disastro ma
ognuno, come sa, come può e come ritiene si mette di mezzo per impedire la
realizzazione del Tav.
Dietro a quelle barricate c’eravamo tutti.
Qualcuno in prima fila, qualcun altro più indietro, ma tutti insieme.
Lo dimostra, paradossalmente, la sentenza stessa del tribunale, che
fa leva sul “concorso”, sul fatto che chi era lì rafforzava l’intento
degli altri con la sua stessa presenza. Sul piano squisitamente giuridico,
una vera aberrazione, sul piano politico l’essenza stessa del
movimento.
Lo si respirava nell’aria del Polivalente, fredda per la
caldaia rotta, ma intensa nella solidarietà ai condannati, nell’intenso,
lungo applauso agli avvocati che hanno analizzato il processo e la
sentenza.
I filmati proiettati nell’incipit dell’assemblea, gli
stessi mostrati ad un tribunale sordo e cieco, mostrano poliziotti,
carabinieri e finanzieri raccogliere pietre e lanciarle verso i No Tav nei
boschi sopra Chiomonte. E’ il tre luglio. Tra i condannati c’è un No Tav
che vediamo trascinato per tutto il piazzale e pestato con bastoni nodosi.
Secondo la Procura le ferite che gli hanno inciso il corpo erano dovute ad
una caduta. Anche lui è stato condannato alla galera e a pagare i danni ai
poliziotti e ai loro sindacati.
Secondo Cesare Martinetti,
autore dell’editoriale del quotidiano La Stampa, la sentenza dovrebbe
aiutare il movimento a capire la necessità di “espellere gli infiltrati”,
quelli che hanno trasformato il “cantiere di Chiomonte nel simulacro di
tutti gli orrori contemporanei”.
Un lungo applauso ha salutato i
condannati, uno altrettanto intenso quelli che hanno fatto sabotaggi.
La carta della divisione esce ancora una volta dalla cassetta degli
attrezzi dei gazzettieri che provano a seminare la paura, a suggerire la
rassegnazione, ad indicare un comodo rifugio al sicuro dalle aule di
tribunale, dalle sentenze di anni di reclusione e decine di migliaia di
euro di “risarcimenti”.
Ancora una volta il movimento ha risposto di
slancio. Il giorno stesso della sentenza dopo un breve blocco della
tangenziale nei pressi dell’aula bunker, la merenda sinoira solidale alla
bottega di Mario, il barbiere di Bussoleno che ha preso tre anni e mezzo,
si è trasformata in corteo cittadino sino alla statale 24, dove un
imponente schieramento di polizia bloccava il passaggio verso l’autostrada
del Frejus. Nonostante ciò qualche decina di ragazzi di oggi e di ieri
sono passati per i prati raggiungendo la A32. La polizia ha risposto con
lacrimogeni e caccia all’uomo, tre fermi con corollario di denunce
pesanti.
Così vanno le cose ai tempi del Tav. Il treno su cui si
gioca una partita che va ben al di là della valle, perché qui si gioca
un’idea di tempo e di luogo che non è quello dove siamo forzati a
vivere.
Nella sala affollata di Bussoleno ogni tanto si sente la voce
lieve di una neonata. Un bimbo della stessa età reclamava il pasto
disturbando la lettura della sentenza in aula bunker.
In questi anni
tante volte abbiamo dato l’ultimo saluto a qualcuno di noi che se ne
andava, facendo l’ultimo viaggio con la bandiera No Tav sulla bara.
Chi crede di averci sconfitti, spaventati, non ci conosce.
Non ci
siamo arresi alla Maddalena, non ci arrenderemo mai.
Sabato 31
gennaio appuntamento alle 14 a Giaglione per una passeggiata in Clarea
Sabato 21 febbraio manifestazione No Tav a Torino
www.anarresinfo.noblogs.org
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